I “SEGRETI” DI GALEAZZO CIANO – 4

a cura di Cornelio Galas

  • documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino

A settanta anni dalla loro redazione ecco per la
prima volta in rete i documenti che Galeazzo Ciano
allegava al suo DIARIO

FEBBRAIO 1937

COLLOQUIO COL MINISTRO
DEGLI AFFARI ESTERI DI TURCHIA

Milano, 4 febbraio 1937-XV

Il primo colloquio con Rustu Aras è stato dedicato all’esame dei rapporti fra i due Paesi e ad un giro di orizzonte relativo alla situazione generale.

Rustu Aras ha cominciato col fare delle dichiarazioni smisurate e goffe di amicizia per l’Italia e di ammirazione per il Duce. Risparmio la serie di acrobazie che ha compiuto per riuscire a dimostrare, attraverso l’elencazione di manifestazioni tutte negative, quello che sarebbe stato il suo sempre favorevole atteggiamento nei confronti dell’Italia.

Tevfik Rüştü Aras

Gli ho risposto che, mentre stavamo per aprire una nuova pagina nel libro delle relazioni italo-turche, non valeva la pena di fare il processo al passato, sul quale noi eravamo fissati e documentati: fatto che impediva di modificare i giudizi ormai in noi maturi.

Riassumo brevemente i vari argomenti trattati:

Conferenza di Montreaux. – Ho ricapitolato le ragioni che ci avevano impedito di dare l’adesione iniziale alla Conferenza di Montreaux. Egli ne era edotto. Ho detto che per il futuro non vedevamo difficoltà di merito a dare la nostra adesione, ma che noi soli ci consideravamo arbitri della scelta del momento opportuno. Naturalmente avremmo dato la nostra adesione con due condizioni:

di venire ad assumere una figura identica a quella degli Stati firmatari originariamente; di formulare le stesse riserve del Giappone per quanto concerne i legami tra il Covenant e la Convenzione di Montreaux.

Aras ha senz’altro approvato questo nostro punto di vista ed ha manifestato la sua soddisfazione per le nostre decisioni.

Gli ho fatto allora presente che la Turchia, nei riguardi della situazione etiopica, non aveva ancora proceduto ad un riconoscimento de iure, mentre già altri Stati, membri della Lega, avevano fatto ciò. Aras mi ha detto che tornando a Costantinopoli, studierà di risolvere la questione, adottando in pratica la formula giapponese e cioè che non fa differenza tra il riconoscimento de jure e quello de facto e che, riconoscendo l’Impero, come la Turchia ha già fatto da alcuni mesi, egli intendeva compiere un gesto formalmente e sostanzialmente completo.

politics, conferences, Balkans conference 1936, Milan Stojadinovic (Jugoslavia), Rustu Aras

Gli ho parlato allora dell’armamento delle isole del Dodecaneso. È una cosa sgradevole per noi, e certamente inutile, quella di continuare da parte turca a protestare contro tali armamenti, considerandoli quasi una minaccia diretta verso la Turchia. Le Isole del Dodecaneso rappresentano una tappa nella via delle comunicazioni imperiali, alla cui sicurezza intendiamo provvedere nel modo piú efficace e completo.

Aras ha preso atto delle mie dichiarazioni ed ha assicurato che la Turchia presta completa fede a quanto era stato detto e che per l’avvenire ogni polemica circa l’armamento di Leros sarà evitata.

“Status quo” nel Mediterraneo. – Aras ha manifestato la sua piú alta soddisfazione per il raggiungimento del gentlemen’s agreement tra l’Italia e l’Inghilterra. Ha riaffermato che la Turchia intende svolgere ogni sua politica sulle seguenti basi: Mar Nero, collaborazione e amicizia con la Russia; Mediterraneo, stretta intesa con l’Italia e la Grecia; collaborazione amichevole con l’Inghilterra; rispetto verso gli altri Paesi.

