VITTORIO AGNINI, 90 ANNI DI “LOTTE” . 1

VITTORIO AGNINI (Arco, Trentino)

90 ANNI DI BATTAGLIE

a cura di Cornelio Galas

Autobiografia di Vittorio Agnini

PREFAZIONE

“Ogni vita, per quanto lunga, non può che apparire come un’unica breve esplosione della libertà”: queste parole sono state pronunciate da Karl Rahner, grande teologo tedesco dell’Università di “Freiburg im Breisgau” poche settimane prima di morire, ottantenne, il 12 febbraio 1984. Dello stesso cito anche “ ottant’anni sono un tempo lungo, ma per ognuno, il tempo della vita che gli è concesso, è il breve istante in cui diventa ciò che deve essere”.

Non sono neppure un granello di polvere nell’immensità  dell’universo (dove le distanze si contano in anni luce) e i miei quasi novant’anni mi hanno portato a raccontare la mia “breve esplosione di libertà”. La dedico ai miei genitori, ai miei nonni, ai miei antenati molti dei quali furono, al loro tempo, illustri protagonisti, e a tutte quelle persone che hanno vissuto la propria idealità come espressione d’impegno civico e sociale. Lascio ai miei figli questi fogli che narrano – parzialmente – un passato vissuto intensamente e con coraggio, malgrado le traversie e le difficoltà che mi hanno reso difficile l’agire.

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Mi sarebbe piaciuto chiamare questa autobiografia MEIN KAMPF per contrapporla a quella del demoniaco, demente e farneticante Hitler con una aberrante ideologia culminate con le camere a gas e gli esperimenti su persone vive. Volevo con ciò dire che non è il nome o il titolo quello che conta ma lo sono i contenuti e gli atti. Non sarebbe stato capito ed allora avevo pensato “mein guter kampf”, la mia buona battaglia. In questo caso sarei stato accusato di esibizionismo teutonico. La mia autobiografia si chiamerà semplicemente “la mia battaglia politica e sociale”.

PREMESSA

Il mio racconto inizia nel mese di luglio del 1946 quando sono tornato a casa dopo gli esami di diploma di “perito agrario” e lascio ad un eventuale altro racconto gli anni della gioventù e delle traversie causate dagli eventi bellici (anche se ad essi devo accennare in quanto dall’estate 1944 all’autunno 1945 ho dovuto interrompere la scuola per un anno che per fortuna sono poi riuscito a ricuperare) che sono stati oltre che assai ricchi di peripezie anche di esperienza: la giovinezza mi ha fatto assaporare la libertà di scorrazzare in bicicletta, di salire in cima agli alberi, di studiare, di avere una severa ma benefica educazione. La guerra l’ho vista da vicino (qualche volta anche troppo) traendone la terribile visione dei bombardamenti o dei vagoni piombati che transitavano alla stazione di Rovereto con i prigionieri che venivano trasportati in Germania, ed ho anche visto l’entusiasmo della “liberazione” sia pur nel placido Trentino. Con la fine della guerra nell’aprile del 1945 ho dovuto ricuperare l’anno perduto e quindi studiare durante l’estate al fine di fare gli esami nell’autunno in modo di poter frequentare l’ultimo anno dell’istituto tecnico. A Brescia erano stati organizzati alcuni cicli di lezioni che riassumevano molto concisamente il programma dell’anno da ricuperare. Con l’aiuto dei libri a casa si è dovuto approfondire gli argomenti. Non ricordo i giorni ma credo che sia stato ai primi di settembre che, sempre a Brescia,. si sono svolti gli esami che ho superato e quindi idoneo a frequentare il 5° anno dell’istituto tecnico agrario. In classe eravamo in 40 provenienti da esperienze diverse ma in tutti c’era la volontà di studiare. Un anno tranquillo, pieno di impegno negli studi. Studiare, passeggiate, brevi ricreazioni, insegnanti severi ma disponibili a colmare le lacune e benevoli per le nostre esperienze durante la guerra.

Nella calda estate del 1946 gli esami: gli esaminatori furono severi ma comprensivi e con la media del sette ho conseguito il diploma. Finiva un ciclo di vita e diventavo libero di incominciare a dedicare il mio tempo e le mie energie all’ingresso nel mondo del lavoro, degli ideali nonché alla maturazione dei propositi maturati negli anni precedenti.

DEMOCRAZIA E LIBERTÀ

Mi iscrivo alla facoltà di economia e commercio a Milano mentre a Rovereto (ove risiedo) comincio a frequentare la sede della Democrazia Cristiana conoscendo persone di alto livello culturale, sociale ed umano. Comprendo il momento difficile, mi iscrivo alla D.C. e vengo eletto segretario comprensoriale dei gruppi giovanili e, come tale, partecipo al primo congresso dei giovani D.C. a Firenze ove, tra altri, era relatore Andreotti che ci anima e ci illustra l’impegno cui dobbiamo dedicarci. Si gira per i paesi per riunioni, incontri, e noi giovani ci si trova insieme per rinsaldare vincoli di amicizia e di idealità e ci si prepara alla battaglia per il fatidico 18 aprile 1948.

Nell’imminenza delle votazioni si partiva dopo cena in due per i paesi montani con la bicicletta per spiegare alla gente la situazione, il pericolo comunista, le prospettive ideali. Più volte ho accompagnato, sempre in bicicletta a queste riunioni serali nei paesi di montagna Giuseppe Veronesi, un uomo di una onestà e rettitudine cristallina. Veronesi venne eletto deputato (lo sarà stato per vent’anni) ma continuerà a vivere in una casa popolare senza lussi perché ogni superfluo lo dava ai poveri: una lezione di stile di vita che condizionerà tutta la mia vita.

Vinte le elezioni riprendo l’impegno scolastico temporaneamente interrotto: sul treno che mi porta a Padova all’università (ove mi ero iscritto alla facoltà di agraria), girellando, ho trovato nel loro scompartimento riservato (allora era la regola inderogabile) l’on. Veronesi che mi ha saluta calorosamente e mi presenta all’on. Helfer con queste parole “questo giovane ha la testa dura classificabile all’11° grado della scala di Mohs” (la scala delle durezze ha solo 10 gradi e questo era un complimento per evidenziare la mia ferrea volontà di lottare tenacemente senza arrendermi di fronte alle difficoltà). Anche tale episodio lo rivivo con immenso piacere.

