2ª GUERRA MONDIALE, SEGRETI AMERICANI – 13

a cura di Cornelio Galas

Quando la lancia giunse alla corazzata ed Hopkins venne finalmente consegnato (è la parola più esatta) all’ammiraglio Sir John Tovey, comandante in capo della Home Fleet a Scapa Flow, il suo aspetto era tale da far temere molto che egli non potesse neanche sopravvivere fino a poter fare il suo rapporto al Presidente.

Sir John Tovey

Sir John Tovey

Hopkins sembrava aver speso anche gli ultimi spiccioli ed essere legato alla vita non dico per un filo, ma dalle sfilacciature di quel filo. Da Londra era venuto Winant e Hopkins aveva disposto di cenare con l’ambasciatore e l’ammiraglio, ma aveva i brividi e Tovey gli ordinò di stare a letto, valendosi di tutte le risorse mediche per fargli prendere un po’ di sonno di cui aveva disperatamente bisogno.

Hopkins fece dire a Winant “di attendere perché potesse riposare un poco”. La mattina dopo Winant scese nella cabina di Hopkins e stette più di un’ora seduto accanto al letto in attesa che si svegliasse. Ma ciò avvenne nel pomeriggio, quando Winant era già tornato a Londra. (Harriman era già arrivato a Washington, avendo lasciato l’Inghilterra il giorno stesso in cui Hopkins partiva per Mosca).

Prince of Wales

Prince of Wales

Churchill arrivo a bordo del Prince of Wales, accompagnato dai suoi capi di Stato maggiore, ammiraglio Pound e generale Dill. Il maresciallo dell’Aria Portal non poté venire, per non so quale ragione e la R.A.F. fu così rappresentata dal suo sottocapo di Stato maggiore, maresciallo dell’Aria Sir Wilfrid Freeman.

Sir Wilfrid Freeman

Sir Wilfrid Freeman

Churchill lasciò in Inghilterra il generale Ismay “per tenere aperta la bottega”, ma portò con sé Sir Alexander Cadogan, sottosegretariato permanente agli Esteri, Lord Cherwell (il “Prof”), il colonnello L. C. Hollis (vicesegretario del Gabinetto di Guerra), il comandante Thompson e J. M. Martin, primo segretario privato ed altri funzionari e ufficiali delle tre armi.

Ad Hopkins fu dato l’alloggio dell’ammiraglio, ma egli stesso chiese di cambiare posto dicendo che “le eliche erano troppo vicine ai suoi timpani”. Durante tutto il viaggio nel nord Atlantico, nel bel mezzo della zona si caccia degli U-Boot, Hopkins lavorò alla preparazione dei rapporti da Mosca, pubblicati nel capitolo precedente. A Churchill espose punto por punto gli argomenti trattati nei colloqui con Stalin in relazione alla situazione russa ed alle sue esigenze.

Churchill

Churchill

Il Primo ministro ascoltandoli, comprese ancora meglio perché quell’uomo fosse tanto prezioso al Presidente, ché mai prima d’allora aveva udito un’esposizione così nitida, acuta ed obbiettiva delle principali questioni.

Insieme discussero la formula della Carta Atlantica, carta che il Primo ministro voleva presentare al Presidente e Churchill sostenne ancora una volta la necessità di un monito solenne al Giappone.

Tuttavia Hopkins ebbe anche modo di riposare. Egli notò infatti:

Durante il viaggio di ritorno sul Prince of Wales, ho giocato spesso a tavola reale con il Primo ministro, di uno scellino a partita. Egli mi ha consegnato la valuta canadese nell’ultimo giorno della Conferenza, l’11 agosto 1941. Il modo di giocare del Primo ministro non è molto simpatico.

Gli piace fare spesso quello che tutti gli appassionati del gioco conoscono come il “back game” e con questa tattica, mi vinse due o tre partite molto interessanti. Ma egli affronta il gioco con grande passione, raddoppiano o quadruplicando facilmente la posta.

Harry Lloyd Hopkins

Harry Lloyd Hopkins

Uniti a questi appunti c’erano 32 dollari in biglietti di banca canadesi e circa un dollaro di moneta. Era tutto quanto restava dei beni di Hopkins, oltre ai due dollari del Presidente Roosevelt di cui abbiamo parlato nel primo capitolo del libro.

Hopkins voleva insegnare a Churchill il gioco del ramino, che era allora di moda negli Stati Uniti, ma il Primo ministro non ne volle sapere. Solo più tardi, in una visita fatta a Miami Beach anni dopo, egli soccombette all’attrattiva del gioco e ne divenne un appassionato.

Prima di lasciare il Regno Unito, Churchill aveva notificato a tutti i Primi ministri dei Domini che egli andava ad incontrare il Presidente degli Stati Uniti, aderendo all’invito rivoltogli per mezzo di Harry Hopkins. La notifica non era stata fatta solo a scopo di cortesia o per semplice formalità.

Churchill sperava che dall’incontro potesse scaturire qualche accordo di una certa entità, che avrebbe richiesto la ratifica dei Domini ed era perciò questione di prudenza e di riguardo metterli al corrente dell’avvenimento.

Il vero accordo sperato da Churchill non era la Carta Atlantica, ma una comune politica di resistenza a un’ulteriore aggressione giapponese. Churchill informò i Primi ministri d’aver avuto durante tutti gli anni di guerra un’intima corrispondenza con Roosevelt e d’avergli spesso parlato telefonicamente, ma senza mai incontrarlo.

Missy LeHand con Roosevelt

Missy LeHand con Roosevelt

Questo, tuttavia, non era molto preciso: Roosevelt era stato a Londra, durante la prima guerra mondiale quando era sottosegretariato alla Marina e vi aveva incontrato Churchill ad un banchetto. Ma questi, che era già allora un eminente statista, non aveva fatto caso al giovane funzionario americano e si era dimenticato presto dell’incontro. Roosevelt invece lo ricordava perfettamente.

Ma ora non c’era più dubbio del rispetto di Churchill per il Presidente. Hopkins disse più tardi agli amici: “Avreste detto che Winston fosse trasportato in cielo per venire al cospetto di Dio”.

Roosevelt era una figura quasi leggendaria in Gran Bretagna. Lo chiamavano tutti affettuosamente “il migliore amico che abbiamo mai avuto”. Churchill lo conosceva e comprendeva l’America meglio di molti suoi connazionali, era veramente ammirato dall’abilità con cui Roosevelt aveva saputo tenere testa all’isolazionismo e rompere la tradizione del terzo mandato.

