a cura di Cornelio Galas
Mi scrive L’avv. Massimo Filippini: “Ho visto le sue pagine sulla vicenda di Cefalonia in cui fu fucilato mio Padre magg. Federico Filippini. Ella saprà certo qualcosa della mia attività per giungere alla Verità ed è per questo che le invio il filmato della mia ultima intervista. Con i migliori saluti avv .Massimo Filippini Orfano del magg Federico”.
Oggi parliamo dei processi per l’eccidio di Cefalonia. O meglio, dei processi non fatti. L’unico infatti resta quello contro Alfred STÖRK, per La fucilazione di una parte degli ufficiali della Divisione avvenuta a Cefalonia il 24 settembre 1943. Processo terminato il 18 ottobre 2013, con sentenza di condanna all’ergastolo. Interessante quanto scrive Marcella De Negri. figlia di Francesco, uno dei tanti ufficiali della Divisione Acqui, fucilati a Cefalonia il 24 settembre 1943.
di Marcella De Negri
Il fascicolo 1188, in quello che fu definito da Franco Giustolisi, primo giornalista a denunciarne pubblicamente l’esistenza, “armadio della vergogna”, (è noto da tempo che molti avevano “pescato” in quell’armadio nel corso del tempo) nel 1994, durante il processo Priebke, riguardava la strage di Cefalonia.
In questo armadio erano contenuti moltissimi fascicoli riguardanti soprattutto le più efferate stragi nazi-fasciste di civili in Italia (Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto Monte sole, Falzano di Cortona, piazzale Loreto…..e molte altre). Stragi per cui, già nell’immediato dopoguerra erano stati individuati, dagli Alleati, molti responsabili, che però non si vollero incriminare erché l’inizio della guerra fredda e l’individuazione nel comunismo come il grande nemico, aveva suggerito ai paesi dell’occidente di perseguire, come fine primario, quello del riarmo veloce della Germania Ovest.
In totale si trattava di 2.274 fascicoli, dei quali 695 di notevole rilievo: tutti, furono “archiviati provvisoriamente”, in realtà nascosti, con un provvedimento assolutamente illegittimo e certamente conosciuto dalle autorità politiche del tempo, dal procuratore generale militare Enrico Santacroce, il 14 gennaio 1960. Non si voleva turbare il clima distensivo verso la Germania con processi contro gli ex militari della Wehrmacht il cui comportamento nella seconda guerra mondiale è sempre stato interpretato, dalla Germania, come corretto, essendo invece la responsabile della strage di Cefalonia, con le sue truppe scelte della 1a divisione da montagna, i tragicamente noti Gebirgsjäger.
La giustizia italiana, in particolare i tribunali militari, sino al 1980 dipendenti dal Ministero della Difesa, quindi sottoposti al controllo politico, non vollero, o non fu loro consentito, di occuparsi della strage di Cefalonia.
Paolo Emilio Taviani, che fu un capo partigiano dura Italiana Volontari della Libertà, e ministro della Difesa dal 1953 al 1958, scrisse nel suo testo uscito postumo,“ Politica a memoria d’uomo“: “Ho già avuto occasione di dichiarare che intervenne la ragion di Stato per la rinuncia a chiedere l’estradizione di un ufficiale germanico, presunto responsabile della strage di Cefalonia. Fu una decisone di Gaetano Martino e mia, nell’ottobre del 1956 …”.
Tra i due ministri ci fu uno scambio dialettico sul tema, per arrivare alla decisione comune dell’insabbiamento, scambio che Andreotti, anni dopo, definì con la sua beffarda sfrontatezza essere stato uno scambio “privato“.
Il 14 giugno1960 il giudice istruttore militare designato Carlo Del Prato prosciolse “per non aver commesso il fatto“ molti imputati per la strage di Cefalonia, tra cui addirittura il generale Hubert Lanz, il comandante del XXII° corpo d’armata, massimo responsabile della strage.