LA SALUTE

Nel luglio del 1948 (pochi mesi dopo la vittoria politica elettorale del 18 aprile) la mia vita cambia completamente: il 23 giugno 1948 : mi metto a letto con febbre alta e difficoltà di respiro. Il medico di famiglia sbaglia la diagnosi e mi prescrive cure dannosissime:: olio di ricino, sulfamidici, cataplasmi bollenti di farina di lino. Dopo circa un mese di malattia i miei genitori molto preoccupati mi portano al dispensario antitubercolare e ad essi viene consigliato di ricoverarmi subito ad Arco.

Un amico – era il 25 luglio – con la sua “Balilla” tre marce mi porta ad Arco al San Pancrazio dove il dr. Kioroglian, dopo una accurata visita emette il responso: gravissima forma tubercolare con poche (o nulle) probabilità di vita. Mi ricoverano con l’ordine di non alzarmi dal letto: nei giorni seguenti gli amici di Rovereto venivano a trovarmi quasi per darmi l’addio. Mi sentivo un leone ferito a morte.  Per fortuna in quei tempi cominciavano le prime esperienze su nuovi farmaci: mio padre – dottore in chimica – riesce ad avere da colleghi di case farmaceutiche dei grossi barattoli di PAS (una polvere bianca che prendevo a cucchiai) mentre la mamma – utilizzando tutti i risparmi familiari – acquista a Trento la streptomicina a lire 5.000 (allora era una cifra enorme) il grammo. La malattia, con tali drastiche sperimentali e costose cure, si ferma e dopo alcuni mesi mi viene consentito di alzarmi. Il giorno di Natale, per la prima volta, su una carrozzina, posso andare in  Chiesa alla Messa

Il primo ottobre del 1949 un primo piccolo impatto con la chirurgia: il dr. Miori mi opera di frenicoexeresi. Durante la degenza al San Pancrazio un ricco signore ivi degente fa venire da Padova un chirurgo per farsi operare di toracoplastica ed i miei genitori – su consiglio del medico – accettano che tale intervento sia fatto anche a me: era il 5 aprile 1950. Lentamente la situazione clinica si stabilizza, posso muovermi liberamente con cautela e posso anche avere qualche permesso di uscita. Per evitare la calda estate ottengo di fare un breve soggiorno (dal 25 giugno al 5 settembre 1950) al sanatorio di Bressanone per poi ritornare ad Arco. Mi rendo conto che Arco è pieno di ammalati ma che , oltre ai sanatori ci sono anche i “preventori” per bambini a rischio. Approfitto delle uscite per andare in tali Istituti a rallegrare i ragazzi facendoli disegnare. Nel frattempo le ACLI avevano costituito una associazione tra i degenti: i NAD (nucleo Aclisti degenti) e pertanto mi metto in contatto con la segreteria provinciale, retta dal dr. Fronza, e la segreteria nazionale, diretta dal sig. Olini. Arco in quel tempo aveva 25 sanatori ed oltre 3.500 ammalati ad alto rischio perché potenziali diffusori della malattia.

L’amministrazione comunale aveva decretato il divieto per i degenti di frequentare i bar e quindi con altri amici interesso le ACLI auspicando la costruzione di un centro ove i degenti possano avere un bar ritrovo per loro unitamente a servizi sociali e di svago nonché locali per attività culturali e d’istruzione (corsi di dattilografia). Le ACLI di Trento e di Roma progettano quindi la costruzione di una villetta che sarà chiamata “la Fiaccola” e che sarà inaugurata due anni dopo. La mia situazione clinica era di “stabilizzato a rischio”: mi sembrava riduttivo fermarmi ad Arco e quindi chiedo di essere trasferito a Cuasso al Monte (Varese) ove c’era un centro sanatoriale di media montagna: anche lì mi impegno nel NAD con varie iniziative, scrivo qualche articolo sul mensile nazionale dei NAD e creo in loco un giornalino ciclostilato.

Vittorio Agnini 1989

Un giorno mi segnalano che a Milano cercavano un perito agrario per un centro postsanatoriale per un incarico d’insegnamento: prendo contatto con tale Istituto – il “Salvini” che poi si chiamerà “Vigorelli” – e mi accettano. Mi faccio trasferire a tale Istituto e mi viene affidato l’incarico di organizzare una scuola laboratorio per l’allevamento dei topi bianchi da vendere agli istituti di ricerca.

L’iniziativa parte ma gli allievi sono solo due e il numero delle gabbie assai ridotto per una produzione insufficiente a fronteggiare le esigenze del mercato. In tale sede ho avuto modo d’iniziare la mia prima battaglia contro l’economo, uomo dai modi bruschi, arrogante e volgare e faccio una circostanziata relazione di tre pagine al Presidente evidenziando fatti, nomi e precise frasi oltraggiose rivolte alla suora, nonché episodi che hanno recato un danno funzionale ai responsabili di reparto, malumori e interventi non conformi al rispetto delle persone e del loro lavoro.

Credo opportuno riportare la parte finale di tale relazione datata 15.5.1952: “Egregio signore, Lei forse non sa da quanto tempo si aspetti nei sanatori un centro di riqualificazione e riallenamento al lavoro: per la buona volontà e la tenacia di poche persone (tra cui non posso dimenticare l’on. Vigorelli, l’avv. Colombo, ed il prof. Bottero) esso sta diventando una realtà viva ed operante. L’ambizione di altre persone – che oltre ad essere volgari sono anche incapaci e mantengono i lori posti per la protezione politica – stanno cercando di rovinare il paziente lavoro degli altri. Non è questo il mio parere personale ma quello della totalità di coloro che sono o sono stati ospiti del Salvini. Questo esposto è un atto di fede: io credo che vi siano ancora delle persone oneste e perciò mi appello ad esse perché con coraggio estirpino il marciume e ridiano al Salvini la possibilità di funzionare nel senso pieno e completo della parola”.

