Se ne parla molto in questi giorni. Ma forse non ci si rende conto del rischio che tutti corriamo solo a pronunciare quelle due parole: guerra nucleare. Così come da tempo le cosiddette armi di distruzione di massa evocano disastri potenziali. Non solo per le regioni interessate da anni da conflitti e tragedie.
Ho trovato un’interessante ricerca condotta dal dott. Stefano Felician, dell’Università degòo Studi di Trieste, nel 2009. Proprio sulle armi di distruzione di massa. Una tesi di laurea che poggia su documenti inoppugnabili ed affronta l’evoluzione di questi strumenti di morte. Cominciamo dalla storia di queste “bombe” micidiali, in grado di “distruggere una massa di esseri umani” in pochi secondi.
Mai come nel corso del secolo ventesimo il progresso della conoscenza ha condizionato l’uomo in tutti gli aspetti della sua vita. Le evoluzioni tecnologiche, la ricerca ed il progresso scientifico hanno fatto compiere all’essere umano enormi passi in avanti in tutti i campi del sapere e della conoscenza. A tale sviluppo non poteva di certo sottrarsi il settore militare, da sempre elemento trainante per lo sviluppo tecnologico.
Sono innumerevoli le invenzioni militari che successivamente hanno trovato un impiego “civile” così come da sempre tutti i soggetti politici, dagli Stati alle aggregazioni comunitarie più piccole, hanno sempre cercato di superare tecnologicamente l’avversario per ottenere il successo militare e politico e, quando ottenuto, conservarlo. Non sempre le migliorie tecnologiche e gli strumenti militari più sofisticati si sono rivelati vincenti; certo è che, però, nel corso degli ultimi secoli la complessità delle tecnologie e la loro padronanza hanno caratterizzato sempre di più tutti i conflitti.
A partire dalla guerra civile americana si è infatti compreso che la potenza industriale nordista, raffrontata alla debolezza confederata, era divenuta un elemento determinante per la vittoria del Nord. Allo stesso modo i successivi conflitti mondiali indicarono chiaramente come certe invenzioni, come ad esempio il radar, conferivano incomparabili vantaggi tattici e strategici alle forze combattenti.
L’evoluzione della conflittualità spingeva verso un tipo di guerra di annientamento, la temibile “guerra totale”: una sorta di attrito usurante destinato a far soccombere la parte che per prima non fosse riuscita a reggere gli incredibili costi economici, industriali e, soprattutto, umani, del conflitto. Di qui la necessità di ideare armamenti tali da poter eliminare completamente l’avversario, civile o militare che fosse.
Già durante la prima guerra mondiale comparvero nuove armi in grado di uccidere grandi volumi di persone: non si trattava della sola mitragliatrice, di per sé già idonea a mietere molte vittime, ma soprattutto dei gas. Utilizzati per la prima volta nel corso della battaglia di Ypres (Belgio) i gas asfissianti introdussero una nuova dimensione nella guerra. In pochi istanti centinaia di persone trovavano la morte fra spaventosi patimenti e sofferenze indicibili. Erano nate le armi chimiche.
Pochi anni dopo, sul finire della seconda guerra mondiale, per la precisione il 6 agosto del 1945, fece la comparsa sulla scena mondiale un nuovo tipo di arma: non si trattava di un’arma convenzionale, ma bensì di un nuovissimo risultato della tecnica, in grado di sfruttare un’energia che nessun tipo di arma era riuscita ad imbrigliare: l’energia nucleare. Era cominciata l’era atomica.
A fianco degli strumenti militari convenzionali, perciò si cominciarono ad affiancare nuove e sempre più temibili armi: quelle chimiche, quelle nucleari, quelle biologiche ed infine quelle radiologiche. Questa vasta serie di armamenti differisce da quelle ordinarie a causa delle enormi potenzialità distruttive possedute: queste sono le armi di distruzione di massa.
La dicitura “armi di distruzione di massa” (in inglese Weapons of mass destruction) se apparentemente sembra indicare una ben precisa categoria di armamenti, in realtà nasconde questioni politiche e strategiche legate alla stessa definizione. Inoltre è da considerare che la definizione delle stesse è sempre stato oggetto di scontro politico e ideologico, cosa che ha spesso determinato cambiamenti di nomi e di definizioni. Infine va considerato che ogni stato provvede a fornire la propria definizione delle stesse, così come fanno le organizzazioni internazionali: questo perciò complica ulteriormente la ricerca di una definizione univoca del termine “armi di distruzione di massa”.
