ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA – 1

a cura di Cornelio Galas

Se ne parla molto in questi giorni. Ma forse non ci si rende conto del rischio che tutti corriamo solo a pronunciare quelle due parole: guerra nucleare. Così come da tempo le cosiddette armi di distruzione di massa evocano disastri potenziali. Non solo per le regioni interessate da anni da conflitti e tragedie.

Ho trovato un’interessante ricerca condotta dal dott. Stefano Felician, dell’Università degòo Studi di Trieste, nel 2009. Proprio sulle armi di distruzione di massa. Una tesi di laurea che poggia su documenti inoppugnabili ed affronta l’evoluzione di questi strumenti di morte. Cominciamo dalla storia di queste “bombe” micidiali, in grado di “distruggere una massa di esseri umani” in pochi secondi.

Mai come nel corso del secolo ventesimo il progresso della conoscenza ha condizionato l’uomo in tutti gli aspetti della sua vita. Le evoluzioni tecnologiche, la ricerca ed il progresso scientifico hanno fatto compiere all’essere umano enormi passi in avanti in tutti i campi del sapere e della conoscenza. A tale sviluppo non poteva di certo sottrarsi il settore militare, da sempre elemento trainante per lo sviluppo tecnologico.

Sono innumerevoli le invenzioni militari che successivamente hanno trovato un impiego “civile” così come da sempre tutti i soggetti politici, dagli Stati alle aggregazioni comunitarie più piccole, hanno sempre cercato di superare tecnologicamente l’avversario per ottenere il successo militare e politico e, quando ottenuto, conservarlo. Non sempre le migliorie tecnologiche e gli strumenti militari più sofisticati si sono rivelati vincenti; certo è che, però, nel corso degli ultimi secoli la complessità delle tecnologie e la loro padronanza hanno caratterizzato sempre di più tutti i conflitti.

A partire dalla guerra civile americana si è infatti compreso che la potenza industriale nordista, raffrontata alla debolezza confederata, era divenuta un elemento determinante per la vittoria del Nord. Allo stesso modo i successivi conflitti mondiali indicarono chiaramente come certe invenzioni, come ad esempio il radar, conferivano incomparabili vantaggi tattici e strategici alle forze combattenti.

L’evoluzione della conflittualità spingeva verso un tipo di guerra di annientamento, la temibile “guerra totale”: una sorta di attrito usurante destinato a far soccombere la parte che per prima non fosse riuscita a reggere gli incredibili costi economici, industriali e, soprattutto, umani, del conflitto. Di qui la necessità di ideare armamenti tali da poter eliminare completamente l’avversario, civile o militare che fosse.

Già durante la prima guerra mondiale comparvero nuove armi in grado di uccidere grandi volumi di persone: non si trattava della sola mitragliatrice, di per sé già idonea a mietere molte vittime, ma soprattutto dei gas. Utilizzati per la prima volta nel corso della battaglia di Ypres (Belgio) i gas asfissianti introdussero una nuova dimensione nella guerra. In pochi istanti centinaia di persone trovavano la morte fra spaventosi patimenti e sofferenze indicibili. Erano nate le armi chimiche.

Pochi anni dopo, sul finire della seconda guerra mondiale, per la precisione il 6 agosto del 1945, fece la comparsa sulla scena mondiale un nuovo tipo di arma: non si trattava di un’arma convenzionale, ma bensì di un nuovissimo risultato della tecnica, in grado di sfruttare un’energia che nessun tipo di arma era riuscita ad imbrigliare: l’energia nucleare. Era cominciata l’era atomica.

A fianco degli strumenti militari convenzionali, perciò si cominciarono ad affiancare nuove e sempre più temibili armi: quelle chimiche, quelle nucleari, quelle biologiche ed infine quelle radiologiche. Questa vasta serie di armamenti differisce da quelle ordinarie a causa delle enormi potenzialità distruttive possedute: queste sono le armi di distruzione di massa.

La dicitura “armi di distruzione di massa” (in inglese Weapons of mass destruction) se apparentemente sembra indicare una ben precisa categoria di armamenti, in realtà nasconde questioni politiche e strategiche legate alla stessa definizione. Inoltre è da considerare che la definizione delle stesse è sempre stato oggetto di scontro politico e ideologico, cosa che ha spesso determinato cambiamenti di nomi e di definizioni. Infine va considerato che ogni stato provvede a fornire la propria definizione delle stesse, così come fanno le organizzazioni internazionali: questo perciò complica ulteriormente la ricerca di una definizione univoca del termine “armi di distruzione di massa”.

Più semplice, forse, è identificare il significato partendo dalla dicitura: le armi di distruzione di massa sono innanzi tutto “armi”. In secondo luogo la definizione specifica la portata delle armi, il cui potenziale offensivo è connotato da una potenzialità (distruttività) molto elevata, “di massa”, in grado cioè di arrecare consistenti danni sia a strutture che ad esseri umani, a seconda delle proprie caratteristiche.

Tali armi sono oggi identificabili con alcune sigle, quali ABC, NBC, oppure NBCR, con le quali si intendono le diverse tipologie degli strumenti offensivi. La sigla “A” identifica il termine “atomico”, con ovvio riferimento alle armi nucleari. A tale lettera oggi si preferisce la “N” (di “nucleari”). Vi è poi la lettera “B”, che identifica le armi di tipo biologico mentre la lettera “C” quelle di tipo chimico. In alcune definizioni si trova anche la lettera “R”, cioè “radiologico”, con riferimento alle cosiddette “bombe sporche”.

Tendenzialmente si riscontra più omogeneità nella determinazione dei contenuti delle armi di distruzione di massa che nell’individuazione di un nome comune per tutte. In ogni caso va ricordato che ogni stato e ogni stuttura mililtare provvede a dare proprie definizioni delle armi di distruzione di massa, eventualmente ricomprendendovi o meno alcune categorie. Ad esempio la dottrina americana parla di armi CBRNE, intendendo con “E” gli “high explosives”, capaci anch’essi di portare grandi distruzioni.

Al momento non esiste una definizione mondiale comunemente accettata in materia; tuttavia, essendo la maggior parte della letteratura in materia elaborata dagli Stati Uniti è chiaro che essa abbia contribuito a fornire una sorta di linea generale per la definizione delle armi di distruzione di massa. Per questo oggi definizioni come NBC o NBCR sono comunemente accettate dagli Stati Maggiori e dalla letteratura scientifica come definizioni generali delle armi di distruzione di massa.