I soli patti che la Turchia abbia nel Mediterraneo sono quelli che la legano a Roma e ad Atene? Con l’Inghilterra invece non esiste carta scritta. I rapporti si basano su un parallelismo di interessi e di azione. Con la Francia le relazioni sono migliorate in seguito all’accordo per il Sangiaccato. Da Parigi si insiste adesso per avere un trattato con la Turchia, ma Ankara non è favorevole e comunque la cosa deve essere rinviata a tempi migliori. Niente sarà fatto senza previa consultazione con l’Italia.

1937 Milano CIANO incontra TEVFIK RUSTU ARAS Turchia

Per quanto concerne poi la Spagna, nonostante i solidi legami di amicizia che uniscono la Turchia alla Russia, il Governo turco non sarebbe affatto favorevole alla costituzione di uno Stato sovietico nella Penisola Iberica. Nella pratica, la Turchia ha in questi mesi rifiutato qualsiasi appoggio ai trasporti russi che invece hanno trovato base, rifornimento e sostegno nei porti francesi. La Turchia, pur non avendo particolari ragioni pro e contro, vedrebbe con piacere, se non altro per ragioni ideologiche, il consolidamento del Governo franchista.

Situazione balcanica. – L’amicizia con la Grecia è messa alla base di tutta la politica turca nei Balcani; poi i buoni rapporti con la Jugoslavia. Essi non sono stati alterati dalla recente stipulazione del Patto bulgaro-jugoslavo, anzi, Aras personalmente è stato molto favorevole a questa pacificazione fra slavi antibolscevichi, sulla cui solidità e stabilità fa però molte riserve.

Ha dichiarato che vede con piacere il nostro riavvicinamento con la Jugoslavia, anche perché facilita il riavvicinamento tra la Jugoslavia e l’Ungheria, Nazione alla quale il popolo turco è legato da profondi sentimenti di amicizia. Io, anche per desiderio degli jugoslavi, non ho affatto parlato, ad Aras, delle trattative in corso, che egli ignora.

Nel secondo colloquio, che ha avuto luogo nel pomeriggio, sono state particolarmente esaminate questioni di corrente amministrazione o locali in sospeso. Rustu Aras ha dato le più ampie assicurazioni per una soluzione favorevole. Vedremo… A sua volta mi ha parlato di alcuni problemi secondari e, cosa abbastanza importante, mi ha accennato al progetto di un cavo telefonico Ankara-Atene-Tirana-Roma, con lo scopo di convogliare, attraverso l’Italia, tutte le comunicazioni dalla Grecia e dalla Turchia, che adesso invece passano per l’Europa centrale e per Parigi. Il progetto è interessante tanto più che il nostro contributo si limiterebbe a stendere il cavo attraverso l’Adriatico.

Von Ribbentrop e Ciano in gondola

Alla fine del secondo colloquio sono stati ricevuti i giornalisti, ai quali Aras ha fatto le note dichiarazioni. Il Comunicato da noi precedentemente redatto, è stato da lui integralmente approvato. Egli ha tenuto ad esprimere la sua soddisfazione perché esso valeva a dare un’idea esatta dei risultati del colloquio e a preparare ulteriori sviluppi della iniziata collaborazione.

La visita, più che di un convegno politico, ha avuto l’aspetto di una cerimonia di redenzione. Rustu Aras sapeva di essere venuto in Italia per fare sopratutto l’atto di contrizione. Bisogna riconoscere che ha recitato il mea culpa con un’ammirevole impudenza. Se fosse ancora al Governo, a quest’ora vedremmo Titulescu salire anche lui languidamente le scale di una qualsiasi Prefettura del Regno…

TENSIONI ITALO-RUMENE

Roma, 17 febbraio 1937-XV

È venuto a vedermi il Ministro di Romania, in relazione al noto incidente per la partecipazione di Sola ai funerali delle due “guardie di ferro” cadute in Spagna. Il ministro Lugosianu mi ha dato lettura di un lungo telegramma a firma Tatarescu, nel quale erano esposti con notevole obiettività i fatti.