Churchill

Churchill

Nei molti incontri che dovevano seguire, da Argentia a Yalta, il rispetto di Churchill per Roosevelt può aver subito alti e bassi, ma non cessò mai. Né Churchill perse di vista il fatto che Roosevelt gli era superiore in grado, poiché il Presidente era capo di Stato e quindi pari al grado del Re, mentre il Primo ministro era solo il capo del Governo.

All’Americano medio questa può sembrare una distinzione piuttosto accademica, ma ebbe la sua importanza nel determinare le relazioni fra i due uomini. Mentre il Prince of Wales s’avvicinava all’Emisfero occidentale, Hopkins trovò il tempo di scrivere alcune lettere, nelle quali però, come al solito, diceva poco:

A Herbert Morrison, ministro dell’Interno e della Difesa territoriale. 

Herbert Morrison

Herbert Morrison

Ho il vostro elmetto per La Guardia e glielo darò con i vostri cordiali saluti. Sono assai spiacente di non avervi potuto vedere per discutere con voi di liquori. Ma lo faremo presto.

All’ambasciatore Winant.

Me ne sono venuto via senza pagare il conto al Claridge … Date anche una mancia al facchino e un paio di sterline al mio cameriere perché me ne sono dimenticato … Spero che vi prendiate cura della vostra salute. Mi sembra che voi tutti lavoriate troppo.

È assurdo che un tale consiglio venga proprio da me: perciò lo ritiro.

Al generale Ismay.

generale Ismay

generale Ismay

Avrei avuto molto piacere di parlarvi dopo il mio viaggio a Mosca. Per fortuna non ho avuto il mal d’aria, anche se il caviale e il salmone affumicato erano difficili da digerire … Il Primo ministro ha smesso di lavorare ieri per la prima volta in vita sua.

Il viaggio gli farà bene. Finora di brutti incontri non c’è stata che la nebbia. Pound, Dill e Freeman sono dei veri gentiluomini e non dobbiamo assistere a nessun battibecco fra le tre armi. Sanno che è meglio non parlare di Creta, quando si è in parecchi.

Al maresciallo capo dell’Aria Portal.

Desidero sinceramente ringraziarvi per le disposizioni date per il mio volo ad Arcangelo. Non potevo sperare di meglio. Se ne avete l’occasione voglio esprimere al capitano McKinley e al suo equipaggio la mia riconoscenza per al pazienza e la cortesia dimostratemi. Non ci fu una scossa in tutta la traversata.

All’ammiraglio Tovey.

Il nostro viaggio è stato senza incidenti, benché si sia dovuto dirottare un poco per sfuggire all’agguato di un sommergibile. Il brutto temo del primo giorno ha spazzato via i cacciatorpediniere, ma ora ci seguono quelli canadesi.

Brendan Bracken

Brendan Bracken

A Brendan Bracken.

Avrei tanto voluto parlarvi della mia visita allo zio Joe. Penso che sia andata molto bene, ma soltanto il futuro potrà dirlo.

A sua figlia Diana.

Penso che ora sarai colorita come una fragola ed è così che deve essere quando si hanno otto anni. Sono passate più di quattro settimane da quando ti ho telefonato l’ultima volta da Betsy (la signora James Roosevelt). Da allora sono stato via, in uno dei paesi più freddi del mondo, la Russia. È strano, ma non ho trovato bambini e bambine che facevano il bagno nel Mar Bianco.

In un altro paese molto lontano dove sono stato c’è la guerra e bombe e cannoni che sparano di notte. Un bel giorno tutto sarà finito e il signor Hitler sarà sconfitto.

Allora ti porterò in Inghilterra e faremo un bel giretto per le verdi colline e mangeremo in piccoli e curiosi ristoranti. Lo strano è che i bambini e le bambine inglesi pensano che le nostre case, i nostri alberghi e le nostre spiagge siano altrettanto buffi e curiosi.

Ti vedrò molto presto ora e voglio che tu sappia che ti amo tanto. Dì a Betsy che verrò a trovarla presto, non appena di ritorno, ma ho paura che la mia telefonata arriverà prima di questa lettera.

Sabato 9 agosto la grande nave da battaglia britannica (che doveva affondare solo quattro mesi dopo nelle acque malesi), arrivò all’appuntamento a Terranova. C’era stata a bordo una lunghissima prova generale del cerimoniale per l’arrivo e il ponte presentava quasi l’aspetto di una vigilia di battaglia.

Hopkins

Hopkins

Hopkins salì sopra coperta in vestaglia, per vedere Terranova, da cui aveva preso il volo non più di quattro settimane prima su un apparecchio da bombardamento, ma la visibilità era scarsa per la foschia estiva.

Poi i raggi del sole cominciarono a rischiarare la superficie del mare e allora fuori dalla bruma apparvero netti i contorni dei nuovi imponenti cacciatorpediniere americani, del tutto diversi dalle vecchie carcasse cedute in cambio delle basi: ed infine lo stesso incrociatore Augusta.

Non appena lo vide, Hopkins corse in cabina e si affrettò a preparare il bagaglio. L’attendente, l’ordinanza o comunque lo si chiami nella Marina britannica, che gli era stato assegnato, voleva fare lui i bagagli, ma Hopkins pensò che se non li avesse fatti personalmente, non avrebbe più saputo dove trovare tutte le carte preziose che gli stavano a cuore. Hopkins salì a bordo dell’Augusta.

John R. Beardall

John R. Beardall

Il capitano John R. Beardall, aiutante navale del Presidente, passò invece a bordo del Prince of Wales per comunicare i desideri del Presidente intorno alle disposizioni per le riunioni, le visite, ecc. Il Presidente voleva avere a cena quella sera il Primo ministro ed il seguito ed Hopkins scrisse a Churchill:

Ho parlato per ore con il Presidente ed egli ha dimostrato il desiderio vivissimo di invitarvi questa sera, dopo cena, nel quadrato delle Stato maggiore e vi chiede di parlare agli ufficiali in via del tutto ufficiosa sulla situazione generale della guerra e di dire comunque, tutto quello che vi pare più opportuno ai presenti.

