AMMAZZARE IL TEMPO

– “Eugenio Montale, Ammazzare il tempo (da Auto da Fé. Cronache in due tempi. Il Saggiatore, Milano 1966)”

Il problema più grave del nostro tempo non è tra quelli che si vedono denunziati a carattere di scatola nelle prime pagine dei giornali; e non ha nulla in comune, per esempio, con il futuro status di Berlino o con l’eventualità di una guerra atomica distruggitrice di una metà del mondo. Problemi simili sono d’ordine storico e prima o poi giungono a una soluzione, sia pure con risultati spaventosi. Nessuna guerra impedirà l’umanità futura di vantare ulteriori magnifiche sorti nel quadro di una sempre più perfetta ed ecumenica civiltà industriale. Un mondo semi distrutto che risorgesse domani dalle ceneri, in pochi decenni assumerebbe un volto non troppo diverso dal nostro mondo d’oggi. Anzi, virgola oggi è lo spirito di conservazione che rallenta il progresso.

Qual’ora non ci fosse più nulla da conservare il progresso tecnico si farebbe molto più veloce. Anche l’uccisione su larga scala di uomini e di cose può rappresentare, a lunga scadenza, un buon investimento del capitale umano. Fin qui si resta nella storia. Ma c’è un’uccisione, quella del tempo, che non sembra possa dare frutto. Ammazzare il tempo è il problema sempre più preoccupante che si presenta all’uomo d’oggi di domani.

Non penso all’automazione, che ridurrà sempre più le ore dedicate al lavoro. Può darsi che quando la settimana lavorativa sarà scesa da cinque a quattro o a tre si finisca per dare il bando alle macchine attualmente impiegate per sostituire l’uomo. Può darsi che allora si inventino nuovi tipi di lavoro inutile per non lasciare sul lastrico milioni o miliardi di disoccupati; ma si tratterà pur sempre di un lavoro che lascerà un ampio margine di ore libere, di ore in cui non si potrà eludere lo spettro del tempo. Perchè si lavora? Certo per produrre cose e servizi utili alla società umana, ma anche e sopratutto, per accrescere i bisogni dell’uomo, cioè per ridurre al minimo le ore in cui è più facile che si presenti a noi questo odiato fantasma del tempo. Accrescendo i bisogni inutili si tiene l’uomo occupato anche quando egli suppone di essere libero.

“Passare il tempo dinanzi al video o assistendo a una partita di calcio non è veramente un ozio, è uno svago, ossia un modo di divagare dal pericoloso mostro, di allontanarsene. Ammazzare il tempo non si può senza riempirlo di occupazioni che colmino quel vuoto e poiché pochi sono gli uomini capaci di guardare con fermo ciglio in quel vuoto, ecco la necessità sociale di fare qualcosa, anche se questo qualcosa serve appena ad anestetizzare la vaga apprensione che quel vuoto si ripresenti in noi.

Come mazàr el temp

Eh sì, ‘sa vot. No l’è le miserie del mondo

che dovria farne paura
Ma sti minuti, ste ore che va ‘nvanti
E no te sai come empienirle
Ma cossa vot che sia
milioni de morti
per la fam, per le bombe
e altri milioni senza laoro
L’è da ani e ani
che gh’è ste robe
No, l’è el temp che te g’hai
quel che no te riessi
a copar del tut
Ma sì, te vardi la partia
te scolti la radio
te te perdi via entant
Ma no l’è quela so mare
El temp: che te manca
quando te ghe n’avressi bisogn
e che nol passa mai
quando te te scoioni
Fa en po’ ti, bocia
sto tema de taliam
Tanto te gavrai temp
per maurar
vist el temp che stem
passando
Tanto ghè to pare, to mare
che te fà da magnar
che te dà da dormir
fin che ghe n’è…

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