TRENTINO, L’IGIENE NEL SECOLO XIX – 1

a cura di Cornelio Galas

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In un volume della Biblioteca civica  di  Rovereto  col  titolo  «Miscel­lanea»  –  «PROSE»  –  «M-Z-13»,  raccolte  da  FORTUNATO  ZENI (1819-1879, fondatore  del  Museo Civico di  Rovereto), sono  rilegate 28   monografie del secolo XVIII e XIX, lavori molto interessanti per il Trentino e  che  trattano dei più vari argomenti. Tra questi, «Igiene naturale del Trentino» del Dottor COMINGIO BEZZI medico condotto di   Mori  –  Edit., l’Autore  –  Trento, Stabilimento   tipografico B. Monauni. 1867.

Si  tratta  di  un  lavoro  ricco  di  notizie  e  di  idee  personali  per certi versi ancora valide nel campo dell’igiene e  della  medicina  sociale,  e  che  rapportate  al periodo storico in cui sono  state  vissute  e  scritte  (seconda  metà  del  secolo  XIX ), mostrano come l’autore sia stato un medico intelligente, colto e aggiornato coi progressi della scienza in genere e della medicina e igiene  in  particolare.

Fortunato Zeni

Fortunato Zeni

Ma chi era il dott. Comingio Bezzi? Nacque a Cusiano (frazione di Ossana, in val di Sole) da famiglia di medici. I primi studi li fece a Trento e a Rovereto; passò quindi nell’Università di  Pavia ,  dove  fu  scolaro  di  Panizza, Porta,  Lovati e  Pignacca; laureato nel  1852   egli  pellegrinò   per  alcuni   anni    come medico condotto, finché dopo la morte del padre  assunse la  condotta medica di Roncegno e la direzione di quello Stabilimento di cura.

Cusiano

Cusiano

Fece viaggi  di studio in Germania, Svizzera, Francia ed Italia. Nel 1866  si  trattenne  a Brescia per la cura dei feriti ivi raccolti ( tra i quali il fratello Ergisto Bezzi, patriota garibaldino). Nel 1870 medico  condotto a  Mori,  di lì passò  ad Ala e finalmente a Rovereto, chiamato come chirurgo primario nel civico nosocomio. Sempre pronto, sorridente  e  volenteroso.

Comingio Bezzi

Comingio Bezzi

Operatore  appassionato,  fu uno dei più  strenui  propugnatori delle  teorie  listeriane e tra  i primissimi a diffonderne la pratica nei nostri paesi. Si interessò pure delle nuove dottrine batteriologiche, in relazione all’igiene e malattie infettive, ai continui ed importanti progressi della scienza, non trascurando per questo di occuparsi di letteratura».

Cusiano

Cusiano

Per  meglio comprendere il valore del libro del Bezzi, e quali    erano le condizioni igieniche del Trentino in quel tormentato periodo storico, è utile dare un rapido sguardo allo sviluppo e all’evolversi, attra­verso i secoli, dell’Igiene fino agli albori del  secolo XX.

L’ Igiene, che basandosi  sull’empirismo  e  sulle  osservazioni  seco­lari, prescrive  norme  utili per  mantenere  lo stato di salute, ha origini antichissime e se  ne  ritrovano  le  tracce  nelle  più remote  documentazioni  della  storia  umana.

ERGISTO BEZZI

ERGISTO BEZZI

I primi concetti igienici, inerenti soprattutto a norme di Igiene in­dividuale, pur con accenni a norme di Igiene pubblica, sono legati alle reli­gioni, ciò che non può meravigliare, perché nei popoli primitivi e nelle più remote civiltà, l’intera medicina era legata alla religione. ( Antica medicina cinese,   indiana ,  sumerica,   assiro-babilonese,  egiziana, ecc.).

Infatti, nella medicina biblica , nella legislazione sacerdotale  egizia, nelle Leggi di Manou (o Manù ) della medicina indiana  ed  in  altri  casi ancora, pur riconoscendo la parte che spetta al rituale religioso, troviamo prescrizioni che riguardano l’igiene dell’alimentazione, la  pulizia  personale, la  difesa  dell’abitazione,  l’eliminazione   dei  cadaveri,  le relazioni sessuali, il riposo periodico.

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Troviamo anche prescrizioni che si riferiscono più direttamente all’epidemiologia ed alla profilassi delle malattie infettive e contagiose, come l’isolamento per lavlebbra, l’importanza  dei  topi nella peste, la bollitura dell’acqua e la cottura degli alimenti, talune forme di tabù.

Molte di queste prescrizioni ebbero carattere individuale, oppure di casta, come nella legislazione sacerdotale egizia, ma altre volte acquistarono carattere collettivo, ossia di Igiene pubblica, come per la prima volta appare presso gli ebrei, anzi si può ritenere che il  vero  contributo portato   dagli  ebrei   alla   medicina,  riguardi   il  campo   dell’igiene  e della profilassi.

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Le civiltà greca e romana, segnano un nuovo  periodo  nel  quale  l’igiene, pur mantenendo il suo carattere empirico, viene presa in alta considerazione dalla legislazione  civile. In Grecia la  malactia rappresenta un perturbamento del ritmo  armonico della vita e quindi,  logicamente, scopo della medicina, deve essere quello di conservare per quanto  è possibile e ristabilire questo ritmo, quando esso sia stato turbato ( Platone­ Aristotele) con delle cure fisiche: educazione fisica della  gioventù,  ginnastica, dietetica.

