a cura di Cornelio Galas
Aprile 1945. La Seconda Guerra Mondiale sta volgendo al termine e il Terzo Reich sta andando incontro alla sconfitta totale, mentre Berlino brucia. Ma in Italia,nei pressi del lago di Garda, stanno accadendo strane cose. Prima di fuggire verso la Germania i nazisti nascondono un gran numero di pesanti casse in un formidabile dedalo di bunker e gallerie sotterranee non lontano da Salò e Desenzano.
Che cosa contenevano? Lingotti d’oro, gioielli, opere d’arte. Il frutto dei brutali saccheggi effettuati durante l’occupazione tedesca. Il tesoro segreto di Adolf Hitler.Una ricchezza smisurata che non venne mai più recuperata e che ancora oggi viene cercata. E’ quanto si racconta nel video che vi propongo.
E torniamo ancora una volta in Alto Adige. Al forte di Fortezza (in tedesco Franzensfeste, in latino Francisci Oppidum). Si tratta di un forte austroungarico che sorge presso Aica (Alto Adige) ad una quota di 750 m s.l.m., più precisamente vicino a Fortezza in Val d’Isarco all’incrocio con la Val Pusteria.
Il forte appartiene al grande sistema di fortificazioni austriache al confine italiano realizzate tra il 1830 e 1838 ed era formato da tre blocchi, progettati per essere completamente indipendenti. Il Forte Basso (Talwerk), articolato in diverse costruzioni erette sul fondo della Val d’Isarco, ospitava gli uffici del Comando, due serie di camere di combattimento, i forni per il pane la piazza d’armi e la chiesa.
Il Forte Medio (Mittelwerk o Blockhaus), contenente la Kaiser-Villa, guardava verso la Val Pusteria. Infine il Forte Alto (Höhenwerk), la Cittadella che si erige sul fianco occidentale della montagna 75 metri più in alto ed é raggiungibile attraverso una scalinata di 451 scalini, ricavata in una galleria coperta a volta.
Il forte alto è pure raggiungibile dall’esterno tramite una strada di accesso di 2 km. Nel forte di Fortezza esiste un bunker chiamato Bunker dell’oro. Fu realizzato dai nazisti nel 1943 con l’intenzione di nascondere l’oro confiscato alla Banca d’Italia e diretto a Berlino. Il bunker, costruito dai prigionieri russi, é una galleria a forma di “L” lunga in totale 80 metri, scavata nella roccia della scarpata che collega il forte Medio con il forte Alto.
L’ ingresso, protetto da una porta blindata, si trova a fianco della chiesa del forte. Una seconda uscita, anch’essa protetta da una porta corazzata, sbucava nei pressi dell’ingresso della scalinata coperta di colle. Anche su Fortezza vi propongo un video.
IL VIDEO DI FORTEZZA
Vediamo cosa succede prima sempre facendo riferimento ai documenti raccolti da Cicchino e Olivo. Già nel settembre del 1943 il governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini manifestò il timore che i tedeschi volessero impadronirsi delle riserve aurifere italiane ed infatti, non a torto, il 16 dicembre 1943 12 vagoni con 127,5 tonnellate d’oro in lingotti, monete e una piccola quantità di platino custoditi in barilotti e sacchi, giungono stranamente a Fortezza da Milano (in realtà parte di quest’oro in parte era stato nascosto dallo stesso Azzolini dietro un muro in una cassaforte, falsificando i documenti per poter giustificare il trasporto dell’oro da Roma a Potenza nel 1942.
Nel 1943 invece Herbert Kappler, scortato dal maggiore delle SS Karl Hass, fece sequestrare l’intera riserva aurea e trasferito a Milano nella notte tra il 22 ed il 23 settembre. Da qui, in un secondo momento, sempre attraverso treni blindati, l’oro giunse poi a Fortezza.
Questo prezioso carico era parte delle riserve auree della Banca d’Italia, e fu scaricato da prigionieri russi del forte in un bunker sotterraneo, chiuso da tre differenti chiavi, e custodite dal comandante del forte, dal funzionario della Banca d’Italia e dall’allora borgomastro del paese Josef Wild. Allo stesso tempo la Wehrmacht aveva posizionato tutt’attorno alla fortezza alcune batterie contraeree.
