TRENTINI FAMOSI, MA NON TROPPO – 32

PIETRO PAOLO GIORGIO ORSI

Rovereto, 17 ottobre 1859 – Rovereto, 8 novembre 1935

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Paolo Orsi

a cura di Cornelio Galas

Paolo Orsi nacque a Rovereto, città al tempo facente parte dell’Impero austro-ungarico, e questo favorì i suoi legami culturali con la Mitteleuropa.

Dopo gli studi presso l’Imperial Regio Ginnasio di Rovereto, si trasferì a Vienna per seguire corsi di storia antica e archeologia. Continuò gli studi presso l’Università di Padova e si laureò a Roma. Poi frequentò la Reale scuola italiana di Archeologia a Roma, la scuola d’arte classica a Bologna e paleontologia di nuovo a Roma.

Paolo Orsi

Paolo Orsi

Durante le sue prime ricerche, che condusse nella sua terra di nascita, scoprì la zona preistorica del Colombo a Mori nel Trentino. Dopo un breve periodo di insegnamento al liceo di Alatri in provincia di Roma, entrò nella direzione generale delle antichità e delle belle arti e successivamente alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze.

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Non avendo superato il concorso per la cattedra di archeologia all’Università di Roma, rimase, nei ruoli della pubblica amministrazione, come ispettore degli scavi e dei Musei, e nel 1890 fu inviato a Siracusa, dove si dedicò allo studio della preistoria con attenzione alle sedi e alle origini dei Sicani, Siculi e Itali e ai centri dell’età del Bronzo Thapsos e di colonie greche quali Naxos e Megara Hyblaea.

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Paolo Orsi

Nel lavoro sui monti Iblei e la valle che porta al mare scoprì templi, necropoli, mura, palazzi, monete e altro e riportò alla luce l’antica città Casmene. Diede una particolare interpretazione sull’architettura della Basilica di San Foca a Priolo.

Fu “Commissario” del Museo Nazionale di Napoli per un breve periodo (1900 – 1901), lasciando però un’impronta indelebile. Infatti gettò le basi per il suo riordinamento globale (realizzato poi dal successivo direttore Ettore Pais), individuando dieci grandi raccolte di materiali.

Paolo Orsi

Paolo Orsi

Nel 1907 ebbe l’incarico di organizzare la Soprintendenza della Calabria con sede a Reggio Calabria, e contribuì alla nascita del grande Museo Nazionale della Magna Grecia, lavorò in particolare a Reggio, a Locri a Crotone a Sibari a San Giorgio Morgeto, a Rosarno dove continuò lo studio sulla Magna Grecia. Scoprì città, un tempio ionico, antiche mura e i siti di Medma, Krimisa e Kaulon. Scavò per diversi anni a Monteleone di Calabria (attuale Vibo Valentia). Nel 1931 fondò con Umberto Zanotti Bianco la rivista «Archivio storico per la Calabria e la Lucania».

Paolo Orsi

Paolo Orsi

Mantenne sempre il doppio incarico fino alla nomina di un Soprintendente per la Calabria nel 1924 e si concentrò nell’attività in Sicilia rifiutando la nomina alla cattedra universitaria. Restò anche dopo il pensionamento a lavorare a Siracusa per l’ordinamento del museo di Siracusa che oggi porta il suo nome.

Paolo Orsi

Paolo Orsi

Sempre nel 1924 fu nominato senatore del Regno d’Italia. Scrisse oltre 300 lavori di fondamentale importanza, che lo portarono a vincere il Gran Premio di Archeologia dell’Accademia dei Lincei. La sua bibliografia fu ricca di opere e di temi, dalla Preistoria all’età medievale con grande attenzione alla Sicilia Orientale e alla Calabria, oltre che al territorio di Rovereto, delle Alpi e dell’Alto Adige.

Fu tra i fondatori della Società Italiana di Archeologia nel 1909 e, per quanto riguarda il Trentino, i suoi lavori furono spesso realizzati in collaborazione con Federico Halbherr, già suo collega per qualche anno all’università di Vienna. Fu membro dell’Accademia nazionale dei Lincei. A lui e a Halbherr è dedicata l’annuale Rassegna del cinema archeologico che si svolge presso il Museo Civico di Rovereto e da alcuni anni a Reggio Calabria.

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Federico Halbherr

Il Museo Archeologico di Siracusa, a lui intitolato, e il Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, contengono una grandissima quantità di reperti risalenti a un periodo che va dalla preistoria sino al periodo greco, provenienti da ritrovamenti di tutto il territorio della Sicilia e della Calabria.

Nei primi decenni dopo la  formazione  dell’unità,  si  realizza  in Italia  il periodo delle grandi ricerche sul terreno volte specialmente alle civiltà preistoriche e  protostoriche dell’Italia  settentrionale. Gli interessi iniziali e profondi della ricerca nell’Orsi hanno origine, come è noto, nella Valle dell’Adige e nelle valli adiacenti al Trentino. Camminatore instancabile dall’occhio attento ai fenomeni  del  terreno, esprime  con  innata  autorevolezza  e prepotente  evidenza  tutta  la  passione.

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Gli studi medi  a  Rovereto,  quelli  universitaria  Vienna  nell'”Histori­sches Epigraphisches Seminar”diretto da Otto Benndorf e dal  Borrmann, gli danno il necessario inquadramento culturale, di cui  con  giovanile  fervore si serve per i primi lavori a stampa.  Ma i frequenti sondaggi e gli instancabili sopralluoghi nella sua terra rivelano subito la vastità degli orizzonti che si apriva al suo sguardo indagatore nonché  degli  impulsi  offerti  alla ricerca.

Otto Benndorf

Otto Benndorf

Da uno studio sulla topografia del Trentino in epoca romana del 1880 ad  un  viaggio  archeologico  nelle  vallate  occidentali,  al  gruppo  di aes  grave  rinvenuto  a  Trento  stessa,  dal  ripostiglio  di  bronzi   dell’età   del ferro di Caldaro, con la illustrazione di una nota situla,  all’identifi­cazione dell’insediamento litico del Colombo di Mori in  cui  per  la  prima volta si cerca di chiarire il significato  del  neolitico  nelle  valli  dell’Adige, del Sarca e del Noce, allo studio della necropoli  di  Vadena  in  un  ampio arco di tempo che va  dal X  al IV  sec. a.C. È tutta  una  serie di contributi  dai quali ancora oggi gli studiosi attingono le prime origini di conoscenze preziose.

Paolo Orsi

Paolo Orsi

Ma  l’Orsi  al  solito  non  si  limita  a  periodi  archeologici  remoti;  af­fronta, reso forte della sua preparazione filologico-epigrafica, lo  studio  delle iscrizioni romane nel Trentino  e  anche  nella  lontana  Albania,  si ferma a rintracciare i monumenti che attestano la diffusione del Cristianesimo nel Trentino prima del Mille, ad illustrare scoperte  archeologiche nelle Alpi Giulie ed in Istria, attinge insomma i più vasti  interessi  nei  territori limitrofi alla sua terra.

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E se fosse rimasto al nord avrebbe cer­tamente dato vita ad una ricostruzione storica di tutta la zona delle  Alpi centrali ed orientali,  con quella  tipica  ansia  di  orizzonti  sempre più  ampi  e storicamente inesplorati che è alla  base  profonda  di  tutta  la sua  mentalità di indagatore di  antiche  civiltà, che  non  si  arresta  mai  al  terreno  che ha davanti agli occhi ma vorrebbe spiccare talora «un folle volo»,  nuovo Ulisse  dantesco.

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Dopo un  brevissimo  periodo  di insegnamento nelle  scuole secondarie di Alatri ed un altrettanto breve periodo  di vicebibliotecario alla  Nazionale di  Firenze il destino dirige decisamente i suoi passi, anche su amichevole suggestione del grande maestro filologo Domenico Comparetti, verso la Sicilia, per succedere all’antico direttore  del  Museo  siracusano  Francesco  Saverio Cavallari.

Nell’ambito di un breve ricordo come questo non è possibile neanche sfiorare l’importanza ed il significato delle ricerche giovanili dell’Orsi dedicate allo studio delle civiltà preistoriche in Alto Adige e, in genere, in  Italia settentrionale, anche per l’incompetenza di chi scrive; crediamo tuttavia di non andare  lontano dalla verità nel  sottolineare che  i  suoi  studi, collocati nel tempo in cui si verificarono, fra il  1878  ed  il  1890,  restano come stimolo verso  l’identificazione delle  fasi  neolitiche, enee e del ferro in queste terre, e proprio  da  loro  sorgeranno  nuove  valutazioni delle  civiltà  preistoriche   del  Trentino.

Polo Orsi con Umberto Zanotti

Polo Orsi con Umberto Zanotti

La prima manifestazione  dell’attività scientifica  dell’Orsi  in  Sicilia, un anno appena dal  suo arrivo,  è quella  di  certi  appunti  sulla  paletnologia di Siracusa e del suo territorio. Essa non solo conferma la continuità dei  suoi  interessi diretti  allo  studio della  preistoria nel nuovo campo di lavoro, ma  rivela  il  fermo  proposito  che  anima  gli inizi di questa luminosa carriera scientifica, cioè  quello  di  illustrare  la  civiltà dei Siculi in modo fondamentale ed essenziale.

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A questi  problemi subito affrontati dagli inizi dedicherà circa mezzo secolo di ricerche senza sostare mai e sotto tutti gli aspetti possibili. Un’attenzione  incessante  che viene a mano a mano accrescendosi con l’acquisto prezioso della conoscenza del terreno conquistato  palmo a  palmo, come  era   sua   abitudine; basta un semplice sguardo alla produzione scientifica fra il 1890 ed il 1900 per rendersi conto della inesauribile ricchezza delle indagini effettuate nel decennio. Sono in tutto ben dieci i contributi a stampa di questo periodo, parecchi  di notevole consistenza.

Paolo Orsi

Paolo Orsi

Da Pantalica con le necropoli del bronzo e del ferro, allo stanziamento neolitico di Stentinello, alla necropoli del Plemmirio presso Siracusa dell’età del ferro, alle estese necropoli enee di Castelluccio ( eccezionale risultato di ricerche che restano  celebri nella storia delle  scoperte  per la  rivelazione   dei  rapporti   con  le  civiltà   egee da lui individuati con chiaroveggenza) ai sepolcri siculi in provincia di Siracusa e così via; è tutto un organizzarsi di periodi e di fasi che vanno delineandosi in quella  divisione  di  quattro  periodi  che  in  sostanza,  anche se con qualche aggiustamento cronologico, restano ancora oggi nella preistoria sicula.

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Né si dimentichi gli  scavi della necropoli di quella Thapsos dove per la prima volta egli  identifica le tracce della  civiltà micenea come doveva poi luminosamente confermarsi nelle esplorazioni recenti  dal  1968  in  poi.

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Si pensi che in quello stesso decennio la febbrile attività orsiana ritorna, nei brevi spazi di cosiddette vacanze, ai problemi lasciati in sospeso altrove; e così ha il tempo di occuparsi delle monete del Museo di Rovereto, della necropoli romana di Bassano Veneto, e dei Vittoriati di Caltrano Vicentino, del ripostiglio dei bronzi di Calliano.

Ma imposta anche per la prima volta nella ormai sua Siracusa i problemi archeologici dell’età sto­ rica della città, ivi compresi quelli degli ipogei cristiani, delle chiese bizantine del territorio, e poi della vicina Eloro (anch’essa oggi scavata e identificata sullo stimolo offerto dalle sue ricerche). E il suo occhio implaca­bile identifica anche, nello stesso periodo, nella colonia dei Locresi Opunzi ed Ozolii della costa ionica una delle espressioni più alte dell’architettura greca  in  Magna  Grecia,  nel  tempio ionico.

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Paolo Orsi con Mons. U. Franchino durante lo scavo del triclinio della Villa del Casale nel 1929

La sua figura gigantesca di ricercatore mai  soddisfatto  delle conquiste ottenute meglio si apprezza fermandosi per un momento su  due  ordini di considera­zioni. Anzitutto cercando   di  comprendere   il   metodo   da lui  seguito, e poi la continuità inventiva, direi, delle sue scoperte. È questa continuità che oggi si apre al nostro sguardo (proprio attraverso le grandi imprese archeologiche realizzate) a partire dal 1935 in poi, anno della sua scomparsa.

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Un esempio della struttura della ricerca storica dell’Orsi possiamo trarlo da tre monografie famose, quella su Camarina del 1899, quella su Gela del  1906,  quella  sull’Athenanion  di Siracusa del  1912. La prima era stata affrontata nel 1899 in un breve cenno preliminare, ma ripresa nel 1903 con maggiore ampiezza.

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Al vero e proprio giornale di scavo condotto con la descrizione tomba per tomba, è preposta una descri­zione del paesaggio , delle tracce superficiali di un abitato «neolitico», nonché la valutazione di una statuetta calcarea di atleta in riposo certa mente di IV e forse  III  sec. a.C., e di  statuette bronzee  appartenenti ad un grande sostegno di lebete della fine del VI secolo.

Sono degli excursus culturali in cui, servendosi della scarsa bibliografia del suo tempo, mette  a fuoco la situazione storica del centro che vuole illustrare. Le  osservazioni sono spesso superate dalla specializzazione moderna in tante parti della classicità, ma danno la misura delle capacità analitiche dello studioso attentissimo a cogliere sempre le sfumature culturali e storiche  del  problema di un centro antico.

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Paolo Orsi legge il giornale al Caffè della Posta

Chi conosce la bibliografia della  quale  l’Orsi poteva servirsi allora, avendo per giunta frequentata la biblioteca da lui  lasciata al Museo siracusano, ritrova richiami familiari e ripercorre  con ricordo commosso il suo cammino rivolto ad  attingere  una  sua  verità storica. In questi panorami introduttivi non mancano osservazioni sull’ambiente naturale, sul paesaggio, sull’aspetto, diremo oggi, ecologico del pro­blema sottoposto alla nostra attenzione. Segue, nel caso di Camarina o di Gela, la descrizione dei sepolcri con particolari sulla disposizione degli scheletri,  sui  residui  di sacrifìzi.

Paolo Orsi a Creta

Paolo Orsi a Creta

All’analisi fa seguito un capitolo dedicato ai risultati sintetici, rivolti,  egli dice, «a chi non ha tempo di leggere la lunga esposizione ed il cir­costanziato diario degli scavi».

II panorama tracciato non è una ripetizione pedissequa del già detto, ma un ampliamento limpidissimo di confronti con altre necropoli greche, con un’analisi dei riti funerari (cremazione e inumazione) con richiami ad altre necropoli siciliane; la  forma  dei sepolcri  viene distinta in ben 12  tipi,  mentre  una  statistica  del  contenuto  delle tombe divisa per forme e tecnica vascolare  ed  uno  sguardo  alle  importazioni attiche in Sicilia ed a Camarina  conduce  a  conclusioni  cronologiche.

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La necropoli di Passo Marinaro occuperebbe due secoli, dalla  metà del V  fino alla distruzione  della  città  da  parte  dei  Romani  nel 258. Disegni del Carta e del Palizzi illustrano le  scene vascolari,  alcune delle quali notevoli come quelle di una pelike di Polignoto  il ceramografo. Lo stesso metodo, con un ampliamento della visione storica e topografica, è adottato nella memoria del 1906.

Per Camarina, ricca colonia siracusana fondata nel 598  a.C. di cui  l’Orsi  aveva  rinvenuto le necropoli, un tempio e aveva identificato l’acropoli, dobbiamo  dire  che  le  ricerche sono proseguite ampiamente  da  parte  del  Di  Vita  e  di  Paola  Pelagatti, che ormai è individuato  il perimetro  di  ben  7  km.  delle  mura, e  che diversi quartieri della città nel loro impianto urbanistico di ricostruzione timoleontea (fra il 339 ed il 275 a.C.) sono noti. L’impulso è stato proprio quello dell’Orsi,  offerto  dalle  escursioni  sul  terreno  delle quali restano, nei noti taccuini di  scavo, numerosi documenti utilizzati ampiamente dai successori.

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Ancora più ampio e ormai avviato verso una sistemazione  di  carattere urbanistico anche moderna è il caso di Gela, colonia  rodio-cretese fondata nel 698 presso le foci del fiume omonimo. Anche qui lo stimolo   delle ricerche orsiane è stato immenso.

Nella memoria, con un discorso più complesso, l’archeologo descrive il non facile paesaggio determinato  anche dal corso capriccioso del fiume, fa un profilo storico del problema, legato  come è noto a Siracusa con la dinastia dei Dinomenidi, e illustra anche l’aspetto preistorico della situazione fermandosi sull’insediamento di Monte Lungo e  di Manfria,  località   limitrofe   a   Gela   che   saranno,   insieme con  altre  decine,  oggetto  di  fruttuose  esplorazioni   negli   anni  dal   1950 al 1970 circa da parte dell’Adamesteanu e dell’Orlandini.

Taccuino 149 di Paolo Orsi del 1º giugno 1931 (scavi di S. Angelo Muxaro)

Taccuino 149 di Paolo Orsi del 1º giugno 1931 (scavi di S. Angelo Muxaro)

Si  deve  anche all’Orsi l’intuizione che la collina di Bitalemi alla foce del fiume  era occupata da un santuario arcaicissimo  dedicato  a Demetra  e  Kore,  identificato poi dall’Orlandini con un vero e proprio thesmophorion. Ed anche l’identificazione di un piccolo heroon dedicato ad Antifemo  e  di  due  templi  si deve all’Orsi,  seguita  da  esplorazioni  moderne.

Ed  infine  l’idea che intorno a Gela ci fosse una vera e propria corona di stanziamenti  siculi corrispon­denti alla larghezza della città (da Piano Notaro alla contrada Mulino  a  Vento)  è alla  base  anche  di  ricche  ricerche  seguite  ai nostri giorni.

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Tutte le colline di questo  entroterra  sono  state  percorse  da  lui  a piedi o con l’asino, e almeno un cenno nei taccuini esiste; da Butera a Bitalemi, da Niscemi a monte Bubbonia, per non  citare  che  alcuni  dei grandi caposaldi fortificati degli indigeni siculi, egli ha additato  ai succes­sivi scavatori la  strada  della  ricerca:  illustrare  i  rapporti  degli indigeni con i coloni greci.

Certamente oggi altri numerosi centri greco-siculi del­ l’entroterra sono noti, ma l’impulso è stato anche qui offerto dalla sua penetrante concezione dell’analisi sul terreno. E se oggi l’esplorazione sul terreno condotta con mezzi aerei ha  dato  notevoli  risultati, non c’è dubbio che il territorio esplorato con mezzi addirittura semplici dall’Orsi aveva già additato la via da percorrere con grande saggezza.

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Infine  è a Siracusa,  come  è naturale,  che  l’archeologo, nella  sua resi­denza lunga e solitaria , ha offerto una delle più prestigiose monografie sul passato siculo e greco. Alludo alla monografia sull’Athenaion o tempio di Atena, oggi ancora considerato uno dei monumenti più originali dell’intera Sicilia; il duomo, come è noto, della città.

Lo studio è del 1919; è la pub­blicazione degli scavi effettuati in via Minerva  e adiacenze, a  pochi  metri  da quella umile stanza dell’albergo Roma dove  ha  passato  in  solitudine  quasi mezzo secolo della sua esistenza. In questo approfondito esame del sottosuolo egli è riuscito a identificare le  tracce  degli  insediamenti  siculi,  poi in parte distrutti dalle  fondazioni  del  tempio  di  Athena  del  480  a .C.

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Fra le altre emergevano  i resti  forse di un’ara  e di una  costruzione  allungata a megaron che poteva far pensare ad un edifizio  sacro  antichissimo.  Ma l’Orsi non lo dice espressamente, lo fa intuire; è  questa  la  ricerca  più  difficile ed estremamente complessa che dal  punto  di  vista  tecnico  egli abbia compiuto non solo nella  città  ma  nell’intera  Sicilia.

Negli  scavi  di  via Minerva, sul fianco nord della strada, l’Orsi aveva  sfiorato le fondazioni di un altro tempio, di ordine ionico, forse l’Artemision di ciceroniana memoria, interrotto dalla costruzione del tempio di Athena quando Gelone arrivò nel 483 a.C. a Siracusa. Oggi conosciamo questo tempio non  finito, dalle colonne imponenti, costruito forse da fuorusciti di Samo, e certamente segno eloquente di  una  politica profondamente diversa  dei  predecessori dei Dinomenidi. Anche qui, a piene mani, lo spunto a proseguire le ricerche intorno  all’Athenaion   viene  proprio   da  lui,  al  solito.

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E che dire di Megara Iblea, la cui prima indagine del 1890 e del  1899 sarà di stimolo alle ricerche francesi dal 1960 in poi? Ma in quest’opera di antesignano della ricerca archeologica in Sicilia non vanno dimenticate le ap­passionate indagini relative ai momenti cristiani di Siracusa, di Catania e della stessa provincia di Siracusa.

Dall’esplorazione della catacomba di San Gio­ vanni nel 1893 e 1895, proseguita nel 1906, a quella di San  Marziano  del  1907, della Cassia nel 1915-1919, di Santa Lucia nello stesso periodo, alle ricerche delle vestigia delle comunità cristiane di Canicattì, Modica, Spacca­ forno,  Cava  d’Ispica,  Ferla,  Cassibile,  Priolo,   Molinello.

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A questo punto c’è un’ultima cosa, e non piccola, da dire su questa attività che ha del miracolo; che fra il 1911 ed il 1924 egli ebbe anche la direzione della Soprintendenza calabrese, con responsabilità che lo ama­ reggiarono molto, ma che spronarono la sua indomabile volontà di ricerca ancora di più. Il suo grande interesse per i monumenti cristiani in genere ebbe modo di esplicarsi su alcuni gioielli dell’architettura bizantina in Calabria come la Cattolica di Stilo, restaurata sotto la sua guida, Santa Maria di Tridetti, San Marco Argentano.

Orsi aveva diretto il suo sguardo alla Magna Grecia con la scoperta del tempio ionico a Locri; fra il 1910 ed il 1915 intraprende grandi campagne di scavo sempre a Locri.

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Centinaia di tombe ( per l’esattezza 975) con migliaia di vasi per lo più frammentari, terrecotte, bronzi, sono rivelati da quegli scavi, che non si limitano tuttavia alle grandi necropoli ma affrontano in purtroppo brevi indagini il grande problema ancora oggi non risolto del santuario di Persefone; è il prodigioso rinvenimento della più straordinaria raccolta di tavolette votive che mai si sia trovata in Magna Grecia e Sicilia, quella dei pinakes fittili, ancora oggi per gran parte inediti.

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Agli scavi di Locri, che da soli costituirebbero il grande merito di un archeologo, Orsi aggiunge quelli dell’antica Medma con la rivelazione di una grande fossa votiva i cui materiali oggi in parte meno noti ( ma già avviati finalmente ad una conoscenza assai buona) contengono centinaia  di terrecotte  figurate di grande interesse religioso.

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Non piccolo merito è qui l’identificazione dell’antica Medma, in polemica con uno studioso locale di fonti antiche che avrebbe voluto stabilire invece il  centro  antico  di  Medma  a  Nicotera e non a Rosarno. Gli scavi effetuati e  lo studio  ripreso  delle  terrecotte  medmee  hanno  dato  ragione   all’Orsi.

Nel  1924, già  sessanticinquenne, egli compì  l’ultimo scavo calabrese  a Cirò col rinvenimento di un tempio e  di  una  testa marmorea forse apollinea , ancora oggi oggetto di alcune  perplessità ,  ma  che  costituisce un rarissimo esempio di aerolito marmoreo. In questo scavo come in altri  lavori scientifici in Magna Grecia gli fu vicino quella Società Magna Grecia creata dalla volontà e abnegazione di  un uomo di  cultura di  alto  intelletto che fu Umberto Zanotti-Bianco.

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La corrispondenza fra l’Orsi e questo organizzatore instancabile, pieno  di  iniziative sociali  e  legato  come  pochi lo furono all’Italia  meridionale , sulla scia  della  Società  per il Mezzogiorno e della personalità di Giustino Fortunato, andrebbe conosciuta e pubblicizzata, perché aiuta anche a comprendere quale fosse la fiamma della ri­cerca  che stava  nell’animo  dell’Orsi.

Fra  le  tante attività  dell’Orsi  in Sicilia non  vanno dimenticati  quegli enormi libroni degli Inventari del Museo riempiti accuratamente  di  suo pugno dalla calligrafia sottile e chiara, ben nota a chi ha frequentato quel Museo. Aveva soltanto tre collaboratori dei quali non dobbiamo dimenti­care il ricordo, Rosario Carta,  disegnatore, Giuseppe D’Amico,  restaura­tore che faceva anche da assistente di  scavo, e un  custode,  il De Tommaso.

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Ma l’inventario dei materiali del Museo a lui carissimo, e del quale era gelosissimo custode, costituiva un dovere persona le al quale  non si  sottraeva in alcun modo.

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Oggi gli inventari del Museo siracusano non sono riempiti dalla stessa calligrafia per necessità,  ed  i  collaboratori  ci  sono; ma negli anni dal 1890 al 1932, ogni giorno quando era in sede lo studioso dedicava le ore di  cosiddetto  riposo  alla  catalogazione  ed all’inventario, con un accanimento simile a quello che poneva nell’annotare nei ben noti taccuini ogni evento della giornata. La  quale  era di  una  pienezza  di  atti­vità inusitata. Iniziava all’alba (ancora prima degli spazzini che  lavoravano nella  piazza  Duomo) e finiva  la  sera  a buio.

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Certamente è stato un uomo terribilmente solo; negli  ultimissimi  tempi, già quando il male lo tormentava, sedeva davanti al suo Museo circondato dai ragazzini e dai poveri che ricevevano i «piccioli», come egli diceva, delle sue elemosine, quasi a cercare  in  questi  atti di  carità anonima un  conforto  alla  sua  solitudine.

Talora, dai taccuini emergono questi sentimenti di solitudine e  di  pudico abbandono alla malinconia con  brevi  frasi  con  punti  esclamativi. Ma ogni minuto, ogni dettaglio della operosissima giornata era ricco di intensa passione per la ricerca scientifica. Soltanto così è possibile spiegare quella  immensa  ricchezza  di  lavoro  intenso  e  costante.

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Allorché i primi segni di deperimento fisico cominciarono  forse  troppo presto a farsi sentire (fu nel 1923, all’età di 64 anni, ed il suo organismo  era  minato  da  un tipo   di  lavoro  fisico  terribilmente   austero  e senza riguardo  alcuno  per  la  fatica)  scriveva  in  uno  dei  rari  momenti  di abbandono: «Io tengo  alla  vita  solo  per  il  lavoro».

Nell’ultimissima fase del suo lavoro, lo sguardo dello scienziato ricercatore era andato sognando la possibilità di spostare l’indagine  verso  il  centro  della  Sicilia, e precisamente verso la località di quella Sant’Angelo Muxaro  dove  oggi stanno comparendo chiare tracce della civiltà micenea che confermano anche la tradizione storica sui contatti dei Siculi e Sicani  e del  regno di Kokalos con influenze cretesi.

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Fu il suo ultimo tentativo di esplorazione, che portò soltanto ad un breve articolo negli atti della Accademia di  Palermo. Quando era di nuovo  tornato  in Trentino,  che,  pur lontano  da tanti anni, non aveva mai dimenticato si capì che fosse così provato  non soltanto dai numerosi accenni che nei taccuini alludono proprio agli affettuosi rimproveri dei conterranei che si  sentivano abbandonati dal  loro grande compatriota, ma  da  quella piccola  collezione  archeologica messa  su da lui, e della quale tutti  ignoravano l’esistenza in  anni  lontani.

Ma c’è un altro aspetto della vita operosa ed instancabile di questo grande archeologo che vorrei sottolineare alla fine. Dalla lettura special­ mente dei taccuini emerge la statura internazionale dell’opera dell’Orsi.

 Paolo Orsi si recava sugli scavi anche a prezzo di grandi disagi. Qui è a Locri sofferente di artrite

Paolo Orsi si recava sugli scavi anche a prezzo di grandi disagi. Qui è a Locri sofferente di artrite

Da Siracusa, proprio per la sua grande ricostruzione della vita antica della Sicilia e della Calabria, passavano tutti; da Lenormant a Picard a Collignon ad Homolle,  fra i  francesi più illustri, ad Ashmole e Beazley fra gli inglesi, a Helbig, Amelung  e Robert, allo stesso Mommsen fra i tedeschi, al Benndorf suo maestro,  è tutta  una serie di celebri studiosi che, attirati dalle sue scoperte, giungevano accolti con sorridente austera bonomia; non mancano accenni a visite di altri perso naggi di diversa importanza politica, come appare in un resoconto dettagliato della permanenza a Siracusa dell’imperatore Guglielmo II.

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Ma non dimenticava davvero l’opzione per la cittadinanza  italiana  fatta  nel  1894 con Federico Halbherr. È questa proiezione della sua personalità nella cultura specializzata europea della fine del secolo scorso e dei primi trent’anni del nostro che off re a Siracusa un’occasione mai verificatasi prima, e cioè quella di diventare sede di un Museo fra i più autorevoli d’Europa per lo studio dell’archeologia siciliana e preistorica in generale.

Eppure nella sua profonda convinzione di redigere relazioni provvi­sorie, con una modestia esemplare, l’Orsi non volle mai scrivere una  storia od una ricostruzione della Sicilia antica  che  sarebbe  stato bene  in  grado di fare; per lui, l’ansia di nuove scoperte prevaleva  su  tutto;  egli ha  dato un contributo eccezionale agli studi archeologici con un senso del limite  delle sue forze che stupisce.

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Di fronte alla testimonianza  archeologica  che  sa analizzare con penetrazione eccezionale, non osa mai concludere in qualche modo sul suo valore storico, e si chiude in una prudente attesa che altri facciano  tesoro dei fatti che ha  posto  davanti  agli   occhi. Sicché ci sembra che si addica a tutta la sua immensa produzione scientifica quello che un grande studioso dell’antichità ha detto sul significato  della  ricostruzione  storica  del  mondo antico:

«Soltanto la scoperta di nuovi fatti rende consapevoli dell’intuizione che la storia dipende dalle testimonianze; e la scoperta di nuove testimonianze  è una  perpetua  sfida  a dar  credito  alle conclusioni».

Il museo Paolo Orsi di Siracusa

Il museo Paolo Orsi di Siracusa

Conclusioni che il grande studioso, profondamente convinto di non avere avuto il tempo di meditare sulle grandi scoperte sempre incalzanti, non volle  mai  trarre se non  come provvisorie  opinioni  emerse dai fatti controllati e faticosamente analizzati che la terra gli aveva offerto. Era in­somma un viandante che raramente si volgeva indietro, ma nell’ansia di procedere non si arrestava mai, perché la  sua  vita  era  lo  stesso  cammino che  stava dinnanzi  ai  suoi  occhi   penetranti.

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“Ché io appartengo ormai alla generazione che tramonta. Ho la coscienza di aver compiuto in un ventennio il dover mio con passione ed amore ad una regione che mi ha dato soddisfazioni spirituali e scientifiche indimenticabili fin ch’io viva. Possa la nuova generazione degli archeologi e studiosi dell’arte, coi più abbondanti mezzi di cui dispone, continuare la modesta opera mia e cogliere nuovi allori, che non le possono mancare.»

Così Paolo Orsi concludeva nel 1927 la Prefazione di uno dei testi fondamentali per la conoscenza dell’architettura bizantina in Calabria – Le chiese basiliane della Calabria – riassumendo in poche righe i motivi che lo avevano condotto a percorrere, in condizioni tutt’altro che agevoli, strade e sentieri impervi di una terra a cui restò sempre profondamente legato.

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Il museo a lui intitolato a Siracusa, opera poi continuata dall’illustre archeologo Luigi Bernabò Brea negli anni del dopoguerra. da 1967,  si rivelò insufficiente per lo spazio espositivo per l’abbondanza di materiale provenienti da grandi campagne di ricerca e scavo nei maggiori siti archeologici della Sicilia orientale. Si dette quindi avvio con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno e dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali alla costruzione dell’edificio del nuovo Museo, inaugurato nel 1988.

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