Marco Terenzio Varrone

Marco Terenzio Varrone

A Roma, il concetto greco dell’igiene passa nella  medi­cina, erede della civiltà ellenica; così vediamo svilupparsi in modo meraviglioso sia l’igiene della persona con l’educazione fisica e le terme, sia  l’igiene del suolo e dell’abitato, con  la buona  abitazione, con gli acquedotti, con le fognature, con le bonifiche. E nasce inoltre, per  pura  intuizione e forse per la prima  volta, il concetto  microbiologico ante litteram per spiegare la malaria (febbre  palustre)  con  M.  T. Varrone  (116  a. C.  – 27 a. C.) e  Columella  (a. 100  Era  Cristiana).

Lucius Junius Moderatus Columella

Lucius Junius Moderatus Columella

Roma , estendendo più  tardi la sua legislazione e la sua   cultura a tutto l’Impero,  diffonde quelle cognizioni e quelle prescrizioni igieniche che aveva appreso e ampliato. L’insieme dello sviluppo dell’igiene personale e del notevole incremento dell’igiene pubblica, fu certamente il motivo per cui nelle civiltà greca e romana, relativamente rare furono le grandi pestilenze.

La Scuola Ippocratica, spiega l’origine delle epidemie con l’aria piena di impurità (miasma) e considera  come  causa  principale  delle pestilenze l’inquinamento del suolo  e  dell’aria (emanazioni provenienti  da  cadaveri  insepolti,  acque  stagnanti,  inondazioni).

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Dalla caduta dell’impero romano, l’Igiene ebbe un alternarsi di rilasciamenti e di riprese in relazione con le profonde vicende storiche e sociali che travagliarono l’Europa e specialmente l’Italia. Nel  primo medioevo, col dileguarsi della scienza, tramontate le ricerche mediche, il ritorno dell’elemento soprannaturale nel concetto umano della malattia, l’igiene individuale e  pubblica dimenticate e  quasi scomparse, fanno riaffiorare le superstizioni nella medicina: incantesimi, scongiuri, pratiche magiche riacquistano l’antica importanza; si  ebbe  così  un  completo  degrado  igienico.

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Il cristianesimo, dopo il suo primo espandersi, divenne fulcro dell’ assistenza, considerata come doverosa opera di carità e di pietà, special­mente nei riguardi delle malattie contagiose, e l’assistenza non poté essere disgiunta dalla profilassi, cosicché ebbero origine importanti misure  di difesa  sanitaria, che  si  concretarono con gli isolamenti  nei lazzaretti ,  con i cordoni sanitari, con le lunghe quarantene e con i tentativi di disinfezioni.

Si può dire, di questo periodo, che le misure di profilassi contro le malattie ad alta diffusibilità costituirono la maggior preoccupazione delle autorità civili e religiose, mentre rimase trascurata l’igiene personale, l’igiene del  suolo e  dell’abitato, tanto in onore nell’epoca romana .

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In ogni  modo  le pratiche igieniche e profilattiche  conservarono sempre,  fino  ad  epoche relativamente  recenti, ed in  specie nei riguardi delle malattie infettive, un carattere empirico. Nell’ultimo  medioevo e nel rinascimento, si ebbe una ripresa di studi anatomofisiologici, biologici e clinici, quindi un miglioramento dell’Igiene con notevoli progressi.

Il risorgere delle energie che si manifestò in Europa ( 1500- 1700) col  rinascere della cultura,  delle arti,  delle  scienze,  porta  la  facoltà  creativa dell’uomo a  una  libertà maggiore di quanto fosse stato possibile nel precedente periodo medioevale. (Leonardo da Vinci: 1452-1519; Andrea  Vesalio : 1514-1564).

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Già si avvicinano i tempi  nei  quali  l’osservazione  effettuata con  criteri  veramente scientifici  ed il metodo sperimentale introdotto da Galileo  Galilei (1564-1642), dove­vano mettere l’Igiene sopra un binario più  positivo. Ma  ancora  nel  secolo XVI  Gerolamo Fracastoro (1478-1553) perspicace studioso veronese, concretava il concetto del «contagium vivum», antiveggendo l’era microbiologica e stabilendo le basi della diffusibilità delle malattie  infettive.

Documento prezioso il suo «De contagione  et  de  contagiosis  morbis»  pubblicato nel 1546 (sifilide, tubercolosi, lebbra, peste, vaiolo) in cui espri­meva il concetto che le malattie contagiose fossero diffuse da piccole particelle vive che egli chiamava «seminaria», le quali si moltiplicano e si diffondono rapidamente.

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Nel secolo seguente (XVII), dopo che l’olandese Van Leuwenhoeck (1632-1723) ebbe osservato per primo i «microscopici animaletti», il Vallisnieri Antonio ( 1661-1730 ) formulò inequivocabilmente l’ipotesi che le malattie infettive potessero essere determinate da «invisibili germi». Verso  la  seconda  metà  del  Settecento, l’Igiene  assume  veramente il carattere di una scienza a sé.

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Ciò  avviene  contemporaneamente  al  formarsi  della  concezione ideologica  e politica, che afferma  i diritti  del popolo a migliori condizioni di vita e il dovere dello Stato di provvedere alla salute pubblica.  Giovanni  Pietro  Frank   ( 1745-1821) fu professore a Pavia ( nel 1795) e poi a Vienna fino al 1821; nel suo trattato: «System einer vollstandigen medizinischen Polizey» affermava che la cura della salute pubblica spetta allo Stato; che questi ha l’obbligo di provvedervi non solo quando scoppiano gravi malattie e la salute pubblica  sia in  grave  pericolo , ma  di  sorvegliare  la  pubblica  igiene  sempre  con  cura previdente.