Tale relazione non ha avuto alcuna risposta: purtroppo il direttore, prof. Bottero docente universitario, era presente molto saltuariamente e quindi riesco a fare ben poco anche per la situazione giuridica dell’economo che era distaccato dall’ECA di Milano, e da esso dipendeva. Ci si rende conto che l’iniziativa dell’allevamento di cavie, per quanto lodevole, non trovava facile riscontro tra gli ex degenti e pertanto al termine del corso chiedo di essere trasferito al Villaggio sanatoriale di Sondalo, gestito dall’Alto Commissariato per la sanità. L’ECA di Milano – a firma del prof. Bottero mi rilascia una dichiarazione che attesta la qualifica d’insegnante di zootecnica e inoltre dice … ”Vittorio’Agnini ha svolto un proficuo lavoro dal punto di vista della riqualificazione; inoltre il suo comportamento nel periodo di soggiorno nell’Istituto (anno scolastico 1951 – 1952 ) è stato tale da ottenere il più vivo compiacimento da parte di questa direzione” firmato prof. Dr. Aldo Bottero. Appena arrivato a Sondalo mi affidano subito l’incarico di responsabile (segretario) del NAD. Il “Villaggio sanatoriale di Sondalo” iniziato in era fascista, al termine della guerra fu arredato dalla Croce Rossa Svizzera e gestito dall’Alto Commissariato per la Sanità di Roma, era costituito da nove padiglioni con oltre 2000 degenti. La sede del NAD era al seminterrato del 5° padiglione mentre io fu ricoverato nel cosiddetto “repartino” del padiglione chirurgico (il 4° padiglione) che distava dalla sede dell’associazione circa un chilometro. Tutti i giorni dopo il riposo obbligatorio sullo sdraio dalle nove alle 11, 30 in veranda, la terapia quotidiana e la visita del medico, il pomeriggio, dopo un breve riposo, andavo alla sede ove, coadiuvato da un caro amica, Elvio Santucci che svolgeva le pratiche di patronato, organizzavo incontri, manifestazioni: la mostra del libro, mostre fotografiche, di artigianato sanatoriale (molti degenti per passare il tempo si dedicavano chi alla pittura, chi alla fotografia, chi ad altri lavori (famosi i “centrini”), conferenze ecc. Grande successo hanno avuto le due gimkane motociclistiche organizzate dal NAD che ha visto la partecipazione del moto club valtellina. Non è stato facile organizzarla perché quando ho chiesto l’autorizzazione al direttore sanitario del Villaggio, prof. Vittorio Baroni, questi mi ha guardato e mi ha detto di no ma se volevo farla con gli asini … potevo. va bene la farò anche con gli asini. Con gli asino non l’ho fatta ma ho parlato con altri primari che hanno convinto il direttore a dare l’autorizzazione. Nel grande piazzale centrale i bravi motociclisti valtellinesi si sono esibiti con grande destrezza dai degenti assiepati sugli spalti e quindi fuori – in modo assoluto – da ogni pericolo.

Nel frattempo penso di organizzare una mostra di artigianato sanatoriale a Sondrio dal 11 al 13 aprile 1953 presso il salone delle ACLI: modelli di navi, miniature con carillon, fotografie artistiche, pittura e tanti lavori tipicamente femminili ( uncinetto, maglia, confezioni ecc). Le pareti sono tappezzate da cartelloni con grafici e diagrammi che dimostrano la decrescente morbilità e mortalità. In un mio articolo su “la Fiaccola” (mensile nazionale dei NAD) faccio il positivo bilancio sia come immagine, sia come dimostrazione dell’impegno, sia economico (parte degli oggetti era in vendita ed il ricavo totale è andato ai creatori degli oggetti esposti).

Complimenti da parte delle Autorità. Dott. Prestipino,  commissario prefettizio, l’on. Valsecchi. Monsignor Arciprete, il Comandante del distretto militare ed altri: del mio articolo cito solo alcune frasi …”far conoscere la TBC nei suoi aspetti sociali e umani e di contribuire a far crollare il mito del male che non perdona, che ha circondato per tanti anni questa malattia”…”il segretario NAD Vittorio Agnini ha ringraziato i presenti per il loro interessamento ed ha ricordato che la presente mostra non vuole essere un punto di arrivo, ma bensì un punto di partenza per più grandi realizzazioni sociali a favore dei degenti nei sanatori che attendono con fiducia di ritornare nella società non solo guariti ma anche come elementi attivi e produttivi”.

Il mio impegno di presidente del NAD di Sondalo ha avuto ampio riconoscimento e sono stato fatto segretario del NAD provinciale di Sondrio e del comitato nazionale NAD di Roma ove ho conosciuto l’ottimo Bruno Olini che mi ha onorato della sua amicizia.

LA GUARIGIONE

Come è nel mio carattere ho sempre cercato le soluzioni a tutte le mie idealità e programmi. Anche per il fisico mi sono comportato analogamente. La mia situazione di “stabilizzato a rischio” non mi andava e quindi, come sempre, ho cercato una soluzione che risolvesse definitivamente il mio problema: dopo molte insistenze con il mio medico curante, dr. Ermenegildo Spaziante, il prof. Benedetto Rossi, primario chirurgo mi chiama e mi dice che avrebbe potuto togliere tutta la parte ammalata del polmone (praticamente levare tutto il polmone sinistro) ma che però non mi garantiva l’esito dell’intervento che poteva essere infausto e mi concede 15 giorni per di pensarci. Una decisione terribile da prendere e chiedo consiglio ai miei genitori in una lunga lettera nella quale elenco le tre ipotesi: 1 – non operarmi e correre il rischio di ammalare anche l’altro polmone 2 – operarmi con esito positivo e quindi di poter fare una vita “ quasi normale di lavoro e occupazioni varie” 3 – non superare il trauma operatorio e quindi morire Faccio notare che la vita presenta sempre dei rischi, che altri interventi analoghi sono riusciti ed esprimo il pensiero che “varrebbe la pena di tentare”…..”affidarci nella mani del Signore il quale può, mediante l’intervento sanarmi o avvicinarmi a Lui nel mondo a cui tutti, prima o poi, siamo destinati”.

