ALTO ADIGE, CACCIA ALL’ORO NAZISTA – 4

a cura di Cornelio Galas

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L’oro trafugato dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale fa ancora gola a molti, tanto da far convocare a distanza di decenni perfino conferenze internazionali. Un capitolo di questa vicenda è tutto italiano: il caso delle riserve della Banca d’Italia fatte portare dalle SS a Fortezza, in Alto Adige. Gran parte di quell’oro – oltre 90 tonnellate – a fine guerra non è rientrato nei forzieri di Palazzo Kock. In compenso molti – compresi i servizi segreti – l’hanno cercato. Fino a quando un magistrato ha detto stop …

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Questo, in sintesi, quando scrive il giornalista Gian Paolo Pelizzaro in un accurato servizio intitolato “A caccia del Nazi Gold”. Ne proponiamo ampi stralci. Prima, però, una cronologia. Per ricapitolare quanto abbiamo finora visto nelle precedenti puntate.

Cronologia

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20 settembre 1943: su ordine di Berlino, i militari tedeschi, guidati dal tenente colonnello Kappler, si presentano in via Nazionale per chiedere il trasferimento dell’oro della Banca d’Italia al Nord.

22 settembre 1943: una prima tranche di oro viene trasferita in treno a Milano presso la locale filiale della Banca d’Italia.

28 settembre 1943: viene completato il trasferimento delle oltre 119 tonnellate dello stock aureo.

16 dicembre 1943: su richiesta tedesca, l’oro viene spostato presso il forte asburgico di Fortezza, in Alto Adige.

18-19 dicembre 1943: l’oro viene occultato nella galleria-bunker di Fortezza dove la Banca d’Italia crea un’agenzia distaccata per non perdere il contatto con la riserva aurea. Responsabile dell’agenzia è Paolo Carlo Della Torre.

5 febbraio 1944: firma dell’accordo italo-tedesco di Fasano che mette a disposizione della Germania le riserve auree italiane.

29 febbraio 1944: in ottemperanza dell’accordo di Fasano, viene spedito a Berlino un primo quantitativo d’oro pari a circa 50 tonnellate, acquisite dalla Reichsbank e in parte dal ministero degli Esteri tedesco.

20 aprile 1944: viene spedita in Svizzera una partita di oro di 23,4 tonnellate per onorare gli impegni presi a suo tempo con la Banca Nazionale Svizzera e la BRI.

21 ottobre 1944: viene spedito anche il secondo quantitativo d’oro a Berlino pari a 21,4 tonnellate.

Febbraio-marzo 1945: con l’avvicinarsi del fronte, i tedeschi spostano l’oro conservato presso la Reichsbank nella miniera di potassio di Merkers-Rohn in Turingia.

Primavera 1945: l’oro italiano acquisito dal ministero degli Esteri tedesco viene occultato in parte nello Schleswig-Holstein e in parte in Austria.

29 aprile 1945: i tedeschi consegnano a Della Torre la terza chiave della porta corazzata della galleria di Fortezza.

6 maggio 1945: ufficiali americani eseguono un sopralluogo a Fortezza e recuperano l’oro italiano residuo, circa 25 tonnellate.

17 maggio 1945: l’oro di Fortezza torna nella sede della Banca d’Italia in via Nazionale sotto il controllo delle autorità militari alleate.

Lord MacKay looks down at his notes before announcing the publication of the report on the Nazi Gold Conference August 24. The conference, held in London last December, addressed the seizure of huge quantities of gold by the Nazis from central banks of countries they occupied during the Second World War and from individual victims of Nazi persecution. - RTXI2R3

Londra, 2 dicembre 1997, distretto di St. James: si apre alla Lancaster House, una delle sedi storiche più prestigiose del Foreign and Commonwealth Office, la Nazi Gold Conference, presieduta da lord James Peter Hymers Mackay, barone di Clashfern, già Lord Cancelliere nel governo del conservatore John Major. Introducono i lavori il ministro degli Esteri britannico, il laburista scozzese Robin Cook, e l’emissario del presidente americano Bill Clinton, il democratico Stuart Eizenstat, sottosegretario di Stato per l’Economia, Business e Affari Agricoli.

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L’organizzazione della Conferenza è affidata a Greville Janner, lord of Braunstone, gallese di Cardiff, classe 1928, membro laburista della Camera dei Lord, dal 1979 al 1985 presidente del Board of Deputies of British Jews, membro fra l’altro del Magic Circle e dell’International Brotherhood of Magicians.