Giovanni Pietro Frank

Giovanni Pietro Frank

Così verso la fine del 700, l’Igiene sia  nel  campo  pratico,  sia  legislativo s’avvia con una preparazione scientifica  fondata  sulle ricerche  biologiche e chimiche,  alla  soluzione  dei più  importanti  problemi.  È indubbio che  si  deve  arrivare  alle  grandi  scoperte  del  secolo  XVIII  e XIX  per vedere gettate definitivamente le basi della Igiene come scienza.

Lazzaro Spallanzani ( 1729- 1779)  prima e  poi  Luigi Pasteur (1822- 1895), preceduti da  Francesco Redi ( 1626-1697 ) nel secolo  XVII per  quanto riguarda gli insetti, abbattono la teoria della generazione spontanea dei microbi così largamente ammessa, così fortemente creduta e che  aveva tanto  spesso sviato le menti  da un sano concetto sulla  diffusione delle malattie infettive.

Luigi Pasteur

Luigi Pasteur

Francesco  Redi (1773-1857 )  da  Lodi, con  la scoperta  dell’agente patogeno del mal calcino dei bachi da  seta «parassita vegetale vivente», con lo studio delle  condizioni  che  regolano  lo svolgersi  della  malattia  e con l ‘impiego dei mezzi di prevenzione, inizia il moderno indirizzo dell’ epidemiologia e della profilassi.

Infine Jenner (1749-1823 ), Pasteur (1882- 1895), Roberto Koch (1843- 1910), Elia Metchnikoff (1846-1916),  Paul  Ehrlich (1854-1915) ed i loro Allievi, fanno dilagare quella scienza microbiologica ed immunitaria che ha radicalmente trasformato una  gran  parte  della medicina.

Elie Metchnikoff (1845-1916)

Elie Metchnikoff (1845-1916)

E mentre ciò  avviene nel  campo  delle  malattie infettive, un uguale movimento  si  pronuncia   nelle  altre   branche   dell’Igiene: verso la  fine  del secolo XVII, Bernardino Ramazzini (1633-1714)  da  Carpi di Modena, fonda l’Igiene del  Lavoro  con  l’opera largamente  diffusa  in Europa: «Sui morbi  degli  artefici» che gli  chiama medicina preventiva,  ed è quindi l’iniziatore della medicina sociale; e  nei  secoli  seguenti, igie­nisti soprattutto inglesi avviano su basi scientifiche l’igiene del suolo e dell’abitato.

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Si ebbero così i più  grandi  riflessi  sui  pubblici  poteri  ed  è così  che nel secolo XIX, viene affermandosi il principio che la  cura  della  pubblica salute è un dovere dello Stato donde l’inizio e lo sviluppo di una razionale Legislazione Sanitaria moderna, nei vari Stati, per la  quale  l’Inghilterra, sebbene precorsa dalle disposizioni sanitarie di molte città italiane (Venezia, Genova, Milano, Lucca, Firenze, Roma ed  altre),  fu alla  testa  di  ogni altro  Paese. Notevole  per   l’Italia  è  il  concetto  della   bonifica   igienica antimalarica) come funzione   di Stato.

Robert Koch

Robert Koch

Questo evolversi della medicina individuale sociale-nazionale ed inter­nazionale, questo progredire  della  legislazione  che  sempre  maggiormente tende nel campo sanitario verso un ambito più vasto, infine questa trasformazione essenziale secondo la quale  il  massimo peso dell’attività medica viene portato dal campo della  terapia a  quello della profilassi, ecco  i tratti caratteristici e determinanti  della  medicina  della  fine  del  secolo e che si rilevano specialmente quando si esaminino le condizioni dell’assistenza sanitaria, della  profilassi, dell’igiene, e le  norme di legislazione sanitaria   di sanità internazionale  che cominciano ad essere  codificate.

Agostino Bertani

Agostino Bertani

Le  condizioni  igieniche d’Italia  durante tutta la prima metà del secolo XIX, segnano un periodo di  stasi. Tuttavia  anche nei tempi più  torbidi  della  nostra  storia  politica, non  sono  mancati  profondi  studiosi ed audaci innovatori. Basti ricordare Agostino Bertani (1812-1886) scien­ziato e patriota che coraggiosamente segnò la via del rinnovamento igienico della Nazione (medico di vasta cultura e attivissimo organizzatore); così pure Luigi Pagliani (1847-1932) fu il primo docente d’Igiene a  Torino.

Pagliani

Luigi Pagliani

In Italia, nella  seconda  metà  del secolo XIX , si  viene  delineando la  for­mazione di una legislazione sanitaria improntata ai postulati  dettati  dalle nuove conquiste e si dà  inizio a un  programma  di  lotta  sistematica  contro  la tubercolosi, la peste, il tetano, il colera, la malaria, le malattie veneree, l’alcoolismo,  il  cancro,  la  pellagra.

Prescindendo dagli incompleti ordinamenti del 1859 e del 1865, la prima  Legge sanitaria italiana veramente organica e completa, fu quella   del 22 dicembre 1888 N. 5849 dal nome di «Legge sulla tutela dell’Igiene  e  della Sanità pubblica» , voluta da Crispi  e ne fu artefice  Luigi  Pagliani  (1847-  1932).