Il telegramma era molto equilibrato. In esso, tra l’altro, si riconoscevano i meriti di Sola per facilitare i buoni rapporti tra l’Italia e la Romania, ma il telegramma concludeva, evidentemente sotto la pressione del Parlamento e della stampa di opposizione, pregando il Ministro Plenipotenziario di richiederci una proposta di soluzione che potesse risolvere l’incidente.

Ion Lugoșianu

Il ministro Lugosianu allora, attaccandosi a questa ultima richiesta, mi ha detto se sarei stato disposto a far rientrare temporaneamente Sola in Italia a riferire. Gli ho risposto di no. La partenza di Sola, anche per pochi giorni, dalla Romania, avrebbe significato, per l’opinione pubblica mondiale, un sacrificio di questo nostro agente. Ciò avrebbe avuto delle ripercussioni dannose nei rapporti tra i due Paesi.

Gli ho detto che:

Sola aveva partecipato a tale cerimonia a titolo personale e di sua iniziativa, in abito civile e senza essere accompagnato da alcun Membro della Legazione;

che si era astenuto dall’intervenire al corteo politico che aveva seguito la cerimonia religiosa;

che il Governo Fascista, anziché sconfessare l’operato del nostro Ministro, lo approvava, dato che i due legionari ai cui funerali egli era intervenuto, erano caduti battendosi in favore di un Governo legalmente riconosciuto dal Governo di Roma. Per tali ragioni noi non potevamo condividere l’interpretazione data dal Governo romeno all’accaduto e non trovavamo alcunché di illegittimo e di contrastante con le consuetudini diplomatiche nell’operato di Sola.

Il ministro Lugosianu ha preso atto di tale comunicazione, che a suo dire, avrebbe rappresentato per il presidente Tatarescu, animato da buone intenzioni, una planche cui attenersi per risolvere amichevolmente l’incidente.

Ai fini di evitare un inasprimento della situazione attuale ci siamo accordati sulla opportunità che la stampa dei due Paesi eviti o cessi una polemica sull’accaduto.

Ante Pavelic e Galeazzo Ciano

 

MARZO 1937

RAPPORTI ITALO- JUGOSLAVI

Belgrado, 26 marzo 1937-XV

Prima di procedere alla firma dei documenti già concordati a Roma, il presidente Stoiadinovic ed io abbiamo compiuto un largo giro di orizzonte per informarci reciprocamente delle direttive di politica estera dei due Paesi e per concordare l’azione da svolgere in futuro.

Ho per il primo parlato al presidente Stoiadinovic, con molta chiarezza, senza infingimenti e riserve, tenendo a fargli capire che era intendimento del Governo Fascista di dare all’accordo italo-jugoslavo una portata ampia e un contenuto solido.

Mussolini con Stojadinovic,

Allorché egli ha avuto conoscenza della nostra situazione, delle nostre direttrici di marcia e del nostro programma, ha parlato con altrettanta franchezza. Ha cominciato col dire che, data la posizione geografica della Jugoslavia e in considerazione di quelle che sono le possibilità politiche del suo Paese, egli rifugge dall’idea di fare una politica europea e piú ancora da quella di una politica mondiale, volendo conservare invece alla Jugoslavia il ruolo principale e determinante nella penisola balcanica. Titulescu, che era portato da vanità personali a volersi occupare di cose piú grandi di lui, ha messo sovente la Romania in una posizione difficile, dalla quale forse neanche oggi è riuscita a trarsi.

I rapporti con l’Italia sono ormai definiti dagli accordi firmati il 25 marzo. Ma questi accordi non sono se non la prima benché più difficile tappa verso l’alleanza dei due Paesi che anche Stoiadinovic considera naturale e fatale per necessità economiche, politiche e storiche.

Nicolae Titulescu

Con la Francia i rapporti della Jugoslavia sono ormai affievoliti. In questi ultimi tempi la Francia ha proposto alla Piccola Intesa di stringere una alleanza militare, alleanza che avrebbe dovuto essere diretta a difendere la Cecoslovacchia da una minacciata aggressione germanica. Stoiadinovic ha con ogni pretesto ritardato di quattro mesi la risposta.