Credo che ci saranno al massimo venticinque persone. Il Presidente naturalmente, non vi chiede nulla di ufficiale.

churchill

Era stato Hopkins a suggerire questo trattamento, perché desiderava che il Presidente e il suo seguito sentissero una di quelle analisi della situazione cui Churchill si lasciava tanto volentieri trascinare dopo cena.

Presenti alla cena erano, da parte americana: Roosevelt, Welles, Stark, Marshall, King, Arnold, Hopkins e Harriman. Da parte britannica: Churchill, Cadogan, Pound, Dill, Freeman e Cherwell.

Il menù fu: zuppa di verdura, pollo arrosto, frittata di spinaci,insalata di lattuga e pomodoro, gelato di cioccolato e parecchi contorni. Durante la cena, Roosevelt,Churchill, Hopkins, Welles e Cadogan discussero d’affari.

Churchill e Roosevelt

Churchill e Roosevelt

Due furono gli argomenti principali di discussione: la crescente minaccia giapponese, che preoccupava assai gli Inglesi e i cinque punti di quella comune dichiarazione, proposta da Churchill, che dovevano diventare gli otto punti della Carta Atlantica.

Naturalmente destò molto interesse quanto ebbe a dire Hopkins sul suo viaggio in Russia, ma anche ciò contribuì a portare sul tappeto e in primo piano, il problema dell’Estremo Oriente.

Se l’attacco di Hitler contro l’Unione Sovietica si era infatti dimostrato un’autentica benedizione nella guerra contro la Germania, dall’altra parte veniva a consentire ai Giapponesi una maggiore libertà di movimenti in Manciuria, aumentandone così il pericolo di nuove mosse nipponiche in altre direzioni.

La mattina seguente, domenica, Roosevelt salì a bordo del Prince of Wales, per il servizio divino, officiato all’ombra dei cannoni. Si commentò il primo capitolo di Giosuè: “Nessuno potrà resistere a te per tutto il tempo della tua vita: come io fui con Mosè, così sarò con te: non ti lascerò e non ti abbandonerò. Fatti coraggio e sii costante … “.

Re Giorgio VI

Re Giorgio VI

Infine si pregò per l Presidente degli Stati Uniti, per il Re Giorgio VI e per i suoi ministri, ammiragli e Marescialli dell’aria, per i paesi invasi, per gli infermi e i feriti, per i prigionieri, gli esiliati e i senza casa, per gli ansiosi e gli afflitti – e una preghiera fu detta in ultimo perché: “Dio ci preservi dall’odio , dall’amarezza e da ogni spirito di vendetta”.

Finito il servizio Roosevelt venne presentato agli ufficiali del Prince of Wales e visitò la nave, fin dove si poteva muovere con la sua carrozzella. Passò un’ora felice in compagnia del “vecchio marinaio”.

Sulla coperta di una potente nave da battaglia, quei due vecchi appassionati del mare si trovavano nel loro vero elemento. Intanto in altra parte della nave, Welles e Cadogan erano a colloquio per discutere i documenti preparati dal Governo britannico per una dichiarazione comune al Giappone.

Churchill

Churchill

Da Washington si sarebbe dovuto comunicare a Tokyo il seguente messaggio:

Dichiarazione del Governo degli Stati Uniti che:

1) Ogni nuova violazione giapponese nel Pacifico sud-occidentale provocherà una situazione per cui il Governo degli Stati Uniti si vedrà costretto a prendere le necessarie contromisure anche nel caso che queste dovessero portare a una guerra tra gli Stati Uniti ed il Giappone.

2) Se per effetto di tali contromisure o dell’appoggio ad esse, una terza potenza fosse oggetto di aggressione da parte del Giappone, il Presidente si vedrebbe nella necessità di chiedere l’autorizzazione del Congresso per dare aiuto a questa potenza.

Da Londra, si sarebbe comunicato quanto segue:

Dichiarazione di Sua Maestà che:

1) Ogni nuova violazione giapponese nel Pacifico sud-occidentale provocherà una situazione per cui il Governo di Sua Maestà si vedrà costretto a prendere contromisure anche nel caso che queste potessero portare ad una guerra tra la Gran Bretagna e il Giappone.

CHURCHILL

CHURCHILL

2) Se per effetto di tali contromisure e dell’appoggio ad esse una terza potenza fosse oggetto di aggressione da parte del Giappone, il Governo di Sua Maestà darebbe tutto l’aiuto possibile a questa potenza.

Una terza dichiarazione uguale a quella britannica, avrebbe dovuto essere comunicata dal Governo Olandese. Unica differenza che al posto di “His Majesty” si trovava “Her Majesty”.

Nel resoconto ufficiale della conferenza,

Sumner Welles

Sumner Welles

scrisse:

Mentre lasciavo la nave per riaccompagnare il Presidente alla sua nave ammiraglia, Churchill mi disse di aver dato copia dei documenti in parola anche a Roosevelt.

Mi disse che considerava la dichiarazione di grandissima importanza nei riguardi del Giappone, perché se gli Stati Uniti non vi avessero aderito, poche sarebbero state le speranze di poter trattene il Giappone dall’espandersi verso sud. In questa eventualità, impedire una guerra tra la Gran Bretagna e il Giappone, sarebbe stata un’impresa disperata.

Mi disse con calore che in caso di guerra tra le due potenze, il Giappone si sarebbe trovato inizialmente nella posizione più vantaggiosa, potendo usare tutti i suoi incrociatori per distruggere totalmente il commercio marittimo inglese nell’Oceano Indiano e nel Pacifico e tagliare le vie di comunicazione tra i Domini inglesi e le isole britanniche, salvo in un caso: che entrassero in guerra anche gli Stati Uniti.

E mi dimostrò che una dichiarazione di questo genere, fatta di comune accordo tra gli Stati, la Gran Bretagna, i Domini, l’Olanda e possibilmente l’Unione Sovietica avrebbe senz’altro frenato il Giappone.

Altrimenti, il Governo britannico avrebbe potuto ricevere un colpo pressoché decisivo.

È la dichiarazione più chiara che potessero fare gli Inglesi, dal loro punto di vista: ed abbiamo visto che esso coincideva essenzialmente con quello sovietico. Churchill e Stalin, impegnati in Europa in una lotta ai ferri corti con la Germania, consideravano una sventura per i due paesi l’esser travolti in una nuova guerra con il Giappone in Estremo Oriente.