Essa stabilì ai Comuni l’obbligo di possedere un proprio  Regolamento d’ Igiene e specificò le competenze delle spese richieste dalla Legge per lo Stato-Provincia-Comuni. A questo seguì il Regolamento Sanitario Generale  R.D. 6 dicembre 1901, N.  45 , e  il Testo  unico  della  Legge Sanitaria R.D. 1 agosto 1907, N. 636. Ne seguirono poi le varie Leggi codificate nel Novecento.

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Max von Pettenkofer

Brevemente: per quanto riguarda la Storia della  Legislazione sani­taria Internazionale,  va ricordato che  la  Prima Conferenza sanitaria ebbe luogo a Parigi nel 1851, una  seconda pure a  Parigi nel  1859, una terza a Vienna nel 1864, interessante per la presenza dei  delegati  tedeschi  Hirsch e  Pet­tenkofer ( Max von Pettenkofer, 1818-1901,  uno dei più grandi epidemologhi del tempo ), una quarta a Costantinopoli nel 1866, la quinta a Washington nel 1881 (febbre  gialla), la sesta a Roma nel 1885 (la Germa­nia fu rappresentata da Robert Koch e  il problema più  importante  fu  la difesa contro il colera).

Solo nel 1903 fu nominata una Commissione permanente  internazionale  che  si  riunì  a  Parigi nel  1908 col nome di  Ufficio Internazionale di Sanità pubblica e in funzione col 1909.  Si  giunge  così alla  legislazione   internazionale  del  secolo  XX .

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Per concludere, nel 1923 la Società delle Nazioni  Unite  creò  una propria Organizzazione sanitaria. La storia della collaborazione internazionale nei problemi sanitari ricomincia nel 1946 con la  costituzione  della  World Health Organization (nota nel mondo come W.H.O.), in Italia col nome di «Organizzazione mondiale della Sanità», sigla O.M .S . con sede a Ginevra   e  di  importanza   capitale  per  l’Umanità.

Nel Novecento dunque l’Igiene internazionale è basata su criteri epidemiologici moderni e scientifici, non è più empirica, ed ha posto termine alle quarantene lunghe e sproporzionate, ai cordoni  sanitari,  agli isolamenti inutili, ed ha agevolato i movimenti degli uomini e delle merci, anche in tempi di grave minaccia di  diffusioni  epidemiche.

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L’Igiene  poi,  oltre  che  assicurare  un  ambiente di  vita  favorevole, accompagna l’uomo in tutte le fasi della sua vita, nell’infanzia, nella casa, nella scuola, nell’ambiente di lavoro; lo assiste nelle sue peregrinazioni attraverso il mondo,  nelle emigrazioni, nei trasferimenti coloniali, lo protegge contro le offese microbiche  e  parassitarie.

Dopo questo breve quadro sull’evolversi dell’Igiene e  della  Medicina sociale attraverso i secoli, fino al secolo XX e ai tempi nostri, possiamo meglio comprendere i concetti, le idee, le osservazioni ed il valore che informano il libro «Igiene naturale del Trentino» del Dottor  Comingio  Bezzi , nel tormentato periodo storico-sociale per il Trentino nel secolo XIX (libro  pubblicato, come detto, nel  1867).

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Il libro inizia con una «Introduzione» che sia per  la chiarezza,  sia  per i problemi che riguardano  direttamente  il  Trentino,  merita  di essere in parte riportata: «Ai medici spetta la educazione fisica coll’igiene, quella scienza, che insegna il modo di ottenere fìno dalla na­scita l’uomo sano, di conoscerlo tale durante la vita in relazione alla natura sua madre e nutrice, e di renderlo atto a procreare figli vigorosi a lui somiglianti …

Noi non insegnammo abbastanza alle classi basse della società, che l’aria è il più importante alimento della vita, noi lasciammo giacere non pochi individui in certe abitazioni  che sono  vere  sepolture, ove l’atmosfera è impura, spesso avvelenate da gas soffocanti, dal miasma e dal contagio, ignari della qualità dei cibi loro confacenti, e non  di rado anche privi  del pane  quotidiano.

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Anzi a maggior malanno tollerammo la bettola ed il postribolo, perché col vino e coi liquori andasse perduto il cervello, e colla dissolutezza restasse con­taminato il sangue e il cuore. Ed è perciò che una moltitudine di infelici, abbandonati in preda all’ignoranza, alla miseria, e ai vizi che li abbrutti­vano, doveano fisicamente e moralmente decadere … doveano necessariamente diventare febbricitanti, tifosi, pelagrosi, scorbutici, rachitici, scrofalosi, tisici e pazzi, e cadere per primi vittime di tutte le epidemie reumatiche, miasmatiche e contagiose.

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Noi vediamo perciò in Europa una certa decadenza fìsica accompagnare le popolazioni indigenti e miserabili, ciocché è conf ermato dalle più recenti  statistiche, e dai medici più istinti a Pietroburgo, Vienna, Londra e Parigi». «Ed anche il Trentino, questo paese ricco di elettricità, di ferro e di magnetico nella sua natura minerale, vegetabile ed animale, sembra che non alimenti più una popolazione dotata di un  organismo così  bello  forte  e  robusto  come  quello dei suoi avi latini.

Poco curanti della scienza igienica e naturale, noi ab­biamo decampato dal loro vivere  sobrio e temperante, e  quindi  non  ve ne furono anche fra noi che vuotarono fino all’ebbrezza  i bicchieri ricolmi di vini e di acquavite, che addormentarono la forza del cervello e dei muscoli col tabacco e colle voluttà,  che perderono il sonno delle notti  e con esso la riparazione dei nervi fra la crapula e la dissolutezza?