Voluta fortemente dal governo americano per fare il punto sul piano storico, politico e diplomatico dopo le prime conclusioni conseguite con il “Preliminary Study on U.S. and Allied Efforts To Recover and Restore Gold and Other Assets Stolen or Hidden by Germany During World War II” (curato dallo storico William Z. Slany), pubblicato dal Dipartimento di Stato nel maggio del 1997, la Conferenza internazionale di Londra sull’oro che i nazisti depredarono tra il 1938 e il 1945 vide la partecipazione di 41 Paesi (Albania, Argentina, Austria, Bielorussia, Belgio, Bosnia Erzegovina, Brasile, Bulgaria, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Israele, Italia, Jugoslavia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceka, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria e Uruguay), la Santa Sede come osservatore, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), la Commissione Tripartita e alcune organizzazioni non governative (World Jewish Congress, World Jewish Restitution Organization, European Jewish Congress, European Council of Jewish Communities, American Jewish Joint Distribution Committee e l’International Romani Union).

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La delegazione italiana, guidata da rappresentanti qualificati della Banca d’Italia e del governo (all’epoca presidente del Consiglio era Romano Prodi), portò a Londra una dettagliata memoria pubblicata con il titolo “The story of the gold deposited at the Bank of Italy (1943-1958)” poi inserita nel volume che raccoglie tutti gli atti della Conferenza e che il governo britannico ha reso pubblico l’anno seguente (“Nazi Gold. The London Conference 2-4 dicembre 1997”).

Romano Prodi

Romano Prodi

Il 22 e 28 settembre 1943, infatti, su ordine del maresciallo del Reich Hermann Goering e del ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, i nazisti trafugarono dal caveau di Palazzo Koch in via Nazionale a Roma 119 tonnellate di oro (per l’esattezza 119.252 kg) della riserva aurea della Banca d’Italia. Una tranche di questo stock aureo (23,4 tonnellate) venne dirottata in alcune banche e istituti di credito elvetici.

Altre due parti (rispettivamente di 49,6 e 21,4 tonnellate) vennero trasferite a Berlino mentre solo un “residuo” di circa 25 tonnellate (per l’esattezza 24.765 kg) venne ritrovato dalle truppe americane nella caverna-bunker del Forte militare asburgico di Fortezza, in provincia di Bolzano, il 6 maggio 1945, appena quattro giorni dopo la resa delle forze armate tedesche in Italia.

Joachim von Ribbentrop

Joachim von Ribbentrop

Proprio a Bolzano, nelle ultime settimane di aprile 1945, nel Palazzo del Duca di Pistoia (Palazzo Ducale) presso il quartier generale del comandante di tutte le forze di polizia e delle SS in Italia, il generale Karl Wolff, si giocò la parte finale e decisiva della trattativa segreta (nota col nome in codice di Operation Sunrise) che portò alla capitolazione dell’esercito tedesco e della RSI e alla fine della guerra in Italia.

Nel quartier generale delle SS di Bolzano l’OSS (il servizio strategico americano) aveva infiltrato, con l’aiuto proprio di Wolff, un proprio agente, Vaclav Hradecky (nome di copertura Little Wally), un cecoslovacco addestrato come operatore radio, responsabile dei collegamenti con il quartier generale alleato (AFHQ) a Caserta. La resa venne firmata il 29 aprile 1945 e divenne esecutivo per tutte le forze germaniche schierate sul teatro italiano a partire dalle ore 12 del 2 maggio 1945.

KARL WOLFF

KARL WOLFF

Come emerge dal rapporto italiano e dal successivo saggio di Sergio Cardarelli e Renata Martano “I nazisti e l’oro della Banca d’Italia” (Laterza, 2000), la fonte principale di cui si dispone per seguire gli avvenimenti dell’oro di Fortezza «è una lunga monografia redatta nel 1968, con l’intento di pubblicarla, da uno dei protagonisti della vicenda, Paolo Carlo Della Torre, che fu prima responsabile dell’agenzia della Banca d’Italia creata a Fortezza appositamente per sorvegliare l’oro e poi vicedirettore della Filiale di Bolzano, da cui l’agenzia dipendeva».