Il generale Hubert Lanz fu l’unico processato a Norimberga, nel 1948 da un tribunale americano, per la strage compiuta a Cefalonia ma solo per quella riguardante gli ufficiali (una intollerabile „giustizia di classe“). Fu condannato a 12 anni ma ne scontò soltanto 3 (tre) poichè Adenauer, nel 1951, ottenne la liberazione di quasi tutti i criminali di guerra tedeschi detenuti nelle carceri del paese.
A proposito della strage degli ufficiali , il pubblico ministero americano, Telford Taylor, durante il processo a Lanz dichiarò: “Questa strage deliberata di ufficiali italiani che erano stati catturati o si erano arresi è una della azioni più arbitrarie e disonorevoli della lunga storia del conflitto. Questi uomini, infatti, indossavano regolare uniforme. Portavano le proprie armi apertamente e seguivano le regole e le usanze di guerra …“.
Lo storico e militare Gerhard Schreiber scrisse, tempo dopo, che le migliaia di soldati italiani uccisi „caddero vittime di crimini di guerra „ ma “nonostante siano stati presi in considerazione nei processi di Norimberga, tuttavia gli eventi di Cefalonia e di Corfù continuano ad essere in Germania sostanzialmente ignorati se non addirittura negati „.
Ho sempre detestato, e quasi mai ho partecipato, alle cosiddette cerimonie per ricordare la strage della Divisione Acqui a Cefalonia. Questo perché ho sempre giudicato queste manifestazioni come un alibi per lo Stato Italiano per non aver compiuto il proprio dovere
· di perseguire i criminali di guerra responsabili della strage:
· di fornire assistenza ai reduci, talvolta assai sofferenti,
· di dare aiuto alle vedove e agli orfani, soprattutto dal punto di vista economico.
Nel 2003 appresi, per puro caso, dal quotidiano La Repubblica, che in Germania, presso la Procura speciale per i crimini nazisti di Dortmund, il procuratore Ulrich Maaß aveva riaperto il caso Cefalonia, e decisi , per la prima volta, di costituirmi come parte civile in quel procedimento. Con me si costituì soltanto un nipote, che vive in Brasile e lo fece per onorare la memoria del padre, mio fratello, ex partigiano, morto da poco, figlio maggiore di quel nonno Francesco De Negri, di cui lui porta il nome.
Ero quindi, in realtà, sola a Monaco di Baviera e, come scrissi al presidente Napolitano, la mia è sempre stata considerata dalle istituzioni una battaglia privata: „Marcella De Negri contro la Repubblica Federale di Germania“. Questa costituzione di parte civile, fatta con l’amico e avvocato Gilberto Pagani, che mi ha poi seguito e sostenuto anche nei due diversi procedimenti a Roma, non ha avuto alcuna conseguenza pratica rispetto alla punizione di Johan Dehm e Otmar Mühlhauser, indagati dalla Procura di Dortmund prima, e poi, per competenza territoriale, da quella di Monaco di Baviera.
Dehm morì nel 2005 mentre per Mühlhauser il procuratore di Monaco I° August Stern, nel luglio 2006, decise per l’archiviazione del procedimento sostenendo che, con l’armistizio, “i soldati italiani si erano trasformati in traditori“, paragonabili ai disertori tedeschi e quindi, come ebbe sempre a sostenere anche Mühlhauser, “l’esecuzione di tali soldati non era da considerarsi omicidio per vili motivi”.
August Stern ha usato nella sua ordinanza a favore di Mühlhauser parole assai simili, quasi identiche, a quelle impiegate a Norimberga, quasi 60 anni prima, dal difensore del generale Lanz. Questa ordinanza, contro cui feci ricorso due volte, fu confermata, prima dal Procuratore generale Musiol e poi, definitivamente, il 24 ottobre 2007, dal Presidente della Corte d’appello della Baviera Kaiser, con un linguaggio appena un poco edulcorato rispetto a quello di Stern, decisamente di stampo hitleriano. La Corte d’Appello della Baviera fu così generosa da esentarmi dal pagamento delle spese processuali.