Quanti  che paurosi del freddo lavarono il corpo loro e dei figli coll’acqua calda, quanti che preferirono al lavoro l’inerzia, e quanti, che per avere troppo blandito al sentimento e alla fantasia si sentirono fieramente percossi dal dolore e dal patema d’animo le tenere  fibre del  ventricolo, del  fegato, del cuore e del cervello!

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Che se anche queste vergini alpi, ultimo asilo della fuggente razza romana, vennero dai miasmi delle epidemie, che ne infet­tarono l’aria, le acque, le uve, il gelso, i bachi da  seta, le piante grani­fere, e con esse il pane e la polenta, gli animali vertebrati e perfino l’uomo, che cadde malato di tifo e di pellagra, ne dobbiamo incolpare  in  gran  parte la nostra scarsa cultura in fatto di scienze  naturali i  nostri pregiudizi e la nostra  ignoranza dei precetti igienici.

Così al primitivo temperamento sanguigno arterioso delle nostre popolazioni si mescolò il linfatico ed  il venoso,  così  per  la  scarsezza  dei più essenziali prodotti del nostro suolo comparve la funesta piaga del pau­perismo e  della  fame  colle  sue  infinite  malattie» .. «Nel  corso di dodici anni, quale medico condotto in Valle di Sole,  sopra  una  popo­lazione di quattromila abitanti, la maggior parte contadini, ho curato due grosse epidemie di vajuolo, quattro di febbri  gastriche,  due  micidiali  di crup (difterite), una di morbillo e di scarlattina.

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È dunque un fatto di decadenza fisica d’un gran numero dei nostri individui. Sopra di essi io meditai per lungo tempo ed analizzando  gli  infermi da  me osservati ed  i dati  portimi da  dotti  colleghi  mi  convinsi  che  le  cause  di  tale   sventura sono: il taglio  dei  boschi e la  conseguente  alterazione  morbosa  degli  ali­menti  e  degli  stimoli  fisici  dell’uomo;  la origine e  la  presenza nei nostri  fiumi maggiori, o nei loro impaludamenti del miasma palustre;  l’abuso  dei liquori  alcoolici,  del  tabacco e  caffè  nelle  abitudini  di vita; l’abuso dei piaceri sensuali; il pauperismo e l’egoismo;  il sentimentalismo  politico e religioso;  i patemi  d’animo;  l’abuso  del  salasso;  il difetto di  istruzione igienica popolare, di fisica educazione,  e  di  opportuni  provvedimenti  igie­nici.

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Ho  preferito  l’analisi  delle  cagioni,  che hanno debilitato  fisicamente gli  organismi  nel Trentino,  perché  solo  dalla   esatta   cognizione  delle   cause di  un  male  si  può  dedurre il  modo  di   prevenirlo; altrimenti  la igiene invece di essere una  scienza  radicale sarebbe puramente una scienza  palliativa … si noti però che scrivendo di igiene io aspiro a  un bene  possibile,  giacché l’uomo f u sempre soggetto a malattie  e  col  mutare  dei  secoli vi  saranno  sempre nuovi  tormenti  e  nuovi  tormentati.

Ma  se  l’uomo  può   e deve ammalare  e  morire ,  non  cessa  di  essere  verissimo  che  la medicina preventiva coll’aiuto delle scienze naturali può modificare, moderare e migliorare   la   sua  organizzazione».

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E’ utile ricordare, a questo punto,  che il  censimento  del  31 dicembre 1880 segnalava che   la   popolazione del Trentino era di  abitanti  351.689  (compresi  4380  militari). Secondo le statistiche del Clero del 1885, il Trentino aveva 404.225 abitanti. La popolazione  era eminentemente agricola.  Secondo  il censimento  del  1880, il 62%  si  dedicava al lavoro dei campi  ( più il 10% giornalieri ).

L’Industria occupava il 14%; il commercio e i trasporti il 4% della popolazione. Come popolazione agricola, gli abitanti del Trentino, vivevano sparsi in piccoli centri. Soltanto le due città di  Trento e Rovereto superavano  i 6000  abitanti e la loro popolazione rappresentava l’8% della totale. Appena il 21% della popolazione abitava in centri superiori  a   2000  abitanti.

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Scriveva ancora Bezzi nel suo libro sul “taglio dei boschi”: “L’uomo deve perfe­zionare l’ordine  di  natura,  non  distruggerlo». Sono pagine di vera ecologia  sia  per  l’ambiente che  per  l’uomo  e,  per le  piante  del  Trentino;  riguardo  alla  fisiologia delle  stesse, Bezzi le  divide in alimentari e respiratorie «che  preparano  all’uomo e  agli animali  i principi nutritivi e che somministrano colla respirazione giornaliera l’ossigeno elettromagnetico  necessario  alla  respirazione   animale».

E ancora:«Il Trentino, situato in ottima posizione geografica della zona temperata, e che per la natura dei suoi  terreni forma un tutto colle diverse valli dell’Italia alpina, ed appartiene ai paesi ricchi di metalli magnetici e magnetigeni – come il ferro – e di potenti acque ferruginose, per legge fisica dovrebbe essere una terra avventurata, dove l’uomo, gli animali e le piante  potrebbero  prosperare  nelle migliori condizioni».