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Ebbene, le circostanze del recupero da parte degli Alleati sono raccontate con precisione nel memoriale di Paolo Della Torre. Il 29 aprile 1945, i tedeschi, ritirandosi da Fortezza, consegnarono la terza chiave (in seguito all’accordo di Fasano, firmato il 5 febbraio 1944 dal segretario generale del ministero degli Affari Esteri Serafino Mazzolini, dal ministro delle Finanze della Repubblica Sociale Domenico Pellegrini Giampietro e, per il governo di Berlino, dall’ambasciatore tedesco Rudolf von Rahn, erano state predisposte tre copie della chiave della galleria dove era nascosto l’oro) della porta corazzata del bunker a Della Torre.

SERAFINO MAZZOLINI

SERAFINO MAZZOLINI

«La Banca d’Italia già deteneva gli altri due esemplari e le tre chiavi vennero conservate nella cassaforte della filiale di Bolzano dell’istituto di emissione». Il punto è questo: «Il 6 maggio 1945 alcuni ufficiali dell’esercito americano, arrivati a Bolzano già da qualche giorno, chiesero alla locale sede della Banca d’Italia di visionare il contenuto della galleria di Fortezza”. Il memoriale Della Torre non indica come, ma genericamente annota che i militari statunitensi erano “indubbiamente venuti a conoscenza dell’esistenza in Fortezza del Tesoro”, considerazione che porterebbe a escludere che l’informazione venne fornita agli Alleati dalla Banca d’Italia».

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Lo stesso giorno, il 6 maggio, venne effettuato un sopralluogo e le autorità militari americane chiesero e ottennero, non senza resistenza da parte italiana, la consegna delle chiavi del bunker. «Dopo un’attenta ricognizione e verbalizzazione dell’oro ritrovato – precisano Cardarelli e Martano – il successivo 17 maggio il comando alleato spedì alla Banca d’Italia a Roma l’intero ammontare delle riserve residue. Si trattava di 153 barili di ferro contenenti oro in verghe e di 55 bisacce di monete chiuse in cassette di legno, per un peso complessivo di kg 24.765,2».

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Il metallo, tuttavia, seppur tornato materialmente nei forzieri di via Nazionale, era conservato presso l’istituto per conto del comando alleato anglo-americano che ne aveva il completo controllo, detenendo in esclusiva le chiavi di accesso al caveau. La restituzione dell’oro di Fortezza allo Stato italiano era, infatti, subordinata alla ratifica del Trattato di Pace. La ratifica avvenne il 31 luglio 1947 in Assemblea costituente con 262 voti favorevoli, 68 contrari e 80 astenuti e firmata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 6 agosto:

«Una volta ratificato il trattato nell’estate 1947, le cose cominciarono a muoversi velocemente. Tra settembre e ottobre venne perfezionato il protocollo per la restituzione della partita di oro di Fortezza in carico agli anglo-americani e il 15 ottobre 1947 ebbe luogo la cerimonia ufficiale che sancì la presa in carico del metallo da parte della Banca d’Italia».

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Mancava però all’appello il restante quantitativo: oltre 94 tonnellate di oro (per l’esattezza 94.487 kg) che, prelevate dai tedeschi dalla Banca d’Italia nel settembre 1943, sembrano poi essersi volatilizzate…

L’argomento maggiormente trattato ed investigato durante i lavori della Conferenza di Londra fu il ruolo avuto dalla Svizzera come negoziatore principale dell’oro del Terzo Reich. Da mesi, le principali istituzioni bancarie e finanziarie della Confederazione Elvetica erano al centro di una violenta campagna stampa internazionale.

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La Svizzera era stata chiamata a fare i conti con una delle più controverse e minacciose questioni della propria storia nazionale e che rimandava ai giorni della Seconda guerra mondiale quando il Reich di Adolf Hitler, a seguito delle rapide e vastissime conquiste militari conseguite in Europa, aveva iniziato a mettere al sicuro in territorio elvetico ingentissime quantità di oro e altri metalli preziosi trafugati in tutto il Continente come “bottino di guerra” o sottratti a centinaia di migliaia di legittimi proprietari privati, in particolare agli ebrei.

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Come rilevano Cardarelli e Martano, il Paese che aveva effettuato il maggio numero di transazioni in oro con la Germania nazista era senza dubbio la Svizzera che, secondo i dati raccolti dagli Alleati, «aveva ricevuto oro dalla Reichsbank per almeno 289 milioni di dollari (pari a 256,8 tonnellate)». Una vicenda colossale nell’orbita della quale era finita anche una parte consistente della riserva aurea della Banca d’Italia, trafugata dai tedeschi nel settembre del 1943.