La vicenda del procedimento in Germania, anche se non provocò la condanna di nessun criminale, ebbe però vasta eco sulla stampa italiana ed europea soprattutto a causa della parola “traditori” usata dal PM Stern per i soldati di Cefalonia e provocò un rinnovato interesse per quella tragica vicenda, tanto che il presidente Napolitano decise di trascorrere il 25 aprile 2007 nell’isola della strage.
Dopo che nel 1994 fu “scoperto” il cosiddetto “armadio della vergogna”, la Procura Militare di Roma decise di archiviare il fascicolo 1188 riguardante la strage di Cefalonia poiché ritenne che la vicenda fosse già stata chiusa con il tristemente noto proscioglimento in istruttoria del procuratore militare designato Carlo Del Prato deciso il 14 giugno 1960.
Purtroppo non prese l’iniziativa di informarsi se, per caso, in Germania si sapesse qualcosa di più su criminali ancora viventi e sui possibili responsabili della strage. In Germania, già nel 1967 e poi nel 2003, Dehm e Mühlhauser, avevano rilasciato le loro deposizioni a Dortmund, prima come persone informate dei fatti, poi come indagati, ed erano “rei confessi” come esecutori di numerose fucilazioni.
Otmar Mühlhauser aveva descritto, con ricchezza di particolari, la fucilazione del generale Antonio Gandin, comandante della Divisione Acqui. Ma la Procura Militare di Roma non ebbe il tempo, l’impegno, la volontà (politica anche questa volta ?) di informarsi e quindi il fascicolo 1188 fu nuovamente e, si sperava forse, definitivamente archiviato.
Insieme all’amica Paola Fioretti, figlia del Tenente Colonnello Giambattista, Capo di Stato Maggiore della Divisione Acqui, fucilato anche lui a Cefalonia il 24 settembre 1943, decidemmo di presentare un esposto alla Procura Militare di Roma affinché procedesse all’apertura di un procedimento contro Otmar Mühlhauser, il solo ancora in vita, reo confesso dell’uccisione di un numero non precisato di ufficiali tra cui anche il generale Antonio Gandin, comandante la Divisione Acqui, su cui lo stesso ordinò il “fuoco”.
Purtroppo alla Procura Militare di Roma, che nel novembre del 2007 dichiarò di aver già aperto il procedimento, tutto si svolse con lentezza e poiché, come ebbe a dire in una intervista il dottor Antonino Intelisano, Procuratore Militare Capo “La giustizia non può, come fanno invece gli storici, processare i morti”, questo procedimento, il primo aperto in Italia per la strage degli ufficiali a Cefalonia, ebbe termine nel luglio 2009, nel corso dell’Udienza Preliminare, per “morte del reo”, Otmar Mühlhauser.
Arriviamo al procedimento contro Alfred Störk. Quando l’attuale procuratore militare a Roma, Marco De Paolis, mi avvisò, alla fine del 2011, dell’indagine in corso contro Störk, per qualche tempo ho avuto perplessità e incertezze sull’idea di costituirmi, ancora una volta, come parte civile. Mentre il precedente imputato Mühlhauser era un ufficiale, quindi in posizione di maggiore responsabilità, Störk aveva solo vent’anni nei giorni in cui ha partecipato al massacro.
Ho poi letto però la sua confessione, rilasciata nel 2005, in cui ammette che il plotone di cui faceva parte fucilò 73 ufficiali. La frase che più mi ha colpito e turbato è stata questa: “… I corpi sono stati ammassati in un enorme mucchio uno sopra l’altro… prima li abbiamo perquisiti togliendo gli orologi, nelle tasche abbiamo trovato delle fotografie di donne e bambini, bei bambini”.
Questo frugare nei corpi ancora sanguinanti, nelle tasche di divise dalla giacca slacciata (a cui erano stati tolti i bottoni che avrebbero potuto deviare i colpi dei fucili) per portar via gli oggetti di valore e tenere fra le mani quelle fotografie di bambini, “belli”, e donne che mai più avrebbero rivisto i loro cari massacrati, mi ha infine convinto alla costituzione di parte civile.