Come detto, la ricerca di strumenti in grado di sopraffare il nemico è sempre stata centrale per i sistemi politici e militari. Tuttavia, finché la dimensione bellica rimaneva confinata in dimensioni locali o non era sostenuta da una ricerca tecnologica forte come quella degli ultimi secoli, i conflitti si limitavano all’utilizzo di armi oggi definite “convenzionali”.

Per questo, nonostante le successive “rivoluzioni militari” gli armamenti rimanevano sempre limitati ad una dimensione caratterizzata da una letalità non indiscriminata . Era già usanza romana quella di lanciare cadaveri appestati all’interno di città assediate: d’altro canto nel 1347 i tartari fecero lo stesso, dando il via alla terribile “Peste nera” del 1348.

Questi esempi possono essere considerati meri espedienti tattici, e non utilizzo di armi di distruzione di massa: per raggiungere tale definizione, infatti, occorrerà aspettare l’alba del ventesimo secolo, e l’arrivo della “guerra totale”. Era la prima volta in cui si accennava a questo tipo di “nuovi” armamenti, a seguito soprattutto del bombardamento della città spagnola di Guernica , episodio che colpì particolarmente le opinioni pubbliche di tutto il mondo.

Successivi bombardamenti a tappeto avvenuti nella seconda guerra mondiale (a partire da quello della città inglese di Coventry) destarono la medesima impressione per l’altissimo tasso di vittime civili riscontrate. In questi casi, comunque, si trattava pur sempre di strumenti militari convenzionali adottati però su vasta scala. Ma in ogni caso la scelta di usare in modo più o meno esteso i bombardamenti non era legata alla tecnologia delle armi, ma solamente a scelte tattiche o strategiche.

Gas asfissianti erano già presenti negli arsenali militari e già stigmatizzati in un documento del 1925. All’epoca le bombe atomiche non esistevano ancora, e quelle biologiche erano ancora in fase di sperimentazione. Tuttavia notevole fu il potenziale distruttivo scatenato dagli aerei della “Legione Condor” i quali realizzarono a Guernica un attacco prodromico a quelli successivi del secondo conflitto mondiale.

Un’arma oggi rientrante fra quelle di distruzione di massa era già stata sperimentata: si trattava, come detto, dei gas asfissianti, utilizzati nel corso della prima guerra mondiale sul fronte occidentale. La comparsa di queste nuove armi avvenne nel corso di una battaglia presso la cittadina belga di Ypres, durante la quale le truppe tedesche colpirono le posizioni francesi con diverse tonnellate di cloro, scaricato sulle truppe impegnate in combattimento.

Le cronache raccontano che in pochi minuti l’aria divenne irrespirabile, le truppe vennero intossicate e in pochi minuti subirono migliaia perdite. Il gas, cloroetilsolfuro, era un aggressivo vescicante, incolore, e non volatile, caratterizzato dal forte odore di senape: in pochi minuti provocò, oltre ai decessi, vesciche, bolle ed infezioni . Le truppe francesi, non preparate ad un attacco del genere, ebbero una ritirata generale, che però non venne sfruttata adeguatamente dai tedeschi.

Così nel 1915 l’era delle armi chimiche era cominciata. L’attacco di Ypres fu la prima volta in cui, nel corso di un combattimento, vennero utilizzati su vasta scala delle armi definibili come “di distruzione di massa”: l’impressione nel mondo fu grandissima. I gas, in grado di annichilire in pochi istanti centinaia di uomini, per di più fra atroci tormenti, condizionarono il primo conflitto mondiale in maniera radicale: più che l’artiglieria, le mitragliatrici o la nascente arma aerea, erano i gas che avevano sconvolto le opinioni pubbliche e gli stati maggiori delle potenze belligeranti.

Allo stesso modo tali sostanze imposero l’adozione di idonee maschere antigas, inizialmente create artigianalmente dagli stessi soldati con fazzoletti imbevuti di sostanze reagenti. Il primo utilizzo bellico su vasta scala delle armi biologiche risale invece all’Unità 731 dell’esercito giapponese. Questo reparto segreto aveva come scopo quello di testare e verificare l’utilizzo di vettori biologici (ma anche chimici) e i loro effetti: a tal fine l’unità giapponese usò diversi sistemi di contaminazione, quali l’avvelenamento di pozzi e l’aspersione via aerea, per sperimentare la potenzialità dei prodotti sia sui prigionieri che sulla popolazione civile.

Le attività dell’Unità 731 emersero solo alla fine della seconda guerra mondiale, e, convenzionalmente, sono il primo esempio di uso (o, almeno, di sperimentazione di livello superiore alla ricerca scientifica) delle armi biologiche. Ben diverso è il caso dell’utilizzo dell’arma nucleare. Le potenzialità dell’atomo erano oggetto di studio già dalla fine del XIX secolo, ma fu soprattutto grazie all’opera di scienziati come Enrico Fermi e Robert Oppenheimer che gli Stati Uniti riuscirono, per primi, a sviluppare una capacità nucleare offensiva, per mezzo un nuovo tipo di arma: la bomba atomica.

Analoghi esperimenti erano parallelamente compiuti anche dagli scienziati sovietici e dal III Reich, anche se quest’ultimo era più indietro nello sviluppo di una vera a propria capacità militare nucleare. Negli Stati Uniti, invece, il “Progetto Manhattan”, riuscì a realizzare in pochi anni un’applicazione bellica della potenza atomica. Questo nuovo tipo di armamento, fu sottoposto alle “prove generali” di funzionamento ad Alamogordo, nel New Mexico, nel luglio del 1945.

Il secondo conflitto mondiale terminò con l’attacco nucleare americano a due città giapponesi, Hiorshima e Nagasaki, colpite rispettivamente il 6 ed il 9 agosto del 1945 da ordigni nucleari, gli unici al momento mai utilizzati in un conflitto. Il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, conosciuto come “guerra fredda”, vide assurgere le armi di distruzione di massa ad un ruolo centrale per gli equilibri geopolitici mondiali, vertenti soprattutto sulla minaccia nucleare e la sua dissuasione.