Alcuni mesi successivi dal forte ripartirono tre convogli: il 29 febbraio 1944 un convoglio verso il Ministero degli Esteri del Reich a Berlino, contenente 55 tonnellate; il 19 aprile 1944 un convoglio verso le banche svizzere di Berna, contenente 23,5 tonnellate; il 21 ottobre 1944 un convoglio verso Berlino, contenente 24 tonnellate. Quindi per un totale di 102,5 tonnellate d’oro.
Quando la V armata americana giunge a Fortezza il 17 maggio 1945, conquistandola senza sparare un sol colpo, trovarono nella camera blindata ancora 25 tonnellate d’oro (circa 7 miliardi di dollari), i resti dell’oro italiano (che gli alleati restituirono però solo tre anni più tardi). L’oro rimasto era disposto in 153 barili e 55 cassette.
Già allora i conti a loro non tornavano, infatti i documenti delle 79 tonnellate che dovevano raggiungere Berlino, nella confusione degli ultimi giorni di guerra, sono andati perduti; si sospettò inoltre che alcuni documenti che segnalavano la partenza dei carichi d’oro fossero stati contraffatti.
A prova di ciò, il borgomastro (uno dei tre detentori di una delle chiavi) fu arrestato, e i suoi terreni furono ispezionati con il metal detector. Negli anni a seguire vi furono diverse spedizioni (anche una ufficiale della Banca d’Italia) per sondare il terreno circostante il forte e per esplorare cunicoli murati, ma senza alcun successo.
Nella leggenda dell’oro di Fortezza, si mescolano diverse storie, legate anche ad altri carichi d’oro svaniti nella storia, a cui si interseca anche la storia dell’oro jugoslavo (ad esempio un treno proveniente da Cattaro, nell’attuale Montenegro, passò su di un treno per il forte prima della fine della guerra) ritrovato a casa di Licio Gelli, il quale si recò a Fortezza almeno tre volte prima degli anni settanta.
Negli anni 1980 la leggenda dell’oro subì una nuova svolta: l’ingegner Luigi Cavalloni affermò con sua assoluta certezza che a Fortezza doveva esserci ancora dell’oro. Lui stesso aveva già iniziato a ricercarlo nel 1977, ma ci vollero alcuni anni per ottenere le dovute licenze e permessi per accedere al forte che ai tempi era sotto il controllo del Ministero della difesa ed utilizzato dall’Esercito Italiano come polveriera.
La coincidenza volle che sempre durante lo stesso anno, il colonnello Herbert Kappler (tristemente noto per la strage delle fosse Ardeatine, ma anche esecutore del trasporto dell’oro), scappò dal ospedale militare del Celio. L’allora giudice istruttore di Trento, Carlo Palermo, nel 1983 aprì un’inchiesta giudiziaria, dove si ipotizzava che l’ingegnere Cavalloni avesse barattato l’evasione di Kappler con i segreti dell’oro di Fortezza. Ma il tutto si concluse con un nulla di fatto.
A validazione di tesi sulla sparizione dell’oro, fu ritrovato il 15 novembre 2005 nel bunker che custodiva l’oro, uno stampo per lingotti, senza il marchio per punzonare il lingotto, oltre che la presenza di sedimenti di carbone (testimonianza che all’interno del bunker, si è certamente fuso del materiale), e di piombo.
Un’altra versione di quelle vicende fornisce cifre diverse: si parla di 117 tonnellate d’oro in lingotti e monete. In questa versione si dice che le tre chiavi furono affidate 2 ai funzionari della succursale di Bolzano della Banca d’Italia, e la terza al comando tedesco.
Secondo questa ricostruzione dei fatti, nell’aprile del 1943, 23 tonnellate furono spedite in Svizzera, 10 servivano a pagare i debiti contratti prima della guerra dall’industria di Stato italiana, altre 12 finirono a Basilea, sul conto dei Regolamenti internazionali. La Repubblica Sociale Italiana aveva accordato al Reich di trasferire a Berlino una parte della riserva aurea nazionale, e quindi altre 50 tonnellate partirono da Fortezza.
Una seconda spedizione era prevista nell’ottobre del ’44, ma saputolo, il funzionario della Banca d’Italia, signor Bombasaro, si recò a Trento e inviò a Bari un messaggio cifrato al Comando Alleato, che subito rispose bombardando Fortezza presso la cui stazione sembrava fosse già l’oro caricato su vagoni blindati. Qualche giorno più tardi, un sedicente Comitato della Croce Rossa Internazionale prese in consegna l’oro per portarlo in Svizzera dove, pare, non arrivò mai.