L’età media dei soldati a Cefalonia era di 24 – 25 anni. Mio padre era molto vecchio, aveva 52 anni, l’età del generale Gandin, era stato richiamato poiché era un ufficiale, seppur solo di “complemento”. Si era trovato a Caporetto durante la prima guerra mondiale. Era un uomo d’altri tempi, con profondi sentimenti per la famiglia e per i suoi cinque figli.
Certamente aveva le nostre fotografie nelle sue tasche, lo scriveva anche nelle sue ultime lettere dei primi di settembre del ’43, e io ero una di quei “bei bambini”. E allora ho fatto mie le parole del Procuratore Militare Marco De Paolis durante la conferenza stampa in cui annunciò la richiesta di rinvio a giudizio per Störk: “… E’ ingiusto in sé svolgere dei processi a quasi 70 anni dai fatti …. c’è la consapevolezza di essere ormai in grave ritardo e c’è amarezza nel non essere riusciti a dare giustizia alle vittime nelle forme e nei tempi appropriati. Tuttavia l’apertura del nuovo processo è un atto doveroso, sia nel rispetto della legge che della memoria dei nostri militari barbaramente uccisi e dei loro familiari”.
De Paolis poi, annunciandomi con qualche giorno di anticipo la richiesta di rinvio a giudizio, mi aveva scritto : “… Questo processo è quasi impossibile. Ciò non toglie che noi lo faremo. Nel rispetto della legge e soprattutto nel rispetto dell’onore e della memoria delle vittime”.
Altri due motivi mi hanno convinto all’azione formale. Leggendo e rileggendo la deposizione di Störk mi sono convinta del fatto che era ben consapevole di commettere un crimine di guerra partecipando alla fucilazione degli ufficiali. “Ero sfinito completamente – ha dichiarato alla polizia tedesca che lo interrogò su richiesta della procura di Dortmund – Pensavo come si potesse fare una cosa così. ….Eravamo comunque già preparati in merito dall’epoca della Russia….. Non abbiamo più parlato di questa cosa. Dovevamo prestare attenzione. Bisognava tenere questa cosa più segreta possibile”.
Ultima, ma non la meno importante, ragione della mia decisione fu dovuta all’incoraggiamento da parte di tutte le amiche e gli amici che ebbero padri, fratelli o altri parenti uccisi nei massacri nazifascisti di civili, vittime di crimini di guerra o contro l’umanità, o deportati e poi morti nei Campi di concentramento o di sterminio.
Il processo contro Alfred Störk si è svolto dal 15 giugno 2012 al 18 ottobre 2013, giorno della sentenza. Paola Fioretti, mio nipote Francesco De Negri, le nipoti del tenente Sante Conte, Stella e Domitilla, ed io, eravamo le parti civili-persone, assistite rispettivamente dall’avvocato Gilberto Pagani, Ezio Menzione e dall’avvocata Simonetta Crisci. Si era poi costituita la Presidenza del Consiglio, con l’avvocato dello Stato Luca Ventrella, l’Anpi, con l’avvocato Emilio Ricci e l’Associazione naz. Divisione Acqui con l’avvocato Amedeo Arpaia. L’imputato aveva come difensore d’ufficio l’avvocato Marco Zaccaria.
Durante le molte udienze si sono ascoltate le parti civili e molti reduci di Cefalonia, ultranovantenni ma assai lucidi, che hanno raccontato le loro peripezie, i loro drammi, le loro paure, il loro terrore nel vedere i compagni falciati a centinaia con le mitragliatrici, mentre alzavano le mani in segno di resa. Nessuno di loro, come nessun tedesco che non fosse tra i fucilatori, ha assistito al massacro degli ufficiali, alla Casetta Rossa o negli altri luoghi in cui hanno agito i diversi plotoni di esecuzione.