Il prof. Rossi, (cui ho dedicato un ricordo sull’inserto “salute” del Corriere della Sera in data 11 febbraio 2004 nel cinquantenario dell’intervento, aveva fatto l’esperienza di chirurgia toracica a Zurigo presso il prof. Brunner e aveva fama di essere scrupolosissimo, attentissimo, e consapevole che la vita di una persona era affidata alla sua perizia. Inoltre la sua attenzione per l’ammalato era tale che spesso, anche di notte, si recava in reparto a verificare la situazione dei suoi pazienti Dò l’assenso ed il 11 febbraio sono operato: mi sveglio il giorno dopo e mi ritrovo ancora vivo con i miei genitori appena arrivati (avevo detto loro che l’intervento sarebbe stato fatto il giorno 12: la vita può riprendere.

Incomincio la riabilitazione e lentamente riprendo le forze e ritorna lo spirito che mi ha sorretto in tutti questi anni di lotta contro il male. Ovviamente lascio ad altri la direzione operativa del NAD che, sempre in accordo con le ACLI di Sondrio organizzano in tale città una grande mostra di pittura, con le opere dei degenti:. Viene formato un comitato d’onore al quale aderirono tutte le autorità provinciali e tra queste cito: il Vescovo di Como, gli on. Valsecchi, Cappugi, Pennazzato, Sindaci delle varie località valtellinesi, direttori sanitari ecc. 30 personalità che danno alla mostra un rilievo che travalica il ristretto ambito del “Villaggio sanatoriale”: Ovviamente io entro a far parte del comitato organizzativo La mostra – effettuata dal 20 al 29 giugno 1956 a Sondrio alla presenza di molte Autorità ottiene un ottimo successo. Viene stampato un catalogo con le recensioni degli esperti del comitato di valutazione delle opere. Anche questo sogno si è realizzato: nell’estate, riprese le forze, riprendo in pieno l’attività di segretario del NAD e come tale mi viene l’idea di organizzare una grossa manifestazione ricreativa molto particolare: una gimkana motociclistica (ovviamente effettuata da motociclisti della provincia. Il direttore sanitario prof. Vittorio Baroni si dichiara inizialmente contrario e mi consiglia di organizzare una corsa di asini (sic!). Non demordo ne parlo con altri medici che convincono il direttore sanitario, dei lati positivi, e ottengo il permesso.

Il territorio del villaggio sanatoriale ha al centro un grande spazio che ha l’aspetto di  una platea di anfiteatro in quanto circondato dalla strada che collega i vari padiglioni che sono arroccati sulla montagna. Il moto club di Morbegno, cittadina della Valtellina in provincia di Sondrio, tramite gli amici delle ACLI provinciali aderisce alla iniziativa incaricandosi di allestire il percorso per una gara di abilità da eseguire con grande attenzione il 24 luglio 1954: i giovani motociclisti danno prova della loro abilità suscitando ampi consensi ed entusiasmo tra i degenti affacciati alla balconata che circonda il campo dell’esibizione: un’ottima riuscita. Purtroppo durante la premiazione uno scroscio di pioggia ci costringe a procurarci un ombrello per riparare il Commissario Prefettizio (responsabile amministrativo) dr. Prestipino ed altri dirigenti presenti per la premiazione.

Ma è solo un momento e quindi dopo pochi minuti si prosegue nella premiazione Traggo dal mio lungo articolo su “La Fiaccola” in data 12 settembre 1954 in cui espongo con tutte le fasi della manifestazione quanto segue: “Il pubblico (i degenti non erano più tali) che si assiepava sulla strada che sovrasta il piazzale e che aveva scelto come punto d’osservazione i tanti terrazzi, ha trascorso alcune ore d’indescrivibile entusiasmo nell’assistere alle spettacolari ed emozionanti esibizioni dei motociclisti. Una giornata veramente indimenticabile per il susseguirsi di episodi eterogenei, svariati e ricchi d’imprevisti che si sono alternati nel corso della gara con il ritmo caratteristico delle Gimkane lasciando certo soddisfatto anche il gusto più eletto del più refrattario degli spettatori. Non sono mancate neppure le scene divertenti accompagnate sempre dal fragoroso rumore di marea e gli episodi quasi patetici come il ritiro dalla gara di due partecipanti a cui faceva seguito il sordo brontolio di commiserazione del pubbllico”. Concludo l’articolo con il seguente auspicio “Questa la cronaca di una magnifica giornata vissuta nel Villaggio e ci è restato nel cuore il desiderio di vederne molte altre. Chissà che questo desiderio non sia presto una realtà”

Ai primi di ottobre del 1956 il direttore sanitario e il mio medico curante, dr. Spaziante, mi chiamano e mi dicono che ormai tolta la parte ammalata posso considerarmi guarito. Mi dicono che, con una vita tranquilla e regolata avrei potuto vivere 20/30 anni, che potevo fare un lavoro che non comportasse stress (tipo presso una rivendita di tabacchi e giornali). Il giorno 9 ottobre 1956 vengo dimesso. E’ finita l’avventura della malattia: quale futuro mi aspetta? Anticipo subito che il 11 febbraio 2004 l’inserto del Corriere della Sera “Salute” pubblica un mio ringraziamento al prof. Benedetto Rossi che con maestria e abilità mi aveva operato cinquant’anni prima. Il mio fu l’ultimo atto operatorio del prof. Rossi che lasciava Sondalo per assumere il primariato di chirurgia a Desio: Il “villaggio” perdeva un grande chirurgo che, alla luce di un episodio che racconterò in seguito, apparirà in tutta la sua rilevanza.

IL LAVORO

La prima preoccupazione per un dimesso nelle mie condizioni era il lavoro: le Acli di Sondrio hanno notizia che la CISL voleva organizzare un ufficio sindacale per l’Alta Valtellina, segnalano il mio nominativo e vengo assunto. Trovo un locale per l’ufficio ed uno per l’abitazione, acquisto una “lambretta” e mi metto al lavoro. Nel frattempo il “villaggio sanatoriale” era passato dalla gestione dell’Alto Commissariato alla gestione I.N.P.S. e quindi conosco i dirigenti romani del sindacato CISL fra i dipendenti di tale Istituto: Il segretario nazionale era un trentino, il rag. Panizza con il quale, in breve divento amico.

