a cura di Cornelio Galas
I negazionisti tendono a smantellare anche le “testimonianze”. Non solo dei sopravvissuti ad Auschwitz ma anche, come cercheremo di approfondire in questa puntata – sempre con le analisi di Valentina Pisanty (“La questione irritante delle camere a gas” – le “confessioni” del comandante del campo di sterminio, Rudolf Höss.
Lo smantellamento della rete testimoniale
Ci si potrebbe chiedere quali caratteristiche debba avere mai una testimonianza per ottenere il beneplacito dei negazionisti, ma così facendo si cadrebbe nell’equivoco di ritenere che per essi le questioni di metodo storiografico precedano la tesi specifica che intendono sostenere. In un certo senso, infatti, parlare del metodo interpretativo impiegato dai negazionisti significa legittimare indebitamente pratiche di lettura ideologicamente motivate, fornendo loro una patente epistemologica immeritata.
Tuttavia, è pur sempre possibile rilevare una costanza nel modo in cui i negazionisti tentano di spogliare ogni testimonianza scomoda della sua base consensuale, ossia di ciò che fa sì che — al di là delle incongruenze che costellano qualunque prodotto della memoria umana — noi siamo generalmente disposti ad accettare come credibili le testimonianze altrui. Senza un simile margine di flessibilità cooperativa, infatti, viene a cadere la possibilità stessa della comunicazione, della convivenza e della memoria umane.
Accanto alla naturale tendenza a consentire, ovvero a prestare fede al nostro interlocutore sino a prova fondata della sua scarsa affidabilità, noi siamo soggetti a una tentazione di segno opposto: una sorta di scetticismo generalizzato che ci fa dubitare dell’evidenza stessa delle cose prima ancora che ci sia un buon motivo per essere diffidenti. In epoca di grandi rivisitazioni storiche del passato quale è la nostra, il fascino dello scandalo epistemico è sempre maggiore.
Su questo terreno fertile il seme della negazione storica attecchisce bene. Abbiamo visto che, di fronte a una testimonianza aprioristicamente bollata come inattendibile, il negazionista va subito alla ricerca di tutti i dettagli apparentemente discordanti sotto la cui pressione, agli occhi del lettore, la testimonianza medesima possa implodere.
L’unica differenza che corre tra un negazionista goffo e uno più accorto sta nella scelta dei punti deboli individuati nella testimonianza presa d’assedio. Ma, al di là dei diversi gradi di astuzia argomentativa, il meccanismo del diniego rimane immutato. Tale meccanismo consiste nell’isolamento di ciascun frammento documentario rispetto alla massa dei documenti disponibili e nel conseguente ribaltamento dell’abituale rapporto tra ciò che una testimonianza dice e come ciò viene detto: il come può essere difettoso e pieno di inesattezze, ma questo non inficia necessariamente il valore di verità dei fatti testimoniati.
Così, se nel raccontarmi un episodio che lo riguarda il mio interlocutore perde il filo del discorso, si dilunga su particolari irrilevanti o sbaglia i congiuntivi, io non balzo alla conclusione che egli mi sta mentendo, ma mi limito a pensare che si tratta di un narratore impacciato.
“Si può testimoniare male di ciò su cui si testimonia realmente. I negazionisti hanno colto l’interesse della confusione fra il fatto e il come, essi dicono: il tutto della testimonianza risiede nel come; ora, qui il come è minacciato dalla sua stessa profusione, dunque non c’è testimonianza. Una conseguenza si impone: non vi sarebbe testimonianza accettabile che da parte degli specialisti dell’esposizione retorica senza cedimenti”. (Loraux, 1990)
Di fronte all’aleatorietà di ogni singola testimonianza lo storico non può fare altro che confrontarla con altri frammenti documentali che, insieme, formano un tessuto comune. La verità storica va cercata per l’appunto nelle maglie di questo tessuto. Sarebbe ingenuo sperare che ciascun frammento ricalchi esattamente i contenuti degli altri componenti della rete: tutt’al più ci si può aspettare di riscontrare una convergenza di indici testuali e, là dove si verifichi tale convergenza, situare la verità dei fatti, spogliata il più possibile dei residui della soggettività di ciascun singolo testimone.
Un negazionista come Mattogno simula una consapevolezza dell’importanza probatoria della rete testimoniale nel momento in cui confronta il rapporto Gerstein con le altre testimonianze che intrecciano con esso rapporti di convergenza. Tuttavia, l’operazione disgregante che egli compie sull’insieme delle testimonianze in questione, allo scopo di accentuarne le discordanze reciproche, è l’esatto opposto di ciò che uno storico è tenuto a compiere.
L’obiettivo di tale polverizzazione è l’allontanamento del referente comune alle diverse testimonianze, il quale si ritrova così invischiato in una ragnatela di piccole obiezioni locali, per lo più irrilevanti rispetto al tema fondamentale (l’esistenza delle camere a gas di Belzec e, per estensione, lo sterminio nazista degli ebrei). Una volta seminata la confusione, il negazionista approfitta dello stordimento del lettore per proporgli perentoriamente una chiave di lettura che, come per magia, dissolve tutti i dubbi e le incertezze.
È grazie alla sua apparente capacità di appianare ogni dissonanza — reale o fittizia -, conquistandosi così la gratitudine del lettore, che l’ipotesi negazionista spera di insinuarsi nella nostra cultura.
Le memorie di Rudolf Höss, comandante ad Auschwitz
Molti dei principali autori negazionisti hanno dedicato alcune pagine, se non interi volumi, al tentativo di smantellare la credibilità della testimonianza redatta da Rudolf Höss dopo la fine della guerra, subito prima della sua esecuzione avvenuta ad Auschwitz nel 1948. La delegittimazione di questo frammento documentario svolge una importante funzione strategica all’interno del più generale disegno volto al ribaltamento del paradigma storiografico accettato.
E ciò per una serie di ragioni: in primo luogo, avendo rifiutato preventivamente di prendere in considerazione le testimonianze dei sopravvissuti allo sterminio nazista, in quanto aprioristicamente accusate di essere invenzioni della propaganda alleata e sionista, i negazionisti avvertono la necessità di giustificare l’estensione del loro rifiuto anche alle testimonianze rilasciate (e per di più volontariamente) dagli stessi aguzzini.
Inoltre, Rudolf Höss, non essendo un Kremer o un Broad qualunque, bensì il comandante del campo di Auschwitz-Birkenau, il peso della sua deposizione è avvertito come meritevole di un’attenzione particolare, in quanto accentuerebbe l’impatto persuasivo del tentativo di smontaggio messo in opera dai negazionisti, qualora questo avesse un esito almeno apparentemente positivo.
Infine, la stessa storiografia ufficiale ha a più riprese osservato che le memorie di Höss non vanno esenti da contraddizioni e anacronismi di varia estensione, nessuno dei quali purtuttavia è sufficientemente grave da giustificare l’ipotesi secondo cui la testimonianza in questione sarebbe il frutto di una falsificazione storica, come invece sostengono i negazionisti.
Nella sua prefazione all’edizione italiana delle memorie di Höss, Primo Levi parla di “bugie piccole e grosse, sforzi di autogiustificazione, tentativi di abbellimento”, i quali sono “talmente ingenui e trasparenti che anche il lettore più sprovveduto non ha difficoltà a identificarli: spiccano sul tessuto del racconto come mosche nel latte”.
Oltre a queste bugie dalle gambe corte, vi sono nel testo in esame alcuni passi ambigui che impediscono al lettore storicamente informato di ricostruire con precisione una cronologia non autocontraddittoria degli eventi riportati. Su simili nodi, che una storiografia dello sterminio deve cercare di districare attraverso un’incessante opera di confronto con altri frammenti storiografici, ritorneremo in uno dei prossimi paragrafi.
Ma nonostante la presenza di qualche zona confusa nella testimonianza del comandante di Auschwitz confusione peraltro presente in ogni testimonianza umana, come ogni storico sa bene, alla storiografia ufficiale non è sembrato necessario respingere questo documento come inutilizzabile, e perciò le memorie di Höss, per quanto tarlate, rimango no uno dei tanti elementi a nostra disposizione per avvicinarci a una qualche comprensione della storia della Shoah.
Chi era Rudolf Höss
Le nostre informazioni sulla storia personale di Höss ci giungono per lo più dalla sua autobiografia (Kommandant in Auschwitz, d’ora in poi KiA), redatta nella prigione di Cracovia tra il gennaio e il febbraio 1947 mentre Höss attendeva la sua esecuzione. L’autenticità formale di questo testo è considerata indubbia in quanto il manoscritto è stato confrontato con altre testimonianze scritte dallo stesso Höss in altri periodi senza che emergessero motivi di sospetto circa la sua reale paternità.