Al tramonto del conflitto 1939-1945, lo squilibrio fra le nazioni atomiche e quelle non atomiche era evidente: Stalin comprese subito che una potenza con ambizioni mondiali come l’Urss doveva raggiungere a tutti i costi la parità strategica con gli Stati Uniti. Per questo Mosca avrebbe dovuto dotarsi quanto prima di una capacità nucleare analoga a quella avversaria, e dall’agosto 1945 il programma nucleare sovietico assunse la massima priorità.

La mancanza di tecnologia ed il ritardo in materia spinsero il dittatore sovietico a realizzare una vasta serie di operazioni di spionaggio a danno degli americani, e lo indussero ad affidare la “regia” del programma nucleare a uno degli uomini più potenti dell’Unione Sovietica dell’epoca, il georgiano Laurenti Berija, comandante dell’NKVD, il servizio segreto sovietico.

Nell’arco di pochi anni ciò che sembrava pura utopia riuscì a compiersi: dalla fine del 1949 i sovietici erano in grado di allestire le proprie armi nucleari. Fu soprattutto questo, l’arma atomica, che caratterizzò la guerra fredda ed il confronto bipolare, e fin da subito si rischiò di utilizzarla: fu necessario l’intervento di Truman per impedire al generale Mac Arthur  di usare l’arma nucleare contro la Corea del Nord.

Il resto del confronto bipolare si svolse costantemente sotto la minaccia nucleare, mentre si perfezionavano sempre più i vettori e le tecnologie. Se le armi nucleari furono degli attori protagonisti della guerra fredda, tuttavia non limitarono la loro presenza negli arsenali russi e americani. Anche la Francia, il Regno Unito e la Cina entrarono successivamente nel “club atomico” accompagnate dalla Corea del Nord, dal Pakistan, dall’India e da Israele.

Sul mondo gravava pesante la MAD, Mutual Assured Destruction, cioè la certezza che in caso di attacco nucleare l’avversario sarebbe stato spazzato via da un’uguale pioggia di ordigni nucleari. Si può infatti affermare che le armi nucleari ed i relativi vettori (con tutte le loro evoluzioni) ebbero un ruolo protagonista nel corso del conflitto fra est ed ovest. Anzi, le loro evoluzioni tecnologiche condizionarono tanto le dottrine geopolitiche quanto la stessa fisionomia dei trattati internazionali in materia, arrivando a determinare, infine, alcuni fra i momenti più delicati della seconda metà del ventesimo secolo.

Le altre armi di distruzione di massa comparvero più sporadicamente durante la guerra fredda, e, in ogni modo, non riuscirono mai ad assurgere all’importanza di quelle nucleari: tuttavia vi furono dei casi in cui vennero utilizzate in alcuni conflitti, come ad esempio nella guerra Iran-Iraq, o furono al centro di inquietanti incidenti, come nel caso di Sverdlovsk.

Il mondo post-bipolare si è aperto con il gravissimo problema dello smaltimento dell’arsenale nucleare sovietico, sparso fra diversi stati divenuti indipendenti e afflitti da gravissimi contrasti sociali ed economici, aggravati da un’instabilità politica conseguente alla transizione da un sistema totalitario ad uno democratico o presunto tale. Oltre a questo non sono mancati attacchi compiuti con gas asfissianti, come a Tokyo nel 1995 o attacchi batteriologici, avvenuti negli Stati Uniti nel 2001.

Tali attacchi non sono stati compiuti da stati sovrani, ma da articolazioni infrastatuali identificabili a volte come terroristi, a volte come fanatici o comunque come combattenti non convenzionali. Tali attacchi, avvenuti nei paesi occidentali ed in aree ad altissimo tasso di densità urbana ben rendono l’idea di quanto possa essere pericoloso un uso di strumenti di distruzione di massa nelle nostre società. Nonostante le diverse convenzioni internazionali che regolano l’argomento e la ben nota distruttività di tali armamenti, non è da escludere che qualche gruppo, organizzazione o setta possa nuovamente utilizzare elementi chimici, biologici o radiologici (per quelli nucleari il discorso è più complesso) contro le società attuali.

Affrontare questa minaccia richiede non più un semplice approccio connesso con l’ordine pubblico, ma bensì una convergenza fra le Istituzioni che si occupano di sicurezza, le Forze Armate e i soggetti che – a livello interno od estero – monitorano le attività di gruppi estremisti, fondamentalisti e terroristi internazionali, i più capaci di sfruttare le risorse economiche, le protezioni offerte da certi stati e i canali illegali per il rifornimento di questo tipo di armamenti.

Allo stesso modo le vulnerabilità di importanti trattati internazionali e alcune crisi regionali minacciano costantemente il processo di riduzione o quantomeno di contenimento della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Le armi nucleari sono sempre citate al primo posto quando si trattano le questioni inerenti le armi di distruzione di massa. Inoltre, quando si affrontano i temi inerenti le armi non convenzionali esse sono spesso messe al primo posto nelle sigle, come nei casi delle diciture NBC o ABC.

Le armi nucleari non sono state che le ultime arrivate (o, meglio, scoperte) nella storia delle armi di distruzione di massa. Eppure, nonostante la loro relativamente giovane “età” (se così si può dire) le armi nucleari sono state in grado di modificare radicalmente non solo la Storia, ma l’intera esistenza umana. Se si pensa al fungo atomico che irradiò Hiroshima il 6 agosto del 1945, immediatamente si è colti dallo sconcerto al pensiero che in pochi istanti quell’unica bomba, la famosa Little boy letteralmente “polverizzò” le vite di oltre centomila esseri umani.

La colorata colonna di fuoco, energia e calore che illuminò il cielo della città giapponese, definita da subito “fungo atomico” per la sua forma, segnava sì la fine del secondo conflitto mondiale, ma anche l’inizio della tetra era dell’equilibrio nucleare, e della sconcertante capacità umana di realizzare uno strumento idoneo ad eliminare radicalmente la vita di ogni sorta di essere vivente.

Da qui l’attenzione che tutti i soggetti internazionali dedicarono e dedicano alle tematiche nucleari, che nel corso degli ultimi sessant’anni si sono evolute moltissimo sia sotto i profili civili che militari. Incidenti come quello (mancato) di Three Miles Island e di Chernobyl (decisamente più rilevante), gli attacchi al Giappone, il pericolo del cosiddetto “inverno nucleare”, la crisi dei missili di Cuba, solo per citare alcuni eventi famosi, hanno condizionato le opinioni pubbliche mondiali, portando sempre più al centro del dibattito politico l’elemento nucleare ed il suo uso.