Questa fase asiatica delle discussioni durante la Conferenza Atlantica, ebbero degli strascichi dopo Pearl Harbour, durante l’esauriente inchiesta che seguì al disastro, per le ripetute accuse isolazionistiche che ci fossero stati degli “impegni segreti”. (“Magari ci fossero stati!”. Mi disse uno dei funzionari britannici presenti alla conferenza).

Furono pubblicati tutti i verbali americani relativi alla Conferenza e vi si aggiunsero tutte le deposizioni e le testimonianze dei partecipanti americani. Durante la preparazione del volume, potei vedere anche i verbali inglesi.

E ho trovato che non solo tutti i verbali non portavano tracce di sobillazione, ma, per quanto riguarda le questioni militari, mancavano assolutamente d’ogni interesse. Gli accordi tanto sperati dagli Inglesi non giunsero nemmeno lontanamente alla stipulazione, né nei colloqui Roosevelt-Churchill, né nelle conversazioni tra i capi di Stato maggiore, che si svolsero contemporaneamente.

Del resto basta dare uno sguardo sommario alle discussioni militari che si tennero. Churchill, come aveva già fatto con Hopkins a Londra, parlò di una probabile invasione tedesca della Spagna e del Portogallo, per passare nell’Africa del Nord e neutralizzare praticamente la base di Gibilterra.

gibilterra

Disse che la situazione in Spagna “andava di male in peggio” e che che gli Inglesi erano pronti a lanciare nel breve volgere di un mese (15 settembre), una forte spedizione per occupare le isole Canarie per procurarsi una nuova base d’appoggio per le operazioni nell’Atlantico meridionale, benché, naturalmente nulla potesse sostituire Gibilterra nel Mediterraneo.

Roosevelt rispose di aver compiuto dei sondaggi presso il Governo portoghese per ottenere un invito simile a quello del Governo islandese e inviare truppe americane nelle Azzorre a presidio di quelle importantissime isole.

Non disperava di venirne a capo. Churchill disse che se gli Stati Uniti avessero potuto inviare le loro truppe nelle Azzorre, gli Inglesi si sarebbero assunti l’incarico di sorvegliare le isole e il continente europeo, per prevenire ogni tentativo tedesco contro di esse.

sss

Tutti questi preparativi finirono nel nulla perché Hitler non si mosse contro la penisola iberica e il Governo portoghese non fece nessun invito per le Azzorre, se non due anni dopo, quando la situazione bellica era ormai decisamente mutata.

Dopo queste discussioni, Churchill sollevò la questione delle “dichiarazioni parallele” a Tokyo. Roosevelt gli mostrò copia della dichiarazione consegnata al segretario Hull dall’ambasciatore Nomura cinque giorni prima. In essa i Giapponesi presentavano l’occupazione dell’Indocina come un fatto compiuto che, dicevano, “aveva un carattere assolutamente pacifico e difensivo” ed offrivano proposte per una “rapida composizione dell’incidente cinese”.

Non c’era dubbio, come rilevarono gli stessi Churchill e Roosevelt, che simili proposte sarebbero state accettabili sole se gli Stati Uniti fossero stati disposti a “mollare” in blocco tutta quanta la Cina. Roosevelt disse di essere persuaso “che si dovesse fare ogni sforzo per impedire lo scoppio di una guerra con il Giappone”.

second_world_war_spain

Ma la questione era un’altra: era meglio seguire una linea di condotta forte o adottarne una accomodante? Roosevelt sapeva bene quanto grande fosse l’importanza della “faccia” nelle trattative con il Giappone. E perciò bisognava seguire una linea di condotta che lasciasse la possibilità di “salvare la faccia” in caso disperato, se non si voleva entrare in guerra.

D’altra parte i Giapponesi non avrebbero accettato nessuna proposta di pacificazione che non ratificasse la condanna della Cina, umiliando gli Americani e demoralizzando tutti coloro che si opponevano in tutto il mondo alle potenze dell’Asse.

Roosevelt pensava non ci si potesse limitare ad ammonire i Giapponesi per le loro operazioni nel Pacifico, ma si dovesse prevedere la possibilità di nuove aggressioni giapponesi conto ogni potenza amica in Asia e in modo particolare l’Unione Sovietica, come era risultato dai colloqui di Hopkins con Molotov.

Stalin con Molotov

Stalin con Molotov

Come disse Sumner Welles: “il punto principale, il vero, su cui verteva la discussione, era la continuazione della presente politica di conquista armata da parte del Giappone su tutta l’area del Pacifico, indipendentemente dal fatto che tale politica fosse diretta contro a Cina, l’Unione Sovietica, i Domini e le colonie inglesi o olandesi”.

L’unica promessa che fece Roosevelt fu questa: di vedere al sui ritorno a Washington l’ambasciatore Nomura e di scrivere frattanto a Hull perché preparasse il colloquio. E questa è la sostanza del monito consegnato a Nomura il 17 agosto, mentre Churchill era ancora per are sulla via del ritorno:

Kichisaburō Nomura

Kichisaburō Nomura

Questo governo si trova nella necessità di dichiarare al Governo del Giappone che se il Governo giapponese fa ulteriori passi verso la realizzazione di una politica o di un programma di dominio militare sui paesi vicini, ottenuto con la forza o con la minaccia della forza, il Governo degli Stati Uniti sarà costretto a prendere immediatamente tutte le misure che può ritenere necessarie per salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi degli Stati Uniti e degli Americani e garantire l’integrità e la sicurezza degli Stati Uniti.

Ciò significa null’altro che questo: gli Stati Uniti erano decisi a riaffermare la propria condizione di potenza sovrana che ha cura dei propri interessi. Cioè, non impegnava a niente.

Churchill senza dubbio sperava qualcosa di più forte e le note di Sumner Welles indicano che almeno per un certo tempo lo stesso Roosevelt considerò l’opportunità di assumere una condotta ferma, ma resta il fatto che egli scese presto al compromesso di questa dichiarazione che gli sembrava la logica via di mezzo tra la maniera forte e quella accomodante.

Churchill e Roosevelt

Churchill e Roosevelt

La dichiarazione comune anglo-inglese-americana non ebbe seguito e da allora in poi Churchill stabilì che l’Inghilterra avrebbe seguito l’esempio dell’America, se e non appena Roosevelt avesse reso nota la propria linea di condotta di fronte e nuove violente iniziative giapponesi.

