di Cornelio Galas
Leggo e sento, in questi giorni post-elezioni, un pianto greco misto a tanti senni di poi, a proposito della mancanza, nel nuovo consiglio provinciale trentino, di un rappresentante dell’Alto Garda e Ledro. Un comprensorio, pardon, una comunità di valle, pardon, una “doppia busa” (contando la Val di Ledro) che ora sarebbe, per la prima volta nella storia delle elezioni trentine, orfana di uno o più santi in paradiso. O quantomeno di chi, lassù a Trento, potrebbe almeno controllare la stanza dei bottoni: quelli che se li schiacci erogano contributi. Quelli che se li sai usare, porterebbero infrastrutture, crescita, benessere anche ai cittadini di questa zona.
Credo che sulla questione – peraltro, secondo me, posta in termini semplicistici, troppo emotivi e con pregiudiziali discutibili – occorra, una volte smaltite le delusioni, affidarsi ad analisi meno soggettive, meno partigiane, meno “municipalistiche”.
Basta rileggere i giornali dagli anni Settanta all’altro giorno, per rendersi conto che: 1. Le vacche grasse sono finite da tempo; 2. Chi ha rappresentato l’Alto Garda e Ledro in passato (ma anche l’altro ieri) non sempre ha soddisfatto le richieste (di maggioranza) della zona, a meno che non si riabilitino ora (ed è tutto dire) politici, non faccio nomi, che per ambizione od altro hanno ad un certo punto confuso lo spirito di servizio con qualcosa più legato alle loro necessità che a quelle della collettività.
Certo, c’è stato anche chi nell’aula provinciale ha portato le istanze locali. Riferite però più alla propria “ditta” politica che ai reali bisogni della comunità rappresentata. Non mi dilungo sui processi (non solo politici, purtroppo) che hanno portato alla diaspora dei partiti a favore di movimenti e sigle minori e quindi alla morte prematura (non ancora dichiarata: bisogna attendere per vedere se l’encefalogramma è veramente piatto) del centrosinistra autonomista.
Quanto alla Lega, che tutto ha fagocitato, credo che molto dipenderà dalle fortune (o sfortune) nazionali anche la tenuta del governo provinciale. Per il quale già s’intravedono le solite tensioni tipiche della spartizione delle poltrone.
Tornando all’Alto Garda e Ledro, mi sembra comunque evidente l’inutilità di commenti da “valle di lacrime” quando, come si dice, i buoi sono scappati ormai dalla stalla. Ma come – chiedo – siamo una comunità che non riesce nemmeno a pensare ad un comune unico e vorremmo essere rappresentati, tutti insieme, da una sorta di “delegazione” locale a Trento?
Per decenni abbiamo costruito doppioni, avuto punti nascita a Riva e ad Arco, due pronto soccorso, ecc. fino ad arrivare, obtorto collo, al monoblocco unico … ora senza guardie mediche, senza punto nascita, senza ortopedia, con pneumologia ridotta… E di chi è stata la colpa? Di Zeni, dicono. In realtà credo che l’ex assessore del Pd a Trento si sia trovato nelle condizioni di spegnere la luce perché tanti, prima di lui, non avevano pagato le bollette. E’ insomma, a mio parere, null’altro che l’atto finale di un progressivo smantellamento dell’ospedale di Arco.
Per non parlare, cambiando argomento, di “guerre dei cinquant’anni” su: 1. Come e perché fare la Loppio-Busa; 2. Dove e perché fare il teatro comprensoriale; 3. Dove e perché fare il Palazzetto dello Sport; 4. Se Riva ha le fiere cosa dare ad Arco? 5. Capannoni artigianali o parco agricolo? Ovviamente potrei andare avanti per ore. Ma mi fermo qui. E aspetto le reazioni di chi vive ancora all’ombra dei campanili e non si accorge che, con o senza “rappresentanti” in Provincia, l’Alto Garda e Ledro dovrà d’ora in poi cercare di unire le proprie forze, invece che disperderle, se non vuole diventare davvero la tanto deprecata e malaugurata “periferia dell’impero”.