Non fanno eccezione a queste considerazioni le tematiche militari: basti pensare che durante la guerra fredda i sistemi missilistici strategici erano in grado di dettare le agende geopolitiche ed internazionali delle grandi potenze e dei loro rispettivi blocchi.

La bomba atomica aveva spazzato via una fase della Storia, aprendone un’altra ben più minacciosa. Dopo Hiroshima e Nagasaki era cambiata la Storia dell’umanità: allo stesso modo cambiarono le strategie, le dottrine d’impiego e, in sostanza, l’intera politica internazionale.

Ricostruire l’evoluzione dell’arma nucleare è un tema complesso sotto diversi punti di vista. Se il periodo storico da esaminare non è particolarmente vasto, l’attenzione internazionale riposta e la complessità del tema hanno permesso una vastissima serie di interventi e di pubblicazioni al riguardo. Come detto, le armi nucleari non solo sono state determinanti per la storia dell’umanità, ma hanno necessariamente portato a riflessioni che si sono allargate a moltissimi campi diversi, sia civili che militari.

E’ proprio l’interrelazione di tutti questi settori che ha reso il campo delle armi nucleari un tema che ancora oggi fa discutere governi, scienziati, accademici, militari e molte altre categorie. La scoperta della radioattività, una caratteristica principale dell’elemento componete le armi nucleari, cioè l’uranio, risale agli ultimi anni dell’Ottocento.

Il medico tedesco Wilhelm Conrad Röntgen fu il primo a scoprire, nel 1896, la radiazione elettromagnetica; pochi anni dopo il fisico francese Antoine Henri Becquerel rivelò la radioattività dell’uranio, cioè la capacità di quest’ultimo di emettere radiazioni, grazie alle impressioni lasciate dall’elemento su una lastra fotografica tenuta al buio. Studi successivi condotti dai coniugi Pierre e Marie Curie, soprattutto sulla pechblenda, identificarono altri elementi chimici in grado di emettere radiazioni, quali il polonio, il tellurio ed il radio.

Un ruolo decisivo nella progettazione dell’arma atomica lo ebbe il fisico italiano Enrico Fermi, il quale, nel 1934, insieme ai “ragazzi di via Panisperna” riuscì a realizzare la prima fissione nucleare, “bombardando” un nucleo di uranio con dei neutroni. Successivamente, nel 1938, gli scienziati tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann riuscirono a dimostrare sperimentalmente che un nucleo di uranio 235, se colpito da un neutrone, può dividersi in più frammenti, generando la fissione del nucleo, e molta energia.

Da questa importante serie di scoperte maturò la convinzione di utilizzare la forza dell’uranio anche per applicazioni belliche, mediante un ordigno idoneo. D’altro canto, Fermi scoprì che era possibile rallentare la fissione dell’uranio interponendo alcuni elementi, come la grafite, in grado di fermare il processo di distruzione dei nuclei. Tale sostanza, come anche la cosiddetta “acqua pesante”, è infatti capace di assorbire i neutroni che si generano dalla fissione dei nuclei, arrestando così il processo in corso. Il fisico italiano creò la prima “pila atomica” nel 1942.

Il pesante clima politico europeo degli anni Trenta costrinse molti scienziati ad emigrare negli Stati Uniti, soprattutto a causa delle persecuzioni razziali: fu così possibile per il governo americano raccogliere alcune delle migliori intelligenze scientifiche allora viventi, anche se all’amministrazione americana erano ancora sconosciute le potenzialità belliche dell’energia atomica.

La situazione era invece ben più chiara per il regime nazista: verso la fine degli anni trenta anche la Germania cominciò ad interessarsi delle applicazioni belliche della fisica nucleare di conseguenza, come ricorda Keegan, “i servizi di informazione scientifici erano […] allarmati dalla possibilità che la Germania sperimentasse l’applicabilità dell’energia atomica a scopi militari. Tuttavia, nonostante le ricerche nucleari condotte parallelamente dalla Germania, il gruppo scientifico americano che si occupava dell’argomento riuscì, nel giro di pochissimi anni, a teorizzare e realizzare l’agognata arma nucleare prima di qualsiasi altro rivale ed alleato”.

Il gruppo di ricerca che si occupò di sviluppare l’arma atomica americana compì gli studi e le simulazioni nell’ambito del segreto “Progetto Manhattan”, nome in codice del programma nucleare americano. L’impulso politico decisivo per l’adozione di questo ambizioso progetto fu la sollecitazione sul pericolo di un possibile armamento nucleare tedesco fatto dallo stesso scienziato Albert Einstein al Presidente degli Stati Uniti Roosevelt l’11 ottobre del 1939, su proposta del collega scienziato Leo Szilard.

Grazie all’interessamento dello scienziato tedesco, l’amministrazione americana si interessò del progetto, e il Presidente decise di istituire una commissione, guidata da Enrico Fermi, con lo scopo di esaminare la fattibilità di realizzazione di un armamento nucleare.

L’amministrazione decise poi di accelerare drasticamente lo sviluppo della capacità atomica, a seguito dell’attacco a Pearl Harbour, assegnando alle ricerche priorità assoluta e celandone le attività sotto il nome di “Progetto Manhattan”.

A capo del “Progetto” venne nominato il generale Leslie Groves, mentre il coordinamento scientifico spettò al fisico Robert Oppenheimer: venne creato nel 1942 a Oak Ridge, in Tennessee, un vasto centro di ricerca, e nel 1942 Fermi era in grado di testare la Chicago-Pile 1, e cioè produrre la prima reazione atomica controllata. In breve tempo le sedi principali di ricerca divennero quattro, ed il numero delle persone che lavoravano al progetto, molti dei quali non sapevano nemmeno cosa fosse, aumentò fino a 125.000, assorbendo ben due miliardi di dollari.

Gli sviluppi successivi furono impressionanti: l’élite scientifica del Progetto, composta da studiosi di primissimo piano come Bohr, Oppenheimer, Fuchs e Fermi riuscì, in pochissimo tempo, a completare lo sviluppo del primo prototipo di arma nucleare, compiendo gli esperimenti nella città americana di Los Alamos. Nel frattempo anche gli inglesi stavano elaborando alcuni studi in materia di armi atomiche: nel corso degli anni quaranta si intensificarono i rapporti fra gli scienziati dei due paesi, ma Roosevelt e Churchill decisero di tenere l’Unione Sovietica all’oscuro di tutto.