Dopo pochi mesi di attività una breve influenza mi costringe a letto e vengono a trovarmi alcune infermiere del padiglione chirurgico le quali mi informano che il nuovo primario opera senza tante discriminazioni tanto che la mortalità operatoria era notevolmente aumentata. La notizia mi sconvolge e scrivo subito, firmandolo, un articoletto al giornale della provincia “Corriere della Valtellina” che in data 11.12.1954 lo pubblica senza il mio nome per ovvi motivi. In essa tra il resto scrivevo: “ i malati non sono degli esseri da sottoporre a un qualsiasi intervento operatorio, ma delle persone che devono essere seguite prima e dopo l’operazione con quella particolare attenzione che si conviene in quel delicato momento“ più avanti riprendo tale aspetto scrivendo: “si sia sopra tutto rigorosi verso quei medici che non sono solleciti verso i bisogni dell’ammalato e non si aspetti che succeda il “fattaccio” prima di prendere provvedimenti. I medici che non sono all’altezza del loro compito e della loro missione non possono essere tollerati in un centro come il Villaggio” e più oltre continuo ” non è giusto che gli ammalati soffrano e si sentano abbandonati per la premura di ottenere un’alta casistica di interventi, perché tutti i medici sono impegnati in sala operatoria e le infermiere sono poche. Non è giusto perché non tutti hanno alte protezioni e un trattamento di favore”

L’articolo suscita rabbiose reazioni. Un gruppo di medici si reca a Sondrio per avere il nome dell’estensore ma la redazione risponde: il nome non lo possiamo dare, se vi sentite diffamati fate la denuncia: A oltre cinquant’anni aspetto ancora la denuncia!

Purtroppo la CISL voleva che io curassi sindacalmente anche l’alta valle dove c’erano i lavori per le dighe e le miniere: Sondalo è a 1000 metri, Bormio ancora di più e i lavori ad ulteriori maggiori altezze: girare con il motorino oltre alla zona del Villaggio sarebbe stata una pazzia e quindi dopo un anno lascio l’incarico. Gli amici del sindacato CISL INPS mi chiamano a Roma e non avendo mezzi economici mi faccio ricoverare in una casa di cura privata a Roma per effettuare controlli sulle mie capacità fisiche al lavoro. Ogni giorno potevo ottenere il permesso di uscita e quindi mi reco alla segreteria del sindacato per collaborare nel lavoro organizzativo.

Gli amici di Roma, tramite il vice presidente dell’INPS on. Cappugi, mi segnalano alla direzione generale per essere assunto nell’ambito della quota obbligatoria di ex tbc che ogni casa di cura doveva avere. Dopo molti mesi la mia domanda viene accettata e sono destinato ad Arco. Riparto subito per tale destinazione e mi presento al sanatorio Armanni il 6 dicembre 1956: il direttore sanitario, dr. Tognana, guardando la mia situazione dubita che sia idoneo al lavoro: per fortuna la segretaria signora Trigona, un’anziana impiegata mandata da Roma allorchè l’INPS ha aperto il centro sanatoriale di Arco, intercede per me dicendo di mettermi alla prova. Il periodo di prova, grazie anche all’aiuto dei colleghi, viene superato con onore e quindi ratificata l’assunzione. Incomincio dalla gavetta: i lavori più tediosi sono del nuovo assunto però servono a fare esperienza ed a conoscere le tecniche burocratiche dell’INPS. Dopo il lavoro mi dedico all’attività sociale. In città – vicino ai sanatori Parenti e Bellaria – era già stata inaugurata “la Fiaccola” centro di ritrovo per gli ammalati, sede di un bar di corsi di vario genere (tra i quali quello di dattilografia e, eccezionale, il primo corso per la patente automobilistica, novità assoluta per Arco), di mostre di conferenze.

Purtroppo le persone che gestivano tale sede non erano all’altezza del compito e pertanto, al mio arrivo, le ACLI di Trento mi affidano il compito – gratuito – di direttore: Ritrovo, molto impegnato per una buona gestione l’amico Pontalto Domenico (conosciuto al San Pancrazio durante la degenza) che cura la parte amministrativa, che mi affianca, e dò impulso alla attività. Con la consulenza di un amico esperto allestiamo due campi da bocce che però furono poco utilizzati.

L’IMPEGNO SINDACALE

I dipendenti ad Arco presso il sanatorio dell’INPS erano in parte della CGIL ed in parte di un sindacato autonomo: io dichiaro subito di essere iscritto alla CISL. Il sindacato autonomo era nato in contrapposizione a quella “comunista” ma non aveva a Roma validi dirigenti cosicché prendo l’iniziativa di iniziare il tesseramento alla CISL e faccio qualche aderente.

Sondalo 1954

Nel 1958 e 1959 si manifesta a Roma una grave crisi nel sindacato CISL – INPS: i dipendenti delle sedi (costituito da impiegati di vari livelli) volevano staccarsi dai dipendenti delle case di cura che erano in massima parte operai e per una percentuale molto minoritaria impiegati o diplomati professionali: Si crea una frattura nella direzione nazionale cosicché la confederazione sindacale centrale nomina due commissari per normalizzare la situazione. Capisco che le cose non vanno, e quindi parto per Roma e ai responsabili della confederazione sollecito un congresso. Devo fare, nella calda estate del 1960 due viaggi ma, alla fine, il segretario organizzativo confederale, sig. Fantoni, accetta i miei consigli e provvede egli stesso alla convocazione per l’autunno (era il 1960) del congresso a Firenze. Il mio arrivo all’assemblea desta molti interrogativi: chi è costui, appena entrato, che cosa vuole? Chiarisco subito a chi mi interpella che il mio solo impegno è quello di dare funzionalità al sindacato dei sanatoriali che da qualche anno era statico e faccio presente di conoscere i problemi organizzativi e sindacali per essere stato, sia pur per un breve periodo, collaboratore della segreteria nazionale. Capisco subito che chi desiderava fare il segretario nazionale del nuovo sindacato ospedaliero voleva trasferirsi a Roma da una sede periferica e quindi pongo la mia candidatura facendo presente che la mia era solo un impegno di servizio senza altra ambizione e quindi vengo eletto segretario nazionale. del nuovo sindacato delle case di cura dell’INPS .