Il governo elvetico, come risposta a questa enorme pressione politico-mediatica, reagì con fermezza e determinazione, lanciando un chiaro segnale alla comunità internazionale: il 24 ottobre 1997, senza alcun preavviso, il ministero delle Finanze e la Banca Nazionale Svizzera rendevano noto che «per contribuire con 7 miliardi di franchi alla creazione di un ulteriore fondo di solidarietà destinato a risarcire le vittime delle razzie compiute dai nazisti soprattutto a danno degli ebrei», avrebbero messo in vendita 1.400 tonnellate di oro, pari alla metà delle proprie riserve auree.

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Un cataclisma per i mercati finanziari. In pochi giorni, le quotazioni dell’oro crollarono da 323 a 285 dollari l’oncia. La manovra, ampiamente studiata e valutata, era stata annunciata dopo che erano state messe in sicurezza alcune informazioni di vitale importanza per il sistema economico-finanziario e del credito elvetico: nel dicembre 1996, infatti, per iniziativa del governo di Berna era stata istituita una commissione indipendente di esperti, presieduta dallo storico svizzero Jean-François Bergier, che congedò un primo rapporto intermedio nel maggio del 1998 (titolo “La Svizzera e le transazioni in oro durante la Seconda guerra mondiale”). Questi i principali retroscena della Conferenza internazionale di Londra. Ma c’è dell’altro.

Karl Hass

Karl Hass

Il 6 giugno 1996, Karl Hass, classe 1912, ex maggiore delle SS già responsabile dell’Ufficio o Sezione VI, la struttura del servizio di sicurezza tedesco (SD) che operava a Roma durante l’occupazione, viene interrogato dal pubblico ministero Antonino Intelisano della Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma, nell’ambito del processo a carico dell’ex capitano delle SS Erich Priebke per il massacro delle Fosse Adreatine.

Erich Priebke

Erich Priebke

Fra le altre cose, Hass dichiara:

«Quanto alle notizie di stampa relative alla vicenda del cosiddetto “Oro di Fortezza”, posso precisare che negli anni Ottanta era stata costituita una società commerciale allo scopo di cercare di reperire un notevole quantitativo di oro che sarebbe stato portato via dalle truppe tedesche dopo aver lasciato Roma per fare rientro in Germania e seppellito nei pressi del confine italo-austriaco.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Tale società si era anche dotata di un metal-detector ed aveva localizzato il deposito sotterraneo, quando era intervenuto il giudice dott. Carlo Palermo, allora in servizio presso il Tribunale di Trento, per ordinare la sospensione dei lavori per mancanza delle autorizzazioni necessarie. Entrai solo marginalmente in tale vicenda perché fui richiesto di un parere da parte della ditta suddetta in quanto si riteneva che io disponessi di informazioni al riguardo, al pari dell’altra vicenda relativa all’oro che si dice nascosto nelle viscere del Monte Soratte, ove era ubicato il quartier generale del feldmaresciallo Kesselring».

Il Generalfeldmarschall Albert Kesserling

Il Generalfeldmarschall Albert Kesserling

Hass, dopo la fine della guerra, entrò nell’orbita nel ministero dell’Interno italiano e dei servizi segreti militari americani. È lui stesso, nel memoriale che ha presentato al Tribunale Militare il 26 giugno 1997, a precisare la circostanza:

«Dopo la fine della guerra vivevo clandestinamente in Italia. La mia proprietà in Germania si trovava nella zona sovietica. Nel periodo 1945-1947 fui arrestato più di una volta, ma riuscii sempre a fuggire dai campi di concentramento. Dopo la mia ultima fuga, da Rimini nel luglio del 1947, trovai rifugio in un convento di Fermo (Ascoli Piceno).

Karl Hass

Karl Hass

Nel dicembre dello stesso anno si presentò davanti all’istituto religioso un ufficiale americano che chiese la mia collaborazione contro il nemico comune. Accettai, considerato che per me era l’unica possibilità. Fui portato a Linz, in Austria, dove lavoravo in un ufficio del SAS e del MIS [sezioni dei Counter Intelligence Corps a cui era affidata l’attività di spionaggio all’estero, NdA] come interprete. Questo servizio collaborava già col servizio segreto del ministero dell’Interno italiano a Roma. Gli americani mi trasferirono a Roma dove raccoglievo informazioni politiche che tramite il SIM venivano trasmesse, attraverso l’ufficiale americano Louis Longo, agli americani in Austria.