Ci furono però anche in America, nella stampa e nello stesso entourage di Roosevelt, molti sostenitori della maniera forte. Dopo la prima riunione di Gabinetto che seguì al ritorno a Washington del Presidente, il Vice-presidente Wallace gli scrisse:

Quando questo pomeriggio nella riunione di Gabinetto, avete fatto menzione del Giappone, ho provato il vivo impulso di esprimermi ad alta voce, ma ho preferito poi scrivervi privatamente: mi auguro che nelle attuali conversazioni, assumiate un contegno assolutamente deciso.

Mi sembra che i modi accomodanti non siano il miglior contegno da tenersi verso il Giappone e neppure nei riguardi della situazione europea. Assumendo il contegno fermo, tutta l’Asia ne sarà impressionata e ne sarà sollevato il morale del popolo americano.

03-la-2-guerra-mondiale-parte-2

Io spero, signor Presidente, che voi non tergiversiate in questa politica di fermezza verso il Giappone. Credo che chiunque si trovasse in una situazione analoga, accetterebbe tale linea di condotta, perché è l’unica che ci può dare buoni frutti, mentre ogni senso di debolezza o ogni concessione, possono essere male interpretati dal Giappone e dall’Asse e constarci, direttamente o indirettamente, molti milioni di ore di lavoro e molte sofferenze.

Però tutte le considerazioni che sembravano allora di tanta urgenza, non si rilevarono poi di alcun valore, alla luce degli avvenimenti e delle rivelazioni successive.

Yōsuke Matsuoka

Yōsuke Matsuoka

Matsuoka quattro mesi prima aveva detto a Hitler che: “presto o tardi una guerra con gli Stati Uniti sarebbe stata inevitabile … e, secondo lui, era meglio che il conflitto scoppiasse presto piuttosto che tardi”. E Hitler aveva promesso al Giappone che “la Germania avrebbe condotto un’energica lotta contro l’America, con gli U-boot e con la Luftwaffe … che nessun Americano sarebbe sbarcato in Europa … che il soldato tedesco si dimostrava di gran lunga migliore di quello americano”.

Onde si può arguire che se avessimo tenuto una ferma linea di condotta, l’attacco contro Pearl Harbour sarebbe avvenuto prima anziché dopo; ed in tal caso – si potrebbe aggiungere – anche la vittoria sarebbe stata anticipata.

Pearl Harbour

Pearl Harbour

Le discussioni dei capi di Stato maggiore alla Conferenza Atlantica non ebbero mota importanza. Non si era preparato un programma di discussioni e non si era avuto nessun preliminare scambio di vedute. I capi inglesi si sedettero al tavolo della conferenza sperando di discutere i maggiori problemi strategici.

Ma gli Americani avevano l’autorizzazione del Presidente a stringere altri accordi oltre a quelli di massima già presi: il loro principale interesse era dato dalle “pendenze” e dalle modifiche al programma di produzione degli affitti e prestiti, resesi ormai necessarie dopo l’inizio della guerra in Russia.

I capi della Marina proposero alcune modifiche al problema della sorveglianza dei mari e dei convogli, in modo che più di cinquanta cacciatorpediniere inglesi potessero venire adibite ad altri servizi, lasciando l’Atlantico occidentale; ma le principali decisioni sull’argomento erano già state prese in precedenza.

il generale Marshall

il generale Marshall

Per l’Esercito e l’Aeronautica, parlarono i generali Marshall e Arnold, i quali erano molto più preoccupati del dibattito che si svolgeva allora al Congresso sull’estensione della legge per il Selective Service, che non del rafforzamento del Medio Oriente e dei bombardamenti della Germania.

I capi di Stato maggiore americani sostennero a più riprese che il loro compito era a difesa dell’Emisfero occidentale ed erano restii a discutere di questioni che non riguardassero le Azzorre, le Canarie, le isole di Capo Verde, Dakar e il Marocco francese e spagnolo (al quale ultimo Roosevelt dimostrava un articolare interesse).

Da quanto appare dai verbali, non si ebbero molte discussioni strategiche sul Pacifico, ma ci si preoccupò piuttosto di una probabile azione giapponese nell’Oceano Indiano tendente forse alla conquista del Madagascar.

Churchill e Lord Beaverbrook

Churchill e Lord Beaverbrook

I capi di Stato maggiori inglesi proposero di aprire a Singapore delle conferenze fra gli Stati maggiori americano, inglese, olandese ed australiano per discutere un comune piano di difesa nel Pacifico sud-occidentale. Non fu raggiunto nessun accordo in proposito. Tuttavia gli Inglesi fecero conoscere agli Americani i loro piani per l’immediato e il remoto futuro.

Era fra questi un piano operativo, con la sigla ROUNDUP, per l’invasione del continente europeo. “Non ci sarebbe stato bisogno di avere sul continente degli eserciti pletorici come nella prima guerra mondiale, ma sarebbero bastati piccoli contingenti motorizzati, con forte potenza di fuoco, per vincere una battaglia decisiva”.

È interessante notare che il principale artefice del piano ROUNDUP era stato il generale Sir Frederik Morgan, che fu poi l’artefice del piano che lo completò, l’OVERLORD.

L’unico risultato di una certa e durevole importanza raggiunto in questi colloqui militari di Argentia fu l’inizio di una sincera amicizia fra Marshall e Dill, che si dimostrò di vitale importanza per il buon funzionamento degli Roosevelt-Churchill, il Primo ministro fece notare che a guardia dei principali campi d’aviazione in Inghilterra c’erano attualmente soltanto 150.000 uomini, armati perlopiù “di sole picche, mazze e granate”.

Roosevelt promise di fornire loro i fucili. In un promemoria a Hopkins, trasmesso dal Prince of Wales all’Augusta, Churchill scrisse:

Noi speriamo … che la consegna dei 150.000 fucili venga effettuata al più presto, poiché l’epoca dell’invasione si avvicina e può cominciare dopo la metà di settembre.

armi

Nel caso che dovessimo riferire al Presidente che il nemico fa grandi preparativi in tutti i porti francesi, belgi e olandesi (attualmente non se ne ha alcun segno), gli chiederemmo come misura d’emergenza, anche la consegna di altre munizioni, che potrebbero poi venire coperte dalla nostra aliquota mensile di produzione.

Nel pomeriggio Churchill fece anche pressione perché si tenesse una conferenza a Mosca, come era stato ventilato da Hopkins e Stalin. Come rappresentante britannico avrebbe inviato LordBeaverbrook “con il potere di agire per tutti i ministri britannici”.