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«Di fronte a questo stato di cose gli è col più vivo dolore che constatiamo nel nostro paese una certa fisica decadenza. Noi, spinti  dalla fame dell’oro, con vero furore abbiamo atterrato le selve secolari tanto rispettate dagli  avi;  la  scure  lasciò  nuda la vetta  dei nostri monti,  così che dove  un  tempo vegetavano rigogliose piante resinose elettrizzanti, il pino, il piceo, l’abete, il ginepro, non miri che deserto di silice, di alumina, di perpetue nevi,  monumento della nostra insipienza.

Di  quì per mio avviso la facile putrefazione delle foglie e  delle  frutta staccate dagli alberi, e la straordinaria comparsa di parassiti, di vermi e di molte malattie, – come la  tigna , il favo-vespaio,  il tifo, – di accari  nei formaggi e nelle farine, di funghi nel grano turco, nella segala, nelle castagne, dell’oidio nell’uva e nelle patate, seguita da conseguenze funestissime alla pubblica salute.

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Il Trentino offre infatti un buon costringente ai 12 vegetali ed ai 54 parassiti animali scoperti dai medici nell’organismo umano. E la microscopia in proposito non ha  ancora detto  l’ultima  parola! Ancora: non esiste medico che non abbia riscontrato nel nostro popolo, attese le facili, estese e profonde variazioni termometriche, la frequenza delle polmonitidi reumatiche epidemiche l’indole capricciosa e maligna, della artri­tide reumatica, del tetano.

Ciò punto non mi sorprende, perocché il taglio dei boschi sconvolse gli stimoli fisici naturali dell’uomo, rese variabilissime le oscillazioni termometriche e barometriche orali e diurne, accrebbe nella pianura il calorico e l’umidità. Queste condizioni fisiche estenuanti produs­sero gravi danni alla pelle ed ai nervi …”.

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«In mezzo alle brillanti conquiste delle scienze naturali, ci è cagione di acuto dolore il fatto, che per imperdonabili leggerezze ed ignoranza si sieno tagliati i boschi, mentre essi, rispettati come santa cosa dai nostri maggiori, sono proclamati come un elemento importantissimo di igiene publica dall’Accademia  di Francia,  l’aeropago  della  moderna civilità».

Riportiamo a proposito della «Selvicoltura» quanto scrive il Brentari (Guida del Trentino 1890-1902): «La coltura dei boschi, per lungo tempo abbandonata all’inscienza ed all’avidità di lucro momentaneo di comuni e privati, viene fatta da qualche tempo con maggiore attenzione e maggiore sorveglianza da parte dell’autorità competente , così   che è da sperarsi che le condizioni del paese, stremate sotto  questo  riguardo dall’irragionevole disboscamento, andranno migliorando con grande vantaggio diretto e indiretto delle future generazioni; alle quali potrà essere così risparmiato, almeno in parte, il flagello delle inondazioni che travagliarono così aspramente il Trentino negli ultimi 20 anni, e furono dovute sovratutto alla denudazione  delle  nostre  montagne» .

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Scrive ancora il Bezzi: «Una seconda causa della decadenza fisica del Trentino è il miasma palustre, prodotto dalle esalazioni dei suoi fiumi maggiori, dai loro impaludamenti, dalle fontane ove  si  lavano  i  panni dalle cloache ove esistono sostanze organiche, vegetali o animali, in particolare fermentazione putrida». (Miasma palustre = febbre paludosa, pa­ ludismo, malaria …).

«La valle dell’Adige e quella del Brenta sono le più infestate dal miasma febbrile, sia esso causato da gas deleteri, o da molecole albuminose capaci di trasmettere il proprio moto fermentativo alle molecole organiche, o sia esso un fermento organico germe di infusori, o  un infusorio microscopico maturo, respirabile o digeribile. Nella valle dell’Adige si presentano febbri intermittenti e la  stessa  cachessia  paludosa lungo  specialmente  il corso di quel fiume, e in modo peculiare da Bronzolo a Trento.

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I luoghi più travagliati sono Egna, Salorno, S. Michele, la Nave, la Zambana, quantunque qui per fortuna le condizioni igieniche si sieno migliorate dopoché, rettificato il corso del Noce, i suoi abitanti possono bere le aque ferruginose e salubri di questo torrente.

In tale zona geografica l’Adige rallenta il corso, nelle piene impaluda, e colle mefite che produce crea un’atmosfera prediletta dalle mosche, dalle zanzare , dai ranocchi, da miriadi d’infusori, che si dilettano di aque stagnanti, e di aria appestata da putride esalazioni. Non basta; il miasma palustre si eleva perfino al magnifico altipiano di Pressano, dei Sorni e di Vigo, e visita talora anche Lavis e Gardolo. Oltracciò tutti conoscono quanto era insalubre quella parte della città di Trento, che volge all’Adige, allorquando prima degli ultimi tempi questo fiume la  lambiva, e co’  suoi straripamenti  la  visitava”.

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«La cachessia paludosa indotta dal miasma palustre  è  una  malattia, nella quale il sangue soffre  di  una  graduale  diminuzione  dei  globuli  rossi, di albumina e di fibrina, ed aumento dei bianchi e di acqua. Io ho potuto verificare questo fatto col globulimetro del Mantegazza, e con altre esperienze. Gli individui che ne sono affetti offrono una tinta giallo-verdognola, edema (enfiagione) generale con ingrossamento del fegato e della milza, febbre continua remittente o intermittente con o senza assalti perniciosi … cosicché il veleno palustre può considerarsi come il distruttore dell’elettro­magnetico atmosferico, della respirazione e della  globulazione rossa del sangue, della fisica organica e nervosa»…

… «Fa meraviglia come governi e popoli  non abbiano rivolte cure più solerti, e dettate leggi   più   adatte, onde regolare i fiumi e le acque  in  generale  secondo  i dettami  della medicina preventiva. Nel Trentino, a lode del vero, si praticarono con grande vantaggio della pubblica salute il taglio del Noce a Mezzolombardo, e quelli dell’Adige a Trento, a Mattarello, a Nomi; fu preparato il letto al  Brenta alla sua uscita dal  Lago di  Caldonazzo  nel 1802,  ed,  in  seguito  lungo  il suo  corso,  e  si  prosciugarono  le  paludi  che  formava ed  infestavano  tutta la natura vegetale ed animale della bella Valsugana.

Nella xilografia di Matthias Burgkechner (1563) il corso dell'Adige a Trento

Nella xilografia di Matthias Burgkechner (1563) il corso dell’Adige a Trento

Con ciò il  miasma  palustre venne allontanato dai paesi  montani  e  dalle  colline,  come Torcegno e Roncegno , ma non fu per anco combattuto e  vinto  nel  fondo  della valle. Il Brenta corre ancora troppo lentamente per  mezzo  al  piano,  e  sul fondo suo si arresta perciò troppa melma  putrida». «Egli  è  costume  de’  nostri alpigiani, e in generale di  tutto il paese  e  dei  vicini  Tirolesi  di get­tare nell’acqua ogni sozzura.

Si gettano nei  fiumi,  nei  loro  confluenti,  nei laghi e nelle fontane le carogne di animali morti di malattia, dal  bue al cavallo, al gatto ed ai marcidi bachi da seta. Esse imputridiscono   nell’acqua e, se corrente, vengono trasportate da un  luogo  all’altro; così dove  nel piano i fiumi  rallentano  il  corso,  si  arresta  e  ristagna nel  letto  di  questi  un indicibile putridume, che impaludando crea i più fieri e micidiali miasmi.

Una veduta di Trento, di autore anonimo, agli inizi dell'Ottocento. L'Adige, vera "anima" della città, lambiva il centro storico; verrà deviato nel 1858

Una veduta di Trento, di autore anonimo, agli inizi dell’Ottocento. L’Adige, vera “anima” della città, lambiva il centro storico; verrà deviato nel 1858

Tale avviene, ad esempio, nel letto dell’Adige sotto  Salorno,  ove  si  raccoglie quanto di miasmatico conduce  questo fiume  dal Tirolo  e dalle  valli del Noce, e tale dagli altri fiumi e laghi del nostro paese, nei quali confluiscono molti torrenti, e le cui acque bevute importano  il  miasma.

Per  primo  insorgo contro  un   costume   tanto  contrario   alla pubblica  salute! Il male va tolto  alla  radice  e  perciò  domando  che  con  leggi  energiche vi sia posto riparo da parte dei comuni;  ma  questi  provvedimenti  sarebbero assai sterili, ove i comuni nostri  non fossero  spalleggiati  dal  governo,  ed ove non  fossero  d’accordo  in  queste  misure anche  i  Tirolesi  fra  cui  nasce e  corre  per  lungo  tratto  l’Adige»

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«Una riforma di questa natura si rende oggidì più  urgente,  dopo che  per  il  taglio  dei boschi  l’atmosfera  del  Trentino si  è  in  parte  debilitata  ed impoverita d’ossigeno, e favorisce quindi meglio l’estendersi delle  infer mità miasmatiche e contagiose … Non è però il solo contatto che comunichi questa piaga, poiché il veleno palustre possiede purtroppo la fatale proprietà di sviluppare, trasportato  dall’aria, lontani  gli  accessi perniciosi.

Ho curato sui monti e nel comune di  Roncegno  ben  lunge  dal  Brenta  dei fieri assalti di febbre perniciosa sincopale, epiletica ed asfitica . Il miasma palustre … dà anche  facile ricetto  ai  germi  di  contagi  esotici,  facilitando la loro introduzione e le loro devastazioni. Nell’ultima  epidemia  di cholera che visitò il Trentino ( 1845-1854), lungo il Brenta  si numerarono moltissime vittime, nessuna sui  monti di  Roncegno, dove l’aria e l’acqua sono pure ed elettrizzate. Per le stesse felici condizioni fisico-geografiche, ne restarnno illese la Valle  di  Sole  ed  altre  valli.  Da tutto  ciò  si  raccoglie, che è necessario pensare seriamente alla completa liberazione  del  nostro  paese   dal  miasma  palustre».

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A questo punto è necessario dare un quadro aggiornato e completo, sia pure breve, sul problema del «miasma palustre», così ben descritto  dal Bezzi  e così importante  anche per  il Trentino.

Miasma palustre,  febbri  paludose, febbri  perniciose, paludismo: sono  tutti sinonimi  di  «Malaria». La «malaria » è certamente una malattia antichissima, forse nota anche alle più remore civiltà, ma bisogna arrivare  al  V  secolo  a. C.  per  trovare nelle  opere  di Ippocrate   una  sicura   documentazione   e   descrizione  delle «febbri malariche».

Dea Febris, a Roma

Dea Febris, a Roma

Sul Palatino c’era un tempio dedicato alla “Dea  Feb­bre», ne parlavano Marco Terenzio Varrone (116-27 a. C.)  «febbre  palustre» e Columella (anno 100 era cristiana ) «malaria» attribuita a zanzarecause ambientali e organiche da paludismo.

Gerolamo Fracastoro  ( 1487- 1553) da Verona, nel suo libro «De contagiane» del 1541, tratta della trasmissione della sifilide, tubercolosi e malaria. Sulle tracce del Fracastoro, Giovanni Maria Lancisci (1654-1720) nel suo libro «De noxiis paludum effluviis», tratta dei danni delle acque  paludose,  della  fanghiglia  che  fer­menta  e si corrompe  con la putrefazione  di  piante  e insetti, con  esalazioni di specifici veleni che alterano il sangue (aria delle febbri perniciose, febbri paludose) e ritiene necessario che i governi provvedano   alle  irrigazioni dei terreni per evitare la formazione di acque stagnanti e  sia  veramente  proibito il taglio delle selve, giovando le  più alte  piante (piante  di  alto  fusto) al miglioramento dell’aria.

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Bernardino Ramazzini (1633-1714), ricorda che anche all’epoca romana, furono eseguite opere idrauliche di  bonifica meravigliose ed insiste per la bonifica. Le scoperte di A. Laveran (1845- 1922), di R. Ross  ( 1857-1937 ), di  Gian Battista  Grassi  ( 1854-1925) ed altri studiosi italiani, risolsero il problema etiologico della malaria. Dimostrarono che la malaria è causata da emosporidi del genere Plasmodium che compiono il  loro  ciclo vitale completo   fra   l’uomo  e  la   zanzara. 

Non si può parlare  di  progressi  igienici  in  Italia  senza  citare il successo ottenuto nella lotta contro la malaria. E la  legislazione antimalarica italiana moderna si deve a C. Tommasi  Crudeli  (1834-1900 ), maestro  precursore  di  Angelo  Celli  (1857-1914) che fu l’animatore   della lotta Antimalarica.

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La  lotta  antimalarica  in  Italia  combattuta con  criteri derivanti  dalle  scoperte  e  dagli  studi  dei  grandi  malariologi  italiani,   fu  diretta  allo  scopo  precipuo  di   redimere  le  terre   malsane   per   la   malaria con  opere  di  grandi  bonifiche, con  la  bonifica agraria,  con   la   colonizzazione dei terreni bonificati, con la profilassi chininica, con  gli studi  per raggiungere lo scopo di ottenere «l’anofelismo senza  malaria»,  che  si  ha  quando vi siano  altre  specie  o  varietà  anofeliche  con  scarsa  o  nessuna tendenza trasmettitrice. (La malaria è quindi una infezione chiusa ed intracorporea  che si  esaurisce  in assenza  di anofeli ).

Secondo il Bezzi , «altra causa della fisica decadenza che si manifesta in Trentino è data: dall’abuso  dei liquidi alcoolici, del tabacco e del caffè»... L’abuso de’ liquori, dell’acquavite e del  vino guasto dalla malattia delle uve e alterato dalla solforazione; l’abuso del  tabacco  e  caffè  nelle  abitudini della  vita sono altre cause  di  decadenza fìsica nel Trentino.

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Quì dove una volta la temperanza e l’amore al lavoro onoravano, virtù predilette, i nostri alpigiani e  gli  abitatori  delle  città  e delle borgate, vediamo ora manifestarsi a comune disdoro  le malattie prodotte dall’alcool, il cretinismo, il delirio tremante dei bevoni, la melanconia e la fiacchezza sessuale della birra, la imbecillità del tabacco, le nevropatie del caffè».

“L’alcool, oltre  produrre  le  allucinazioni  dei  sensi, il delirio,  la  paralisi, la  inappetenza, la  idropisia,  la  defibrinizzazione  ed il difetto dei globuli rossi e d’albumina del sangue  e  l’infezione  acetosa,  agisce nel modo più funesto sul talamo coniugale. Casi di impotenza nei bevoni non sono rari fra noi. I figli poi generati da parenti durante l’eb­brezza nascono talora cretini, scrofolosi, rachitici, coreici, epilettici; ed io ebbi disgraziatamente a osservare  parecchi  casi  di  cretinismo, che per il primo chiamo alcoolico, in individui procreati anche da uomini d’ingegno nel momento dell’ubbriachezza!”

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«Le donne, nel nostro paese, quando sono portate  ad  inebriarsi: preferiscono l’acquavite  ed i liquori al  vino, onde hanno origine varie infermità, come nevrosi, delirio, convulsioni dei  mu­scoli animali ed organici (cuore, intestini, vescica, utero) e parecchie malattie della pelle. Le bevande alcooliche del resto menano i maggiori guasti nelle valli  dove non cresce  la  vite … “.

«L’abuso del vino puro e sano non è tanto fatale quanto  quello  del  vino  alterato e dei liquori spiritosi. I vini del Trentino, questa importantissima miniera della nostra futura ricchezza, igienicamente sono buoni, i troppo alcoolici però ed i bianchi di certe vallate, quando se ne faccia abuso, rie­scono dannosi alla salute. L’acquavite di  vino dovrebbe concedersi  solo nella state ai contadini estenuati dalla fatica e dal calorico; e del resto escludersi   assolutamente  dalla  dietetica   assieme  a  tutti  i  liquori  spiritosi.

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«L’abuso  degli  alcoolici  crebbe a  dismisura nel   Trentino, dopoché, senza che  le  leggi  vi  si  opponessero, si  moltiplicarono  fra noi le  osterie e  le bettole,  delle quali  il  numero è tanto grande da potersene contare quattro ed anche più in paesetti di  duecento abitanti» .

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