Adesso non intende più ritardarla e si propone di far conoscere le sue decisioni in occasione del prossimo Convegno della Piccola Intesa, che avrà luogo a Belgrado il 1° aprile. Risposta nettamente negativa. Cosí come sarà negativa la risposta all’eventuale e probabile proposta di alleanze bilaterali tra Francia e Jugoslavia e tra la Francia e gli altri Paesi della Piccola Intesa.

Stoiadinovic cosí spiega le ragioni della sua nuova politica:

“Noi non abbiamo ricevuto e non riceviamo niente dalla Francia. Economicamente, per la Jugoslavia vale zero. Finanziariamente, abbiamo contratto con la Francia dei debiti che paghiamo regolarmente, a un tasso di usura. Militarmente, essa è stata fino ad ora, insieme alla Cecoslovacchia, la principale fornitrice di armi. Ma non ci ha regalato una sola baionetta. Quello che abbiamo preso lo abbiamo pagato, cosí come pagheremo l’Italia, dato che in futuro intendiamo concentrare nel vostro Paese e in Germania le nostre ordinazioni di materiale bellico.

Ciano e Stojadinovic si stringono la mano sulla piattaforma della stazione di Belje

Aggiungerò che l’influenza culturale e morale che la Francia ha sinora esercitato sul nostro Paese, è divenuta veramente deleteria e disgregatrice: stampa e letteratura sono le espressioni della mentalità giudaica, massoneggiante e comunistoide della Francia di Blum.

Del resto quando noi ci eravamo impegnati ad una politica militare di collaborazione con la Francia, la situazione era del tutto diversa. Si prevedeva che, in seguito ad una offensiva tedesca contro la Cecoslovacchia, l’Italia avrebbe reagito in senso antigermanico ed avrebbe permesso alle truppe francesi – così almeno ci è stato detto a Parigi – di attraversare la valle del Po per andarsi a battere in Austria, contro le truppe del Reich. Tutto ciò ormai è sfumato.

Qualora la Germania attaccasse la Cecoslovacchia, noi dovremmo, col debole e incerto aiuto militare romeno, invadere l’Ungheria, per portarci in aiuto dei cecoslovacchi. Ma anche ammesso che a noi sia possibile di occupare totalmente l’Ungheria (ed io considero ciò molto difficile), arriveremmo alla frontiera ceca soltanto in tempo per incontrare i resti del battuto esercito di Praga. Alle nostre spalle avremmo la sterminata ostile Ungheria. Di fronte, le vittoriose armate tedesche. Un incontro sgradevole ed un rischio che non possiamo far correre al popolo jugoslavo.

Un uomo legge un discorso a Ciano al suo arrivo alla stazione di Belje; il primo ministro jugoslavo Stojadinovic osserva la scena

Tanto più che esso non prova alcun sentimento di ostilità verso i magiari e nessuna solidarietà con la Cecoslovacchia. Dalla prossima riunione di Belgrado nascerà un ulteriore raffreddamento di rapporti tra la Francia e la Jugoslavia e forse un urto aperto. Mi si accuserà di egoismo. I francesi accusano sempre di egoismo chi non è disposto a farsi ammazzare per loro. Ciò mi lascia completamente indifferente, dato che sono riuscito a concludere con l’Italia un accordo, che considero fondamentale per la politica del nostro Paese.

Per quanto concerne invece la Piccola Intesa, ritengo che essa, almeno formalmente, non subirà alcuna trasformazione. La Cecoslovacchia ha tutto l’interesse di lasciare i cocci al loro posto per non far senz’altro apparire dove, come e quanto il vaso sia rotto. Ma sta di fatto che, mentre i rapporti tra Jugoslavia e Romania rimarranno inalterati, e cioè solidali e cordiali, quelli invece tra questi due Paesi e la Cecoslovacchia si ridurranno ad una vuota formalità.