Si presumeva allora che il rappresentante americano sarebbe stato Hopkins, ma Roosevelt optò per Harriman, perché non riteneva che Hopkins avrebbe potuto sopportare un nuovo lungo viaggio.

Averell Harriman

Averell Harriman

Beaverbrook arrivò ad Argentia, lunedì 11 agosto. Era preoccupato soprattutto per gli aiuti alla Russia , argomento che era passato in seconda linea dopo la confortante relazione di Hopkins.

Ma quando seppe della Carta Atlantica e ne lesse il testo, non seppe frenare la sua sorpresa e la sua profonda suscettibilità per tutto quanto potesse toccare la solidarietà economica dell’Impero britannico.

Welles ha già parlato di questa Carta nella meravigliosa analisi della politica estera di Roosevelt che fece nel suo libro “Dove Andiamo a Finire?”. La sua descrizione concorda di fatto con i verbali britannici. Ma si devono aggiungere due o tre punti, riferentesi soprattutto alla creazione di una organizzazione internazionale, che fu il primo seme delle Nazioni Unite.

Churchill

Churchill

Nel disegno originale della dichiarazione comune che Churchill presentò ad Argentia e nel secondo, preparato da Welles, c’erano queste parole: “Essi (Stati Uniti ed Inghilterra), ricercano una pace che non solo distrugga per sempre la tirannia nazista, ma permetta a tutti i popoli, per mezzo di una effettiva organizzazione internazionale, di vivere in sicurezza, ecc. “.

Le parole in corsivo furono tolte da Roosevelt. Churchill protestò perché fossero lasciate, ma, come ha scritto Welles:

Il Presidente replicò che una simile dichiarazione da parte sua avrebbe destato negli Stati Uniti opposizioni e sospetti. Egli disse di non essere affatto favorevole alla creazione di una nuova Assemblea sul tipo della Lega delle Nazioni, almeno finché non fosse passato un certo periodo di tempo in cui fosse dato modo di funzionare ad una forza di polizia internazionale, composta dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.

Churchill rispose che gli sarebbe parso mancare di sincerità se non avesse fatto notare al Presidente che il settimo punto avrebbe sollevato una forte opposizione da parte dei più accesi internazionalisti.

Churchill e Roosevelt

Churchill e Roosevelt

Il Presidente disse di capirlo perfettamente, ma che bisognava essere realisti e a suo giudizio, il settimo punto non era che fior di realismo.

Churchill fece sapere allora di essergli completamente favorevole e di condividere l punto di vista del Presidente.

Da ciò si può dedurre che Roosevelt era di nuovo tormentato dal fantasma di Woodrow Wilson. Gli internazionalisti più accesi, disse, mancavano di “realismo”, cioè non tenevano conto della forza dei sentimenti isolazionistici.

Egli temeva che la resurrezione di una Lega delle Nazioni avrebbe ridestato negli Americani tutti i risentimenti e i rancori della prima guerra mondiale, un nuovo Corpo di spedizione americano, una nuova “pace” falsa, una nuova era di delusioni e di crisi, una nuova possibilità di far nascere un nuovo Hitler.

Giuseppe_Mastromattei_incontra_Hitler_presso_il_Brennero

Ma se Churchill disse di condividere pienamente, durante la seduta, il punto di vista del Presidente, solo un’ora o due più tardi aveva mutato completamente parere e voleva persuadere Roosevelt a far altrettanto.

Ebbe in ciò il pieno appoggio di Hopkins il quale cercò di convincere il Presidente che il popolo americano sarebbe stato favorevole a una forte organizzazione mondiale e che sarebbe stato ozioso discutere di disarmo (punto 7), se prima non ci fosse stata una forte organizzazione internazionale capace di funzionare.

Roosevelt no cedette fino al punto di aderire alla lezione “organizzazione internazionale”, ma permise d’includere la frase: “creazione di un ampio e permanente sistema di sicurezza generale”, che si accettò come equivalente della prima.

Su un altro punto Hopkins sentì il dovere di opporsi a Welles, per ragioni di opportunità. Si trattava della minuziosa specifica “con il dovuto rispetto ai loro obblighi esistenti”, che fu allora assai criticata e a ragione, negli Stati Uniti, ma che i Britannici avevano imposto come condizione di principio. Fu questo il punto sul quale si fece sentire Beaverbrook.

romersa-le-armi-segrete-di-hitler

Egli disse che il quarto punto – “per promuovere la partecipazione di tutti i popoli, senza discriminazione e a parità di diritti, ai mercati ed alle materie prime del mondo” – significava in pratica violare gli accordi di Ottawa e cioè i vincoli preferenziali che erano stati sanciti fra le nazioni dell’Impero.

Churchill e Lord Beaverbrook

Churchill e Lord Beaverbrook

aveva lottato strenuamente per quegli accordi ed ora era pronto a scendere nuovamente in campo per difenderli.

Fu lui quindi ad insistere perché venisse introdotta la frase di cui sopra. Churchill dichiarò di essere sempre stato, come è risaputo, “contrario agli accordi di Ottawa”, ma Beaverbrook lo convinse che non era autorizzato ad approvare il quarto punto della dichiarazione, in quella forma, senza consultare i governi dei Domini ed avere il loro consenso all’abrogazione degli accordi di Ottawa.

Ciò avrebbe richiesto assai tempo, mentre Hopkins era assolutamente convinto che la pubblicazione delle Carta Atlantica dovesse coincidere con l’annuncio stesso dell’avvenuto incontro. La frase non gli andava a genio, come non andava a Welles, ma non sentiva molto la preoccupazione delle sue conseguenze e riuscì a persuadere il Presidente a cedere al suo punto di vista. Naturalmente in linea di principio egli aveva torto e Welles ragione.

La Carta Atlantica sollevò molte critiche in campo isolazionista, anche perché, menzionando tre delle quattro libertà, dimenticava la libertà di religione; e si disse che questa era la prova più evidente del cinismo di Roosevelt e di Churchill, che l’avevano cancellata per far piacere all’Unione Sovietica. In verità l’omissione fu una svista.

Non ho trovato in tutta la documentazione inglese e americana una parola capace d’indicarmi che si fosse considerata l’inclusione della libertà di religione. Ma le critiche furono così severe che, quando la Carta Atlantica venne incorporata nel primo proclama delle Nazioni Unite, il 1° gennaio 1942, Roosevelt si preoccupò di farvi includere (con il consenso Russo), anche la libertà di religione.