Da KiA apprendiamo che Höss nasce nel 1900 nella regione del Baden, che riceve un’educazione autoritaria e che a soli sedici anni partecipa come volontario alla Grande Guerra, acquistando i gradi di sottufficiale. Dopo la guerra si arruola con un corpo di volontari per combattere nel Baltico, e nel 1922 viene accusato dell’omicidio di un “traditore”, per il quale è condannato a dieci anni di carcere. Avendo scontato poco più della metà della pena, viene graziato da un’amnistia e si aggrega alla Lega degli Artamani, un’organizzazione che predica l’amore per i costumi germanici e che tra i suoi adepti conta anche Heinrich Himmler.
È proprio Himmler che nel 1934 lo investe del grado di Unterführer nella gestione del campo di concentramento di Dachau (inaugurato l’anno precedente); Höss fa una carriera rapida nell’ambito del sistema concentrazionario e diventa aiutante e comandante del carcere di sicurezza preventiva di Sachsenhausen (aperto nel 1936).
Nel 1940 viene nominato comandante del nuovo campo — ancora da erigere — di Auschwitz, situato in una zona paludosa ma strategicamente centrale in Polonia. Inizialmente, il lager di Auschwitz doveva essere un campo di quarantena per 10.000 detenuti polacchi:
“Il mio compito non era facile. In uno spazio di tempo brevissimo dovevo creare dal complesso già esistente (un gruppo di edifici ben conservati ma completamente trascurati e pullulanti di parassiti), un campo di transito per diecimila prigionieri”. (Höss 1958)
La costruzione del campo viene realizzata da trenta criminali tedeschi selezionati da Sachsenhausen, i quali successivamente diventeranno i primi Kapò. Da questo punto della storia in avanti la sequenza degli episodi riportati presenta qualche incongruenza rispetto a quanto sappiamo da altre fonti circa l’effettivo susseguirsi degli eventi.
Aggiungerei che ciò non significa necessariamente che nella parte precedente non vi siano analoghe imprecisioni; semplicemente, per quanto riguarda la vita privata dell’autore prima del suo incarico ufficiale come comandante dei lager nazisti, abbiamo a disposizione meno elementi esterni per verificare l’attendibilità o meno delle sue memorie.
L’autobiografia di Höss: cronologia
Per il momento seguirò la cronologia adottata da Höss in KiA, citando tutti i passi del capitolo VIII (“Comandante ad Auschwitz”) in cui vengono fornite delle coordinate temporali esplicite, mentre in un paragrafo successivo proporrò un tentativo di ordine cronologico modificato.
fine novembre 1940: Hoss fa il primo rapporto sullo stato dei lavori a Himmler;
1940-41 gli ostaggi polacchi vengono liquidati mediante fucilazione, impiccagione e iniezioni letali (per i malati) vengono liquidati i politruks russi e i commissari politici: su di loro il sostituto di Höss, Fritsch, adopera per la prima volta lo Zyklon B durante un’ assenza del comandante;
marzo 41 Himmler visita il campo per la prima volta e dice a Hoss che Auschwitz deve diventare ‘un immensa fabbrica di armamenti, occupando i prigionieri’. Oltre al vecchio campo di Auschwitz, adattato per accogliere 30.000 prigionieri, vengono previsti un nuovo campo (Birkenau) per 100.000 prigionieri di guerra, nonché una fabbrica di caucciù (Buna) per 10.000 prigionieri;
estate 41 Himmler emana delle disposizioni relative all’annientamento degli ebrei, secondo le quali tutti gli ebrei senza distinzione devono essere sterminati; successivamente queste disposizioni vengono modificate e Höss riceve l’ordine di selezionare gli ebrei abili al lavoro per sfruttarli nelle industrie belliche.
“Per volontà di Himmler, Auschwitz divenne il più grande centro di sterminio di tutti i tempi. Allorché nell’estate del 1941, mi comunicò personalmente l’ordine di allestire ad Auschwitz un luogo che servisse allo sterminio di massa, e di realizzare io stesso tale operazione, non fui in grado di immaginarne minimamente la portata e gli effetti” (KiA);
1942 dal 1942 gli ebrei costituiscono “la massa principale dei prigionieri di Auschwitz”; viene dato l’ordine di trasportare ad Auschwitz tutti gli zingari del Reich;
inizio 1942 arrivo al campo dei principali contingenti di prigionieri polacchi; primavera 1942 giungono ad Auschwitz “i primi trasporti di ebrei dall’Alta Slesia, tutti individui da sterminare”;
“Nella primavera del 1942 centinaia di uomini e donne nel fiore degli anni andarono così alla morte tra i frutteti in fiore della fattoria, nella camera a gas, senza per lo più intuire nulla” (KiA);
estate 1942 un gruppo di sopravvissuti del contingente russo tenta una fuga in massa; alcuni vengono catturati e uccisi, ma altri riescono a fuggire;
luglio 1942 per la seconda volta, Himmler ispeziona il lager, e visita il campo degli zingari (dando l’ordine di annientarli dopo aver selezionato gli abili al lavoro: l’operazione durerà due anni); Himmler decide che le prigioniere “verdi” (le criminali) sono “particolarmente indicate a diventare kapos delle donne ebree”;
1943 giunge l’ordine generale di inviare tutti i polacchi nei campi che si trovano nel Reich.
Nel novembre 1943, su disposizione di Pohl, i campi compresi nell’area di Auschwitz vengono divisi in tre unità amministrative autonome: Auschwitz I, Auschwitz II (Birkenau) e Auschwitz III (Monowitz e i campi di lavoro esterni). Höss cambia mansioni, e tra il novembre 1943 e il maggio 1945 esercita il ruolo di capo servizio all’Ispettorato dei campi di concentramento, mentre Arthur Liebehenschel diventa il nuovo comandante di Auschwitz I.
Nel 1944 gli Alleati bombardano i campi e il sistema concentrazionario comincia a sfaldarsi. Höss viene richiamato ad Auschwitz per occuparsi dell’evacuazione del lager. Dopo il crollo, si munisce di documenti falsi e rimane nascosto in una fattoria presso Flensburg fino all’11 marzo 1946, quando viene arrestato dalla polizia militare britannica.
Il 13 e il 14 marzo viene sottoposto al primo interrogatorio protocollare da parte della Field Security Section, durante il quale viene fisicamente maltrattato (doc. NO-1210). In aprile è interrogato a Norimberga in veste di teste a discarico di Kaltenbrunner (doc. PS-3868), mentre il mese successivo viene interrogato in relazione al processo Pohl e al processo IG-Farben.
Il 25 maggio 1947 viene inviato in Polonia per essere processato e dieci mesi dopo il Tribunale polacco del popolo, istituito per giudicare i criminali di guerra, pronuncia la sua condanna a morte per impiccagione, eseguita il 16 aprile 1947.
“La ‘Soluzione finale della questione ebraica’ nel campo di Auschwitz”
Durante la prigionia in Polonia (per lo più a Cracovia) Höss scrive la sua autobiografia nonché una serie di profili vari su diversi esponenti di spicco delle SS e su altri argomenti più specifici. L’autobiografia viene redatta dopo la conclusione dell istruttoria, nel gennaio-febbraio 1947, mentre i singoli profili sono tutti scritti tra l’ottobre 1946 e il gennaio 1947 in relazione alle domande poste dal giudice istruttore di Cracovia.
In particolare, a noi interessa lo scritto di 32 pagine intitolato La “Soluzione finale della questione ebraica” nel campo di Auschwitz (novembre 1946), in cui Höss fornisce dettagli tecnici e cronologici più precisi rispetto a quelli riscontrabili nell’autobiografia successivamente redatta.
Infatti, i due documenti rispondono a finalità comunicative diverse: mentre le memorie del 1947 svolgono per Höss la funzione di delineare un quadro psicologico che in qualche modo giustifichi le sue azioni e lo scagioni agli occhi della posterità, donde l’abbondanza di riflessioni personali e di digressioni, e la parallela vaghezza circa le date e la successione precisa degli eventi riportati nello scritto del 1946 la funzione documentaria è invece predominante, in linea con le richieste avanzategli dai giudici.
Höss è stato infatti descritto dai suoi carcerieri come un prigioniero modello, ansioso di collaborare con le autorità e di adeguarsi puntualmente alle loro esigenze. Un simile atteggiamento zelante può essere spiegato solo in parte in termini di opportunismo, in quanto è improbabile che Höss sperasse seriamente di poter scampare alla pena capitale; più verosimilmente, la forte tendenza a conformarsi ciecamente a un modello imposto dall’alto, già dimostrata durante gli anni della sua adesione alle SS, ritorna a galla anche durante la sua carcerazione in Polonia.
In La “Soluzione finale della questione ebraica” nel campo di Auschwitz (d’ora in avanti SF), l’autore ripercorre quelle che egli reputa essere le tappe principali della politica nazista nei confronti degli ebrei dal 1941 al 1944, focalizzate attraverso il suo punto di vista, a cominciare dal momento in cui egli presumibilmente venne a conoscenza delle intenzioni di Hitler in merito all’Endlösung (soluzione finale).