Tirando le somme tra realtà e leggenda, a Fortezza dovevano rimanere circa 24 tonnellate d’oro. Da un rapporto segreto dell’agosto del ’46, sembra che il Comando Alleato, che aveva raggiunto Fortezza i primi di maggio del ’45, alla presenza dei funzionari della Banca d’Italia che possedevano 2 delle tre chiavi, procedettero al ritiro dell’oro; ne ritrovarono 22 tonnellate e 941 chili, dei 117 iniziali partiti da Roma.
Quindi anche secondo questa versione i conti tornerebbero; ma testimoni nel corso degli anni sostenevano di aver visto oro in cunicoli nascosti e poi murati. Anche che oltre all’oro di Roma, facesse parte del tesoro anche i preziosi trafugati agli ebrei.
Nonostante il 25 agosto 1944 il ministro (della Rsi) Domenico Pellegrini Giampietro avesse già invitato commissario straordinario della Banca d’Italia, con autorità sul territorio della Repubblica di Salò Giovanni Orgera a dare esecuzione alla spedizione di tutto l’oro rimasto a Fortezza, facendogli chiaramente intendere che non esisteva alcun margine di mediazione coi tedeschi, Orgera riuscì a procrastinare la consegna del metallo di altri due mesi.
Breve parentesi per capire chi era Giovanni Orgera ((Napoli, 14 dicembre 1894 – Roma, 12 dicembre 1967). Nato da agiata famiglia della borghesia napoletana, abbandonò gli studi universitari per partecipare alla Prima Guerra Mondiale, durante la quale gli furono conferite una medaglia d’argento e una di bronzo.
Nel 1921 si iscrisse nel Partito Nazionale Fascista e dal 1925, grazie a questa appartenenza, iniziò la propria carriera amministrativa e partitica. Nel 1936 partì volontario per l’Abissinia, quando ormai la Guerra d’Etiopia volgeva al termine, e l’11 luglio del 1936 fu nominato podestà di Napoli, carica che conservò fino al 5 agosto del 1943.
Giovanni Orgera Caduto il regime fascista, riuscì a riparare a Roma nel dicembre del 1943, e dal 6 gennaio al 3 giugno del 1944 fu sindaco di Roma, nominato dal Partito Fascista Repubblicano. Riparato a Desenzano, fu quindi nominato commissario straordinario della Banca d’Italia, con autorità sul territorio della Repubblica di Salò. Finita la guerra, fu sospeso dall’Ordine degli avvocati e trattenuto al proprio domicilio, in attesa di giudizio. All’inizio del 1947 l’Ordine revocò la sospensione, Orgera poté riprendere la professione.
Intanto, durante l’estate del 1944, a Fortezza si constatò che il bunker in cui si trovava l’oro era stato soggetto a infiltrazioni di umidità, provocando il deterioramento di alcune bisacce e il danneggiamento dei sigilli apposti sui contenitori, rendendo difficoltosa la lettura dei numeri identificativi dei barili e degli involucri.
Per evitare il contatto dei sacchi col pavimento bagnato della galleria, vennero costruite delle piattaforme di legno, sulle quali vennero poste le casse di monete e i barili di lingotti, senza però ottenere risultati apprezzabili.
Il 10 ottobre 1944 la resistenza di Orgera, riguardo alle pressioni tedesche, era ormai agli sgoccioli, tanto da inviare a Domenico Pellegrini Giampietro una lettera in cui scriveva fra l’altro:
«Il solo tentativo che potevo ancora fare era quello di evitare la immediata integrale consegna dell’oro, e avendo molto insistito in questo senso, ho potuto ottenere che la consegna stessa sia – per ora – limitata all’equivalente di 60 milioni di Reichsmark, e quindi all’incirca alla metà del quantitativo costituente la residua riserva aurea dell’istituto custodita a Fortezza».
Il 14 ottobre Orgera trasmise al direttore della filiale di Bolzano l’ordine di trasferire in Germania 21 tonnellate e 505,4 chilogrammi di oro fino, equivalenti a 60 milioni di marchi oro. Anche stavolta la lettera venne portata a mano dallo stesso Bernhuber, che curava personalmente la preparazione dell’invio, facendo pressioni sul direttore, Fortunato Gigli, affinché l’oro venisse acquisito preferibilmente in monete per un più agevole utilizzo.