Karl Hass

Karl Hass

Ricevetti dai servizi di Roma, senz’altro su invito degli americani, due passaporti col nome Giustini, uno per me e uno per la mia futura moglie, Giglioli […] Nel 1953, fui avvicinato da un collaboratore dei servizi segreti tedeschi, l’Ufficio Plack del ministero degli Interni, e pregato di stabilire un contatto tra Bonn e il ministero dell’Interno italiano. Restituii i passaporti Giustini e mi recai all’Ambasciata tedesca per farmi dare un passaporto col mio vero nome: Karl Hass. Il ministero dell’Interno di Roma mi diede il permesso di soggiorno in Italia e la residenza; prima a Marino e poi, dal 1980 ad oggi, ad Albiate Brianza (Milano).

Karl Hass

Karl Hass

Dopo il 1966, mi sono occupato di varie attività come il cinema (compare nel film di Luchino Visconti “La caduta degli Dei” del 1969), il commercio e infine come traduttore e insegnante di lingue straniere (lezioni private)».

Il giorno dopo il suo interrogatorio, forse consapevole del fatto che la sua immunità come ex agente segreto stava per crollare e che il suo status di testimone aveva le ore contate, Hass cercò di lasciare l’Hotel Gerber di Roma calandosi dal terrazzo, ma scivolò e rovinò al suolo procurandosi una serie di fratture. Questo strano episodio fu decisivo per la pubblica accusa che lo incriminò al pari di Priebke.

La giacca di Hass rimasta impigliata nel balcone dell'albergo romano dal quale aveva tentato la fuga

La giacca di Hass rimasta impigliata nel balcone dell’albergo romano dal quale aveva tentato la fuga

Il 10 settembre 1996, Hass veniva interrogato di nuovo, questa volta come persona sottoposta ad indagini. Sul trafugamento dell’oro della Banca d’Italia l’ex maggiore delle SS dimostrò di saperne molto di più rispetto al primo verbale:

«L’operazione fu realizzata su richiesta del ministero delle Finanze tedesche [Walter] Funk, il quale inviò in Italia il funzionario [Maximilian] Bernhuber, questi tramite l’Ambasciata tedesca diede l’incarico a Kappler di prelevare l’ingente quantitativo di oro dai depositi della Banca d’Italia in Roma per portarlo in Germania. Materialmente l’operazione fu realizzata dai paracadutisti tedeschi di stanza in Roma su richiesta del Kappler medesimo.

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Il luogo di destinazione pare fosse una fortificazione occupata dai tedeschi sita in Fortezza. Il trasporto avvenne mediante vagoni ferroviari due dei quali, all’arrivo a Fortezza, furono staccati e avevano come destinazione la Svizzera. Ritengo che nel periodo successivo al 1945 una certa quantità di oro – probabilmente quella già inviata in Svizzera – venne restituita alla Banca d’Italia per il tramite delle autorità americane».

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A questo punto Hass chiarisce meglio il suo ruolo nell’operazione di recupero di parte dell’oro messa in piedi tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta:

«In effetti il mio supposto ruolo in tutta la vicenda è nato da altra vicenda parallela che passo ad esporvi. Avevo costituito un sodalizio anche di affari oltre che di amicizia con un ex sottotenente dei paracadutisti tedeschi, Harald Embke (avevamo una società di import-export). Quando cessò la nostra attività commerciale nel settore dei giocattoli, Embke divenne segretario di un ex colonnello americano a Roma, tale Blair, che importava carbone dalla Nigeria o dalla Liberia per poi rivenderlo all’azienda comunale ACEA di Roma, il quale frequentava, fra gli altri, Glauco Partel.

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Questi, detto “il von Braun di Monfalcone”, fabbricava tra l’altro missili portatili e si occupava in genere di armi. Era altresì molto amico del colonnello dei CC [Massimo] Pugliese che allora aveva un incarico di comando in Sardegna. Siamo nei primi anni Ottanta. Del gruppo faceva anche parte tale ing. Cavalloni di Milano, ora defunto. Io venni contattato dal Cavalloni il quale mi chiese se io conoscessi come rintracciare il preteso tesoro di Kesselring, nella zona che era stata il quartier generale tedesco in Italia a Monte Soratte.

