di Cornelio Galas
Ho nella mente, ancora, una tua straordinaria “lezione di teatro”, negli anni Ottanta, Con la tua Filo di Lizzana, Ricordo ancora, sulla scena del delitto (a Mori) i tuoi scatti, con quella minuscola macchina fotografica, futuristica per quei tempi. E ricordo ancora, caro Paolo, la tua proverbiale serenità, nei consigli comunali di Rovereto, quando il sindaco Pietro Monti solo alla fine, proprio pochi minuti prima delle nostre urgenze giornalistiche, uffcialiazzava le proprie sentenze.
Ti ho dapprima odiato. Perché giovane cronista rivano spedito in Vallagarina a fare il praticantato, vedevo in te l’inarrivabile collega anziano, quello che sapeva prima di tutti come sarebbe andata a finire. Ti odiavo perché eri troppo figo, più esperto. E diciamolo: avevi gioco facile con il giovincello venuto da Arco per imparare a fare il giornalista.
Ti ho invidiato. Fortemente. Anche perché, diciamo pure questo, con le donne avevi il fascino. Poi col tempo ho imparato da te tante cose. Non te le dico, è tardi ormai. Sappi però, caro Paolo, che hai sempre avuto dal mio di dentro un welcome che non dò a tanti, un posto riservato nell’anima, magari mai confessato, un’ammirazione forse figlia di adulazioni giovanili. Quelle che di solito si riservano ai campioni veri. Non solo alle figurine Panini.
So che sorriderai di queste mie confessioni postume. Rispondo volentieri alla tua inarrivabile arguzia. Con la riverenza che c’è alla fine dell’opera. Quando si chiude il sipario e si attende, in silenzio, di uscire per l’applauso, tenendosi tutti per mano.