Più semplice, forse, è identificare il significato partendo dalla dicitura: le armi di distruzione di massa sono innanzi tutto “armi”. In secondo luogo la definizione specifica la portata delle armi, il cui potenziale offensivo è connotato da una potenzialità (distruttività) molto elevata, “di massa”, in grado cioè di arrecare consistenti danni sia a strutture che ad esseri umani, a seconda delle proprie caratteristiche.
Tali armi sono oggi identificabili con alcune sigle, quali ABC, NBC, oppure NBCR, con le quali si intendono le diverse tipologie degli strumenti offensivi. La sigla “A” identifica il termine “atomico”, con ovvio riferimento alle armi nucleari. A tale lettera oggi si preferisce la “N” (di “nucleari”). Vi è poi la lettera “B”, che identifica le armi di tipo biologico mentre la lettera “C” quelle di tipo chimico. In alcune definizioni si trova anche la lettera “R”, cioè “radiologico”, con riferimento alle cosiddette “bombe sporche”.
Tendenzialmente si riscontra più omogeneità nella determinazione dei contenuti delle armi di distruzione di massa che nell’individuazione di un nome comune per tutte. In ogni caso va ricordato che ogni stato e ogni stuttura mililtare provvede a dare proprie definizioni delle armi di distruzione di massa, eventualmente ricomprendendovi o meno alcune categorie. Ad esempio la dottrina americana parla di armi CBRNE, intendendo con “E” gli “high explosives”, capaci anch’essi di portare grandi distruzioni.
Al momento non esiste una definizione mondiale comunemente accettata in materia; tuttavia, essendo la maggior parte della letteratura in materia elaborata dagli Stati Uniti è chiaro che essa abbia contribuito a fornire una sorta di linea generale per la definizione delle armi di distruzione di massa. Per questo oggi definizioni come NBC o NBCR sono comunemente accettate dagli Stati Maggiori e dalla letteratura scientifica come definizioni generali delle armi di distruzione di massa.
Come detto, la ricerca di strumenti in grado di sopraffare il nemico è sempre stata centrale per i sistemi politici e militari. Tuttavia, finché la dimensione bellica rimaneva confinata in dimensioni locali o non era sostenuta da una ricerca tecnologica forte come quella degli ultimi secoli, i conflitti si limitavano all’utilizzo di armi oggi definite “convenzionali”.
Per questo, nonostante le successive “rivoluzioni militari” gli armamenti rimanevano sempre limitati ad una dimensione caratterizzata da una letalità non indiscriminata . Era già usanza romana quella di lanciare cadaveri appestati all’interno di città assediate: d’altro canto nel 1347 i tartari fecero lo stesso, dando il via alla terribile “Peste nera” del 1348.
Questi esempi possono essere considerati meri espedienti tattici, e non utilizzo di armi di distruzione di massa: per raggiungere tale definizione, infatti, occorrerà aspettare l’alba del ventesimo secolo, e l’arrivo della “guerra totale”. Era la prima volta in cui si accennava a questo tipo di “nuovi” armamenti, a seguito soprattutto del bombardamento della città spagnola di Guernica , episodio che colpì particolarmente le opinioni pubbliche di tutto il mondo.
Successivi bombardamenti a tappeto avvenuti nella seconda guerra mondiale (a partire da quello della città inglese di Coventry) destarono la medesima impressione per l’altissimo tasso di vittime civili riscontrate. In questi casi, comunque, si trattava pur sempre di strumenti militari convenzionali adottati però su vasta scala. Ma in ogni caso la scelta di usare in modo più o meno esteso i bombardamenti non era legata alla tecnologia delle armi, ma solamente a scelte tattiche o strategiche.
Gas asfissianti erano già presenti negli arsenali militari e già stigmatizzati in un documento del 1925. All’epoca le bombe atomiche non esistevano ancora, e quelle biologiche erano ancora in fase di sperimentazione. Tuttavia notevole fu il potenziale distruttivo scatenato dagli aerei della “Legione Condor” i quali realizzarono a Guernica un attacco prodromico a quelli successivi del secondo conflitto mondiale.