Benes mi ha detto che quando si accorgerà di non poter più contare sulla Piccola Intesa, sulla Francia e sulla Società delle Nazioni, troverà sempre il modo di mettersi d’accordo con i tedeschi. Per parte mia l’ho consigliato e lo consiglierò in tal senso. Coloro, e cioè i francesi e gli inglesi, che lo consigliano alla resistenza ad oltranza nei riguardi di Hitler, sono gli stessi che consigliarono il Negus alla resistenza armata nei confronti dell’Italia.

Senza di loro probabilmente Hailé Selassié sarebbe ancora ad Addis Abeba. Mussolini ve lo avrebbe lasciato, alle sue dipendenze. Per la Cecoslovacchia, la situazione si presenta analoga: allorché le cose si complicassero veramente e la Germania passasse all’azione, coloro che oggi incoraggiano l’ostilità di Praga contro Berlino, si allontanerebbero e Benes si troverebbe solo.”

Ciano riceve da una donna in abiti tradizionali la sciarpa dell’amicizia, al suo arrivo alla stazione di Belje; il primo ministro jugoslavo Stojadinovic osserva la scena

Passando ad esaminare i rapporti della Jugoslavia con l’Austria il Presidente Stoiadinovic ha detto che egli ritiene che l’Anschluss sia inevitabile. L’Austria, così com’è, non ha né le condizioni morali né quelle materiali per vivere. Ciò nonostante conviene ritardarlo per quanto possibile. Ma questo ritardo dovrà essere fatto con mezzi tali da non provocare un conflitto o soltanto un attrito con la Germania.

D’altra parte, egli considera con maggiore serenità il problema pangermanista da quando ha creduto possibile la realizzazione di una intesa prima, e di una alleanza in futuro, tra Jugoslavia e Italia. Intorno all’asse Roma-Belgrado si polarizzeranno, ad Anschluss realizzato, tutti quei Paesi che debbono per la loro vita opporsi alla calata tedesca verso l’Adriatico o lungo la valle del Danubio. Il blocco che ne sorgerà sarà tale da dissuadere i tedeschi da ogni insano tentativo.

Conviene aggiungere che il fatto che la Germania abbia insistito a Roma e a Belgrado per un’intesa tra gli italiani e gli slavi del Sud, depone molto favorevolmente nei riguardi delle intenzioni, anche remote, del popolo tedesco. Se realmente il nazismo puntasse verso l’Adriatico, sarebbe stato di una imperdonabile miopia nel facilitare tale unione, destinata a divenire operante in ogni settore nel caso di una minaccia tedesca. Anzi avrebbe dovuto adoperarsi per rendere insanabili le incomprensioni e i conflitti tra l’Italia e la Jugoslavia.

Ciano e Stojadinovic passano in rassegna alcuni soldati schierati nella stazione di Belje

Tutto ciò, comunque, vale per un futuro aleatorio e certamente molto lontano. Allo stato degli atti i rapporti tra la Jugoslavia e la Germania sono ottimi. Checché il mondo ne pensi essi sono, da qualche tempo a questa parte, molto migliori di quanto non siano i rapporti tra Jugoslavia e Francia. Già una forte attività militare e commerciale si sviluppa fra i due Paesi. La collaborazione di Belgrado all’asse Roma-Berlino si deve considerare acquisita, anche perché tale asse rappresenta il baluardo effettivo contro la minaccia piú grandemente temuta dalla Jugoslavia: quella del comunismo.

L’influenza rossa è stata deleteria per tutti i popoli, ma particolarmente pericolosa appare a Belgrado ove la identità della razza, l’affinità del temperamento, l’analogia della lingua, renderebbero in special modo facile il compito a quei propagandisti bolscevichi che riuscissero a portare l’infezione delle loro idee tra gli slavi del sud.