“Nell estate del 1941 — al momento non potrei citare la data esatta venni improvvisamente convocato a Berlino presso il Reichsführer, tramite il suo aiutante. Contrariamente al solito, Himmler mi ricevette senza che fosse presente nessun aiutante, e mi disse sostanzialmente quanto segue: — Il Führer ha ordinato la soluzione finale della questione ebraica, e noi SS dobbiamo eseguire quest’ordine.
I centri di sterminio attualmente esistenti a Oriente non sono assolutamente in condizione di far fronte alle grandiose azioni previste. Ho scelto perciò Auschwitz, sia per la sua ottima posizione dal punto di vista delle comunicazioni, sia perché il territorio ad esso appartenente può essere facilmente isolato e camuffato Per questo compito, avevo deciso di scegliere un alto ufficiale delle SS; ma per evitare fin dall’inizio difficoltà dovute a incompetenza, ho abbandonato tale idea; il compito sarà dunque affidato a Lei”. (Höss, 1958)
Himmler gli preannuncia un’imminente visita di Eichmann, dell’RHSA, il quale gli riferirà i dettagli dell’operazione, e gli ordina di mantenere il segreto. Il progetto iniziale, dunque, è di sterminare gli ebrei senza eccezione. Senza nemmeno awertire i suoi diretti superiori, Höss torna ad Auschwitz e attende la visita di Eichmann. Da quest’ultimo Höss apprende che Auschwitz dovrà occuparsi in primo luogo degli ebrei dell’Alta Slesia orientale, poi degli ebrei tedeschi e cecoslovacchi, e infine degli ebrei occidentali.
Il mezzo di sterminio più adatto sembra essere il gas (più pulito, asettico ed efficiente di altri mezzi come la fucilazione), anche se non e ancora stato deciso quale sia il gas più efficace: infatti il monossido di carbonio, che fino a questo momento è stato impiegato sui malati di mente (operazione Eutanasia), è poco economico ed è difficile da procurare nelle quantità necessarie.
Höss e Eichmann ispezionano il territorio circostante e giungono alla conclusione che il luogo più appropriato per mettere in pratica la Endlösung è una piccola fattoria appartata situata nella zona che successivamente ospiterà il campo di Birkenau.
Eichmann torna a Berlino per parlare con Himmler, e pochi giorni dopo Höss invia a Himmler un piano della situazione. Alla fine di novembre 1941 a Berlino, nell’ufficio di Eichmann, si svolge una conferenza dell’intera sezione per gli ebrei.
“Non mi fu comunicato il momento dell’inizio delle azioni, né Eichmann era ancora riuscito a trovare il gas appropriato”. (Höss, 1958)
In una data imprecisata dell’autunno 1941, arrivano al campo dei contingenti di prigionieri di guerra russi per essere liquidati.
“In occasione di un mio viaggio di servizio, il mio sostituto Hauptsturmführer Fritzsch, di sua iniziativa usò il gas per sterminare questi prigionieri di guerra; fece stipare di russi le celle situate nella cantina e, proteggendosi con maschere antigas, fece immettere nelle celle il Cyclon B, che provocava la morte immediata delle vittime”. (Höss,1958)
La prima gassazione si svolge nel Block 11 del lager di Auschwitz, ma richiede che l’edificio venga arieggiato per almeno due giorni dopo l’operazione. Si decide allora di adibire a camera a gas la camera mortuaria del Crematorio I di Auschwitz. Eichmann viene informato dell’impiego dello Zyklon B durante la sua successiva visita ad Auschwitz, e si sceglie di adoperare questo gas per attuare lo sterminio imminente degli ebrei.
“Non saprei stabilire in quale epoca cominciò lo sterminio degli ebrei; probabilmente già nel settembre 1941, ma forse anche solo nel gennaio 1942”.
Così Höss descrive le modalità generali delle operazioni di sterminio:
“Sulla banchina, la polizia consegnava i prigionieri a un distaccamento del campo; divisi in due gruppi venivano quindi condotti dal comandante del campo fino al bunker, come era stato chiamato l’edificio dello sterminio. I bagagli erano lasciati sulla banchina, e in seguito trasportati al reparto selezione, chiamato Canada, tra il DAW e il cantiere.
Giunti presso il bunker gli ebrei erano costretti a spogliarsi, essendo stato loro detto che dovevano entrare nelle stanze per la disinfestazione. Tutte le camere — cinque in tutto — venivano completamente riempite, le porte a prova di gas sbarrate e il contenuto dei recipienti dl gas immesso nelle camere attraverso appositi fori.
Dopo una mezz’ora, le porte venivano riaperte — ogni stanza ne aveva due —, i morti estratti e, mediante vagoncini che correvano su rotaie, portati alle fosse. Gli autocarri provvedevano a trasportare i capi di vestiario al reparto selezione. L’intera serie di operazioni, cioè aiutare durante la svestizione, far riempire i bunker, svuotarli trasportare i cadaveri, scavare e riempire di cadaveri le grandi fosse comuni, veniva compiuta da un reparto speciale di ebrei, alloggiati separatamente, e che, secondo una disposizione di Eichmann dopo ognuna delle azioni più in grande, dovevano essere sterminati a loro volta.
Mentre si effettuavano i primi trasporti, giunse un’ordinanza di Himmler, per cui bisognava estrarre ai cadaveri i denti d’oro, e tagliare i capelli alle donne. Anche questo lavoro veniva compiuto dagli ebrei del Sonderkommando”. (Höss, 1958)
Durante l’estate 1942 i trasporti si intensificano obbligando i dirigenti del campo a creare un altro edificio di sterminio. Himmler visita nuovamente il lager, assiste a una gassazione e, tornato a Berlino, fa pervenire a Höss l’ordine di cremare i cadaveri sepolti nelle fosse comuni. Höss si reca a Chelmno (dove le uccisioni avvengono in istallazioni su autocarri) per aggiornarsi sulle più recenti tecniche di cremazione.
Con i primi trasporti di ebrei tedeschi, cominciano le selezioni degli ebrei abili al lavoro compiute dai medici SS del campo. Höss si barcamena come può tra gli ordini contrastanti che gli giungono dall’RSHA (Eichmann) da una parte e dal WVHA (Alto Comando economico-amministrativo — Pohl) dall’altra: laddove Eichmann insiste affinché gli ebrei vengano sterminati senza eccezione (seguendo le prime istruzioni di Himmler), Pohl intravede il potenziale economico del loro sfruttamento nell’industria bellica e insiste perché tra loro vengano selezionati gli individui abili al lavoro.
Per risolvere il problema delle cremazioni all’aperto, che diffondono un inconfondibile odore di carne bruciata per un raggio di chilometri, vanificando i tentativi della propaganda nazista di occultare la vera natura della soluzione finale della questione ebraica, nell’inverno 1942-43 vengono costruiti i grandi crematori I e II (II e III secondo un diverso sistema di numerazione che consideri anche il Crematorio I di Auschwitz) di Birkenau; questi ultimi entrano in funzione nella primavera 1943.
Quanto alla cifra complessiva delle vittime gassate, Höss non sembra molto informato e giustifica la sua incapacità di calcolare con esattezza il numero degli ebrei uccisi in questo modo con il fatto che “dopo ogni azione più in grande, per ordine del Reichsführer, tutte le informazioni che avrebbero potuto servire a calcolare la cifra delle vittime di Auschwitz venivano bruciate”.
Sebbene in occasioni precedenti (doc. NO-1210) abbia riportato la cifra (derivata da Eichmann) di due milioni e mezzo di vittime, in questo scritto Höss sostiene di non aver mai conosciuto la cifra complessiva, di non essere in possesso di documenti che consentano di calcolarla e di ritenere che la stima di due milioni e mezzo precedentemente data sia probabilmente eccessiva.
Segue una descrizione minuta dell’operazione di raccolta dei beni delle vittime (Aktion Reinhardt) e delle fasi successive del processo di sterminio. Vale la pena riportare per intero le pagine che Hoss dedica a questa descrizione perché, come vedremo, è soprattutto su di esse che i negazionisti si sono soffermati per negare la veridicità della testimonianza in questione.
“Il processo di sterminio ad Auscbwitz avveniva così. Gli ebrei destinati alla morte — uomini e donne separatamente — venivano condotti con la maggior calma possibile ai crematori. Negli spogliatoi, i prigionieri del Sonderkommando li inducevano a spogliarsi, dicendo che li avevano portati lì per il bagno e la disinfestazione; dovevano quindi deporre i loro abiti con ordine, e non dimenticare dove li avevano messi per poterli ritrovare più facilmente dopo la disinfestazione.