Nelle ultime udienze c’è stata l’arringa del Procuratore Militare Marco De Paolis e poi la difesa dell’avvocato dell’imputato, a cui hanno replicato l’avvocata e gli avvocati di parte civile, e l’avvocato dello Stato, tutti molto bene. Alla fine dell’udienza del 18 ottobre 2013, dopo una non lunga Camera di Consiglio, Alfred Störk, nonostante la Corte avesse deciso che la sua confessione non era utilizzabile poiché resa senza la presenza-assistenza di un avvocato difensore (l’Italia è un paese garantista) è stato condannato all’ergastolo. Si attendono naturalmente, con grande interesse, le motivazioni della sentenza.
Questa sentenza, che è stata la più severa possibile, ma per la quale il condannato Störk non avrà sicuramente conseguenze concrete, è un esito non ingiusto ma per me molto amaro. E’ la condanna di un “soldato qualunque”, quasi un “soldato ignoto”, perché i veri responsabili della strage dei soldati, che si erano arresi avendo il diritto ad essere trattati come prigionieri di guerra, e della fucilazione degli ufficiali sono riusciti, per la protezione del loro paese e con la complicità della classe politica italiana del dopoguerra, a farla franca, avendo goduto, come il generale Lanz e molti altri, anche di una lunga e gratificante vita, occupando perfino posti di alta responsabilità nell’amministrazione della “nuova” Germania.
Quando vado a raccontare nelle scuole i fatti riguardanti Cefalonia, ma anche parlando con giovani amici, cerco sempre di insistere sulla responsabilità personale di ognuno di noi per tutto ciò che facciamo, e la impossibilità, l’ingiustizia nel fare ricorso, come giustificazione, alla catena di comando (il padre, la madre, l’insegnante, il duce, il kaiser, il fürher), per giustificare una azione scorretta o, peggio, un crimine.
Questo processo, seppur tardivo, e la condanna di Alfred Störk, con tutte le riserve critiche appena esposte, ha per me egualmente un alto valore simbolico poiché credo, e spero, possa, debba insegnare ai giovani che è giusto processare e condannare i responsabili di gravi crimini di guerra e contro l’umanità, anche se non ci sarà mai l’esecuzione della condanna a causa della tarda età dell’imputato, unita, nel caso dei soldati tedeschi, all’assoluto rifiuto della Germania (complice l’Italia) rispetto all’esecuzione in patria di una eventuale sentenza definitiva, anche solamente con gli arresti domiciliari.
Vorrei poi aggiungere che si parla poi molto, in questi ultimi tempi, di “ storia condivisa”, tra l’Italia e la Germania, un tema più politico che storico, temo. Credo che si potrebbe arrivare ad un vero superamento di quelli che sono stati i crimini commessi nella II guerra mondiale e quindi anche alla condivisione, ad un perdono, soltanto con l’ammissione delle colpe, e con dei risarcimenti, almeno parziali e garantiti dagli stati, sia da parte tedesca sia da parte nostra verso quei paesi nei quali anche l’Italia ha commesso crimini di guerra terribili come la Libia, l’Eritrea, i Balcani: crimini tuttora impuniti e neppure mai risarciti .
E’ stato pubblicato, finalmente anche in Italia, “Il massacro di Cefalonia” di Hermann Frank Meyer che, come scrive Giorgio Rochat nella prefazione “ …è la più grande ricostruzione mai condotta di quanto avvenne a Cefalonia, difficilmente superabile per l’ampiezza di documentazione e per la grande onestà”. Con questo testo che spero verrà letto da molti, soprattutto da docenti di ogni ordine e grado, spero si inizi il cammino dal mito alla Storia, la storia più verosimile possibile, di quanto accadde nell’isola nel tragico settembre 1943.
Credo fermamente che questo libro possa aiutare a capire, capire per non dimenticare. Non dimenticare perché ciò che è accaduto a Cefalonia non abbia a ripetersi mai più.