Un’arma oggi rientrante fra quelle di distruzione di massa era già stata sperimentata: si trattava, come detto, dei gas asfissianti, utilizzati nel corso della prima guerra mondiale sul fronte occidentale. La comparsa di queste nuove armi avvenne nel corso di una battaglia presso la cittadina belga di Ypres, durante la quale le truppe tedesche colpirono le posizioni francesi con diverse tonnellate di cloro, scaricato sulle truppe impegnate in combattimento.
Le cronache raccontano che in pochi minuti l’aria divenne irrespirabile, le truppe vennero intossicate e in pochi minuti subirono migliaia perdite. Il gas, cloroetilsolfuro, era un aggressivo vescicante, incolore, e non volatile, caratterizzato dal forte odore di senape: in pochi minuti provocò, oltre ai decessi, vesciche, bolle ed infezioni . Le truppe francesi, non preparate ad un attacco del genere, ebbero una ritirata generale, che però non venne sfruttata adeguatamente dai tedeschi.
Così nel 1915 l’era delle armi chimiche era cominciata. L’attacco di Ypres fu la prima volta in cui, nel corso di un combattimento, vennero utilizzati su vasta scala delle armi definibili come “di distruzione di massa”: l’impressione nel mondo fu grandissima. I gas, in grado di annichilire in pochi istanti centinaia di uomini, per di più fra atroci tormenti, condizionarono il primo conflitto mondiale in maniera radicale: più che l’artiglieria, le mitragliatrici o la nascente arma aerea, erano i gas che avevano sconvolto le opinioni pubbliche e gli stati maggiori delle potenze belligeranti.
Allo stesso modo tali sostanze imposero l’adozione di idonee maschere antigas, inizialmente create artigianalmente dagli stessi soldati con fazzoletti imbevuti di sostanze reagenti. Il primo utilizzo bellico su vasta scala delle armi biologiche risale invece all’Unità 731 dell’esercito giapponese. Questo reparto segreto aveva come scopo quello di testare e verificare l’utilizzo di vettori biologici (ma anche chimici) e i loro effetti: a tal fine l’unità giapponese usò diversi sistemi di contaminazione, quali l’avvelenamento di pozzi e l’aspersione via aerea, per sperimentare la potenzialità dei prodotti sia sui prigionieri che sulla popolazione civile.
Le attività dell’Unità 731 emersero solo alla fine della seconda guerra mondiale, e, convenzionalmente, sono il primo esempio di uso (o, almeno, di sperimentazione di livello superiore alla ricerca scientifica) delle armi biologiche. Ben diverso è il caso dell’utilizzo dell’arma nucleare. Le potenzialità dell’atomo erano oggetto di studio già dalla fine del XIX secolo, ma fu soprattutto grazie all’opera di scienziati come Enrico Fermi e Robert Oppenheimer che gli Stati Uniti riuscirono, per primi, a sviluppare una capacità nucleare offensiva, per mezzo un nuovo tipo di arma: la bomba atomica.
Analoghi esperimenti erano parallelamente compiuti anche dagli scienziati sovietici e dal III Reich, anche se quest’ultimo era più indietro nello sviluppo di una vera a propria capacità militare nucleare. Negli Stati Uniti, invece, il “Progetto Manhattan”, riuscì a realizzare in pochi anni un’applicazione bellica della potenza atomica. Questo nuovo tipo di armamento, fu sottoposto alle “prove generali” di funzionamento ad Alamogordo, nel New Mexico, nel luglio del 1945.
Il secondo conflitto mondiale terminò con l’attacco nucleare americano a due città giapponesi, Hiorshima e Nagasaki, colpite rispettivamente il 6 ed il 9 agosto del 1945 da ordigni nucleari, gli unici al momento mai utilizzati in un conflitto. Il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, conosciuto come “guerra fredda”, vide assurgere le armi di distruzione di massa ad un ruolo centrale per gli equilibri geopolitici mondiali, vertenti soprattutto sulla minaccia nucleare e la sua dissuasione.
Al tramonto del conflitto 1939-1945, lo squilibrio fra le nazioni atomiche e quelle non atomiche era evidente: Stalin comprese subito che una potenza con ambizioni mondiali come l’Urss doveva raggiungere a tutti i costi la parità strategica con gli Stati Uniti. Per questo Mosca avrebbe dovuto dotarsi quanto prima di una capacità nucleare analoga a quella avversaria, e dall’agosto 1945 il programma nucleare sovietico assunse la massima priorità.