Era nell interesse di questi prigionieri del Sonderkommando che tutto procedesse rapidamente, col massimo ordine e con calma. Dopo la svestizione, gli ebrei entravano nelle camere a gas, provviste di docce e di lavandini per meglio dare l’impressione di stanze da bagno. Per primi entravano le donne con i bambini, quindi gli uomini, che di solito erano in numero inferiore
Questa operazione avveniva sempre nella massima calma, perché gli irrequieti, coloro che evidentemente capivano di che si trattava, venivano tranquillizzati dagli uomini del Sonderkommando. Inoltre questi ultimi e un milite SS restavano fino all’ultimo momento nelle camere. Quindi si chiudevano rapidamente le porte e il gas veniva immediatamente fatto uscire dagli appositi serbatoi e immesso, attraverso fori praticati nel soffitto, in un pozzo d’aerazione che li faceva arrivare fino al pavimento. Questo assicurava l’immediato diffondersi del gas.
Attraverso gli spioncini praticati nelle porte, si poteva osservare come le persone più vicine al pozzo d’aerazione cadessero morte all’istante. Si può dire che un terzo circa moriva subito. Gli altri cominciavano ad agitarsi, a urlare, a lottare in cerca d’aria, ma ben presto le grida si trasformavano in rantoli, e dopo pochi minuti tutti giacevano a terra. Non passavano venti minuti, e già più nessuno si muoveva. […]
Dopo una mezz’ora dal momento dell’immissione del gas, si aprivano le porte e si azionavano gli apparecchi per la ventilazione. Quindi si cominciava subito a portare fuori i cadaveri. [descrizione dei cadaveri] A questo punto, gli uomini del Sonderkommando estraevano ai cadaveri i denti d’oro, e tagliavano i capelli alle donne. Poi i cadaveri venivano portati col montacarichi fino ai forni che intanto erano stati accesi.
A seconda delle proporzioni, da due a tre cadaveri potevano entrare nelle aperture dei forni. Anche la durata della cremazione variava secondo la qualità dei corpi; nella media durava circa venti minuti. [numero di cadaveri al giorno cremati da ciascun crematorio, e trasporto delle ceneri che venivano scaricate nella Vistola] L’insieme di queste operazioni era eseguito dai prigionieri ebrei dei Sonderkommando.
Costoro assolvevano il loro tremendo compito con la più ottusa indifferenza; il loro unico scopo era di sbrigare il lavoro più in fretta che fosse possibile, per avere a disposizione più tempo per andare a frugare tra gli abiti delle vittime, in cerca di tabacco o di viveri. Benché non fossero affatto denutriti, poiché godevano anche di razioni supplementari, non era difficile vederli spostare e maneggiare i cadaveri con una sola mano, essendo l altra occupata a portare cibo alla bocca. Non smettevano di masticare neppure durante le operazioni più disgustose, quelle di scavare le fosse e cremare i corpi”. (Höss, 1958)
Nell’autunno 1944 Himmler ordina di sospendere immediatamente le gassazioni. Nell’edizione tedesca di SF, curata da Martin Broszat, sono state escluse le due pagine conclusive del documento in quanto ritenute ridondanti rispetto all’autobiografia, ma soprattutto per via dell’inattendibilità delle informazioni in esse contenute. In queste pagine, Höss si avventura in una serie di calcoli circa le cifre delle vittime provenienti dai diversi paesi, basandosi in ciò su dati fornitigli da Eichmann nel 1943.
L’edizione italiana ha ripristinato questo frammento, pur allertando il lettore circa le obiezioni avanzate dagli storici tedeschi quanto alla sua scarsa affidabilità.
I problemi
Sia KiA, sia SF, presentano delle grinze che buona parte della storiografia dello sterminio in passato ha cercato di spianare (talvolta troppo frettolosamente) secondo il ragionamento per cui tali anomalie sono comunque microscopiche rispetto al quadro d’insieme, che nessuno storico serio può contestare. Così, storici del calibro di Broszat, Dawidowicz, Poliakov e Hilberg hanno impiegato le memorie di Höss alla stregua di documenti sostanzialmente attendibili e si sono attenuti alle informazioni in esse contenute nella loro esposizione della successione degli avvenimenti.
Al contrario, Jean-Claude Pressac ritiene che questi scritti presentino troppe inesattezze fattuali perché essi possano essere assunti quali fonti storiche indipendenti. Egli perciò propone di assoggettarli a fonti più affidabili, quali gli archivi del campo di Auschwitz e i carteggi di corrispondenza con la Topf (l’impresa che costruiva i crematori per il lager) recentemente resi pubblici dalle autorità russe dopo cinquant’anni di censura da parte del regime sovietico.
Le anomalie riscontrabili negli scritti di Höss possono essere sommariamente raggruppate in tre categorie principali:
(i) omissioni e distorsioni consapevoli, probabilmente motivate da un desiderio di minimizzare le proprie colpe personali: ad esempio, Höss si guarda bene dal raccontare della sua relazione con la prigioniera ebrea Eleonora Hodys, che egli tentò di fare eliminare quando la loro storia divenne pubblica e rischiò di procurargli sanzioni disciplinari.
Analogamente, quando sostiene che la moglie – pur abitando di fianco al lager – non aveva idea di quanto vi accadesse all’interno mentre altrove dice che gli stessi abitanti civili di Auschwitz erano perfettamente al corrente dello sterminio (anche a causa dell’odore di carne bruciata), è evidente che Höss sta cercando di scagionare completamente i suoi familiari. Gli intenti autoassolutori di simili omissioni sono talmente scoperti che non vale nemmeno la pena di soffermarsi su questa prima categoria di apparenti anomalie.
(ii) problemi di datazione negli scritti di Höss sono riscontrabili alcuni anacronismi netti, i quali invece richiedono di essere spiegati. Ad esempio, il primo colloquio con Himmler sulla soluzione finale, che Höss fa risalire all’estate 1941, presenta delle contraddizioni piuttosto evidenti.
Quando Himmler si lamenta del fatto che «i centri di sterminio attualmente esistenti a Oriente non sono assolutamente in condizione di far fronte alle grandiose azioni previste», non è chiaro a quali centri egli si possa riferire in quella data. Intatti, il campo di Belzec fu costruito nel marzo 1942, quello di Treblinka tra il gennaio e il giugno 1942, Sobibor fu inaugurato tra il marzo e l’aprile 1942, Lublino tra il 1942 e il 1943 e Chelmno (o Kulmhof), sebbene fosse stato aperto già prima, nell’estate del 1941 non aveva ancora cominciato ad attuare una vera e propria politica di sterminio su base industriale.
A questo punto i casi sono due: o Höss si è confuso sulla data del colloquio, oppure ricorda male le parole di Himmler. In effetti, altri elementi fanno dubitare della esattezza della data in cui Höss colloca l’inaugurazione del piano per la soluzione finale. Jean-Claude Pressac, così come Gerald Reitlinger, ritengono che la data del colloquio con Himmler vada spostata di un anno, e quindi collocata nel giugno 1942. In questo modo l’intera cronologia si ricompone. questo episodio “fa sistema” con altri elementi a nostra disposizione e l’anomalia viene risolta.
Altri anacronismi presenti negli scritti di Höss lo rendono un testimone poco affidabile per quanto riguarda le date e, come vedremo, le cifre.
“Gli errori cronologici di Höss nelle sue Memorie sono frequenti e talvolta arrivano a sei mesi (costruzione del nuovo camino del Crematorio I) quando non fino a due anni (visita immaginaria di Himmler al campo degli zingari nel luglio 1942. che è stata certamente fatta da Pohl, il capo dell’SS-WVHA, nel giugno 1944). Quanto alle cifre dei morti che avanza, esse sono regolarmente moltiplicate per due o per tre. Höss, malgrado il suo ruolo essenziale nella “Soluzione finale”, non puo essere attualmente considerato un testimone affidabile sulle date e sulle cifre”. (Pressac 1993)
Non c’è tuttavia bisogno di scorgere un disegno strategico nascosto sotto la confusione che Höss fa sull’esatta sequenza cronologica degli eventi.
(iii) inattendibilità delle cifre: la cifra dei due milioni e mezzo di ebrei mandati nelle camere a gas di Auschwitz, che Höss fornisce in occasione dei suoi primi interrogatori del 1946, ma che poi mette in discussione nelle testimonianze successive, è stata contestata da molti storici, soprattutto in tempi recenti. È tuttavia noto che la politica di annientamento delle prove messa in opera dal regime nazista durante gli anni dello sterminio aveva il preciso obiettivo di rendere impossibile la stima del numero delle vittime e, di conseguenza, ogni statistica al riguardo è fortemente congetturale in quanto deve basarsi su indizi incompleti.
(iv) imprecisione di alcuni dettagli tecnici circa la procedura della gassazione e l’architettura dei crematori di Auschwitz-Birkenau. Ad esempio, Höss non sembra essere molto ferrato su questioni quali il numero e la capacità di cremazione dei forni crematori. Va aggiunto a questo proposito che simili questioni tecniche lo riguardavano solo indirettamente, essendo Höss occupato a risolvere problemi amministrativi più generali che non l’ingegneria e la chimica degli impianti di sterminio (gli bastava che funzionassero).