D’altro canto Stalin in persona era decisamente scettico sulla tecnologia nucleare; tuttavia l’Unione Sovietica poteva contare su una buona rete di informatori nel Progetto Manhattan, i quali successivamente si dimostrarono decisivi per la capacità nucleare sovietica.

Successivamente alla morte di Roosevelt ed alla fine del conflitto con la Germania, il neopresidente Truman creò una commissione per valutare l’utilizzo dell’arma atomica contro il Giappone, con il quale le ostilità erano ancora in corso. Il 16 luglio 1945, ad Alamogordo, alle 5.30 del mattino esplose la prima bomba atomica della storia, detta “Trinity”.

Il risultato fu, ovviamente, di impatto enorme. Alla successiva conferenza di Potsdam del luglio-agosto 1945 Harry Truman, che non era negli Stati Uniti quando avvenne l’esplosione, venne informato del risultato positivo. Il Presidente poteva così annunciare a Stalin ed all’Unione Sovietica il possesso di una nuova e devastante arma; tuttavia la notizia, con grande stupore americano, non impressionò per nulla il dittatore sovietico, che anzi, si dimostrò alquanto disinteressato alla cosa. Stalin, perfettamente al corrente degli sviluppi americani, stava segretamente procedendo ai medesimi studi; ma nell’occasione si comportò in modo freddo e distaccato.

Nessuno comprese che il silenzio del georgiano nascondeva invece una decisa padronanza degli sviluppi della bomba, costantemente monitorati dall’intelligence sovietica. La lunga guerra nel Pacifico e le prospettive non immediate di conquista del Giappone spinsero il presidente americano ad autorizzare il primo attacco nucleare della storia.

A tal riguardo si contrappongono due diverse linee di pensiero. Nella Conferenza di Postdam, Truman fu decisamente convinto a chiedere l’intervento sovietico contro i giapponesi; tuttavia aveva già avuto notizia del successo dell’esperimento ad Alamogordo. L’Unione Sovietica pertanto attaccò il Giappone fra l’8 ed il 9 di agosto del 1945, cioè dopo il lancio della prima bomba atomica. Molti hanno visto in questa azione americana, una dimostrazione di forza effettuata contro l’alleato (ma già in pectore avversario) sovietico, soprattutto per l’uso della bomba su Nagasaki.

Gli effetti militari dell’azione furono, tutto sommato, modesti; diversi furono quelli politici, molto più rilevanti. Da qui una scuola di pensiero considera l’uso dell’arma nucleare come un vero e proprio discrimen militare, cioè un elemento determinante per la cessazione del conflitto e per evitare l’alto tasso di vite umane alleate che sarebbero state spese per conquistare il Giappone casa per casa.

D’altro canto un’altra opinione vede l’arma nucleare come uno strumento politico di pressione e di forza rivolto direttamente a impressionare l’Urss: in altri termini “l’evidenza suggerisce che la bomba fu lanciata tenendo in anticipata considerazione il potere statunitense nell’aspetto mondiale postbellico, specialmente nei riguardi dell’unione sovietica. In effetti il lancio ebbe un peso significativo nel dare inizio alla guerra fredda”.

Il dibattito è ancora molto acceso al riguardo: astenendosi da posizioni partigiane si può però affermare che l’uso dell’arma nucleare fu idoneo a conseguire entrambi gli scopi, e pertanto, dal punto di vista americano, fu decisivo per segnare la momentanea supremazia statunitense sullo scenario post-bellico.

L’arma nucleare diveniva così l’anello di congiunzione fra le guerre totali della prima metà del Novecento e la nuova guerra della seconda metà. Curiosamente la Grande Enciclopedia Sovietica, distaccandosi dalle due precedenti opinioni, alla voce “bomba atomica” notava che “l’uso dell’arma atomica non era stato causato da alcuna necessità militare”. Dopo un intenso dibattito politico e scientifico connesso all’uso della bomba su di un obiettivo militare o in un’area per solo scopo dimostrativo, i vertici politici americani decisero di scegliere la prima opzione.

Il lancio della bomba doveva essere compiuto a sorpresa del mondo intero su di un obiettivo militare giapponese. Dopo una richiesta di resa alle forze nipponiche, seguita solo dal silenzio, il 30 luglio 1945 Truman approvò l’uso della bomba28. Concretamente, il primo attacco cominciò la mattina del 6 agosto 1945, quando l’aereo B-29 “Enola Gay” del 509° Gruppo si levò in volo alle 2.45 di mattina.

Quest’ultimo, insieme ad altri due velivoli si diresse verso Hiroshima, importante centro  industriale . Intorno alle 8 del mattino l’Enola Gay, al comando del colonnello Paul Tibbets, attaccava la popolosa città giapponese con “Little Boy”, una bomba atomica lunga 3 metri e contenente poco più di sessanta chili di uranio e con una potenza di circa 15 kilotoni.

Lo scoppio dell’ordigno nucleare, avvenne a circa seicento metri d’altezza. In un istante vi furono circa 80.000 morti, mentre altri 60.000 morirono nel giro di un anno; la popolazione all’origine era di circa 250.000 persone. L’aereo di Tibbets si allontanava dal cielo nel quale si ergeva minacciosa una colonna di fumo e detriti che, a grande velocità e con una temperatura spaventosa, disegnava nel cielo la forma di un fungo. L’81% di Hiroshima era stato polverizzato.

Il comando giapponese, dopo i primi problemi di comunicazione con la città, ebbe alcune difficoltà a comprendere l’entità dell’attacco: fu necessaria una ricognizione aerea per esaminare la spaventosa portata dell’arma nucleare, i cui effetti non erano nemmeno immaginabili per l’establishment militare giapponese.

In pochi istanti la potenza dell’atomo aveva raso al suolo tutte le infrastrutture esistenti nell’arco di diversi chilometri, incendiando e “bombardando” radioattivamente tutta l’area. Tre giorni dopo gli americani effettuarono un secondo attacco nucleare, questa volta diretto contro la città di Nagasaki: il 9 agosto del 1945 un altro aereo B-29 chiamato Bock’s car, agli ordini del capitano Frederick Bock si dirigeva verso la città di Kokura, intorno alle 9 del mattino, per compiere l’attacco.