Il comunismo – a dire di Stoiadinovic – non è ancora largamente diffuso in Jugoslavia. Ha fatto una certa presa nelle classi intellettuali e particolarmente tra gli studenti universitari di Belgrado ove lo professano un paio di centinaia tra i settemila giovani che frequentano l’Università. Tra i croati si è abbastanza radicato e anche, ma meno, in alcuni centri sloveni. Contro tale minaccia reagisce vivamente il Governo e soprattutto funziona attivamente la solida e sana barriera costituita dai piccoli proprietari di campagna e dalle grandi masse agricole che formano l’ossatura della Nazione jugoslava.

I rapporti con l’Ungheria sono migliorati e tendono ancora a migliorare. Di recente il Governo di Budapest ha offerto a Stoiadinovic un patto unilaterale di non aggressione, che egli trova di massima accettabile. Concluso tale patto, la Jugoslavia a breve scadenza emanerebbe un nuovo statuto delle minoranze ungheresi, che non dovrebbe apparire quale contropartita del primo, ma che in realtà sarebbe opportunamente concordato con l’Ungheria. Stoiadinovic intende marciare in questa direzione. Io l’ho incoraggiato, aggiungendo che il miglioramento delle relazioni tra Belgrado e Budapest influirà in un senso positivo e benefico sui rapporti Roma-Belgrado.

Ciano e Stojadinovic colti su una carrozza con i fucili, in partenza per una battuta di caccia

Per quanto concerne la Romania, Stoiadinovic dimostra un maggiore ottimismo di quanto non lo animasse allorché Titulescu era Ministro degli Esteri. Verso quest’ultimo si è espresso in termini duri e spregiativi. Lo ha accusato di aver legato la Romania alla Russia per calcoli personali e forse addirittura per esserne stato corrotto.

Titulescu aveva concordato con Mosca il passaggio delle truppe russe attraverso la Bessarabia per portarsi all’attacco della Germania. Ma Re Carol e Tatarescu, nei recenti colloqui con Stoiadinovic, hanno affermato che tale politica è ormai apertamente sconfessata e che non permetteranno mai alle truppe russe di entrare in quella Bessarabia che una volta invasa, sia pure come alleati, continuerebbero a mantenere come mascherati oppressori e magari come nemici aperti.

La Romania adesso persegue una politica di amicizia con la Jugoslavia e la Polonia e ciò con evidente funzione antirussa. Ma sopratutto la politica jugoslavofila è indispensabile al Governo di Bucarest. Stoiadinovic non attribuisce che uno scarso peso militare ai romeni. Ma fa grande conto delle loro risorse agricole e delle loro illimitate riserve di petrolio. “Comunque” egli ha detto “o la Romania farà parte del nostro sistema, e allora avremo a nostra disposizione il grano e i pozzi di petrolio; o la Romania sarà contro di noi e, in breve tempo, i pozzi li avremo ugualmente.”

Egli si è quindi occupato della posizione in cui si troverà la Romania dopo aver rifiutato le offerte di alleanza francese e mi ha chiesto quanto noi fossimo disposti a fare in favore di Bucarest. Ho risposto che la nostra amicizia coi magiari ci impediva di andare troppo oltre nelle relazioni con i romeni, pur non esistendo, all’infuori del revisionismo ungherese, alcun contrasto tra l’Italia e la Romania. Anzi, di recente, avevamo concluso un trattato di commercio che triplica quasi i nostri scambi.

Ciano e Stojadinovic colti di notte con alcune persone in tenuta di caccia

Se un giorno, com’io speravo e ritenevo possibile, si trovava tra Bucarest e Budapest un modus vivendi, noi avremmo potuto fare molto di piú. Per ora, comunque, Stoiadinovic poteva dire ad Antonescu che, nella nuova situazione che sta per determinarsi nei Balcani e nell’Europa danubiana, l’Italia è disposta a considerare con maggiore attenzione e con una cordialità piú viva che non nel passato, la nazione romena.

Ottimista nei confronti del patto bulgaro-jugoslavo, Stoiadinovic ritiene che le relazioni tra i due popoli si svolgeranno con un ritmo di crescente cordialità e che la saldatura operata tra bulgari e serbi è destinata a mantenere paralleli i destini futuri delle due nazioni slave. Buoni rapporti sono quelli che esistono oggi fra la Jugoslavia, la Turchia e la Grecia. Ma in realtà rapporti non molto serrati e, a quanto mi è stato dato di capire, non privi di numerose riserve mentali per quanto concerne il futuro.