I negazionisti si sono aggrappati ad alcuni di questi elementi problematici e, nel gonfiarne la portata, hanno cercato di fare esplodere dall’interno l’attendibilità complessiva dei documenti in questione. La tecnica è simile a quella impiegata dagli artificieri che, per far crollare le mura di un edificio, introducono l’esplosivo nei punti più deboli della sua struttura.
È interessante paragonare la reazione dei negazionisti a quella degli storici ufficiali di fronte a simili grinze nel tessuto della testimonianza. Laddove i secondi tendono a riassorbire le singole anomalie all’interno del paradigma storiografico accettato, i primi rifiutano ogni tentativo di spiegazione che non rimetta in discussione le fondamenta del paradigma medesimo.
Ogni inesattezza o imprecisione rivela per loro una menzogna più ampia, un piano segreto. In genere, la tesi sostenuta dai negazionisti per quanto riguarda le dichiarazioni di Höss è che queste gli sono state estorte durante la sua prigionia, dapprima dagli inglesi che lo interrogarono dopo la cattura, e poi dai polacchi che lo processarono. I mezzi impiegati per ottenere la testimonianza includerebbero varie forme di tortura fisica e mentale e un vero e proprio lavaggio del cervello, alla fine del quale Höss sarebbe diventato un inerme burattino nelle mani degli Alleati.
Altri autori — come Stäglich — sostengono invece che la manipolazione sia avvenuta a livello della stesura stessa dei manoscritti, attraverso un’opera di interpolazione degli scritti originali con brani forgiati da abili falsificatori (ebrei).
La critica di Faurisson
Anche in questo caso, è Faurisson a inaugurare il filone critico attorno al quale convergeranno gli altri negatori. Evidentemente egli deve avere già buoni motivi per dubitare della veridicità della testimonianza di Höss anche prima di cominciare a studiarla da vicino, visto che in una lettera inviata nel 1974 al direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Tel Aviv (poi pubblicata parzialmente dalla rivista Le Canard enchaîné) domanda:
“Avreste la cortesia di precisarmi, eventualmente nella vostra risposta, quale credito secondo voi è opportuno accordare al “documento Gerstein”, alla confessione di Höss, alla testimonianza di Nyiszli (si deve dire Nyiszli-Kremer?) […]?” (in Thion, 1980)
Sempre nel 1974, in risposta a un articolo di Charlotte Delbo, ritorna all’attacco con le seguenti insinuazioni:
“Höss, essa dice, confessa che incollava l’occhio allo spioncino della camera a gas. Dal canto mio, leggo nell’opera che lei cita (Le Commandant d’Auschwitz parle…, Julliard, 1970, p. 288) che Höss guardava all’interno della camera a gas “attraverso il buco della serratura della porta”. Questa assurdità, unita a cento altre dello stesso genere, fa della “confessione” di Höss un documento al quale si puo attribuire lo stesso valore delle confessioni dei processi di Mosca, di Praga o, come è qui il caso, di Varsavia”. (in Thion, 1980)
Questa obiezione verrà presto abbandonata da Faurisson (e infatti non la ritroviamo nei suoi interventi successivi) per il semplice fatto che un’occhiata all’originale tedesco del testo di Höss è sufficiente per dissipare ogni dubbio. Lo spioncino di cui parla la Delbo è il Beobachtungsloch di Höss, un termine molto generico che significa semplicemente foro o finestrella di osservazione. Dunque, nessuna dissonanza rispetto al resto del testo, e neppure rispetto alle fotografie che ci sono giunte delle porte a tenuta stagna — provviste di finestrelle circolari — con cui venivano chiuse ermeticamente le camere a gas.
Da principio gli interventi di Faurisson attorno alle memorie di Höss sono ancora sparsi e frammentari: ad esempio, in una lettera indirizzata a Jacques Fauvet del 20.6.1975 egli ironizza sulle fluttuazioni nella cifra delle vittime che il comandante di Auschwitz fornisce nelle sue varie deposizioni. Successivamente le obiezioni avanzate si fanno sempre più tecniche, e nel 1978 (Il problema delle «camere a gas») Faurisson affronta la questione della presunta impossibilità materiale delle operazioni di gassazione così come vengono descritte da Höss:
“Così, ci si chiede come ad Auschwitz-Birkenau, per esempio, si potessero far stare 2000 uomini in un locale di 210 metri quadrati (!), (81) quindi rovesciare (?) su di loro dei granulati del violentissimo insetticida Zyklon B, infine istantaneamente dopo la morte delle vittime mandare, senza maschera antigas, in questo locale saturato di acido cianidrico una squadra per estrarne i cadaveri cianurati. Due documenti degli archivi industriali tedeschi repertoriati dagli americani a Norimberga ci insegnano d’altra parte che lo Zyklon B aderiva alle superfici, non poteva ventilarsi mediante ventilazione forzata…” (in Thion, 1980)
Qui. Faurisson introduce una gran quantità di dati disparati senza tuttavia indicarne la fonte esatta, in modo da rendere difficile per il lettore di verificarne (o falsificarne) l’esattezza. In primo luogo non precisa il luogo in cui Höss fornisce le cifre in questione, e di conseguenza non è chiaro a quale delle camere a gas del campo di Auschwitz o di Birkenau si riferisca.
Dalla documentazione di campo che ci è giunta, infatti, scopriamo che la prima gassazione omicida (alla quale Höss non presenzio) si tenne nel seminterrato del Block 11 del KL di Auschwitz; tuttavia, come conferma Höss stesso, la mancanza di un dispositivo di ventilazione rendeva poco pratica questa sede (“dopo la gassazione l’intero edificio dovette essere arieggiato per almeno due giorni”), e quindi per le successive azioni speciali – fino all’aprile 1942 – venne adattato l’obitorio (provvisto di meccanismo di ventilazione) del Crematorio I di Auschwitz.
Successivamente alle disposizioni di Himmler circa la soluzione finale della questione ebraica, nel campo di Birkenau furono costruite diverse altre camere a gas. Nel maggio 1942 venne sistemata una piccola baracca a Birkenau per rimpiazzare la camera a gas di Auschwitz (Bunker 1: due stanze, senza ventilazione meccanica); un mese dopo fu la volta del Bunker 2, sempre a Birkenau: 4 stanze, superficie totale di 105 m2, camera a gas priva di ventilazione meccanica. Nel marzo 1943 fu messa a punto la camera a gas 1 (provvista di un dispositivo di ventilazione) del Crematorio II e, nel corso dell’anno, vennero inaugurate le camere a gas dei Crematori III, IV e V.
Nel brano tratto da SF riportato sopra (“Il processo di sterminio ad Auschwitz avveniva così…”), che Faurisson non cita esplicitamente, Höss non parla delle dimensioni del locale o della sua capacità, mentre è piuttosto chiaro che l’estrazione dei cadaveri da parte dei membri del Sonderkommando avveniva “dopo una mezz’ora dal momento dell’immissione del gas”, e soprattutto dopo che erano stati azionati gli apparecchi per la ventilazione.
Evidentemente la descrizione riguarda una gassazione-tipo quale veniva praticata nella camera a gas (ex obitorio) del Crematorio I di Auschwitz e, nonostante quest’ultimo fosse provvisto di un meccanismo di aerazione che consentiva alla maggior parte del gas velenoso di dissiparsi prima che le porte venissero aperte, non vi è motivo per ritenere che al momento dell’estrazione dei cadaveri gli ebrei del Sonderkommando non indossassero maschere antigas. Questo punto, su cui ritorneremo tra breve, non viene reso esplicito da Höss nel frammento considerato da Faurisson, ma emerge chiaramente dalle dichiarazioni di alcuni sopravvissuti del Sonderkommando.
Quanto ai due documenti degli archivi industriali citati da Faurisson a sostegno della sua tesi, una nota a piè di pagina ci informa che si tratta di documenti di Norimberga (NI-9098 e NI-9912) i quali, secondo Faurisson, “annichiliscono, senza possibilità di replica, la ‘testimonianza’ di Höss sulle ‘camere a gas”‘. In realtà, si tratta di una lista di istruzioni sulle precauzioni da prendere per l’utilizzo domestico dello Zyklon B.
Il fatto che questo veleno venisse usato per la disinfestazione dai parassiti non dimostra affatto che non possa essere stato impiegato (in dosi e concentrazioni diverse) anche per altri scopi. Il termine Zyklon B ha più di un contesto di uso, tra i quali uno riguarda l’effetto che questo veleno ha sugli uomini, e un altro riguarda il suo uso come pesticida.
Ora, a meno di non voler giocare sull’equivalenza posta da molti nazisti tra i pidocchi e gli ebrei, le due applicazioni del termine vanno tenute distinte, e ogni tentativo di confonderle è segno di una precisa volontà di manipolazione ideologica. Come è stato dimostrato di fronte al Tribunale di Toronto durante il processo al negazionista Zündel, il 20-21 aprile 1988, in una camera a gas (priva di mobili e nicchie) il gas si disperde molto più in fretta che in un appartamento.