Il congresso, come primo atto aveva sancito la nascita di due sindacati sempre nell’ambito CISL: quello delle Sedi e quello delle case di cura. Mi ritrovo da Arco ad avere una grossa responsabilità sindacale nazionale e gli amici mi fanno presente che da tale sede avrei avuto difficoltà ad esercitare le funzioni. A Roma mancava anche una sede per l’ufficio sindacale (quella di prima non poteva ospitarci ) e quindi mi presento ai dirigenti INPS chiedendo una sede e il trasferimento a Roma (pregando di tener presente che al termine del mandato avrei desiderato tornare ad Arco). Il capo sevizio delle Case di Cura, dr. Carlo Alberto Masini (che diventerà poi direttore generale) comprende le esigenze concedendomi innanzi tutto il “distacco sindacale” (praticamente ero esonerato dal servizio in casa di cura per effettuarlo nel sindacato) al quale seguì, solo agli effetti burocratici, il trasferimento al sanatorio “Ramazzini” di Roma.

Ai primi mesi dell’anno 1961 mi trasferisco a Roma con tutta la famiglia, trovo una sede nel palazzo di via Giulio Romano dove vi erano i servizi della gestione delle case di cura ed inizio il mio lavoro con molto entusiasmo. Mi faccio conoscere ed apprezzare da molti funzionari che pertanto mi aiutano a rispondere sollecitamente alle richieste della periferia: Capisco che l’informazione tempestiva ai rappresentanti locali era il segreto del successo e pertanto, anticipando i tempi, fornisco tutte le notizie utili. I rappresentanti della periferia si trovano così ad essere aggiornati prima di tutte le altre organizzazioni sindacali (CGIL e sindacato autonomo) sia dei problemi generali che personali. Questo fatto attira molte simpatie e gli iscritti aumentano dappertutto: al termine del triennio dai 600 trovati arrivano a 3.600: un bel successo. Metto ordine anche nella riscossione dei contributi e programmo visite nelle case di cura comprese quelle in Sicilia e Sardegna: mi reco persino al sanatorio di Prà Catinat in alta quota (era stato creato dalla FIAT e donato all’INPS) ove l’unico modo per raggiungerlo era la teleferica: Sono il primo sindacalista nazionale che arriva in tale luogo. Nelle mie visite incontro a Cagliari un dipendente operaio molto intelligente e capace e chiedo alla direzione generale dell’INPS di trasferirlo al sanatorio Forlanini affinché, con permessi sindacali, possa aiutarmi. Il Capo Servizio gentilmente acconsente e così ho a Roma un collaboratore molto motivato. Al Forlanini la CGIL era molto sviluppata e i dirigenti usavano anche le maniere forti per non perdere iscritti: molti rappresentati di quel partito, con la scusa di permessi sindacali giornalieri, lasciavano il lavoro e si facevano….i fatti loro. Dopo poche volte che l’amico Costa chiede il permesso sindacale gli viene negato: intervengo con una dura telefonata al direttore amministrativo minacciando di far presente la situazione di tali concessioni: Gli amministratori del “Forlanini” capiscono l’antifona e che volevo cambiare il clima di rapporti e concedono – e lo concederanno anche nel futuro – tutti i permessi richiesti. Riunioni sindacali, riunioni in federazione parastatali, incontro con i funzionari per rispondere alle richieste di iscritti e non iscritti. Un duro lavoro che ha dato i suoi frutti: Otteniamo la maggioranza in molte case di cura, in altre rafforziamo la nostra posizione, combatto i privilegi maturati con l’acquiescenza di dirigenti pavidi. Nel frattempo, resosi vacante un posto amministrativo al Forlanini ottengo nel 1962 il trasferimento dell’amico Vio Franco in servizio a Milano che, esperto dei problemi previdenziali, poteva essermi di aiuto per la preparazione delle richieste sindacali in tale campo. Inoltre, rendendomi conto della specificità dei problemi delle assistenti sociali e delle infermiere professionali nonché dei “segretari amministrativo (quelli che saranno poi i direttori amministrativi) creo appositi uffici affidati a un rappresentante di ciascuna di detta categoria suscitando consensi.

a destra Vittorio Agnini 1966

Analogamente invito un amico medico, il prof. Pallotta a costituire, il sindacato medici CISL: anche tale iniziativa ottiene lusinghiere adesioni Al congresso nazionale del 24-25 ottobre 1963 convocato presso la Domus Pacis la mia relazione viene approvata all’unanimità. Nella relazione oltre a fornire informazioni sull’ampio lavoro da me fatto posso anche annunciare che gli iscritti da 600 sono saliti a 3600 nel triennio. Nelle votazioni ottengo il massimo dei consensi e viene eletto un consiglio nazionale più rappresentativo: Abbiamo l’onore della presenza del vicedirettore generale dell’INPS, dr. Carlo Alberto Masini nonché di altri funzionari e di rappresentanze sindacali sia della CISL che di altre confederazioni: Vorrei chiamarlo il “congresso della Vittoria” perché dopo anni di sudditanza, di attività limitata i presenti hanno portato l’entusiasmo di un rinnovato impegno sia periferico che centrale Dopo il congresso riparte l’attività normale, quotidiana. La mia famiglia vuole ritornare ad Arco e quindi accolgo tale desiderio: per i prossimi tre anni, avendo costituito una efficiente segreteria nazionale – sia come sede che come collaboratori – faccio il pendolare. Partire da Rovereto ogni domenica sera con il treno cuccetta in modo da essere a Roma alle sette di mattina e quindi riprendere l’attività, per ripartire il venerdì pomeriggio per arrivare a Rovereto nella tarda serata. Così per tre anni faccio il pendolare con notevole sacrificio. L’amico Balzarini di Milano, d’accordo con me, s’incarica di pubblicare il periodico “Iniziative sindacali” da inviare agli iscritti:, in cui riportare cronache , eventi, prospettive sindacali. Voglio solo ricordare un mio articolo del dicembre 1965 intitolato “il dito nella piaga”. “Nessun dirigente dell’Istituto dopo aver letto l’articolo “sveglia amministrazione” si è chiesto se quanto ivi denunciato risponde a verità e se vi sono giustificazioni per far persistere talune assurdità veramente inconcepibili?, No questo non si è verificato e se qualcosa è stata fatta per modificare certe situazioni ciò lo si deve al nostro sindacato che ripetutamente ha sollevato tali casi ed ha ottenuto una soluzione”… ”Noi mettiamo il dito nella piaga ancora una volta e noi siamo pronti a denunciare tutte le cose che non vanno e non per spirito propagandistico o finalità politiche o speculative perché vogliamo bene ai nostri compagni di lavoro e al nostro benemerito Istituto”. Al termine del triennio indico il congresso e la mia successione si presenta molto difficile perché gli aspiranti desideravano soprattutto il trasferimento a Roma. La persona più adatta mi pare il dr. Romano D’Agostino e ciò mi mette in contrasto con Eugenio Costa, il validissimo collaboratore sardo che, trasferito a Roma, è stato un prezioso aiuto. Ben presto si presentano problemi d’incomprensioni tra D’Agostino e Costa e così quest’ultimo passa alla UIL. Ovviamente polemizzo con lui per la sua scelta e certe mie frasi – dopo un chiarimento – rasserenano gli animi. Interessante anche la lettera circolare che Edoardo Cirella – un salariato del sanatorio di Napoli – gli indirizza ( e diffonde in tutte le case di Cura) e nella quale evidenzia in modo egregio gli errori della sua decisione.