Dopo una ricognizione meteorologica che indicava la presenza di cielo coperto, i bombardieri americani cambiarono obiettivo, e si diressero verso la città di Nagasaki. Intorno alle ore 11 avveniva il secondo attacco nucleare della storia, questa volta con una bomba al plutonio (“Fat Man”) invece che con una a uranio, con una potenza di 25 chilotoni, che esplose a circa 500 metri d’altezza. La città giapponese contava circa 250.000 abitanti, ma, a differenza di Hiroshima, presentava un rilievo collinare alquanto pronunciato.

Alcuni errori nella posizione e la non precisa individuazione del punto di lancio fecero si che una parte della città si salvasse dall’attacco atomico: morirono comunque 74.000 persone sul colpo. Il Progetto Manhattan si era realizzato con un ben tragico successo. Il Giappone acconsentiva alla pace, firmata il 2 settembre 1945. La fine della seconda guerra mondiale, cominciata con le tecniche della Blitzkrieg tedesca terminava così con una forza superiore a qualsiasi precedente arma umana: la forza dell’atomo, sulla quale si sarebbe poi retto il successivo confronto fra le due superpotenze uscite vittoriose – come nella “profezia” di Tocqueville – dal conflitto.

Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica guardavano così albeggiare la nuova sfida, illuminata dalla sinistra luce atomica. Ma nonostante le belle promesse delle dichiarazioni di pace, già era chiaro che dopo Hiroshima e Nagasaki nulla più sarebbe rimasto uguale. In effetti, la storia della Guerra fredda è stata nettamente imperniata sugli equilibri nucleari, ed è terminata a seguito dell’implosione sovietica dovuta al riarmo.

Le preoccupazioni nucleari portarono nel settembre del 1945 Henry Stimson, il Ministro della Difesa americano, a proporre a Truman l’idea di un accordo con i russi. Eliminata la minaccia nazista, che comunque aveva insistito più sulle armi a reazione come le V1 e le V2, rimaneva aperta la possibilità di una capacità nucleare sovietica, la quale sembrava alle potenze occidentali improbabile, lontana e difficile. Stalin intuì immediatamente che l’Unione Sovietica doveva dotarsi di strumenti nucleari, per non essere più debole degli americani, e poter tornare su di un piano di parità politico e militare.

A tal fine erano già state predisposte delle infiltrazioni di elementi filosovietici all’interno delle équipe che si occupavano del Progetto Manhattan: tali informatori, che annoveravano anche importanti scienziati come Fuchs, furono decisivi per permettere un veloce sviluppo della capacità nucleare sovietica. Secondo alcuni, già dal 1941 l’NKVD aveva percepito l’interesse inglese e americano verso un nuovo tipo di arma, grazie alle rivelazioni di John Caincross, un inglese informatore dei sovietici.

Nonostante le difficoltà tecniche, l’immane distruzione del territorio sovietico e l’arretratezza tecnologica, il programma sovietico ferramente diretto da Berija e curato scientificamente da Kurchatov, riuscì a far esplodere già nel 1949 in Kazakistan la prima bomba atomica al plutonio, dalla forza di 20 kilotoni.

La notizia sorprese gli americani e gli inglesi, i quali si immaginavano una capacità nucleare sovietica intorno al 1953, o addirittura successiva. Allo stesso modo anche la Gran Bretagna e la Francia sviluppavano i loro programmi nucleari. Com’era chiaro a tutti,le armi nucleari, e soprattutto l’iniziale squilibrio in favore degli Stati Uniti, costituirono da subito un tema delicato come quello delle sfere di potere che cominciavano a profilarsi all’ombra delle due superpotenze: intanto, il delicato equilibrio che sembrava regnare nelle conferenze di pace durante la guerra era ormai un lontano ricordo.

La progressiva sovietizzazione delle aree orientali dell’Europa e la crescita delle diffidenza fra i vecchi alleati fece velocemente scivolare il mondo in quella nuova fase conflittuale passata alla storia come “Guerra fredda”, la quale si resse decisamente sulle capacità nucleari delle superpotenze. Il sostegno della resistenza anticomunista greca, il piano Marshall ed il ponte aereo di Berlino avevano fatto tramontare quella strana alchimia che teneva uniti americani, russi ed inglesi.

Nel 1949 nasceva la Nato, e nell’estremo oriente la Repubblica Popolare Cinese; nel 1950 la comunista Corea del Nord guidata da Kim il Sung, separata da una fragile linea dalla repubblica consorella del Sud, con l’appoggio di Stalin attaccava la parte meridionale. La Guerra fredda aveva cominciato a muovere i suoi primi passi.

Intanto negli Stati Uniti i vertici politici e militari discutevano a lungo della famosa NSC-68, ovvero il National Security Council document number 68. Questa direttiva, nata poco dopo il test della prima bomba atomica sovietica, dichiarava la volontà americana di reagire all’espansionismo comunista, anche attraverso una massiccia politica di riarmamento convenzionale e nucleare. E, in effetti, poco mancò che nel conflitto coreano non apparissero pure le armi nucleari, come richiesto dal generale MacArthur.

Il termine del conflitto, nel 1953 fu reso possibile dalla morte di Stalin e dal conseguente riassestamento dell’impero sovietico nella transizione che da Malenkov portò Nikita Chruscev al potere, dopo aver eliminato il pericoloso Berija. Intanto nel 1952 gli Stati Uniti, preoccupati dalla parità sovietica, avevano accelerato le ricerche in materia di fusione nucleare, e fecero esplodere la prima bomba all’idrogeno con una potenza di 10 megatoni, “750 times more powerful than the 1945 Hiroshima explosion” guadagnando di nuovo la supremazia strategica sull’Unione Sovietica: l’amministrazione Eisehnower (1953-1961) cominciava sotto i migliori auspici, e con un vasto programma di armamento.

La portata della nuova arma era rivoluzionaria.. Tuttavia, fra il 1954 ed il 1955 i russi, sotto la direzione del fisico Sakharov, ripristinarono la parità facendo esplodere la propria bomba all’idrogeno. Il pericolo di una corsa alle armi nucleari fu uno dei motivi che portò alla costituzione della Comunità Europa dell’Energia Atomica (CEEA) più nota come Euratom, un’organizzazione internazionale costituita nel 1957 a Roma contemporaneamente al trattato della CEE (Comunità Economica Europea).