Ciò spiega il motivo per cui, mentre nelle istruzioni domestiche per l’uso dello Zyklon B come insetticida si parla di 21 ore di aerazione, nei campi di sterminio le camere a gas venivano riaperte dopo pochi minuti. Tanto più che le camere a gas erano dotate di un ventilatore il cui scopo era, per l’appunto, di accelerare la dispersione del veleno.
La linea di attacco contro la testimonianza di Höss escogitata da Faurisson si comincia a cristallizzare definitivamente verso gli anni 1978-79: ogni volta che ritorna sul tema, riprende le stesse argomentazioni (spesso anche con le medesime parole) e vi aggiunge qualche nuovo elemento. Mai una volta che ritorni sui suoi passi o ammetta qualche sia pur minimo cambiamento di rotta: ogni nuovo intervento è mirato a rafforzare e a confermare quello precedente.
Ciò non è sorprendente se si pensa che l’obiettivo dichiaratamente perseguito da Faurisson è il disvelamento della Verità (che per lui è unica, trasparente e immutabile), e non l’interpretazione sempre fallibile di documenti reticenti e talvolta perfino autocontraddittori alla quale, più modestamente, aspirano gli storici di professione.
Quando ritiene di avere individuato una crepa promettente nella testimonianza in questione, ci si accanisce sopra con grande entusiasmo e insistenza. È il caso della presunta assurdità riscontrata nell’affermazione di Höss secondo cui l’estrazione dei cadaveri dalle camere a gas avveniva immediatamente e senza la protezione delle maschere antigas.
In un’intervista pubblicata nell’agosto 1979 su Storia Illustrata, ripubblicata nel volume curato da Thion, troviamo il seguente brano:
“Richiamo la vostra attenzione sul termine “immediatamente”; in tedesco sofort. R. Höss aggiunge che la squadra incaricata di maneggiare ed estrarre 2000 cadaveri dalla camera a gas fino ai forni crematori faceva questo lavoro “mangiando e fumando”; quindi, se capisco bene, senza portare maschera antigas.
Questa descrizione fa a pugni col semplice buon senso. Essa implica che sarebbe possibile entrare senza alcuna precauzione in un locale saturo di acido cianidrico per maneggiarvi (a mani nude?) duemila cadaveri cianurati nei quali è probabile che resti del gas mortale. Deve senz’altro restare del gas nei capelli (che verranno, sembra, tosati dopo l’operazione), nelle mucose e anche fra i cadaveri ammucchiati.
Qual è il ventilatore superpotente capace di far scomparire istantaneamente tanto gas galleggiante nell’aria o annidato qua e là? Anche se questo ventilatore esistesse, sarebbe ben necessario che un test di scomparsa dell’acido cianidrico avvertisse la squadra che il ventilatore ha effettivamente assolto il suo compito e che, di conseguenza, la via è libera. Ora, è evidente che nella descrizione di Höss abbiamo a che fare con un ventilatore magico che agisce istantaneamente e con una tale perfezione che non vi è spazio per nessun timore né alcuna verifica”. (in Thion, 1980)
La citazione in cui il comandante di Auschwitz descrive il contegno dei membri del Sonderkommando va collocata nel suo contesto immediato. Dopo avere descritto le modalità pratiche delle varie fasi della gassazione, nel testo avviene un cambiamento di tema, segnalato peraltro dall’introduzione di un nuovo paragrafo: l’argomento di questo passo non è più “come avveniva il processo di sterminio”, ma è “come si comportavano gli ebrei del Sonderkommando”.
Lungi dall’essere una sofisticheria, questa precisazione serve a comprendere il brusco cambiamento di registro che possiamo constatare nel brano in questione. Mentre il tono che prevale durante la descrizione dell’azione speciale è asettico e freddo, nel paragrafo successivo subentra una chiara nota di partecipazione emotiva (“tremendo compito”, “frugare, “le operazioni più disgustose”), la quale segnala l’atteggiamento di ripulsa che gli ebrei del Sonderkommando suscitavano in Höss.
Lo stesso atteggiamento di condanna morale traspare anche in altre pagine che Höss dedica all’argomento, ad esempio quando in KiA egli descrive lo zelo con cui i membri delle squadre speciali svolgevano il loro compito (“Compivano tutti questi lavori con una sorta di ottusa indifferenza, come se si trattasse di cose normali”) e l’apparente imperturbabilità che dimostravano anche quando tra i cadaveri riconoscevano un parente stretto.
Il dettaglio su cui si appiglia Faurisson – il fatto che gli ebrei del Sonderkommando mangiassero e fumassero durante il loro lavoro e dunque non potessero indossare maschere antigas – va inquadrato in questo contesto, che non è più motivato dall’esigenza di precisione documentaria dimostrata nel paragrafo precedente, ma semmai dal tentativo di far condividere al lettore lo stesso “virtuoso disgusto” (Levi, in Höss, 1958) provato dall’autore nei confronti di questi individui deumanizzati.
Höss non specifica esattamente in quale momento essi commettessero l’infamia di mangiare mentre svolgevano le loro mansioni – se lo facessero mentre erano ancora dentro la camera a gas a districare i cadaveri avvinghiati, oppure una volta trascinatili verso l’esterno.
In KiA dice: “mentre trascinavano i cadaveri, mangiavano o fumavano. Non smettevano di mangiare neppure durante l’orribile lavoro di cremazione dei cadaveri che giacevano da tempo nelle fosse comuni”, il che non fornisce nessuna freccia in più all’argomentazione adottata da Faurisson. In SF non viene precisato affatto in quale occasione particolare i prigionieri del corpo speciale maneggiassero i corpi mentre si riempivano la bocca, poiché la citazione esatta è “non era difficile vederli spostare e maneggiare i cadaveri con una sola mano, essendo l’altra occupata a portare del cibo alla bocca”.
Secondo le testimonianze di alcuni membri del Sonderkommando, quali Henrik Tauber e Myklos Nyiszli, le squadre incaricate di estrarre i cadaveri dal locale (disaerato) indossavano maschere antigas come misura precauzionale e trascinavano i corpi con l’aiuto di speciali cinghie allacciate attorno ai polsi delle vittime. Una volta usciti dal locale, non avevano più motivo di proteggersi con le maschere (e dunque erano liberi di rimpinzarsi come meglio credevano).
Va aggiunto che, vista la sorte che li aspettava e di cui erano perfettamente al corrente, risulta difficile immaginare che i membri del Sonderkommando fossero particolarmente preoccupati di non rimanere contaminati localmente dal gas velenoso e, come ha fatto notare Georges Wellers, è altresì improbabile che le autorità naziste fossero eccessivamente interessate alla loro salute.
Per quanto riguarda i dispositivi per la rilevazione del gas a operazione avvenuta, la cui assenza è avvertita da Faurisson come una grave anomalia, Pressac riporta una lettera del 2 marzo 1943 inviata dai tecnici della Topf agli amministratori di Auschwitz avente come oggetto un ordine di 10 rilevatori di gas destinati al Crematorio II. Questa lettera, oltre che replicare alla perplessità espressa da Faurisson, costituisce una di quelle “sbavature” di cui parla Pressac a proposito del tentativo nazista di insabbiare tutto ciò che riguardava lo sterminio degli ebrei.
Infatti, osserva Pressac, se il Crematorio II fosse veramente stato ciò che i nazisti (e i negazionisti) pretendevano che fosse – ossia, un innocuo edificio provvisto di forni e di un obitorio – non si capisce che motivo ci fosse di equipaggiarlo di spie per rilevare i resti di acido cianidrico nell’aria, come recita esplicitamente la missiva.
Faurisson dunque seleziona un dettaglio, di per sé poco rilevante, ne ingigantisce il ruolo all’interno del testo, moltiplica le conseguenze logiche che ne scaturiscono, e fa dire al testo più di quanto esso non dica: egli riempie gli spazi vuoti di cui il testo è necessariamente intessuto con le sue inferenze personali e poi pretende che tali inferenze facciano parte della superficie espressiva del testo stesso.
Così, sebbene Höss non ci dica esattamente in quale fase del loro lavoro i Sonderkommandos mangiassero e fumassero (se lo facessero quando erano ancora dentro la camera a gas, o mentre tagliavano i capelli ed estraevano i denti d’oro, o nel trascinare i corpi verso i forni, o ancora mentre svuotavano le fosse comuni), Faurisson sceglie la soluzione che più gli torna comoda (mangiavano e fumavano mentre lavoravano dentro la camera a gas).
R. Höss aggiunge che la squadra incaricata di maneggiare e di estrarre 2000 cadaveri dalla «camera a gas» fino ai forni crematori svolgeva questo lavoro «mangiando e fumando»”.