Io risposi che ogni tentativo di rintracciare il preteso tesoro nell’anzidetta località si era rivelato vano oltre che dispendioso per coloro che avevano provato a cercare il tesoro e dissi che invece valeva forse la pena di provare a cercare l’oro già nascosto a Fortezza. La mia idea trovò consenso tanto che Cavalloni si incaricò di acquisire i permessi di ricerca che coinvolgevano cinque o sei ministeri, riuscendo ad ottenere le necessarie autorizzazioni.

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Dell’impresa faceva parte anche un commerciante di automobili, tuttora in vita, tale Gianni Trivaini di Milano. Venne anche acquistato un metal detector e furono iniziate le ricerche. Pare che il congegno di rilevazione idoneo a localizzare la presenza di materiale aurifero avesse già dato riscontri positivi in ordine all’effettiva presenza di metallo interrato, quando intervenne il giudice Palermo a sospendere le operazioni».

In effetti, sia Partel che Pugliese erano due delle decine di indagati della maxi istruttoria su un presunto traffico di armi internazionale condotta da Carlo Palermo, giudice istruttore presso il Tribunale di Trento. L’inchiesta, nata nel novembre del 1982, finì in una bolla di sapone, gli imputati assolti e il mistero dell’oro di Fortezza rimase sepolto negli atti giudiziari per anni, finché non tornò alla ribalta nel contesto del processo Priebke.

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Nella sua memoria-denuncia contro Carlo Palermo “Perché nessuno fermò quel giudice”, il colonnello Massimo Pugliese scrisse dopo il suo proscioglimento in tempi non sospetti:

«Ma il giudice Palermo non accettava limiti di nessun  genere e, quindi, anche l’oro della Banca d’Italia, portato via dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, non poteva non costituire oggetto della “sua” inchiesta. L’aggancio glielo offrì una memoria che era stata sequestrata nell’ufficio di Glauco Partel.

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L’inventore, con la meticolosità del notaio, aveva registrato che il 13 aprile 1977 un anziano maggiore delle SS, Hass, era andato a trovarlo con un suo camerata, l’ex tenente paracadutista Embke, e gli aveva portato una dichiarazione rilasciata pochi giorni prima dall’ex colonnello delle SS Herbert Kappler, degente nell’ospedale militare “Celio” a Roma. In quella dichiarazione, il colonnello Kappler affermava che nel 1944, quando comandava a Roma la “polizia di sicurezza”, ricevette l’ordine da Himmler di sequestrare il tesoro della Banca d’Italia e di trasferirlo in Germania.

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Kappler mise in contatto l’inviato di Himmler con un reparto di paracadutisti tedesco, che eseguì l’operazione. Il tesoro della Banca d’Italia, costituito tra l’altro di 80 tonnellate di lingotti d’oro [come abbiamo visto erano molte di più NdA], fu trasportato dalle SS verso il Nord, ma Kappler, che non aveva partecipato all’operazione, non seppe dove realmente andò a finire.

Il maggiore Hass, invece, dopo la fine della guerra svolse indagini personali, ricostruì – a suo modo – quella vicenda e si convinse che il tesoro era finito in parte in una banca svizzera, in parte in una zona militare vicino a Bolzano, nella cittadina di Fortezza.

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Partel – prosegue Pugliese – incontrò più volte il maggiore Hass per studiare la maniera di recuperare quell’oro e si rivolse a numerose persone alle quali faceva pervenire copia della documentazione. Anche Vincenzo Giovannelli [un agente marittimo e spedizioniere di origine veneta, già agente del centro SIFAR di Cagliari e collegato a Pugliese NdA] ne ricevette un esemplare e lo consegnò subito al maresciallo Antonio Procedda.

Quando pervenne alla direzione del SISMI, dopo le valutazione del caso, quel documento fu archiviato perché inattendibile e privo di qualsiasi sbocco. Maggiore attenzione quei documenti incontrarono invece nel giudice di Trento. Appena ebbe la dichiarazione del colonnello Kappler, il giudice Palermo senza perdere tempo dispose ricerche nell’area militare di Fortezza, facendo affluire rivelatori magnetici e trivelle, scavatrici e squadre di operai, fra i commenti salaci e lo spasso dei militari e degli abitanti della zona».

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«Costose indagini – scriverà il Tribunale di Venezia nella sentenza del 1° febbraio 1988 – sono state condotte per la ricerca del cosiddetto oro di Fortezza, che si riteneva occultato nel sottosuolo della cittadina dell’Alto Adige. Nonostante gli scavi effettuati, nulla è venuto alla luce, sicché il relativo capitolo – più anomalo di ogni altro, fu aperto e chiuso in istruttoria».

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