La mancanza di tecnologia ed il ritardo in materia spinsero il dittatore sovietico a realizzare una vasta serie di operazioni di spionaggio a danno degli americani, e lo indussero ad affidare la “regia” del programma nucleare a uno degli uomini più potenti dell’Unione Sovietica dell’epoca, il georgiano Laurenti Berija, comandante dell’NKVD, il servizio segreto sovietico.
Nell’arco di pochi anni ciò che sembrava pura utopia riuscì a compiersi: dalla fine del 1949 i sovietici erano in grado di allestire le proprie armi nucleari. Fu soprattutto questo, l’arma atomica, che caratterizzò la guerra fredda ed il confronto bipolare, e fin da subito si rischiò di utilizzarla: fu necessario l’intervento di Truman per impedire al generale Mac Arthur di usare l’arma nucleare contro la Corea del Nord.
Il resto del confronto bipolare si svolse costantemente sotto la minaccia nucleare, mentre si perfezionavano sempre più i vettori e le tecnologie. Se le armi nucleari furono degli attori protagonisti della guerra fredda, tuttavia non limitarono la loro presenza negli arsenali russi e americani. Anche la Francia, il Regno Unito e la Cina entrarono successivamente nel “club atomico” accompagnate dalla Corea del Nord, dal Pakistan, dall’India e da Israele.
Sul mondo gravava pesante la MAD, Mutual Assured Destruction, cioè la certezza che in caso di attacco nucleare l’avversario sarebbe stato spazzato via da un’uguale pioggia di ordigni nucleari. Si può infatti affermare che le armi nucleari ed i relativi vettori (con tutte le loro evoluzioni) ebbero un ruolo protagonista nel corso del conflitto fra est ed ovest. Anzi, le loro evoluzioni tecnologiche condizionarono tanto le dottrine geopolitiche quanto la stessa fisionomia dei trattati internazionali in materia, arrivando a determinare, infine, alcuni fra i momenti più delicati della seconda metà del ventesimo secolo.
Le altre armi di distruzione di massa comparvero più sporadicamente durante la guerra fredda, e, in ogni modo, non riuscirono mai ad assurgere all’importanza di quelle nucleari: tuttavia vi furono dei casi in cui vennero utilizzate in alcuni conflitti, come ad esempio nella guerra Iran-Iraq, o furono al centro di inquietanti incidenti, come nel caso di Sverdlovsk.
Il mondo post-bipolare si è aperto con il gravissimo problema dello smaltimento dell’arsenale nucleare sovietico, sparso fra diversi stati divenuti indipendenti e afflitti da gravissimi contrasti sociali ed economici, aggravati da un’instabilità politica conseguente alla transizione da un sistema totalitario ad uno democratico o presunto tale. Oltre a questo non sono mancati attacchi compiuti con gas asfissianti, come a Tokyo nel 1995 o attacchi batteriologici, avvenuti negli Stati Uniti nel 2001.
Tali attacchi non sono stati compiuti da stati sovrani, ma da articolazioni infrastatuali identificabili a volte come terroristi, a volte come fanatici o comunque come combattenti non convenzionali. Tali attacchi, avvenuti nei paesi occidentali ed in aree ad altissimo tasso di densità urbana ben rendono l’idea di quanto possa essere pericoloso un uso di strumenti di distruzione di massa nelle nostre società. Nonostante le diverse convenzioni internazionali che regolano l’argomento e la ben nota distruttività di tali armamenti, non è da escludere che qualche gruppo, organizzazione o setta possa nuovamente utilizzare elementi chimici, biologici o radiologici (per quelli nucleari il discorso è più complesso) contro le società attuali.
Affrontare questa minaccia richiede non più un semplice approccio connesso con l’ordine pubblico, ma bensì una convergenza fra le Istituzioni che si occupano di sicurezza, le Forze Armate e i soggetti che – a livello interno od estero – monitorano le attività di gruppi estremisti, fondamentalisti e terroristi internazionali, i più capaci di sfruttare le risorse economiche, le protezioni offerte da certi stati e i canali illegali per il rifornimento di questo tipo di armamenti.
Allo stesso modo le vulnerabilità di importanti trattati internazionali e alcune crisi regionali minacciano costantemente il processo di riduzione o quantomeno di contenimento della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Le armi nucleari sono sempre citate al primo posto quando si trattano le questioni inerenti le armi di distruzione di massa. Inoltre, quando si affrontano i temi inerenti le armi non convenzionali esse sono spesso messe al primo posto nelle sigle, come nei casi delle diciture NBC o ABC.