L’ex funzionario della Banca d’Italia, Giuseppe Bombasaro, in una intervista racconta di come tentò di sabotare quella seconda spedizione a Berlino:
«Entrando in segreteria, trovai la signorina Clementina Battistata, dipendente della Banca, che stava scrivendo a macchina. Mi sono avvicinato per vedere che cosa faceva (…). Insomma mi mostra che stava facendo gli elenchi dei mattoni d’oro, indicando peso, matricola, per la futura spedizione.
Allora mi sono rivolto il giorno stesso o il giorno dopo al vice direttore Peverello, il quale sapeva della mia attività di partigiano e gli ho detto: “Senta un po’… Sa lei quando parte quest’oro?”. “Sì, sì!… Parte il giorno tale, al mattino e sarà sempre scortato dal Della Torre e dal Cinter.”
Allora io ho avuto modo, saputa questa notizia, di andare a Trento e far partire un cifrato agli Alleati, ordinando il bombardamento su Fortezza per quel giorno la mattina e per quell’ora della partenza del treno. Il bombardamento effettivamente c’è stato, di questo sono sicuro, perché i due colleghi quella mattina stessa sono rientrati a Bolzano, dicendo: “Non si può partire perché i binari della stazione di Fortezza sono stati distrutti”».
Essendo un importante snodo ferroviario, Fortezza veniva spesso tartassata dai bombardamenti, allo scopo di rendere difficoltose le comunicazioni ferroviarie. Tanto che a guerra già iniziata venne scavato nella viva roccia un rifugio a prova di bomba, con tre entrate distinte, capace di ospitare tutto il paese.
A nessuno venne il sospetto, comunque, che quel bombardamento dell’ottobre del 1944 fosse frutto di sabotaggio di un funzionario della Banca d’Italia. L’iniziativa di Bombasaro, comunque, non riuscì a bloccare il trasferimento dell’oro in Germania, ma solo a rinviarlo, come racconta lui stesso:
«L’oro è rientrato nel Forte, ma non è rientrato nel bunker della Banca. È rimasto fuori in attesa di essere riportato dal prossimo treno, appena riattivati i binari, perché sennò bisognava scaricarlo e poi ricaricarlo … E alla fine il treno è andato a Berlino».
Dopo aver ripristinato quel tratto ferroviario, il 21 ottobre 1944 il carico dell’oro partì alla volta della Germania e i primi di novembre venne preso in carico da funzionari della Reichsbank di Berlino.
Concludiamo questa puntata con la biografia di Domenico Pellegrini Giampietro (Brienza, 30 agosto 1899 – Montevideo, 18 giugno 1970). Figura di spicco del fascismo campano (insieme ad Alfredo Rocco, Bruno Spampanato e l’economista Alberto Beneduce), nel 1926 si laureò in giurisprudenza ed esercitò per otto anni la professione di avvocato.
Nel 1934 divenne professore universitario di Diritto pubblico comparato e di storia e dottrina del Fascismo a Napoli, e nel corso degli anni trenta ricevette numerosi incarichi di rilievo: fu ad esempio segretario dell’Unione interprovinciale credito e assicurazioni dal 1937 al 1943 e membro della Corporazione previdenza e credito dal 1934 al 1943.
Volontario nella guerra civile spagnola come capitano di fanteria, nel conflitto viene ferito e decorato con due medaglie d’argento al valor militare. Rientrato in Italia è nominato membro del direttorio federale di Napoli e del direttorio nazionale nel 1943, segretario federale di Napoli, consigliere nazionale nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni e sottosegretario al ministero delle Finanze nel 1943, fino al 25 luglio.
Successivamente aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, di cui Ministro per le Finanze: in questa veste egli costituì nel 1944 la “Brigata Nera”, di cui fu anche comandante. Al termine della Seconda guerra mondiale fu arrestato ed assolto dall’accusa di collaborazionismo col regime nazista. Nel 1949 si trasferisce prima in Brasile, poi in Argentina e in Uruguay dove ha svolto la professione di banchiere e di direttore della rivista Sintesi.
Tra i suoi scritti, oltre agli Aspetti spirituali del fascismo del 1941 (che si basano su quello che venne definito “misticismo fascista”), ha una notevole importanza L’oro di Salò nel quale Pellegrini Giampietro non solo spiegò il modo con cui diresse l’economia della RSI (ad esempio nei primi mesi del 1945 fece stampare solo 10,881 milioni di carta moneta rispetto ai 137,840 autorizzati) ma fece anche delle ipotesi su chi si poté appropriare delle ingenti risorse economiche possedute da Benito Mussolini.