Oggi la Jugoslavia è un paese territorialmente soddisfatto. È quello che dalla grande guerra ha ricavato di piú. Nel 1912 la Serbia contava 2.400.000 abitanti. Dopo la guerra balcanica salí a 4.000.000. Adesso gli jugoslavi sono oltre 15.000.000 e il ritmo della natalità è assai promettente. I problemi che oggi si presentano alla Jugoslavia non sono quelli di una espansione territoriale.

Ciano e Stojadinovic posano con alcune donne in abiti tradizionali durante la sosta del treno alla stazione di Stara Pazova

Per almeno dieci anni, la costruzione di opere pubbliche, il potenziamento dell’economia nazionale, la elevazione spirituale e culturale del popolo, saranno le mete cui tenderà il Governo. Ma quando un giorno larghi orizzonti e nuovi sbocchi saranno richiesti dal vigore di vita del giovane popolo jugoslavo, penso che sarà proprio nella direzione della Grecia e della Turchia che la marcia avrà inizio. Ben poco Stoiadinovic si è preoccupato dell’Albania. Essa – ha detto – aveva una grande importanza allorché la diplomazia europea riusciva a tenere lontane e nemiche l’Italia e la Jugoslavia.

Rappresentava per noi un’arma puntata nel fianco. Ma oggi, nel nuovo clima, non vi è piú alcuna ragione di considerarla tale e il problema albanese ritorna ad assumere le sue vere proporzioni: quelle di un modesto problema locale. Ho concordato con Stoiadinovic. E per debito di lealtà gli ho detto che mi preparavo, nel giro di poche settimane, a fare una visita a Re Zog, cosí come avevo visitato le capitali di tutti i Paesi amici ed alleati. Da parte di Stoiadinovic nessuna obiezione.

Dei grandi Paesi lontani, il Presidente Stoiadinovic ha parlato soltanto dell’Inghilterra come di quella che, senza alcuna ragione diretta, pretende o aspira ad esercitare una influenza notevole sulla politica jugoslava.

“Durante le sanzioni l’Inghilterra ha cercato di spingere la Jugoslavia ben piú lontano di dove siamo arrivati nella politica di ostilità all’Italia. Cessate le sanzioni l’Inghilterra ha continuato a lusingarci e a prometterci un aiuto nel Mediterraneo. Noi non ne abbiamo bisogno. Intanto mi domando se l’Inghilterra è in grado di aiutare noi o qualsiasi altro Paese nel Mediterraneo, dato che essa ha dovuto così ripetutamente sollecitare il nostro aiuto allorché si è trovata ai ferri corti con voi.

Ciano, Pavolini e il principe Paolo osservano dei libri esposti in una fila di vetrine

E poi, io non ho fiducia nel riarmo britannico. Il gioco del poker è un gioco anglosassone e tutti noi sappiamo che il bluff si usa molto spesso per cercare di salvare almeno una parte del proprio denaro. Anche se l’Inghilterra porterà a termine il suo riarmo materiale, ciò non significherà che essa abbia assunto di nuovo il suo ruolo nel mondo. Piú che le armi valgono gli uomini. Ed io nutro molti dubbi sulla volontà e sullo spirito di combattimento dell’odierno popolo britannico.

Da troppo tempo ha fatto assegnamento sul miracolismo societario per essere oggi in grado di impugnare la spada. Io, la Società delle Nazioni, non la tengo in nessun conto. Ne faccio parte, e debbo continuare a far parte, più per necessità di opinione pubblica e per forza di inerzia che non per mia convinzione personale. Ho l’onore di non essere mai stato a Ginevra e questo onore intendo di conservarlo per sempre.