In data 1 marzo 1965 la direzione generale INPS, accogliendo il mio desiderio, mi ritrasferisce ben volentieri (perché nessuno voleva andare in periferia) presso gli uffici del sanatorio Armanni di Arco, al quale ero stato assegnato all’atto della prima assunzione e riprendo la mia attività nell’ufficio contabilità. 0vviamente resto nella direzione del sindacato nazionale ove mi reco per le periodiche riunioni. Il 18 luglio 1968 vengo nominato membro effettivo della commissione permanente per il personale dei ruoli degli istituti sanitari presso la direzione generale di Roma. Tale commissione aveva compito consultivo in materia di promozioni e di disciplina per mancanze commesse da dipendenti amministrativi. Vengo pure eletto per alcuni anni anche componente della commissione di disciplina regionale per il personale salariato presso l’ispettorato INPS di Venezia ove più volte mi devo recare in occasione di provvedimenti disciplinari per tale personale. A conclusione dell’esperienza sindacale mi piace riportare la lettera aperta scritta dall’amico Luigi Pompa ( in data che non ricordo ma tra il 1966 e il 1967) al nostro giornale “Iniziative sindacali” diretto dall’amico Baldessarini a Milano, e pubblicata sotto il titolo L’INFATICABILE AGNINI. “Ci incontrammo con Vittorio Agnini per la prima volta tanti anni fa qui al Nord. Avevamo vinto da poco il concorso per impiegati delle case di cura dell’Istituto: assegnati al sanatorio di Milano Vialba cercavamo – il collega Vio e chi scrive – di reagire ai primi contatti con la grande metropoli attraverso la ricerca di amicizie e di ambienti giovanilmente interessanti. In tale ricerca conoscemmo Agnini che fu per noi un cordiale amico: avemmo modo di renderci conto – anche se allora i contatti non furono molti – che un dinamismo e un’ansia di giovare agli altri lo animava in continuazione. Ci ritrovammo dopo qualche anno e dopo aver percorso strade diverse, nel Sindacato. Ognuno di noi aveva avuto dei problemi inerenti il proprio ambiente di lavoro: oltre quelli individuali ci si era ritrovati a studiare, lottare, risolvere quelli degli altri. In altre parole si erano fatte le prime esperienze sindacali. Alla fine del tanto discusso congresso di Firenze Agnini si trovò, di punto in bianco, ad essere il responsabile numero uno del sindacato. Era poco conosciuto, allora, al di fuori della sua zona, il trentino”, come l’ho sentito indicare a Roma una volta, ma oggi, alla CISL, all’INPS e nelle nostre case di cura chi non lo conosce? Senza spaventarsi del grande compito che l’attendeva si mise subito al lavoro prima ad Arco di Trento e poi a Roma: iniziò e continuò nel tempo una calma, tenace, infaticabile opera per cui da un lato studiava, trattava e approfondiva i problemi del personale a rapporto di lavoro e di impiego e dall’altra potenziava il sindacato organizzativamente fino a portarlo alla multiforme rappresentatività attuale. L’essere cresciuto alla scuola milanese del dinamismo, della concretezza, della rapidità nel fare le cose ha dato ad Agnini uno stile prettamente settentrionale: una delle sue sofferenze più grandi è, secondo me, il constatare, purtroppo continuamente, la lentezza, la burocrazia, la complicazione con cui, nella nostra vita lavorativa, si affrontano e risolvono i problemi.

In questo lavoro non si è trovato solo: Agnini ha accolto di buon grado la collaborazione di tutti quelli che hanno dimostrato almeno un po’ di buona volontà, attenuando i contrasti talora esistenti ed apprezzando l’opera di tutti accettandola – e questo è un gran segreto per riuscire graditi alla gente – dalle persone così come sono e non come dovrebbero essere.

Ciò non significa che non si sia adoperato nel senso di eliminare le storture, le intemperanze,, gli squilibri esistenti: durante le crisi di scoraggiamento avute da tanti di noi in particolari momenti li lotta, di insuccessi, di momentanei trionfi dell’ingiustizia, ha infuso coraggio ripetendo sempre che gli onesti non debbano lasciare il campo agli arrivisti, ai sindacalisti da strapazzo, agli avventurieri del sindacalismo.

E quanta calma, quanta pazienza, quanti viaggi su e giù per l’Italia! Agnini ascolta, parla prende appunti, promette il suo interessamento, riporta la serenità in animi eccitati, avvicina con semplicità dai più alti Dirigenti ai più umili dipendenti. I suoi occhi, il suo volto si altera severamente soltanto quando apprende episodi di soprusi, di eccessi di potere, di ingiustizie. Non di rado, dopo notti di treno, si ritrova a Roma ad affrontare giornate faticosissime, il cui ritmo stanca qualche collaboratore fresco e riposato. Come faccia a fare quello che fa dormendo poco, mangiando meno, riposandosi raramente rimane un mistero anche per i più vicini a lui.