La Conferenza Atlantica diede modo a Hopkins di conoscere più profondamente le differenza esistenti fra il sistema democratico americano e quello inglese.

Era la prima volta che egli poteva vedere il Presidente e il Primo ministro discutere lontani dai rispettivi paesi e notò che mentre il Presidente si trovava completamente a sua agio, non avendo che da consigliarsi con i membri del suo immediato seguito (che egli stesso si era scelto), con la facoltà di accettarne o meno le raccomandazioni, Churchill era sempre in contatto con il Gabinetto di Guerra a Londra, per consultarsi con il Lord del Sigillo Privato, che era Clement Attlee.

Clement Attlee

Clement Attlee

In tre giorni si ebbero più di trenta comunicazioni tra il Prince of Wales e Whitehall e la rapidità delle comunicazioni e delle decisioni stupì gli Americani. Per esempio: lunedì 11 agosto, alle 1,50 pomeridiane (ora di Argentia), Churchill spedì un cablogramma Londra, con il testo dell’accordo per la Carta Atlantica, che era di sette punti e con i particolari di tutte le modifiche, motivandone il perché.

Dato il tempo necessario alla cifratura e decifratura e la differenza d’ora tra Terranova e Regno Unito, il messaggio non giunse ad Attlee prima di mezzanotte. Però il Gabinetto di Guerra era pronto a convocarsi anche a tarda ora. Alle 4,10 antimeridiane (ora di Londra), veniva comunicata l’approvazione del documento, parola per parola e si suggeriva l’inclusione di un ottavo punto, che Roosevelt accettò molto volentieri (si riferiva alla libertà dal bisogno) e che venne incorporato nella Carta come articolo 5.

Nella sua relazione finale al Governo, Churchill dichiarò che la Carta Atlantica, pur con tutte le sue deficienze ed il mancato raggiungimento dei fini sperati, era servita a “stabilire calde e profonde relazioni personali con un nostro grande amico”.

L’annuncio della Conferenza Atlantica, diramato simultaneamente a Londra e a Washington, non giunse improvviso a tutti coloro che leggevano i giornali o ascoltavano le trasmissioni radio.

Da lungo tempo si ventilava un incontro tra Roosevelt e Churchill, così che esso apparve nella logica delle cose, tanto più che mentre il Presidente navigava verso Argentia, i Giapponesi avevano proposto un incontro con il Principe Konoye, in una località del Pacifico.

Quando la stampa incominciò a chiedersi dove si trovassero il Presidente ed il Primo ministro, con i loro capi di Stato maggiore, non ci fu più alcun dubbio che l’eterna sigaretta ed il grosso sigaro stavano per accendersi alla stessa fiamma.

I resoconti ufficiali e ufficiosi, più o meno abbelliti dalla fantasia di tutti i corrispondenti ed inviati speciali, agirono da sedativo sopratutto in Inghilterra.

Negli Stati Uniti, gli isolazionisti cercarono di attribuire alla conferenza importanza ben maggiore di quel che avesse, accusando i partecipanti di voler dire di meno di quel che si era effettivamente combinato; e che, quando si fosse saputa finalmente la verità, Roosevelt sarebbe apparso un traditore più nero di Benedict Arnold.

Benedict Arnold

Benedict Arnold

Da parte americana insomma si era creata una atmosfera di misterioso intrigo, che conduceva ad un provocatorio: “Se noi sapessimo ciò che è veramente avvento …”. Ma in Inghilterra ci si attendeva che l’incontro portasse davvero qualche novità di grande importanza – come per esempio, che le truppe americane attraversassero in forze l’Oceano … – e il risultato della conferenza fu assai deludente.

Il popolo britannico si rallegrò certamente di sapere che Roosevelt e Churchill pensavano ad un mondo postbellico retto dai concetti di libertà, di giustizia, di prosperità e di sicurezza per tutti, ma era assai più preoccupato di sapere quando sarebbero finiti l’oscuramento e il razionamento.

250px-atlantic_charter

Comunque la Carta Atlantica si dimostrò uno strumento d’importanza assai più vasta di quel che si aspettassero i membri del Governo britannico quando l’avevano proposta. Non l’avevano mai considerata come un documento ufficiale; aveva per loro un fine soprattutto propagandistico.

E Roosevelt, che prese la cosa molto a cuore, favorì questo fine, insistendo perché la Carta Atlantica non venisse affatto considerata come un “Trattato”, perché in tal caso avrebbe dovuto sottoporla al Senato per la ratifica e questo era un passo che non voleva fare assolutamente.

Essa non fu quindi scritta su pergamena, né firmata, né siglata o timbrata. Fu semplicemente tirata al ciclostile e pubblicata. Ma il suo effetto fu mondiale e la sua importanza storica. Gli Inglesi impararono che quando si afferma un principio morale, esso diventa impegnativo, anche se espresso con riserva mentale.

jan14-2-img

Non passò molto che i popoli dell’India, della Birmania, della Malesia e dell’Indonesia incominciarono a chiedere che la Carta Atlantica venisse estesa ai popoli del Pacifico e dell’Asia. La questione divenne così acuta e imbarazzante che Churchill fu indotto a discuterla alla Camera dei comuni dicendo:

Alla Conferenza Atlantica, noi avevamo in mente soprattutto di ripristinare la sovranità, l’indipendenza e la vita nazionale degli Stati e delle nazioni d’Europa sotto il giogo nazista e di stabilire i principi che possono regolare, eventualmente, tutte le loro questioni di confine.

È quindi un problema completamente distinto da quello della progressiva evoluzione delle istituzioni d’autogoverno in quelle regioni e fra quei popoli che dovevano obbedienza alla Corona britannica.

Però la Carta Atlantica dichiarava, al punto 3: “Essi rispettano il diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo che risponde alla loro volontà” (clausola che, tra parentesi, fu presa di peso senza una correzione dal primitivo disegno preparato dallo stesso Churchill).

slide02

Il punto 4 accennava a: “tutti gli Stati grandi e piccoli”; il punto 5 a: “tutte le nazioni”; il punto 6 a: “tutte le nazioni e a tutti gli uomini di tutte le terre”; il punto 7 a: “tutti gli uomini”; il punto 8 a: “tutte le nazioni del mondo”.