In una nota a piè di pagina Faurisson aggiunge:
“Per Höss, non la smettevano del resto di mangiare. Mangiavano quando estraevano i cadaveri dalle camere, quando estraevano i denti d’oro, quando tagliavano i capelli, quando trascinavano il loro carico verso le fosse o verso i forni”. (in Thion, 1980)
Ciò che lo induce a tirare questa conclusione incerta e a darla per testualmente stabilita è che Höss afferma che i Sonderkommandos “non smettevano di masticare neppure durante le operazioni più disgustose”, il che – da un punto di vista strettamente grammaticale – significa che mangiavano anche durante ogni altra fase dell’azione speciale. Ai negazionisti evidentemente manca il senso dell’iperbole, dell’esagerazione ad effetto, convinti come sono che il linguaggio debba essere completamente denotativo, esplicito e trasparente, privo di quegli artifici retorici che impediscono all’interprete di “cercare mezzogiorno alle dodici”.
Finalmente, Faurisson passa a una nuova obiezione quando sottolinea l’inverosimiglianza presente nella descrizione che Höss fornisce delle cremazioni all’aperto. Anche questo punto diventerà un cavillo di battaglia di tutti i negazionisti che si occuperanno successivamente della testimonianza in questione. In KiA ci viene detto che i membri del Sonderkommando, per mantenere vivo il fuoco nelle fosse comuni, vi versavano sopra il grasso che colava (presumibilmente dai cadaveri). Faurisson ribatte che, cosi facendo, i cadaveri sarebbero stati arrostiti “allo spiedo come se fossero dei polli” anziché carbonizzati.
Non potendo verificare empiricamente la validità dell’obiezione avanzata da Faurisson, posso solo ricordare che il riferimento al grasso umano impiegato per facilitare le cremazioni compare anche in altre deposizioni (autonome rispetto a quella di Höss): Paul Bendel, nel descrivere le fosse crematorie scavate dietro il Crematorio V di Birkenau, parla di una “conduttura per incanalare il grasso umano in una pozza di recupero”. Analogamente, Henryk Tauber – ritenuto da Pressac un testimone attendibile al 95% – ricorda che nel 1944 i cadaveri venivano inceneriti in fosse all’aperto “da cui il grasso fluiva verso un serbatoio a parte, scavato per terra. Questo grasso veniva versato sui cadaveri per accelerarne la combustione” (in Pressac, 1989)
Tutto sommato, l’insieme delle obiezioni avanzate da Faurisson a proposito di KiA e di SF ammonta a ben poco se confrontato con la quantità di informazioni presenti in questi testi che egli non riesce a smontare. Il gioco si fa invece un pò più facile quando egli passa a esaminare le dichiarazioni rilasciate da Höss subito dopo la sua cattura e durante la sua deposizione ai processi di Norimberga (documenti NO-1210 e PS-3868). È infatti in questi documenti che troviamo le improbabili stime statistiche del numero delle vittime, poi contestate dallo stesso Höss, nonché una serie di piccole inesattezze sulle quali i negazionisti si sono lanciati con accanimento.
Tra queste, ricordo la menzione di un campo di sterminio inesistente (“Wolzek vicino a Lublino”), che secondo alcuni storici starebbe per Sobibor, sebbene non sia chiaro da dove derivi l’interferenza; inoltre, Höss confonde in un’occasione il campo di Treblinka con quello di Chelmno, quando dice che a Treblinka ebbe modo di vedere delle unità mobili per la gassazione con gas di scappamento, che invece venivano impiegate a Chelmno.
Infine, Höss stesso ci dice nelle sue memorie di essere stato maltrattato dai britannici che lo catturarono, e che le sue prime dichiarazioni gli furono estorte per mezzo di un misto di alcool, percosse e pressione morale (si premura anche di informarci che a Norimberga i giudici erano tutti ebrei), mentre aggiunge che gli scritti successivamente redatti in Polonia sono stati il frutto della sua libera iniziativa.
Secondo Faurisson (“Come i britannici hanno ottenuto le confessioni di Rudolf Höss, comandante ad Auschwitz”, in Annales d’Histoire Révisionniste, n. 1, primavera 1987), il fatto che dalla prigione polacca Höss abbia potuto scrivere queste cose dimostra solo che (i) i carcerieri polacchi ritenevano che in questo modo le confessioni manifestassero un’apparenza di verità e sincerità e (ii) per contrasto con i britannici, i polacchi sarebbero emersi come carcerieri molto più umani; (iii) infine, si desiderava giustificare l’assurdità di certe dichiarazioni contenute nei primi testi.
Con un probante colpo di coda, Faurisson aggiunge che in un “documento di cui non sono ancora autorizzato a indicare la fonte esatta” emerge che nel 1946 Höss viaggio in macchina con Moritz von Schirmeister (consigliere personale di Goebbels) e gli disse che le sue confessioni (di avere fatto uccidere due milioni e mezzo di ebrei) gli erano state estorte con la tortura.
La critica di Wilhelm Stäglich
Autore apertamente antisemita, nonché convinto sostenitore della teoria della cospirazione giudaica, nel suo libro del 1979 Stäglich raccoglie il testimone di Faurisson per quanto riguarda l’attacco alle memorie di Höss. Le argomentazioni impiegate da Stäglich tendono a essere più rozze rispetto a quelle addotte da Faurisson e, come vedremo, da Mattogno a sostegno della loro tesi comune, soprattutto quando egli passa a ricostruire i moventi e le modalità della presunta falsificazione storica messa in atto dalla lobby ebraica mondiale.
In generale, Stäglich non solo nega l’esistenza delle camere a gas nei campi di sterminio nazisti, ma arriva perfino a sostenere che nei lager i detenuti non se la passassero poi cosi male:
“Io stesso, in occasione delle mie varie visite al campo principale di Auschwitz nell’estate del 1944, non ho incontrato detenuti denutriti”.
L’affermazione suona un pò stonata, se si pensa che secondo il dogma negazionista durante il triennio 1942-44 nel lager di Auschwitz-Birkenau imperversava l’epidemia di tifo la quale, unita agli stenti della guerra mondiale, sarebbe l’unica responsabile del numero elevato di decessi tra i detenuti. Ma Stäglich non va troppo per il sottile, essendo il suo obiettivo fondamentale la riabilitazione del regime nazista, nel quale si identifica acriticamente.
Per quanto riguarda le memorie di Höss, Stäglich si riaggancia alla tesi di Faurisson secondo cui la loro stesura fu controllata dall’alto, ma ritiene che la manipolazione riguardi solo le pagine in cui il comandante di Auschwitz si riferisce esplicitamente alla soluzione finale della questione ebraica:
“Si può considerare che l’autobiografia di Rudolf Höss sia autentica nella misura in cui rispecchi le tappe personali della sua vita, le sue proprie idee, le sue convinzioni e i suoi sentimenti cosi come tutte le sue attività professionali, finché non abbiano collegamenti con il preteso sterminio degli ebrei. […]
Ciò permetteva d’altronde di raccogliere esemplari più importanti della sua scrittura su cui ci si sarebbe potuti basare non solo per riprodurla, ma anche per conoscere il suo stile e il suo vocabolario. una volta che si disponesse di queste basi, diventava solo un gioco da bambini, per falsari sperimentati, manipolare il contenuto nella misura in cui Höss non si fosse già prestato lui stesso a fare dichiarazioni compromettenti a causa del lavaggio del cervello a cui era stato sottoposto”.
Partendo dalla constatazione che nelle sue memorie Höss non parla mai delle epidemie di tifo (ma non aveva detto che nel 1944 i prigionieri erano ben pasciuti e perciò sani?), Stäglich ipotizza che nella stesura originale del documento in questione vi fossero nove pagine dedicate a questo argomento e che proprio queste pagine siano state soppresse nella versione manipolata e rimpiazzate con le dieci pagine incriminate (quelle in cui Höss descrive le modalità dello sterminio).
Tuttavia nello spazio delle nove pagine disponibili per l’interpolazione non si riuscì a far dire a Höss tutto cio che si voleva che dicesse, e allora fu redatto a parte un altro documento (SF) più lungo, il quale venne attribuito a una data anteriore. Ma nella parte dell’autobiografia dedicata alla descrizione delle gassazioni ci si dimentico di segnalare l’esistenza di un testo precedente che trattava del medesimo argomento, e per giunta con parole molto simili; secondo Stäglich, se Höss fosse stato il vero autore di queste pagine, non avrebbe omesso di riferirsi esplicitamente allo scritto del novembre 1946.
L’ipotesi dell’aggiunta sarebbe corroborata dal fatto che nell’originale tedesco c’è una frase a cui manca un ausiliare: evidentemente l’autore di queste pagine non conosceva bene il tedesco. Inoltre, la parte incriminata dell’autobiografia non si legherebbe bene con il resto del testo. Nessuna di queste obiezioni scuote di un millimetro il paradigma storiografico accettato e per adesso la ricostruzione proposta da Stäglich rimane una congettura altamente improbabile priva di sostegno empirico.