E che dire delle “rognate” di chi non riesce ad ottenere qualcosa? E di quando s’incontra con Balzarini? Sono ore ed ore in cui quest’ultimo…. Non tace mai !?!? A conclusione di questi che sono soltanto alcuni aspetti dell’opera di Vittorio Agnini mi piace riportare, perché possa servire ad esempio ed entusiasmi tutti noi al raggiungimento di mete sempre più ardimentose, il suo motto: memento audere semper . Luigi Pompa”

L’ASSURDO PREVIDENZIALE

Come ho detto nel 1968 è stata varata la grande riforma sanitaria, particolarmente voluta dal Ministro Mariotti, che istituiva il servizio Sanitario Nazionale nel quale dovevano far parte anche tutti gli ospedali (compresi quelli di Enti Previdenziali) e la contemporanea abolizione degli Enti Mutualistici si è imbattuta in un grosso scoglio previdenziale: i dipendenti dei maggiori enti parastatali quali l’INPS non potevano trasferire la contribuzione pregressa acquisita nell’INPS nell’Istituto Previdenziale degli Enti Locali (mentre era possibile trasferire da tale ente la contribuzione degli statali all’INPS). Il problema era assai grosso e tutti i sindacati erano d’accordo che era inaccettabile che dei lavoratori perdessero dei diritti previdenziali maturati per poi avere due pensioni che certamente li avrebbe penalizzati. La questione doveva essere risolta dal Parlamento con una riforma legislativa ed il maggior interessato alla soluzione era il Ministro della Sanità. Nel frattempo, contabilmente, si erano creati artificiosi meccanismi per garantire le retribuzioni dei dipendenti. Ho voluto cercare di portare il mio modesto contributo per la soluzione del problema e nel mese di settembre del 1968 ho chiesto di essere distaccato al Ministero della Sanità, richiesta accolta con decorrenza dal 1.10.1968. Mi presento al Ministero parlo con il capo di gabinetto del Ministro e con la segreteria personale e spiego le motivazioni della mia presenza: mi assicurano il loro interessamento ma nel frattempo mi pregano di aiutarli a sbrigare la corrispondenza relativa alle “raccomandazioni”. Per tale lavoro vi erano tre tipi di moduli : all’ente destinatario nel quale si diceva: “… si segnala l’aspirazione di …nel caso di verificarsi della necessità”; altro all’interessato nel quale si diceva “la signoria vostra è stata segnalata … ecc …” e un altro ancora agli onorevoli raccomandanti “…si è segnalato….nel rispetto della legge…ecc.”.

a destra Vittorio Agnini 1960

Era Ministro l’Onorevole Zelioli Lanzini : certamente una bravissima persona ma che il manuale Cencelli aveva designato a quel posto malgrado che non avesse ne idee ne interesse politico, nè spirito operativo. Più volte sollecito i funzionari della segreteria ed il capo di gabinetto che invariabilmente mi rispondono che i Direttori Generali stavano studiando il problema. Ho avuto un’enorme delusione nel vedere come l’incarico politico venisse assegnato solo in base a considerazioni numeriche di alternanza o di rappresentanza. Dopo due mesi di vani tentativi per sollecitare il problema, approfittando di motivi personali, ritengo inutile la mia permanenza al Ministero e il 25.11.1968, a mia richiesta, la Direzione Generale dell’INPS revoca il distacco e quindi posso ritornare ad Arco al mio lavoro amministrativo. A titolo di cronaca ci sono voluti tre anni perché il Parlamento, rimbalzandosi più volte la legge tra la Camera dei Deputati ed il Senato, l’approvasse in via definitiva. Una vicenda allucinante per la quale il personale ha perduto un diritto acquisito (giusto o sbagliato che sia ma che altri hanno mantenuto) della perequazione della pensione ai trattamenti retributivi corrispondenti al personale in servizio. Forse il titolo di “battaglia” è sbagliato: ero una “nullità” che nulla poteva fare ma è stata un’esperienza che mi ha ulteriormente maturato sul degrado della politica che stava subentrando.

CONSIDERAZIONI GENERALI

Il ritorno al servizio amministrativo coincide con le grandi trasformazioni sociali, amministrative e politiche della società italiana. Devo quindi precisare che questa aubiografia non è la cronistoria precisa e puntuali dei fatti ma il racconto del mio vissuto che vedeva sorgere spinte innovative in tutti i campi: la scuola con la enfatizzazione degli studenti per un loro protagonismo utopico e velleitario, le femministe che volevano rompere tabù ancestrali e occupare parità che prime erano a loro negate, universitari che volevano rompere baronie professionali, velleitarismo sindacale di entrare nelle stanze del potere: molti agivano contro tutti e tutto senza accorgersi che l’eccesso portava a danni maggiori dei benefici. La lotta all’ordine, e l’esasperazione ideologica fanno sorgere le brigate rosse e le violenze di quei tempi. Maturano in quegli anni anche profonde riforme tra le quali la principale sarà quella del servizio sanitario nazionale in modo da garantire a tutti i cittadini uniformità di prestazioni, ordine nella gestione ospedaliera e dell’assistenza. Anche il mondo politico sta cambiando e di tale modificazione tratterò in un apposito capitolo attraverso sia i miei interventi ma citando anche alcuni più significativi. Il decesso dell’on. Degasperi il 19 agosto 1954 e quello successivo dell’on. Giuseppe Veronesi due persone che ho conosciuto, indirettamente la prima ma direttamente la seconda, mi hanno oltremodo rattristato. Certamente a quel tempo c’erano molte migliaia di altri uomini politici, per lo più oscuri operatori di un ideale, con una dirittura e di un comportamento esemplare, che sono stati una tappa fondamentale nella ricostruzione: tra un certo modo di far politica e quella che si svilupperà negli anni futuri. Desidero citare solo qualche persona: Scelba, La Pira e Teresita Agnini, che a Catania, (l’ho scoperto nel 2002) si sono dedicate al partito ed al servizio della collettività come la Conci e le sorelle Bassetti a Trento. E’ certamente riduttivo ( e forse anche ingiusto) citare solo qualche nome ma sono quelle di persone che più mi hanno colpito. Ad essi purtroppo sono seguiti persone che hanno sbandierato tali ideali ma con un comportamento che ha portato ad un deterioramento della politica.

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