Ciao Albino…

di Cornelio Galas

Albino Marchi, 71 anni, di Arco

La verità? Non ho mai avuto la possibilità di conoscere bene, a fondo, Albino, nonostante frequentazioni (per lavoro) che cominciarono nei lontani anni Settanta per finire, non molto tempo fa, con un’intervista su Rock Master. Diciamo che fin da giovane cronista-fotografo, fin dalle prime foto in bianco nero del “Gran Carnevale”, di lui ho sempre avuto un timore reverenziale. Non soltanto per la sua stazza fisica, sovrastante. Ma anche e soprattutto perché l’ho sempre identificato come un uomo del fare. Che non aveva tanto tempo da perdere in chiacchiere.

Tantomeno per rispondere magari ad un giornalista che gli avesse chiesto qualcosa di più del programma di una delle tante manifestazioni che in lui avevano l’ideatore, l’organizzatore, il responsabile. Tutti “mistéri da far” prima di lasciarsi andare, prima di rispondere anche alle polemiche che – si vedeva – lo infastidivano non solo magari perché già allora era “fake news”, ma anche perché … portavano via tempo prezioso a tutto il resto. Alla concretezza. Alle mille cose da far funzionare al meglio.

Rare le volte che ho visto, lui, il re del Carnevale, non lasciare sotto i baffi un sorriso. Sembrava quasi indossare una maschera sotto il cilindro che regolarmente indossava per il “giuramento solenne” all’inizio delle sfilate. Per non perdere l’aplomb del ruolo. Per mascherare la preoccupazione: “speriamo vada tutto bene anche stavolta”.

Purtroppo non andò bene quella terribile sera dell’incendio del magazzino del Carnevale a S. Giorgio. E da allora si ruppe anche una sorta di incantesimo, fino al clamoroso divorzio in seno al comitato. Albino è stato anche assessore comunale, presidente dell’Amsa, ha avuto notevoli responsabilità nel pubblico. Non si è mai tirato indietro.

Certo, nessuno è perfetto. Tutti abbiamo dei difetti. Anche Albino ha avuto dei detrattori. Nessuno però può mettere in dubbio quello che ha fatto per Arco, quello che ha dato alla comunità e quello che ha continuato a dare fino a quando qualcosa molto più forte di lui l’ha fermato. Lasciando non solo Arco, non solo l’Alto Garda, senza quello che era un importante punto di riferimento.

Ecco, resta probabilmente, adesso, il rimpianto di non avergli dato la mano per dirgli tutto questo o meglio, di aver dato per scontato che ci sarebbe stata l’occasione non per una delle tante informali interviste, ma per parlare del più o del meno, semplicemente della vita, sulla veranda del Casinò.

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