Passiamo dunque a considerare quali siano i punti del testo di Höss che secondo Stäglich costituiscono anomalie talmente gravi da obbligarci a considerare una ipotesi così poco economica come quella che egli ci propone:
(i) incertezze circa la data delle prime gassazioni omicide: nelle sue prime deposizioni, Höss affermò che lo sterminio per mezzo del gas comincio ad Auschwitz nell’estate 1941, ossia subito dopo l’ordine impartito da Himmler – ma nell’estate 1941 non esisteva ancora una camera a gas (vedi sopra); in SF il ricordo si fa più vago (probabilmente nel settembre 1941, ma forse nel gennaio 1942), mentre in KiA Höss parla decisamente della primavera 1942 come periodo in cui cominciarono le gassazioni in massa degli ebrei.
Abbiamo già visto che è sufficiente ipotizzare che Höss si sia confuso tra il 1941 e il 1942 per quanto riguarda la data del suo colloquio con Himmler perché la cronologia incerta riacquisti una certa coerenza interna;
(ii) contraddizioni negli ordini impartiti da Himmler a Höss: mentre prima Höss dice che Himmler voleva che i campi di concentramento fornissero la necessaria forza-lavoro per portare avanti alcune industrie necessarie all’impresa bellica, successivamente aggiunge che – sempre secondo la volontà di Himmler – Auschwitz sarebbe dovuto diventare il più grande campo di sterminio di tutti i tempi (KiA,). Secondo Stäglich, è con questa frase che comincia l’interpolazione. Infatti, “non è veramente possibile che Himmler abbia preso deliberatamente due decisioni talmente contraddittorie”.
In realtà, la politica nazista nei confronti degli ebrei fu molto contraddittoria, e i contrordini impartiti da Himmler non fanno altro che riflettere questo fatto. Il piano di sterminare tutti gli ebrei senza eccezione, che dal 1942 si impose in modo dichiarato, era costantemente controbilanciato dall’esigenza economica di sfruttare gli internati nell’industria bellica, come dimostra il conflitto tra Pohl e Eichmann in merito alla questione delle selezioni degli abili al lavoro.
(iii) maschere antigas e Sonderkommandos.
“Descrivendo le attività di questi Kommando detti speciali, i “redattori delle note di Höss si sono tuttavia lasciati sfuggire un errore che è talmente grave che la leggenda dello sterminio si ritrova a essere, per cosi dire, svuotata della sua sostanza. Descrivendo il modo in cui i cadaveri venivano trascinati fuori dalle ‘camere a gas’ dagli uomini del Kommando speciale, si fa in particolare dire a Höss: Mangiavano e fumavano estraendo i cadaveri [p. 126]. […] La menzogna è dunque manifesta”.
Secondo la ricostruzione proposta da Pressac (1993), la prima gassazione omicida, effettuata su un gruppo di prigionieri russi e di malati giudicati irrecuperabili, avvenne sì nel Block 11 di Auschwitz, ma non nel settembre 1941 come ricorda Höss, bensì nel dicembre dello stesso anno. Inoltre, le gassazioni in massa degli ebrei cominciarono, sempre secondo Pressac, nell’estate 1942, ossia dopo il colloquio di Höss con Himmler del giugno 1942 (e non del 1941) e dopo che erano stati costruiti i Bunker 1 e 2 di Birkenau.
Tra l’altro, questa ricostruzione si concilia con le dichiarazioni di Pery Broad secondo cui il massacro degli ebrei col gas ad Auschwitz cominciò nell’estate 1942 e fu preceduto dalle gassazioni dei prigionieri russi. Molte delle obiezioni avanzate dai negazionisti sfruttano il mito dell’efficienza nazista per dimostrare l’impossibilità che all’interno del sistema concentrazionario potessero verificarsi delle contraddizioni. Al contrario, uno studio accurato dei metodi di gestione dei lager indica che la realizzazione del progetto di sterminio fu molto più caotica di quanto si ritenga solitamente.
Stäglich riprende qui l’argomentazione di Faurisson, senza aggiungervi nulla di suo, se non che agli uomini del Sonderkommando mancava la preparazione adeguata per manipolare il veleno. Il debito nei confronti di Faurisson viene dichiarato apertamente poche righe dopo:
“È grazie a un professore d’università francese, il dottor Robert Faurisson che ho appreso l’esistenza di questi documenti [NI-9098 e NI-9912] (94) dei quali sono riuscito a procurarmi le copie all’Archivio Nazionale di Norimberga e a prendere conoscenza del loro contenuto che è assolutamente sensazionale”. (Stäglich, 1979)
(iv) presenza nel manoscritto di Höss di stereotipi della storia dello sterminio: alcuni aneddoti citati da Höss si ritrovano in altri esemplari della letteratura concentrazionaria , il che “non lascia alcun dubbio circa la loro origine comune”. Tra questi, l’aneddoto delle madri che cercavano di nascondere i loro bebè nei mucchi di vestiti prima di entrare nella camera a gas, le storie di morte dignitosa e consapevole (che sarebbe in contrasto con la nozione per cui le vittime venivano tenute all’oscuro del loro destino), la descrizione dell’estrazione dei denti d’oro e della rasatura dei capelli, la storia del grasso usato per bruciare i cadaveri.
Per Stäglich, che tuttavia non ci spiega perché non dovremmo credere a questi episodi, tali aneddoti sono tutti esempi di “cinica speculazione sulla sensibilità dei lettori ingenui”. È strano come qui la coerenza tra le diverse testimonianze venga impiegata come prova della loro inautenticità, anziché fungere da elemento che semmai corrobora la veridicità di ciascun frammento documentario. Sarebbe come se, dopo un incidente stradale, il fatto che più testimoni descrivano la dinamica dell’incidente in modo analogo dimostrasse che questi testimoni siano stati manipolati dall’alto, e non che abbiano semplicemente assistito allo stesso episodio;
(v) incongruenza tra la presunta segretezza che circondava lo sterminio e il fatto che molte persone ne fossero al corrente: da una parte Höss dice che l’odore dei cadaveri bruciati si diffondeva per chilometri, di modo che tutta la popolazione della zona parlava della cremazione degli ebrei; altrove sostiene che sua moglie fosse all’oscuro di tutto: “dobbiamo forse pensare che il suo olfatto fosse alterato?“.
È noto che, nonostante il tentativo nazista di occultare la vera natura della soluzione finale, le notizie al riguardo trapelassero continuamente, e di questo le autorità naziste (Höss compreso) si rammaricavano molto. Quanto alla moglie di Höss abbiamo già ipotizzato che il riferimento alla sua beata ignoranza appartenga alla categoria delle distorsioni consapevoli con cui Höss sperava di assolvere moralmente la sua famiglia;
(vi) nel riferirsi ai diversi convogli di ebrei che arrivarono ad Auschwitz, Höss distingue tra gli ebrei dell’Alta Slesia e gli ebrei tedeschi: secondo Stäglich, un tedesco all’epoca non avrebbe considerato l’Alta Slesia come un territorio non tedesco, e quindi non avrebbe potuto fare questa distinzione. Cio dimostrerrebbe incontestabilmente che gli autori di queste pagine non potevano che essere polacchi: infatti, solo per polacchi l’Alta Slesia non era tedesca ma faceva parte della Polonia.
Stäglich si dimentica di dire che la cittadina di Oswiecim/Auschwitz si trova per l’appunto in Slesia, e che quindi i primi convogli di ebrei dall’Alta Slesia (e dalla Slovacchia, territorio confinante) erano per Höss carichi di merce locale da sistemare prima di passare ai carichi più esotici: per un amministratore del campo quale era Höss, ciò che contava non era la nazionalità dei prigionieri in senso strettamente politico, ma la loro provenienza geografica – senza poi contare che all’epoca gli ebrei erano considerati apolidi; che gli autori di queste pagine non potevano che essere polacchi: infatti, solo per polacchi l’Alta Slesia non era tedesca ma faceva parte della Polonia.
(vii) il ritratto psicologico non quadra:
“In molti passi della sua Autobiografia, Höss appare come un comandante di campo piuttosto sensibile, che manifesta dei sentimenti estremamente umani […]. Un uomo che, non soltanto sarebbe stato coinvolto nelle azioni di sterminio di milioni di esseri umani, ma che oltre a ciò avrebbe dato l’ordine e avrebbe presieduto alla sua realizzazione, non si esprime così”.
L’ingenuità dimostrata qui da Stäglich è evidente: dopo avere impiegato un metodo di lettura estremamente sospettoso per falsificare la testimonianza di Höss per quanto riguarda le modalità della soluzione finale, il negazionista tedesco è disposto a prendere alla lettera le dichiarazioni di Höss circa la sua buona fede, senza nemmeno considerare la possibilità che nel presentare se stesso come un uomo sostanzialmente sensibile e compassionevole egli abbia cercato maldestramente di ripulire la propria immagine pubblica.