Le armi nucleari non sono state che le ultime arrivate (o, meglio, scoperte) nella storia delle armi di distruzione di massa. Eppure, nonostante la loro relativamente giovane “età” (se così si può dire) le armi nucleari sono state in grado di modificare radicalmente non solo la Storia, ma l’intera esistenza umana. Se si pensa al fungo atomico che irradiò Hiroshima il 6 agosto del 1945, immediatamente si è colti dallo sconcerto al pensiero che in pochi istanti quell’unica bomba, la famosa Little boy letteralmente “polverizzò” le vite di oltre centomila esseri umani.
La colorata colonna di fuoco, energia e calore che illuminò il cielo della città giapponese, definita da subito “fungo atomico” per la sua forma, segnava sì la fine del secondo conflitto mondiale, ma anche l’inizio della tetra era dell’equilibrio nucleare, e della sconcertante capacità umana di realizzare uno strumento idoneo ad eliminare radicalmente la vita di ogni sorta di essere vivente.
Da qui l’attenzione che tutti i soggetti internazionali dedicarono e dedicano alle tematiche nucleari, che nel corso degli ultimi sessant’anni si sono evolute moltissimo sia sotto i profili civili che militari. Incidenti come quello (mancato) di Three Miles Island e di Chernobyl (decisamente più rilevante), gli attacchi al Giappone, il pericolo del cosiddetto “inverno nucleare”, la crisi dei missili di Cuba, solo per citare alcuni eventi famosi, hanno condizionato le opinioni pubbliche mondiali, portando sempre più al centro del dibattito politico l’elemento nucleare ed il suo uso.
Non fanno eccezione a queste considerazioni le tematiche militari: basti pensare che durante la guerra fredda i sistemi missilistici strategici erano in grado di dettare le agende geopolitiche ed internazionali delle grandi potenze e dei loro rispettivi blocchi.
La bomba atomica aveva spazzato via una fase della Storia, aprendone un’altra ben più minacciosa. Dopo Hiroshima e Nagasaki era cambiata la Storia dell’umanità: allo stesso modo cambiarono le strategie, le dottrine d’impiego e, in sostanza, l’intera politica internazionale.
Ricostruire l’evoluzione dell’arma nucleare è un tema complesso sotto diversi punti di vista. Se il periodo storico da esaminare non è particolarmente vasto, l’attenzione internazionale riposta e la complessità del tema hanno permesso una vastissima serie di interventi e di pubblicazioni al riguardo. Come detto, le armi nucleari non solo sono state determinanti per la storia dell’umanità, ma hanno necessariamente portato a riflessioni che si sono allargate a moltissimi campi diversi, sia civili che militari.
E’ proprio l’interrelazione di tutti questi settori che ha reso il campo delle armi nucleari un tema che ancora oggi fa discutere governi, scienziati, accademici, militari e molte altre categorie. La scoperta della radioattività, una caratteristica principale dell’elemento componete le armi nucleari, cioè l’uranio, risale agli ultimi anni dell’Ottocento.
Il medico tedesco Wilhelm Conrad Röntgen fu il primo a scoprire, nel 1896, la radiazione elettromagnetica; pochi anni dopo il fisico francese Antoine Henri Becquerel rivelò la radioattività dell’uranio, cioè la capacità di quest’ultimo di emettere radiazioni, grazie alle impressioni lasciate dall’elemento su una lastra fotografica tenuta al buio. Studi successivi condotti dai coniugi Pierre e Marie Curie, soprattutto sulla pechblenda, identificarono altri elementi chimici in grado di emettere radiazioni, quali il polonio, il tellurio ed il radio.
Un ruolo decisivo nella progettazione dell’arma atomica lo ebbe il fisico italiano Enrico Fermi, il quale, nel 1934, insieme ai “ragazzi di via Panisperna” riuscì a realizzare la prima fissione nucleare, “bombardando” un nucleo di uranio con dei neutroni. Successivamente, nel 1938, gli scienziati tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann riuscirono a dimostrare sperimentalmente che un nucleo di uranio 235, se colpito da un neutrone, può dividersi in più frammenti, generando la fissione del nucleo, e molta energia.