Questi due trattati si affiancarono al terzo, la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), e, a differenza di questo, non avevano una durata cinquantennale ma illimitata: per la precisione l’attività dell’Euratom “è limitata agli usi pacifici dell’energia nucleare”. In Europa, però, solo il Regno Unito e la Francia potevano possedere armi nucleari: il ruolo dell’Euratom era solamente civile. Tuttavia, il peso politico internazionale dei due stati tramontò dopo la crisi di Suez del 1956: la scena era ormai solo per le superpotenze, e Francia ed Inghilterra videro definitivamente tramontare il loro status di potenza, al contempo eroso dalla nascente decolonizzazione dei loro vasti imperi.

Nel 1957 l’Unione Sovietica riuscì a lanciare in orbita il primo satellite, lo Sputnik: si apriva l’era della Space rush, o la “corsa allo spazio”. Successivamente vennero pure mandati in orbita il primo animale (la cagnetta “Laika”) ed il primo essere umano, il cosmonauta Jury Gagarin. Lamentando un ritardo nelle tecnologie missilistiche, il “missile gap”, il giovane John Kennedy ebbe un formidabile argomento politico per la sua campagna elettorale del 1960: dopo la sua elezione, il presidente democratico ebbe modo di riaffermare la necessità di potenziare gli sviluppi missilistici americani, per renderli almeno pari a quelli sovietici.

Il tema spaziale, infatti, era ben lungi dall’essere una sola questione politica e tecnologica: in ballo vi era la superiorità strategica in materia di vettori nucleari, cioè il progressivo slittamento della capacità nucleare dai bombardieri ai missili caricati con bombe A od H. E fu proprio la scoperta delle installazioni segrete a Cuba che portò alla famosa “crisi dei missili”, ed al relativo punto più pericoloso di tutta la Guerra fredda, quando per tredici giorni Stati Uniti ed Unione Sovietica si fronteggiarono con il rischio di far scoppiare una guerra che avrebbe avuto dimensioni e costi (umani e materiali) inimmaginabili.

Il periodo successivo alla Crisi dei missili fu importante perché permise l’inizio di un dialogo attivo riguardo alle armi nucleari. Dal 1963 una serie di trattati internazionali in materia di armi nucleari concentrò l’attenzione delle superpotenze sugli equilibri nucleari. I dialoghi sfociarono nell’importante Non Proliferation treaty, firmato nel 1968, che creava un “doppio binario”, con alcune potenze armate nuclearmente ed il divieto per le altre.

A partire dal trattato NPT si può dire che le armi nucleari siano state al centro di una vasta serie di iniziative diplomatiche, dirette a limitarle o addirittura a bandirle da certe aree geografiche. Questa serie di iniziative di contenimento del pericolo nucleare sono state al centro di moltissimi accordi o progetti di accordo avvenuti anche a livello bilaterale solamente fra l’Urss e gli Stati Uniti. Il fatto che queste nazioni accettassero e si decidessero a negoziare questi temi ebbe comunque rilevanti decisioni su moltissimi aspetti geopolitici e militari mondiali.

La storia delle armi nucleari negli utlimi anni è stata quindi una storia di trattati e di accordi, tutti indirizzati al contenimento ed alla limitazione degli ordigni in un’ottica, alquanto utopica, di futura eliminazione degli stessi. Terminata la guerra fredda la deterrenza nucleare è passata in secondo piano, pur permanendo un elemento destabilizzante in alcuni contesti regionali fragili (medio oriente, estremo oriente) e comunque destinata tornare alla ribalta per la rinegoziazione del trattato START, la cui scadenza è ai primi di dicembre del 2009.

La situazione di oggi vede convivere alcuni stati “legittimamente” nucleari, cioè Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti a fianco di stati che de facto possiedono capacità nucleare, come India, Israele, Pakistan e Corea del Nord, ed infine altri stati che sembrano ambire allo status nucleare, come l’Iran. La non aderenza delle norme internazionali alla realtà dei fatti rappresenta oggi una delle maggiori criticità e delle principali sfide che le armi nucleari stanno ponendo alla comunità internazionale.

La cosiddetta “bomba atomica” è stata la prima applicazione militare nucleare, avvenuta, come noto, al termine del secondo conflitto mondiale. Per la precisione Busetto ricorda che la bomba atomica (conosciuta anche come “bomba A”) è un ordigno esplosivo, appartenente alle armi nucleari, che utilizza, invece di un esplosivo convenzionale, la fissione dell’uranio per produrre energia, la quale si manifesta nelle diverse forme di energia termica, meccanica e radioattiva.

In materia di applicazioni belliche dell’energia atomica occorre distinguere due diversi tipi si possibili procedimenti, entrambi scoperti nel corso degli anni trenta e quaranta ma realizzati a distanza di alcuni anni l’uno dall’altro. In entrambi i casi viene utilizzata l’enorme quantità di energia che deriva in un caso dalla fissione nucleare (bomba atomica o “bomba A”) e nell’altro dalla fusione nucleare (bomba termonucleare, o all’idrogeno o “bomba H”).

Il procedimento che conduce una massa di relativamente piccola di elementi a trasformarsi in una fonte incontrollabile di energia, capace quindi di essere centinaia di migliaia di volte più potente di qualsiasi esplosivo convenzionale è costituto dalla “rottura” dell’atomo di uranio in diversi sottoelementi (fissione nucleare) o dalla combinazione di due elementi che danno origine ad un terzo (fusione nucleare).

Affinché si possa verificare la seconda ipotesi, è necessario che la prima si compia, e sia pertanto in grado di fornire sufficiente energia in modo che la fusione possa avvenire. Nella prima ipotesi, invece, non sempre è necessario un esplosivo convenzionale per innescare la reazione di fissione nucleare. L’immensa quantità di energia rilasciata dalla prima soluzione, per quanto superiore a qualsiasi tipo di esplosivo convenzionale mai realizzato o fatto esplodere contemporaneamente, rappresenta comunque molto meno dell’energia rilasciata dalla fusione nucleare.

Pertanto, fissione e fusione danno origine a reazioni diverse come modalità, come elementi necessari e, soprattutto, come potenza rilasciata. Comprendere le differenze ed i procedimenti che conducono allo sfruttamento della potenza nucleare è pertanto essenziale per arrivare a capire come mai tali tipi di armi siano state le più normate a livello internazionale e bilaterale, nonché quelle alle quali solo pochi stati abbiano deciso di rinunciare.