Si può proprio dire che soltanto la parola “tutto” è la pietra angolare dell’intera struttura delle Nazioni Unite. Anche la frase di Beaverbrook, quella degli “obblighi esistenti”, fu nettamente superata di fronte all’enorme peso delle nuove responsabilità fermamente, anche se non ufficialmente assunte.

L’ultimo giorno della Conferenza, definiti tutti i punti della Carta e stilato il cablogramma da inviare a Stalin, il Presidente ebbe a colazione il Primo ministro, Beaverbrook e Hopkins. Secondo questi, fu la riunione più bella di tutte. Non c’erano affari da trattare. Roosevelt e Churchill erano riposati, contenti ed allegri.

Era un’ambizione di Hopkins quella di fare da “catalizzatore” o da “paraninfo” fra i due e a dimostrare a Roosevelt che con Churchill ci si poteva trovare perfettamente a proprio agio e viceversa. Beaverbrook, che Roosevelt conosceva già da tempo, gli fu d’aiuto inestimabile.

Sarebbe esagerato dire che Roosevelt e Churchill divenissero intimi dopo questa o altre conferenze. Stabilirono una facile e amichevole cordialità, senza pompa e sussiego, una franchezza di rapporti che fu quasi assoluta, ma né l’uno né l’altro dimenticarono per un solo istante chi rappresentavano e chi erano.

prince_of_wales-5

Del resto, fino all’ultimo non ebbero che relazioni legate al loro ufficio. Erano due uomini che svolgevano la stessa attività, i capi politico-militari di due paesi d’importanza mondiale. Il loro era un campo troppo esclusivo e i pochi che lo raggiungono hanno raramente l’occasione di fare quattro chiacchiere alla buona con un pari grado.

Si stimavano reciprocamente con l’occhio pratico del collega e da questa stima nacque un’ammirazione e una simpatica comprensione dei problemi cui ciascuno si trovava di fronte e che statisti meno grandi non avrebbero saputo capire. Così, a Yalta, quando Churchill si ostinò particolarmente su un punto o due del programma, Roosevelt poté dire a Hopkins: “Bisogna capirlo. Di qui a poco ha le elezioni in casa sua”.

428331751-piano-di-guerra-winston-churchill-carta-soldato-sovietico

E come dimostrò il verbale, vi furono invece altri punti di ben maggiore importanza su cui il Primo ministro cedette, considerando i problemi di politica interna che sempre imbarazzavano il Presidente.

Stando alla tradizione, quando si incontrano due statisti, l’uno americano e l’altro inglese, il primo sarà schietto, franco e ingenuo sino alla dabbenaggine e l’altro circospetto, abile, falso e finirà per avere il sopravvento. Nel caso di Roosevelt e di Churchill la tradizione venne smentita. Dei due Roosevelt e non Churchill poteva dirsi allievo di Machiavelli. L’Inglese era come l’elefante in un negozio di porcellane.

teheran-tre-grandi-1943

Il Primo ministro imparò presto a conoscere nel Presidente un uomo di infinita sottigliezza e ambiguità, un uomo che era assai difficile inchiodare ad un fatto compiuto o condurre a impegni precisi che fossero contrari al suo giudizio, al suo volere o al suo istinto.

E Roosevelt imparò altrettanto presto quanto Churchill fosse tenace nei suoi propositi. Gli ammiratori del Primo ministro poterono chiamarlo: “tenace, indomabile” e i detrattori definirlo: “ostinato, duro, testardo, cocciuto come un mulo”.

Le due fazioni forse potevano trovarsi d’accordo su una parola: “inflessibile”, che in senso buono che cattivo. In ogni caso fu questa qualità che spesso rese così difficile il trattare con lui, ma altre volte – soprattutto durante la guerra – lo rese grande.

Roosevelt e Churchill si trovavano certamente in urto qualche volta, ma la documentazione del loro comune operato non reca che minime tracce di irascibilità o di meno che cordiale e cortese considerazione. Perché esercitavano entrambi un immenso fascino e si suggestionavano a vicenda.

328785615-vagone-carta-reichskanzler-adolf-hitler

In una delle ore più buie della storia, Roosevelt concluse così un lungo e importante messaggio e Churchill: “È strano che noi due si debba vivere nella stessa epoca!”. Quando Churchill lasciò Argentia sul Prince of Wales, la nave ebbe la scorta di cacciatorpediniere americani fino all’Islanda, dove si fermò per un breve giro d’ispezione.

Su uno di questi caccia era imbarcato come alfiere Franklin D. Roosevelt junior. Churchill trasmise poi un discorso per radio, nel quale disse:

E così noi torniamo sulle onde dell’Oceano, sollevati nello spirito, fortificati nel morale. Alcuni caccia americani che trasportavano la posta ai marinai degli Stati Uniti in Islanda, facevano casualmente la nostra stessa rotta e così ci facemmo buona compagnia in mare.

870172853-reganar-machtergreifung-rugir-mimica

Il rapido e un po’ scherzoso accenno a quei cacciatorpediniere che seguivano “la nostra stessa rotta”, ha un valore maggiore di quello che non sembri: significa che la nostra flotta atlantica sotto il comando di quel feroce realista che era l’ammiraglio King, operava e si esercitava ventiquattr’ore al giorno in asseto di guerra, navigando di notte a lumi spenti mentre gli ufficiali di guardia osservavano con sospetto ogni rilevamento imprevisto e l’equipaggio era sempre pronto a raggiungere il posto di combattimento.

Mentre invece nel Pacifico, la flotta, paralizzata quasi dall’ossessione della neutralità , cercava di evitare meticolosamente ogni minimo sintomo di tensione e gli ufficiali cercavano di agire e di pensare in modi più pacifici, limitandosi alle solite routine degli spettacoli cinematografici sopra coperta e dei balli del sabato sera al Royal Hawaiian, al Circolo Ufficiali e all’Hotel Manila.

images

Di ritorno in Inghilterra, Churchill apparve così fiducioso, da dare al popolo con esuberante sicurezza il nuovo segno della ”V” per la vittoria e il popolo britannico suppose con gioia, come senza gioia avevano supposto gli isolazionisti americani, che alla Conferenza si fosse stipulato qualche accordo segreto, di cui si sarebbero saputi i risultati a tempo opportuno.

È ben difficile che Churchill abbia mosso un dito per soffocare tale speranza.

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento