TRENTINI FAMOSI, MA NON TROPPO – 45

ENRICO CONCI

Trento, 24 giugno 1866 – Trento, 25 marzo 1960

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a cura di Cornelio Galas

Enrico Conci nacque a Trento il 24 giugno 1866 da Germano Conci, di Mollaro in Valle di Non, notaio, e da Maria de Zinis. Ebbe in famiglia un’educazione improntata profondamente ai principi della religione cattolica che lo ispirarono nel corso dei novantaquattro anni della sua lunga vita.

Dal 1877 al 1885 frequentò gli studi secondari, dapprima presso il ginnasio di Stato di Trento, poi in quello dei P.P. Benedettini di Merano, infine nuovamente nel ginnasio di Trento dove, il 31 luglio 1885, conseguì il diploma di maturità.

Il 12 dicembre 1885 s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Innsbruck, con l’intenzione di intraprendere la carriera notarile sulle orme del padre, e, il 23 giugno 1886, alla stessa facoltà dell’Università di Vienna.

Enrico Conci

Enrico Conci

«Applicandomi agli inizi della mia vita universitaria allo studio della lingua inglese – scriverà nelle sue memorie , rimaste inedite – restavo particolarmente impressionato da un proverbio che diceva essere l’uomo tanto più felice quanto meno egli si occupa di affari pubblici (‘men are more happy the less they are involved in pubblic affairs’): malgrado quel monito le mie occupazioni di gran lunga preponderanti sono sempre state di natura pubblica». […] Se tuttavia mi sono determinato a dedicarmi alla vita pubblica, lo ho fatto solo ritenendo di compiere un preciso dovere».

Il 18 giugno 1890 si laureò in giurisprudenza all’Università di Innsbruck e, il 15 dicembre dell’anno seguente, superò l’esame pratico notarile. Iniziò subito la pratica di avvocatura presso l’avvocato Gaetano Gilli a Trento. Ma l’anno 1891 fu particolarmente importante per il Conci anche per un fatto che si rivelò determinante per la sua scelta di dedicarsi alla vita politica.

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Ai primi di marzo si erano svolte a Trento le elezioni al Parlamento di Vienna e suo padre vi aveva partecipato come candidato del partito clericale, ma riuscì eletto al suo posto il candidato liberale Giovanni Ciani.

Alla sera del giorno 8 si tenne una dimostrazione ostile sotto la casa di Germano Conci con urla e fischi. Il figlio Enrico reagì scrivendo ancora il giorno seguente una dichiarazione di protesta che inviò ai due giornali clericali che uscivano a Trento, «Il popolo trentino» dei clerico-nazionali e «La voce cattolica» dei clerico-conservativi, in cui proclamava piena solidarietà con suo padre e dichiarava decisamente di professarne le medesime idee sia sul piano religioso come su quello politico-nazionale.

La dichiarazione venne pubblicata dai rispettivi giornali, accompagnata da vivi apprezzamenti: ciò, oltre che procurare una grande soddisfazione a suo padre, decise anche della via ch’egli avrebbe intrapresa nella vita pubblica. Il 28 aprile 1893 sposò Maria Sandri, dalla quale avrà cinque figlie: Elisabetta (Elsa), Lidia, Amelia, Emma e Irma.

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Maria Sandri

Nel novembre 1895 venne eletto alla Dieta di Innsbruck, ma, non avendo ancora compiuto i trent’anni, la sua elezione non fu convalidata. Venne rieletto nel novembre dell’anno successivo per i distretti rurali di Cles, Malé, Fondo e Mezzolombardo.

Iniziò così la sua vita politica militando nel partito clerico-conservativo. I deputati trentini alla Dieta praticavano allora la tattica dell’astensionismo, per protesta contro l’atteggiamento della maggioranza tedesca che si opponeva alla loro richiesta di autonomia amministrativa del Trentino dalla Provincia tirolese.

Ma tale tattica andava sempre più rivelandosi sterile, perché di fatto lasciava la maggioranza tedesca sola padrona dei deliberati dietali. Per questo si pensò di passare dall’astensionismo all’ostruzionismo, e fu proprio al Conci demandato l’incarico di comunicare alla stampa la nuova decisione presa dai deputati trentini.

Il Parlamento di Vienna

Il Parlamento di Vienna

Il 18 marzo 1897 Conci venne eletto deputato anche alla Camera di Vienna per i distretti rurali di Cles, Cavalese e Primiero, con 197 voti su 201 votanti: 4 le schede nulle (verrà rieletto il 30 gennaio 1901, il 17 giugno 1907 e il 25 maggio 1911).

Le lettere che scrisse alla moglie da Vienna dal 28 marzo 1897 al 20 dicembre 19093 costituiscono una fonte importante di notizie sulla vita parlamentare a Vienna, non solo riguardo alla deputazione trentina, ma anche, in generale, in riferimento alle altre rappresentanze delle varie nazionalità dell’Impero.

La Camera venne aperta per la XII sessione il 29 marzo 1897 con il discorso della Corona. Presidente del consiglio era allora il conte Kasimir Badeni. Nel maggio successivo i deputati trentini, assieme ai colleghi triestini, goriziani ed istriani (in tutto diciannove: undici della Venezia Giulia e otto del Trentino), fondarono ufficialmente il Club italiano ed elessero suo presidente il liberale Valeriano Malfatti di Rovereto.

Kasimir Badeni

Kasimir Badeni

Del club Conci fece parte assieme ai clerico-nazionali trentini don Emanuele Bazzanella, don Giovanni Salvadori, don Lorenzo Guetti, e a don Adamo Zanetti, eletto per il Goriziano. I deputati clericali, tra i quali i quattro sacerdoti, «si riservavano piena ed assoluta libertà in tutte le questioni religiose e religioso-politiche, e si riservavano anche il diritto di determinare essi stessi quali fossero le questioni religioso-politiche di caso in caso». Il primo discorso tenuto alla Camera da Conci riguardò l’annosa questione della tramvia della Valle di Non.

Già da due anni era stato completamente elaborato un programma destinato a fare della città di Trento il punto centrale di tutto il traffico ferroviario del Trentino, e in tale programma rientravano principalmente le ferrovie della Valle di Non e di quella di Fiemme. Seguì a distanza di tempo un altro suo intervento in occasione della discussione di un disegno di legge riguardante miglioramenti economici per i funzionari pubblici.

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don Lorenzo Guetti

Conci parlò a favore degli impiegati inferiori, i diurnisti e i «servi», che avevano maggior bisogno di miglioramenti rispetto agli impiegati superiori.

Un terzo discorso Conci lo tenne all’apposita commissione per le tasse e i bolli, riunita per esaminare un progetto di legge proposto dal Governo . Due erano allora le principali questioni che impegnavano i deputati trentini, sia alla Camera di Vienna che alla Dieta di Innsbruck: quella dell’autonomia amministrativa del Trentino e quella dell’erezione di una facoltà giuridica italiana.

Nel giugno 1897 i deputati trentini a Vienna presentarono al conte Badeni un memoriale steso dal deputato clericale don Giovanni Salvadori, in cui chiedevano che fosse concessa al Trentino la tanto desiderata autonomia. Il memoriale venne respinto dal governo in modo deciso ed anche provocatorio, quasi quella richiesta fosse stata contraria ai veri interessi del Trentino.

Don Giovanni Salvadori

Per reazione i deputati adottarono un atteggiamento di piena opposizione, specialmente con il votare per la prima volta contro le spese militari. Conci venne incaricato di motivare in un discorso alla Camera tale voto contrario.

Ad Innsbruck i deputati trentini, dal dicembre del 1900, ostacolarono i lavori della Dieta tenendo lunghi discorsi dei quali pretendevano la traduzione, a seconda della lingua in cui erano stati tenuti, in italiano o in tedesco: cosa per altro conforme ai regolamenti dietali.

Il Conci stesso adottò questa tattica in seno alla commissione del bilancio, pretendendo l’esame della questione pregiudiziale (se la Dieta fosse competente a trattare gli argomenti all’ordine del giorno) e chiedendo la traduzione in tedesco del suo discorso, ciò che portò ad un aggiornamento della seduta.

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don Adamo Zanetti

Nella seduta dietale del 21 dicembre 1900 Conci pronunciò un forte discorso nel quale ammonì:

«Signori! badate che non esistono i popoli per le istituzioni, ma bensì le istituzioni per i popoli; badate che la causa nostra è buona e santa; badate che se per la forza materiale derivante dalla rilevante preponderanza numerica, ingiusta in se stessa, vi sarà forse dato di conservare questo organismo [la Dieta], come è attualmente, la causa nostra è sorretta dall’immensa forza morale che riposa nel concetto del giusto e dell’equo. Il popolo trentino qui leva compatto a mezzo dei suoi deputati un grido virile: Frangar non flectar, e forse a niuno, o Signori, sarà dato di spezzare la vigorosa energia!».

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La tattica ostruzionista adottata dai trentini finì con il mettere la Dieta in condizione di non poter funzionare e di conseguenza di dovere venir chiusa. In conclusione il governo, rimasto impressionato del fermo atteggiamento della deputazione trentina, fu indotto ad occuparsi con più impegno della questione autonomistica.

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Esso allora incaricò il consigliere aulico barone Handel Mazzetti di predisporre un apposito disegno di legge. Questi costituì allo scopo una commissione consultiva di quattro deputati al parlamento: due tedeschi, il clericale conservativo Theodor Kathrein e il liberale Karl Grabmayr, e due italiani, il clericale conservativo Enrico Conci e il liberale barone Valeriano Malfatti.

Si giunse così alla formulazione di alcuni disegni di legge che assicuravano al Trentino una, seppur limitata, autonomia amministrativa. Venuti in discussione alla Dieta, essi incontrarono però l’aperta ostilità della maggioranza tedesca in nome dell’unità del Tirolo che si vedeva minacciata di scissione.

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Thedoro von Kathrein

In quell’occasione tutti i Comuni tedeschi del Tirolo e numerose società inviarono alla Dieta proteste contro la paventata concessione dell’autonomia.

Il luogotenente del Tirolo, conte Franz von Merveldt, che avrebbe dovuto sostenere l’indirizzo governativo favorevole all’autonomia, si mise invece a sua volta ad appoggiare la corrente contraria pubblicando anche articoli sul «Tiroler Bote», organo ufficiale del governo.

Il deputato Grabmayr, al quale era stato affidato il compito di relatore sui disegni di legge autonomistici, viste le difficoltà che si opponevano alla loro approvazione, rinunciò al mandato.

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Fu allora che il Kathrein – che Conci definisce «perla d’uomo, animato solo da senso di giustizia e sempre favorevole alle giuste rivendicazioni dei Trentini» – si assunse il difficile compito di subentrare al Grabmayr come relatore, ma ormai era chiaro a tutti che i disegni di legge autonomistici non avrebbero trovata la maggioranza necessaria, per cui la Dieta venne chiusa con un nulla di fatto.

Freiherr von Kathrein Theodor Dr. Landeshauptmann von Tirol 1842 Salurn, Südtirol

Il presidente del Consiglio, Ernst Körber, che era successo al conte Badeni, fatto dimettere dall’Imperatore a seguito dei disordini alla Camera nel dibattito sulla questione delle lingue, dispensò il 7 dicembre 1901 il Merveldt dalla carica di luogotenente e nominò al suo posto il barone Erwin von Schwartzenau, con l’incarico di elaborare su nuove basi il programma autonomistico governativo. Schwartzenau – scrive il Conci – «… era un vero gentiluomo, intelligentissimo e vivamente desideroso di attuare il programma autonomistico in base al quale era stato nominato».

Nella primavera del 1902 Conci partecipò alle Delegazioni che quell’anno si tenevano a Budapest e vi pronunciò un importante discorso, rivolto al ministro della Guerra, presente alla seduta. In esso egli propose l’abolizione di due pene molto crudeli che si praticavano nell’esercito: la pena della colonna e quella dei ferri.

La sua proposta, non condivisa dal ministro, fu votata da tutti i membri della Camera dei deputati, mentre vi votarono contro quelli della Camera dei Signori (o Camera alta); essa fu approvata con trentacinque voti contro diciasette.

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Grabmayr

L’esito della votazione fu riportato con grande rilievo dal giornale ungherese «Egytertes»: era infatti la prima volta che il Ministro della guerra veniva posto in minoranza dal Parlamento.

La Dieta di Innsbruck venne riaperta il 25 giugno 1902. Il luogotenente Schwartzenau sottopose all’assemblea un nuovo programma governativo che prevedeva la divisione della Provincia in tre zone: una tedesca, una italiana ed una ladina.

La maggioranza tedesca della Dieta chiese che il Comune di Ruffré, nell’alta Valle di Non, verso la Mendola, i cui alberghi erano frequentati quasi esclusivamente da tedeschi, fosse aggregato alla loro zona.

Allora il luogotenente invitò Conci nel suo ufficio e gli sottopose il suo piano di separare Ruffré dalla Mendola e assegnarlo alla zona italiana. Conci si oppose subito, perché gli alberghi della Mendola rappresentavano una grande risorsa per il Comune di Ruffré.

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Schwartzenau, persuaso, ritirò il suo piano e riuscì a convincere anche i deputati tedeschi a rinunciare al progetto di assegnare Ruffré alla zona tedesca. Tutto sarebbe andato in questa direzione se ai deputati trentini non fosse venuta l’idea di sottoporre per l’approvazione questa soluzione ai loro elettori, che nei comizi appositamente convocati la respinsero assieme ai progetti autonomistici governativi.

Era sorta infatti nel Trentino una improvvisa protesta contro la costituzione della zona ladina e di conseguenza veniva disapprovata anche l’opera dei deputati trentini.

Sul finire del 1902 Conci venne nominato membro della Giunta provinciale. Per poter esercitare in modo più agevole tale incarico, assieme a quello di deputato alla Camera, egli decise nella primavera del 1903 di trasferirsi ad Innsbruck con la famiglia.

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Ernst Körber

Da parecchio tempo in quella città erano stati istituiti dei «corsi paralleli» universitari di diritto in lingua italiana che avrebbero dovuto costituire in nuce la futura facoltà giuridica italiana.

Vivace era allora il dibattito tra gli studenti italiani in Austria intorno alla sede di tale facoltà. Gli studenti trentini, e in particolare i socialisti di Battisti, chiedevano con forza come sede Trieste, mentre i tedeschi, e soprattutto gli slavi, vi si opponevano.

Enrico Conci

Enrico Conci

Il governo, per parte sua, mirava ad erigere una facoltà giuridica italiana ad Innsbruck. Conci, avuto sentore dei progetti governativi, scrisse al presidente dei ministri Körber del pericolo cui andava incontro il progetto governativo per la situazione carica di tensione che si era creata ad Innsbruck dove, se si fossero conservati anche solo in parte i «corsi paralleli», il minimo incidente avrebbe potuto avere gravi conseguenze.

Ma le sue parole non ebbero ascolto e il 3 novembre 1904 la facoltà italiana ad Innsbruck «veniva demolita prima ancora di essere aperta». Conci si trovava quel giorno con altre persone adulte assieme agli studenti italiani all’albergo «Croce Bianca», dove si festeggiava l’inaugurazione della nuova facoltà italiana.

Ernst Körber

Ernst Körber

All’uscita dall’albergo, anche lui fu fatto segno, da parte tedesca, delle grida ostili: «Mörder, assassini!». Scoppiò un tumulto e il luogotenente Schwartzenau, per sedarlo, ricorse al militare.  Un ladino venne ferito mortalmente. Allora l’indignazione dei tedeschi si rivolse anche contro il palazzo della Luogotenenza. Conci, che con la famiglia abitava nei pressi, assistette alla sassaiola che ruppe tutti i vetri delle finestre del palazzo.

Quando il governo avanzò la proposta di erigere la facoltà italiana a Rovereto, per reazione molti studenti italiani lanciarono la parola d’ordine «Trieste o nulla», «… parola che» – scrive Conci il quale invece era favorevole a Trento come sede della facoltà – «in pratica significava il nulla e che perciò non fu da me accolta ed invece risolutamente combattuta». Nel 1907 si tennero le elezioni a suffragio universale e Conci fu eletto deputato per il collegio di Mezzolombardo-Cembra.

Theodor Kathrein

Theodor Kathrein

Nel febbraio 1908 fu rieletto alla Dieta e, con patente imperiale del 23 aprile seguente, fu nominato vice capitano provinciale, mentre capitano era il Kathrein, ormai divenuto un suo caro amico con il quale poteva collaborare al meglio nell’interesse dei Trentini.

In seno alla Camera di Vienna Conci fu successivamente chiamato a presiedere la «Unione latina» che era formata da tre gruppi: il gruppo popolare italiano (dieci deputati), il liberale italiano (quattro deputati) e il rumeno (cinque deputati). I deputati socialisti italiani, che si erano uniti a quelli socialisti tedeschi, non fecero parte dell’«Unione latina». L’incarico al Conci, della durata di due anni, fu poi riconfermato per altri due.

Enrico Conci

Enrico Conci

Alla Dieta di Innsbruck Conci si era inimicato il luogotenente Markus von Spiegefeld, che era stato nominato a quella carica il 26 agosto 1907. Questi favoriva la maggioranza tedesca a danno dei Trentini, e il Conci approfittò di un’occasione particolare per farlo dimettere. Il presidente dei ministri, conte Karl Stürgkh, si era incontrato con lui e gli aveva anticipato che la Dieta avrebbe dovuto occuparsi di un disegno di legge governativo sulla difesa territoriale.

Conci gli fece osservare che era necessario sostituire il luogotenente perché i deputati trentini non collaboravano con lui e il disegno di legge, di conseguenza, non avrebbe potuto venir discusso.

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Lo Stürgkh capì subito che i deputati sarebbero ricorsi all’ostruzionismo e, per evitarlo, sostituì il luogotenente con il conte Friedrich Toggenburg, che era invece favorevole ai Trentini.

Il 7 ottobre 1909 Conci ebbe la grande soddisfazione di inaugurare la tramvia Trento-Malé, coronamento di un suo lungo impegno che lo aveva portato più volte ad intervenire alla Camera e alla Dieta per la realizzazione di quella tramvia, e a minacciare addirittura le sue dimissioni da deputato se fossero proseguiti i continui ritardi.

Egli aveva percorso tutta la Valle di Non e quella di Sole per promuovere le sottoscrizioni azionarie occorrenti al finanziamento da parte dei Comuni e di privati, ed aveva dovuto lottare contro molte difficoltà finanziarie e superare anche contrasti politici per poter vedere finalmente realizzata l’opera.

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Scoppiata la guerra, il parlamento venne chiuso. I deputati italiani, pur visti con sospetto, nel periodo della neutralità italiana furono rispettati, a differenza di quelli serbi, croati, czeki e ruteni, i quali subirono invece internamenti o furono confinati con l’accusa di essere ostili al governo.

Verso la fine di aprile del 1915 il luogotenente Toggengurg convocò presso di sé il capitano provinciale Kathrein, Conci con il collega di Giunta Giovanni Peterlongo e altri deputati del Tirolo e del Vorarlberg, per comunicare loro che l’imperatore aveva deciso di estendere la leva in massa dai quarantadue ai cinquant’anni.

Giovanni Peterlongo

Giovanni Peterlongo

Mentre i deputati tirolesi dichiaravano subito di accettare con patriottismo la decisione sovrana, Conci prese la parola per rilevare che l’obbligo della leva in massa era regolato da una legge che corrispondeva ad un patto bilaterale tra l’Imperatore e la Dieta provinciale, e che un tale patto non poteva essere mutato se non di comune accordo, cioè a mezzo di una nuova legge.

Per questo egli non era in grado «di prendere a notizia la comunicazione del Luogotenente». Questa dichiarazione di Conci suscitò scandalo negli ambienti della Dieta, ma la decisione sovrana seguì il suo corso.

Enrico Conci con la figlia Elsa

Enrico Conci con la figlia Elsa

Appena scoppiata la guerra con l’Italia, il luogotenente comunicò a Conci che «per le sue tendenze nazionali» veniva internato a Linz assieme alla sua famiglia, che in quel tempo abitava a Mollaro in Valle di Non. Conci raggiunse tale città il 31 maggio 1915.

Il Kathrein, che inutilmente si era opposto al suo internamento, ottenne però che almeno la figlia Elsa potesse rimanere ad Innsbruck, presso le Orsoline, fino all’esame di licenza liceale al quale stava preparandosi.

«Osservo qui – scriveva Conci nei suoi Ricordi – che per parte mia mai avevo pensato a passare il confine, malgrado il pericolo di internamento; mentre mi sembrava doveroso di rimanere quanto possibile al mio posto di combattimento in considerazione dei pubblici incarichi affidatimi». La popolazione di Linz non mostrò ostilità nei confronti di Conci.

Il campo di Katzenau

Il campo di Katzenau

Vennero allora a fargli visita parecchi italiani, anche del campo di Katzenau, dove gli internati godevano in quel primo tempo di una notevole libertà di movimento. Dopo quindici giorni egli ottenne il permesso di trasferirsi nel Comune di Urfahr, presso Linz; in autunno ritornò ad abitare con la famiglia a Linz.

Lodovico Benvenuti

Lodovico Benvenuti

Tra gli amici di casa che più spesso venivano a fargli visita vi erano: il conte Carlo Marzani, il dott. Giovanni Peterlongo, il vecchio ex deputato al parlamento avvocato Giovanni Battista Debiasi e gli ingegneri Edoardo Model e Lodovico Benvenuti.

Anche Alcide Degasperi, senza preoccuparsi delle gravi conseguenze che la cosa avrebbe potuto causargli, gli fece frequenti visite. In generale tra gli internati vi era un grande affiatamento ed essi si aiutavano reciprocamente.

ALCIDE DE GASPERI

ALCIDE DE GASPERI

Durante l’internamento del Conci la polizia effettuò delle perquisizioni nelle sue abitazioni a Linz, ad Innsbruck e a Mollaro, nel corso delle quali venne sequestrato molto materiale compromettente.

In seguito alle perquisizioni (soprattutto a quelle effettuate ad Innsbruck) furono avviati dei processi penali contro di lui e contro le figlie Elsa ed Amelia, processi che, per altro, non si conclusero con la sentenza per la sopravvenuta amnistia accordata dal nuovo imperatore Carlo, che annullava tutti i processi di natura politica.

Conci si trovava già da due anni a Linz con la famiglia, quando gli giunse la notizia che il Parlamento era riconvocato per il 3 maggio 1917. Poco dopo egli veniva rimesso in libertà e cessava ogni norma restrittiva a suo carico.

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Il suo primo pensiero fu quello di recarsi ad Innsbruck per riprendere l’attività nella Giunta provinciale, ma dovette rinunciarvi perché gli fu detto che la sua presenza in quella città avrebbe suscitato manifestazioni di protesta: preferì quindi attendere ai lavori della Camera di Vienna risiedendo a Linz.

Nel riconvocato Parlamento i deputati trentini decisero di non ricostituirsi in gruppo per lasciare ai singoli maggiore libertà d’azione. Numerosi furono i loro interventi a favore dei profughi, degli internati e, in generale, della popolazione trentina sottoposta a severe e a volte vessatorie misure di polizia.

Tra i più attivi vi furono mons. Guido de Gentili e Alcide Degasperi, i quali chiesero conto al governo della situazione in cui versavano quanti ancora si trovavano confinati o internati, come il vescovo Celestino Endrici ed altri.

Celestino Endrici

Mons. Celestino Endrici

Anche Conci intervenne con un forte discorso alla Camera per protestare contro il divieto di ritornare alle loro case di ex internati o confinati, e contro gli arbitri dell’autorità militare ai danni della popolazione trentina.

Assieme a Degasperi egli andò pure a fare visita al vescovo ad Heiligenkreuz, poi si recò dal nunzio a Vienna per chiedere il ritorno di Endrici a Trento, ma senza risultato.

Il 28 novembre 1917, a nome dei suoi colleghi deputati, inviò una lettera ai due giornali tirolesi, le «Neue Tiroler Stimmen» e le «Innsbrucker Nachrichten», nella quale smentiva categoricamente quanto affermato dagli stessi circa istruzioni che sarebbero state loro impartite dal vescovo di Trento riguardo alla condotta che avrebbero dovuto tenere in Parlamento.

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Il 13 novembre 1917 Conci fu nominato, non senza ostacoli perché ritenuto «persona politicamente sospetta», membro delle Delegazioni (assemblea competente a trattare questioni internazionali).

Si doveva votare sul prolungamento del «compromesso» austro-ungarico. Conci intervenne il 5 dicembre per dichiarare che avrebbe dato voto contrario, perché tale «compromesso» confermava l’egemonia dei magiari nei territori dell’Ungheria e dei tedeschi in quelli dell’Austria, a danno delle altre nazionalità: i Trentini inglobati nella Provincia tirolese, notava, avevano già sperimentato i danni di un simile sistema.

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Alla ripresa dei lavori alla Camera per la sessione che durerà dal 22 gennaio al 15 marzo 1918, Conci, che faceva parte della commissione del bilancio, protestò contro le misure poliziesche attuate nel Trentino dal commissario Rudolf Muck e contro gli arbitri del capitano distrettuale di Mezzolombardo che voleva introdurre la pena del bastone per correggere i ragazzi.

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Nei giorni 16, 17 e 18 maggio 1918 Conci partecipò alle celebrazioni di Praga per festeggiare il cinquantesimo anniversario di quel teatro nazionale.

Ad esse erano stati invitati rappresentanti delle varie nazionalità dell’Impero, ad esclusione della tedesca e della magiara. Egli intervenne a tali manifestazioni in rappresentanza dei deputati trentini. I czeki, prendendo a pretesto quelle feste, si erano proposti di organizzare una manifestazione anti-austriaca e di solidarietà per le cosiddette «nazionalità oppresse».

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Conci era già stato a Praga vari anni prima per i funerali del dott. Herold, leader dei deputati czeki e vi era stato accolto con grande cordialità; in quell’occasione aveva anche pronunciato un breve discorso in italiano che era stato molto applaudito.

L’adunanza venne tenuta in una grande sala del Museo cittadino, chiamato per la sua forma Pantheon, presenti ben cinquemila persone. Presiedeva significativamente l’ex deputato e vicepresidente della Camera fino alla caduta del governo Badeni, il czeko Karel Kramár, già condannato a morte e poi graziato dall’imperatore Carlo.

Dopo che questi ebbe parlato introducendo il convegno, tenne un discorso un rappresentante dei polacchi e, dopo di lui, quello di un’altra nazionalità slava: ciascuno parlava nella propria lingua. Venne quindi la volta di Conci che, al suo apparire, fu accolto da una manifestazione calorosissima di simpatia, con applausi e grida di «evviva l’Italia» ed «evviva Conci».

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Karel Kramár

Nel suo discorso in lingua italiana egli ringraziò per la «splendida accoglienza» che gli era stata usata e portò l’affettuoso saluto degli italiani intervenuti all’adunanza e di quanti seguivano «con la massima simpatia tutto quello che interessa le sorti della nobile nazione boema».

L’augurio ch’egli portava era «il voto espresso da un perseguitato a perseguitati, da un rappresentante di maltrattati ad un popolo che ha sofferto e soffre continui e gravi maltrattamenti».

E concludeva: «Venga presto il giorno in cui il ruggente leone boemo possa alla fine posare dopo il suo completo trionfo, e guardare tranquillo al suo avvenire». Il discorso fu applauditissimo. Il giorno seguente Conci tenne un altro discorso patriottico: seguirono vari banchetti ed adunanze nel corso delle quali furono formulate delle deliberazioni aventi per oggetto il riconoscimento del diritto di autodecisione delle singole nazionalità.

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Durante le «giornate di Praga» il governo austriaco, colto di sorpresa da quelle manifestazioni, si astenne dal prendere provvedimenti contro il Conci.

Vivaci e duri furono invece gli attacchi rivoltigli dalla stampa tedesca e in particolare dal «Tiroler Anzeiger» che il 26 maggio, nell’articolo di fondo intitolato Il caso Conci, chiese indignato che Conci si dimettesse dalla carica di vice-capitano provinciale della Dieta di Innsbruck: il suo contegno a Praga veniva infatti giudicato «di alto tradimento dello Stato».

Il podestà di Innsbruck, dal canto suo, aveva tenuto il 22 maggio un discorso in cui aveva detto, tra l’altro, che la popolazione tirolese considerava una vergogna che il vice-capitano del Tirolo avesse tenuto a Praga un discorso nel quale veniva esaltata la nazione boema e incoraggiata quella popolazione nel suo atteggiamento ostile all’Austria, e aveva concluso: «Gli Italiani al pari dei Boemi attendono il compimento dei loro sogni d’indipendenza dai nostri nemici, dall’Intesa».

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Anche il podestà di Bolzano non aveva voluto essere da meno di quello di Innsbruck, e aveva fatto pubblicare sui giornali locali un suo discorso tenuto nel Consiglio comunale, nel quale aveva chiesto di «liberare la Dieta da una simile vergogna».

Conci si difese da questi ed altri attacchi pubblicando sul giornale socialista di Trieste «Il lavoratore» una dichiarazione, in cui affermava di non rinunciare al diritto di esprimere le giuste lagnanze della popolazione trentina per i torti subiti.

Quel giornale, benché organo del partito socialista, aveva ospitato anche in passato articoli in suo favore ed era l’unico cui Conci ed altri deputati trentini potevano ricorrere.

FRANCESCO GIUSEPPE

FRANCESCO GIUSEPPE

I tirolesi si rivolsero allora al governo chiedendo la sua destituzione da vice-capitano provinciale. Il governo non esitò ad intervenire e venne subito pubblicata una decisione sovrana in cui Conci veniva destituito da quella carica. Per protesta egli restituì il 10 luglio la decorazione dell’Ordine della Commenda di Francesco Giuseppe di cui era stato insignito.

Il 16 luglio, la Camera venne riaperta e il giorno successivo Degasperi vi presentò una interpellanza per protestare contro la destituzione di Conci, che definì «una lesione dei diritti d’immunità di un membro del Parlamento».

Lo stesso giorno anche Conci tenne un discorso di protesta alla Camera, perché con la passata sospensione del Parlamento sarebbero stati offesi dal governo i diritti parlamentari.

Mons. Endrici

Mons. Endrici

La sua protesta riguardò poi l’internamento del vescovo Endrici, le condizioni in cui versava la popolazione trentina e l’adunanza che il Tiroler Volksbund aveva tenuto a Vipiteno il 9 maggio, nel corso della quale si aveva parlato contro le aspirazioni nazionali dei Trentini. Il discorso fu vivamente applaudito anche dai czeki e da altri gruppi della Camera.

Gli avvenimenti di guerra intanto precipitavano: sul fronte italiano il generale Armando Diaz aveva sferrata l’offensiva che avrebbe portato alla decisiva sconfitta dell’esercito austriaco a Vittorio Veneto.

generale Armando Diaz

generale Armando Diaz

Nella seduta parlamentare del 25 ottobre 1918 Conci fece, a nome del Fascio nazionale italiano che si era costituito il giorno prima con la partecipazione di venticinque deputati italiani, la seguente dichiarazione:

«Fondandoci sui postulati del Presidente Wilson, riconosciuti ed accettati dalle potenze centrali, dichiariamo che tutti i territori italiani, finora soggetti alla monarchia austro-ungarica, nessuno eccettuato, li consideriamo come già virtualmente staccati dal suo nesso territoriale; per la qual cosa i deputati italiani hanno punto il compito di entrare in trattative col Governo e coi rappresentanti della nazionalità ancora soggetta all’Austria allo scopo di dare un nuovo assetto allo Stato.

Poiché i territori italiani situati entro i presenti confini della monarchia, si devono orami ritenere come virtualmente appartenenti allo Stato italiano, protestiamo in modo speciale contro il trattamento eccezionale, che, secondo le intenzioni del Governo, si vorrebbe usare alla città di Trieste».

Valentino Pittoni

Valentino Pittoni

Queste furono le ultime parole pronunciate da Conci al Parlamento viennese. Quello stesso giorno i deputati italiani decisero di costituirsi in commissione permanente sotto la presidenza di Conci e del socialista triestino Valentino Pittoni.

Il 28 ottobre Conci, Degasperi e il liberale Valeriano Malfatti, ottenuti dalla presidenza del Consiglio i passaporti per la Svizzera, si recarono a Zurigo e poi a Berna dove risiedeva il rappresentante diplomatico dell’Italia, il marchese Raniero Paolucci di Calboli, che li accolse con grande affabilità.

Due giorni dopo il loro arrivo nella capitale svizzera, il console telefonò al Conci che l’esercito italiano era entrato a Trento e a Trieste.

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I deputati trentini avrebbero voluto rientrare al più presto nel Trentino, ma un telegramma da Roma li invitò a recarsi subito lì. Messisi quindi in viaggio, attraverso il Canton Ticino giunsero a Milano dove furono accolti in piazza del Duomo da una folla entusiasta. Dopo un breve soggiorno in quella città, ripresero il viaggio per Roma.

Qui vennero ricevuti dal presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando e da altri ministri ai quali esposero i bisogni della popolazione trentina. «Sono tornato da Roma; – scrive il 20 novembre Conci alla moglie che si trovava a Mollaro – è stato un giro di trionfo, anche questa volta, come a Praga, mi è solo spiaciuto non ci fossi anche tu».

Vittorio Emanuele Orlando

Vittorio Emanuele Orlando

Ancora nel novembre 1918 il generale Guglielmo Pecori Giraldi, governatore militare della Venezia Tridentina, su sollecitazione dei partiti politici locali istituì la Consulta, organo che doveva mantenere il contatto con il Paese ed essere al tempo stesso un collaboratore del Governatorato.

Essa venne formata da rappresentanti dei partiti popolare, liberale e socialista, e da un rappresentante della Lega dei contadini. Suo presidente fu nominato Conci. Molti dei membri della Consulta erano già stati deputati della Camera di Vienna e della Dieta di Innsbruck.

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generale Guglielmo Pecori Giraldi

La Consulta ebbe carattere prevalentemente clericale e conservatore: essa si rivelò, a detta del governatore militare, «un organismo sterile che, non mantenendo un sufficiente contatto né col Paese né col Governo e mancando di prestigio e d’autorità per essere in parte composta di uomini politicamente vecchi, mancò quasi totalmente alla sua funzione».

Con decreto del Comando Supremo dell’esercito, il 21 dicembre 1918 Conci fu nominato «Commissario per la gestione dell’Amministrazione della Provincia per il Trentino e l’Alto Adige».

Valeriano Malfatti

Valeriano Malfatti

Il 1° ottobre 1920 egli venne nominato senatore del Regno, assieme a Valeriano Malfatti, ad Antonio Tambosi e al sindaco di Trento Vittorio Zippel. L’11 novembre seguente fu confermato presidente dell’amministrazione provinciale.

Quando, il 19 novembre 1921, fu costituita la Giunta provinciale straordinaria per il territorio di giurisdizione del Commissariato generale civile della Venezia tridentina, suo presidente fu nominato ancora Conci. Egli collaborò attivamente con il commissario Luigi Credaro nell’attuare una politica per una pacifica convivenza con i tedeschi dell’Alto Adige.

Luigi Credaro

Luigi Credaro

Il 5 ottobre 1922 i fascisti cacciarono Credaro da Trento e occuparono la Giunta provinciale: era la fine di quell’autonomia per la quale i Trentini, e Conci in prima fila, avevano tanto lottato nel recente passato sotto la sovranità degli Asburgo. Previ accordi con Degasperi, Conci si recò quello stesso giorno al palazzo della Giunta dove presentò una lettera di protesta che diceva:

«A nome anche dei miei colleghi di Giunta qui residenti, dichiaro che noi siamo sempre stati e siamo fautori convinti di autonomie provinciali e comunali che in alcun modo ledano la perfetta unità della Patria, e che ci sappiamo in tale convincimento all’unisono colla quasi totalità della nostra popolazione.

Trento, 1904. Gli studenti trentini reduci dalle dimostrazioni e dalle carceri di Innsbruck. Il secondo da destra è Cesare Battisti, il secondo da sinistra è Alcide Degasperi

Trento, 1904. Gli studenti trentini reduci dalle dimostrazioni e dalle carceri di Innsbruck. Il secondo da destra è Cesare Battisti, il secondo da sinistra è Alcide Degasperi

Noi consideriamo come un nostro preciso dovere di rimanere al nostro posto, al quale siamo stati chiamati con decreto reale e dal quale solo con altro regio decreto potremo essere sollevati.

Che se colla violenza ci si costringe ad interrompere la nostra attività, noi, pur subendo la momentanea coazione contro la stessa fieramente protestiamo e intendiamo ne restino affatto inalterati i diritti della popolazione e nostri».

La permanenza di Conci alla presidenza della Giunta provinciale straordinaria era ormai destinata a durare poco. L’8 agosto 1923 il prefetto Giuseppe Guadagnini gli inviava il seguente avviso:

«Dopo il manifesto al Paese, lanciato dal Gran Consiglio Fascista e dopo l’ordine del giorno di solidarietà coll’ex segreteria politica del Partito Popolare votata dalla Sezione del PP Trentino, ritengo che i rappresentanti del partito stesso in seno alla GPS, i quali sono di nomina governativa, non possono più restare al loro posto, in quanto non godono la fiducia del Governo”.

Giuseppe Guadagnini

Giuseppe Guadagnini

Conci rispose, anche a nome dei suoi colleghi del PP, rassegnando le dimissioni. Il prefetto nominò allora Michele Chiaromonte commissario prefettizio per la gestione provvisoria dell’amministrazione provinciale. L’atteggiamento di Conci nei confronti dei tedeschi dell’Alto Adige che, come abbiamo rilevato, era improntato ad una politica distensiva, finì con il porlo in contrasto con Ettore Tolomei il quale perseguiva allora un piano di snazionalizzazione dell’elemento tedesco.

Il Tolomei, invero, nell’«Archivio per l’Alto Adige» non aveva mancato in passato, al tempo della sovranità austriaca, di apprezzare in più occasioni l’opera politico-nazionale del Conci, ma nel dopoguerra, particolarmente nel periodo del Governatorato civile, ne disapprovò decisamente l’atteggiamento politico.

ETTORE TOLOMEI

ETTORE TOLOMEI

Pur definendolo «uomo politico di grande competenza amministrativa» dal passato di patriota, lamentava nella rivista del 1921 che «a capo dei cattolici trentini, egli s’è palesato dapprima assolutamente contrario al nostro programma della “provincia unica”, poi si è venuto gradatamente accostando, ma in modo tale da farci nettamente persuasi che la sua nuova carica non farà che ritardarne il compimento».

In un promemoria per il prefetto di Trento , di data 3 luglio 1923, a poco tempo dal discorso che Tolomei avrebbe tenuto il giorno 15 a Bolzano sui «Provvedimenti per l’Alto Adige», Conci faceva alcune osservazioni generali sul «trattamento degli allogeni».

Ettore Tolomei

Ettore Tolomei

Al riguardo per lui vi erano tre metodi: quello che riconosceva in teoria e in pratica l’eguaglianza dei diritti della popolazione allogena, metodo che chiamava «svizzero»; quello che, riconoscendola in via di principio, la disconosceva poi in via di fatto, come era avvenuto per i Trentini al tempo della sovranità dell’Austria; quello infine «di non riconoscerla né in fatto né in diritto e che invece proclama e svolge una continua, aperta, sistematica azione di snazionalizzazione (metodo prussiano)».

A lui sembrava «che il metodo del pieno riconoscimento e della piena tolleranza dei diritti linguistici degli allogeni come pure i temperamenti che sono richiesti dalla natura di uno Stato uninazionale, dovrebbero essere non solo per ragioni etiche, ma anche per ragioni politiche i sistemi preferiti». Conci consigliava infine di rendere possibile ai comuni di procurarsi un segretario bilingue e di non escludere la lingua tedesca dal Consiglio provinciale.

Cesare Battisti direttore del "Popolo"

Cesare Battisti direttore del “Popolo”

Alla fine di ottobre del 1924 «Il Popolo d’Italia» scatenò una campagna denigratoria contro Degasperi che veniva accusato di austriacantismo in riferimento alla sua attività politica al tempo della soggezione del Trentino all’Austria.

Ad affiancare il giornale scesero in campo anche altri giornali fascisti, tra i quali «Il Brennero», allora diretto dal roveretano Alfredo Degasperi. In quell’occasione Conci inviò a Degasperi una sua testimonianza per dimostrare l’italianità dello stesso, prima e durante la guerra: testimonianza che fu pubblicata a sua difesa il 19 novembre dal giornale dei popolari «Il nuovo Trentino».

Degasperi ringraziò Conci con un’affettuosa lettera della «generosa e valida testimonianza» che, rilevava, egli non meritava in quella misura («… io non ho altro orgoglio che d’essere stato un suo insufficiente, ma forse volonteroso scolaro»).

Vittorio Zippel

Vittorio Zippel

Con essa sperava di chiudere quell’astiosa polemica che aveva visto levarsi contro di lui, con particolare accanimento, i fascisti trentini Alfredo Degasperi e Gino Sottochiesa. «Il Sottochiesa – scriveva Degasperi – è moralmente e politicamente parlando un farabutto, e di lui e di d., se la rappresaglia personale non mi facesse ribrezzo, avrei potuto sbarazzarmi facilmente raccontando la storia che li riguarda. Sono lieto di potermi difendere senza queste pur giuste ritorsioni».

Sicuramente Degasperi al tempo della guerra, ed anche prima, si era dimostrato, come affermava Conci, un buon italiano, ma certo disposto ad operare politicamente, assieme ai suoi colleghi popolari, nell’ambito istituzionale austriaco.

Francesco Menestrina

Francesco Menestrina

Scrisse a questo proposito il liberale Francesco Menestrina nel 1920:

«Se per nostra sventura l’aquila austriaca avesse continuato i suoi voli sulle montagne trentine, gli uomini politici di cui parliamo, toltone il D.r Conci, avrebbero potuto restare nella vita pubblica ed avere contatti col Governo, di cui mai prima dell’ottobre fatale, negarono la ragione d’essere, frenando la ‘refrattarietà’ e la ‘ribellione’ entro i limiti perdonabili di un’aspra campagna contro la mala amministrazione voluta dai militari».

Nei confronti del fascismo Conci assunse un atteggiamento di prudente realismo, in coerenza con quella duttilità e pragmatismo che, come è stato rilevato, aveva usati in passato nella sua azione politica di deputato dell’Austria. Egli rifiutò sempre la tessera fascista che gli era stata insistentemente offerta e fu uno dei nove senatori che non aderirono al fascismo.

Valeriano Malfatti

Valeriano Malfatti

D’altronde quale motivo di riconoscenza o di speciale simpatia per il partito o per il governo fascista avrebbe potuto avere, se dallo stesso governo era stato bruscamente rimosso dal suo ufficio di presidente della Giunta provinciale dopo quasi cinque anni che lo ricopriva?

Quando, il 26 giugno 1924, Conci votò a favore del governo assieme ai senatori popolari Montresor e Reggio, la direzione centrale del P.P. gli scrisse che da tale voto derivava la incompatibilità a rimanere nel Partito popolare.

Conci rispose il 7 luglio che gli sembrava erronea tale deduzione: infatti il voto al Senato significava per lui condanna del sistema di violenze fino allora seguito ed esprimeva, in base alle dichiarazioni del capo del governo, “la fiducia che tale sistema venisse abbandonato e si ritornasse alla «integrale restaurazione dell’impero della legge ed alla pacificazione del paese».

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«Questi obiettivi – proseguiva – sono certo comuni a noi e al resto del partito. Noi siamo persuasi che il ritorno alla legalità e la pacificazione sia un compito storico dell’attuale Governo e che una manifestazione di fiducia del Senato sull’azione del Governo a ciò diretta potesse agevolargliela, noi unimmo il nostro voto a quello della grande maggioranza del Senato.

Mirando i senatori e i deputati allo stesso scopo – ritorno della legalità e pacificazione degli animi – ed essendovi solo una disparità di vedute sul modo di raggiungerlo, non mi sembra una ragione di assoluto dissidio e sia invece perfettamente conciliabile con il concetto ‘Libertas’ che il partito ha assunto a proprio motto».

Giacomo Matteotti

Giacomo Matteotti

Conci di fatto non si era per niente proposto di assumere nei confronti del governo di Mussolini un atteggiamento di rigida opposizione come quello di quanti, il 27 giugno, dopo il delitto Matteotti, avevano deciso di astenersi in modo definitivo dai lavori della Camera, ritirandosi sull’Aventino delle loro coscienze.

Egli invece si era proposto di regolarsi di caso in caso, a seconda che avesse giudicato accettabili o meno i provvedimenti adottati dal governo. Se il 26 giugno aveva votato la fiducia al governo, ciò era avvenuto perché in quel momento gli era sembrato che la meritasse: non era infatti allora a conoscenza che della uccisione di Matteotti potesse essere considerato responsabile il capo del governo.

Mussolini e Giovanni Gentile

Mussolini e Giovanni Gentile

Quando però sorsero dei dubbi al riguardo, egli dichiarò esplicitamente, il 5 dicembre 1924, di astenersi dal voto di fiducia al governo (Mussolini aveva espressamente invitato i senatori a votare pro o contro il governo e a non astenersi dalle votazioni).

Quanto poi al disegno di legge sul Gran Consiglio del fascismo, egli l’aveva considerato «come norma che più che altro regolasse rapporti interni del partito fascista e che quindi si potesse accettare senza pregiudizi»; del pari aveva ritenuto che senza pregiudizio potesse essere accettato il disegno di legge sulla riforma della rappresentanza politica, per cui in entrambi i casi aveva dato voto favorevole.

a1929eNel 1929 Conci votò con piena adesione per l’approvazione del Concordato con la Santa Sede e, pure convinto, votò le disposizioni governative contro le società segrete (in particolare la Massoneria). Aderì in seguito, nel 1935, al tempo della guerra per la conquista dell’Etiopia, alla protesta contro le «sanzioni», perché – come ebbe ad affermare – «mi sarebbe sembrato antipatriottico il non farlo».

Mutò però atteggiamento quando vide accentuarsi le tendenze dittatoriali ed imperialistiche di Mussolini e le sue sempre più strette relazioni con Hitler, e ancor più quando tali relazioni sboccarono nel cosiddetto patto d’acciaio e nell’entrata dell’Italia in guerra.

Visita ufficiale di Hitler a Roma nel 1938; sul palco in prima fila da sinistra: Benito Mussolini, Adolf Hitler, Vittorio Emanuele III, Elena del Montenegro; in seconda fila, da sinistra: Joachim von Ribbentrop, Joseph Goebbels, Rudolf Hess, Heinrich Himmler

Visita ufficiale di Hitler a Roma nel 1938; sul palco in prima fila da sinistra: Benito Mussolini, Adolf Hitler, Vittorio Emanuele III, Elena del Montenegro; in seconda fila, da sinistra: Joachim von Ribbentrop, Joseph Goebbels, Rudolf Hess, Heinrich Himmler

Del suo pensiero nei riguardi dell’alleanza con la Germania e della partecipazione dell’Italia alla guerra, egli non fece d’altronde alcun mistero né con i colleghi in Senato né di fronte al prefetto di Trento.

Fu così che quando Mussolini incaricò il prefetto di condurre da lui i senatori e i consiglieri nazionali trentini per dar loro comunicazione della imminente entrata in guerra dell’Italia, egli non fu chiamato a prender parte a quella deputazione.

Come membro della Commissione degli affari interni e della giustizia (l’attività del Senato durante la guerra era limitata alle Commissioni) Conci sottopose a critica le disposizioni del governo, non di rado parlando e votando contro le stesse.

Hitler e Mussolini

Hitler e Mussolini

Così criticò la istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, le misure contro i candidati d’avvocatura non iscritti al Fascio, quelle contro i funzionari statali non fascisti, le disposizioni per la difesa della razza, quelle in materia annonaria ed altre.

Finita la guerra, fu avviato nell’agosto 1945 un procedimento a carico di Conci per farlo dimettere dalla carica di senatore, ma l’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo di Roma, con ordinanza del 21 gennaio 1946, esaminate le sue deduzioni difensive, tutte volte a documentare come i suoi interventi al Senato (votazioni e discorsi) che, se non erano stati di rigida opposizione al fascismo, lo avevano però sempre visto votare liberamente, secondo coscienza, respinse la richiesta di dimissioni.

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Nella parte finale della sua difesa Conci aveva dichiarato:

«… mai presi la tessera del partito fascista, quantunque insistentemente offertami; che nulla mai chiesi per me al partito o al governo fascista e nulla mai ne ricevetti, né cariche né onori, né vantaggi materiali; dovetti anzi rinunciare all’esercizio dell’avvocatura, perché per le restrizioni cui erano soggetti gli avvocati non fascisti esso mi era divenuto passivo: ho quindi le mani affatto pulite.

Posso avere errato, in ispecie col non aver preveduto sviluppi che poi ci sono stati, ma chi mai non sbaglia in questo mondo? Ma non credo di avere errato a tale punto da meritare di essere dichiarato decaduto dalla carica di Senatore da me tenuta per oltre un quarto di secolo, o, ciò che è ancora più grave, di essere considerato come fautore della dittatura mussoliniana e della orrenda guerra che tante rovine ha portato a questa povera Italia!».

Elisabetta (Elsa) Conci

Elisabetta (Elsa) Conci

Vari furono gli scritti di solidarietà al Conci in questa occasione, tra i quali un telegramma dell’amico Degasperi alla figlia Elsa:

«Mi felicito per la decisione dell’Alta corte in riguardo del suo illustre genitore altamente benemerito della causa nazionale». Conci fu molto attivo in quel periodo nel partecipare al dibattito e alla stesura di un progetto di statuto di autonomia speciale per la regione trentina.

Collaborò con il prefetto di Bolzano Silvio Innocenti, soprattutto nel maggio 1946, alla stesura dello statuto di autonomia che questi andava allora approntando in sintonia con i maggiori rappresentanti del mondo politico trentino e con il Centro studi presso il Comitato di liberazione nazionale di Trento.

LUIGI CARBONARI

LUIGI CARBONARI

Egli stesso elaborò un suo progetto di statuto di autonomia che fu esaminato dal CLN e dalla SVP e poi inviato a Roma. In quell’anno Conci non partecipò alle elezioni per la Costituente per il divieto posto dai socialisti a chi avesse votato anche una sola legge fascista: venne eletta, in un certo senso al suo posto, la figlia Elsa con 4.881 voti.

Altri eletti per la Democrazia cristiana furono Alcide Degasperi e Luigi Carbonari e, per il Partito socialista di unità proletaria, Luigi Battisti. Il 18 aprile 1948 Conci venne eletto al senato con 40.418 voti, un successo quasi plebiscitario: fu l’ultima volta che si presentò alle elezioni.

La sua attività parlamentare in quel quinquennio fu assidua e si rivolse soprattutto alle questioni del decentramento amministrativo della regione: così il 10 marzo intervenne in Senato proponendo emendamenti al disegno di legge sul potere legislativo delle regioni in riferimento all’autonomia della regione Trentino-Alto Adige.

Treno della vecchia Trento-Malè in sosta alla stazione di Lavis

Treno della vecchia Trento-Malè in sosta alla stazione di Lavis

Il successivo 6 luglio parlò invece sul programma tranviario della città di Trento e, in particolare, della linea Trento-Malé, argomento che riprese ancora il 12 luglio 1950: «certo – commentava Conci nel suo discorso – non avrei mai pensato che dopo più di un quinquennio mi toccava di riprendere sullo stesso argomento la parola al Senato italiano».

Egli chiedeva che lo scartamento ridotto della tranvia della Valle di Non venisse sostituito con lo scartamento normale, più vantaggioso specialmente per il trasporto delle merci e per incrementare il traffico anche a vantaggio del turismo.

L’azione politica di Conci fu allora molto impegnata e attiva anche in riferimento alla questione dell’Alto Adige. Egli si era sempre dichiarato per una collaborazione leale con la Südtiroler Volkspartei.

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Nel gennaio 1951, in prossimità delle elezioni amministrative generali del 27 maggio che avrebbero confermata nel Trentino l’egemonia della DC, lo stesso partito tentava di stringere più stretti rapporti con la SVP.

Il 20 gennaio, in un incontro tra i rappresentanti dei due partiti, Conci sostenne la «parità di lingua» nell’Alto Adige ed auspicò «una specie di giuramento di alleanza che sia fondamento di collaborazione», questo nell’interesse degli italiani e dei tedeschi della regione. Riguardo al Partito popolare trentino tirolese (PPTT), raccomandò invece «assoluta intransigenza».

Il monumento a De Gasperi

Il monumento a De Gasperi

In prossimità delle elezioni del 7 giugno 1953 Conci, ormai ottantasettenne, si ritirò dalla vita politica attiva: continuò però a partecipare alle pubbliche manifestazioni politiche e culturali della provincia. Il 14 ottobre 1956 fu presente allo scoprimento a Trento del monumento a Degasperi, al quale era sempre rimasto legato da profonda amicizia.

Al compimento del suo novantesimo anno di età ricevette numerosi scritti di augurio ed attestazioni di affetto da parte di uomini di governo, esponenti del suo partito e di altri partiti, personalità della cultura, del clero, ed anche semplici cittadini.

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La morte lo colse il 25 marzo 1960. Tra i numerosi articoli che i giornali gli dedicarono in occasione della scomparsa, particolarmente significativo quello del «Dolomiten» del 2 aprile di quell’anno, che ne ricordò con rilievo la dirittura morale, la coerenza e l’opera volta alla pacificazione dei due gruppi etnici nell’Alto Adige, nell’articolo “Senator Enrico Conci und Südtirol. Ein Gegner der Entnationalisierungspolitik Tolomeis”.

I funerali solenni videro la partecipazione di una grande folla di ogni ceto sociale, a testimonianza di quanto egli fosse stimato ed amato dai Trentini, al di sopra delle idee politiche e di partito.

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