Gli effetti che entrambe le reazioni producono, se lasciate incontrollate, differiscono solo dal punto di vista quantitativo, ma non qualitativo: ai fini bellici ciò che conta è la capacità meccanica di produrre effetti esplosivi e conseguenti onde d`urto tali da letteralmente “spazzare via” ogni tipo di oggetto, animato o non, che l’onda d`urto possa trovare sul suo cammino. Le eloquenti fotografie di Hiroshima e Nagasaki prima e dopo l’attacco nucleare sono alquanto esemplificative al riguardo, e sono state ampiamente corroborate e confermate dalle numerose testimonianze dei sopravvissuti.

Ove prima sussisteva un contesto urbano articolato e denso di strutture ed unità abitative, successivamente all’esplosione si è potuta notare l’uniformità delle macerie ed il completo azzeramento della trama degli edifici, a parte qualche rarissima struttura. L’esplosione dei due ordigni a fissione (quelli a fusione non sono mai stati ancora sperimentati in un contesto bellico), nonostante la loro rudimentalità, sono stati sufficienti a demolire in pochissimi istanti un’intera area urbana.

Allo stesso modo le reazioni di fusione nucleare, in quanto ancora più potenti, producono effetti simili, ma ancora più dannosi e violenti. Entrambe le armi nucleari sono in grado inoltre di generare grandi quantità di energia termica. Il calore enorme generato dalla fissione nucleare è comunque inferiore a quello della fusione, la quale ricrea, seppur per breve tempo, lo stesso fenomeno che avviene sul Sole e sulle stelle. L’energia termica rilasciata, per di più in un tempo brevissimo, è in grado di annichilire con la sua temperatura qualsiasi cosa si trovi all’interno del suo raggio di azione.

Questo effetto differisce dall’esplosivo convenzionale in quanto quest’ultimo non è in grado di competere con la capacità di calore sprigionata dall’atomo. Complementare ai danni causati dagli effetti meccanici, sostanzialmente simili a quelli dell’esplosivo convenzionale seppur diversi come quantità, vi sono poi gli effetti radioattivi, i quali mai si erano manifestati con le normali materie esplodenti.

Quando un esplosivo convenzionale è innescato, si realizza una reazione chimica che trasforma la materia in una serie di gas ad alta pressione, i quali si espandono, e producono l’esplosione. Un analogo procedimento avviene per le reazioni nucleari. La radioattività sprigionata dall’esplosione è in grado di contaminare l’area colpita (irradiata) con radiazioni particolarmente dannose per gli esseri viventi, e non solo.

Gli elementi che sono stati contaminati dalle radiazioni possono essere e sono facilmente trasportati dal vento: si pensi al pulviscolo o ad oggetti di dimensioni particolarmente minute. Il vento e gli altri agenti atmosferici sono perciò in grado di muovere gli elementi più piccoli verso aree diverse da quelle colpite, anche distanti centinaia di chilometri: il risultato è che ciò che è stato contaminato viene a spargersi su una superficie molto maggiore rispetto a quella interessata agli effetti termici e meccanici dell’esplosione.

Ad esempio nel caso di Chernobyl (pur non essendo una fissione o una fusione) gli elementi radioattivi si sparsero su tutta la parte settentrionale del globo, tanto che vennero rilevati fino negli Stati Uniti. Come noto, l’atomo si compone di protoni, neutroni ed elettroni. Ogni atomo possiede un nucleo, formato da cariche positive (protoni) e neutre (neutroni) circondato da una serie di cariche negative (elettroni) le quali avvolgono il nucleo girando intorno ad esso seguendo orbite definite “orbitali”.

Il numero atomico di un atomo è costituito dal numero di unità positive presenti nel nucleo, mentre la massa atomica è costituita dal numero dei nuclei in un atomo, compresi quindi anche i neutroni.  Le armi nucleari producono cinque effetti, che sono: il calore, che acceca e arriva a vaporizzare i corpi umani; lo scoppio; le radiazioni che si propagano immediatamente; la contaminazione di altri elementi non radioattivi, che possono di conseguenza contaminare zone non colpite dall’attacco, ed infine gli impulsi elettromagnetici, capaci di danneggiare le apparecchiature elettroniche.

Il neutrone ha una carica neutra ma ha la stessa massa di un protone. Elementi che presentano lo stesso numero atomico ma differente massa atomica sono definiti isotopi: tutti gli elementi ne hanno, ed alcuni ne hanno più di uno. Il decadimento di un nucleo avviene in quanto quest`ultimo cerca una configurazione più stabile: compiendo questo processo il nucleo rilascerà delle particelle o dell’energia. Il decadimento radioattivo da origine a due tipi di particelle alfa e beta, ed a un tipo di raggi, quelli gamma: la differenza fra queste, e di conseguenza la loro pericolosità risiede nelle loro dimensioni.

Mentre le particelle alfa e beta sono alquanto semplici da fermare (le loro dimensioni sono relativamente grandi) i raggi gamma, in quanto molto più piccoli, sono dotati di un potere di penetrazione molto maggiore. Di conseguenza per fermare i raggi gamma occorrono elementi pesanti e spessi (ad esempio il piombo), al contrario di ciò che avviene per i due tipi di particelle.

Da qui la pericolosità dei raggi gamma, i quali, possedendo una brevissima lunghezza d’onda e un’altissima frequenza, sono facilmente in grado di passare attraverso un corpo umano, e, se superiori a certe dosi, sono capaci di arrecare danni di notevole gravità. Va infine ricordato che le armi nucleari non hanno tutte la stessa potenza: va distinto il chilotone (la cui potenza è pari a mille tonnellate di tritolo) dal megatone, il quale corrisponde a un milione di tonnellate di tritolo.

L`energia rilasciata nel corso di un`esplosione nucleare è definita, con un termine inglese, yield, e si misura in chilotoni o megatoni: maggiore il “rendimento”, maggiore sarà il danno provocato. Il ministero della Difesa americano così ha classificato i cosiddetti “nuclear yields”: – Very low: less than one kiloton; – Low: one kiloton to ten kilotons; – Medium: over ten kilotons to fifty kilotons; – High: over fifty kilotons to five hundred kilotons; – Very high: over five hundred kilotons”.

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