E anche il patto che ho stretto con voi, e che nonostante i possibili cavilli della interpretazione è certamente un patto al di fuori e magari anche contro la S.d.N., è una prova della mia scarsa simpatia per Ginevra. Il formale riconoscimento dell’Impero italiano ne è un’altra. Allorché francesi e inglesi protesteranno per quello che chiamano il riconoscimento de jure, risponderò loro che io non avevo il mezzo di fare un riconoscimento de facto. E se si lamenteranno dell’avere io preso tale decisione senza informarli, risponderò che nemmeno Londra e Parigi mi hanno informato quando hanno soppresso la Legazione di Addis Abeba.

Ciano e Stojadinovic applaudono sotto lo sguardo di alcuni uomini in divisa

Così come mi propongo di rispondere alla Francia, la quale, nonostante i comunicati Havas, non ho mai informata del corso delle trattative con Roma, che il suggerimento di fare un accordo con l’Italia mi è proprio venuto dal loro Presidente del Consiglio. Allora era Laval, adesso è Blum. Non è colpa mia se in Francia, il Governo e le idee cambiano cosí spesso.”

Ho cercato di riassumere con una certa larghezza i colloqui avuti con il signor Stoiadinovic. Essi rispecchiano la sua personalità, che mi ha fatto una reale profonda impressione. Stoiadinovic è un fascista. Se non lo è come affermazione aperta di partito, lo è certamente per la sua concezione dell’autorità, dello Stato e della vita. La sua posizione nel Paese è preminente.

Con l’appoggio del Principe Paolo, che mi ha dichiarato avere per lo Stoiadinovic una illimitata fiducia e una cordiale simpatia, e operando alla testa di un partito che raccoglie la gran maggioranza dei Paese, Stoiadinovic ha adesso, e piú si prepara ad assumere nel futuro, la figura dittatoriale in Jugoslavia. È animato da una volontà irriducibile ed ha una mentalità chiara ed aperta. I suoi piani si rivelano assai manifesti dalle cose che mi ha detto e che ho prima riassunto.

Ciano e Stojadinovic, di notte, passano in rassegna reparti dell’esercito (?) jugoslavo schierati in una stazione (?)

Nel riguardi dell’Italia egli ha certamente l’intenzione di portare molto oltre l’opera di unione e di collaborazione. D’altra parte, firmando il patto del 25 marzo, egli, e me lo ha detto, si è nettamente impegnato a marciare su tale strada. E dalle impressioni che ho avuto nel mio breve soggiorno in Jugoslavia ho tratto il convincimento che per noi vi sia grande vantaggio ad intensificare l’azione comune coi nostri vicini di Oriente.

Anche nel campo economico Stoiadinovic intravede sempre più larghe possibilità. Per quanto concerne l’autarchia militare del sistema italo-jugoslavo, le materie prime dei nostri vicini e la nostra attrezzatura industriale si completano in modo felice. A tal fine Stoiadinovic ed io siamo rimasti d’accordo di restare in contatto per preparare e sottomettere al Duce, a suo tempo, un vasto piano di attività.

Con gli accordi di Belgrado e sopratutto nell’atmosfera che, a Belgrado, Stoiadinovic ha determinato, io credo che la collaborazione italo-jugoslava sia destinata a svilupparsi e a giocare un ruolo determinante nella penisola balcanica e nell’Europa danubiana. Conviene adesso da parte nostra svolgere un’accurata attività per potenziare queste condizioni di favore. Intanto bisogna vedere largo e lontano e non soffermarci sui piccoli problemi di carattere personale, che alcuni interessati cercano e cercheranno di agitare per compromettere la nascente amicizia e la futura alleanza fra Italia e Jugoslavia.

Ciano e Stojadinovic, colti dall’alto, si stringono la mano davanti ad alcune personalità

Con Stoiadinovic siamo rimasti d’accordo di dissipare subito, e in forma diretta, qualsiasi equivoco che dovesse prodursi in futuro o qualunque sospetto che immancabilmente i Paesi delusi dalla nostra unione tenteranno di insinuare nel nostro o nel loro animo per intorbidare quelle acque, che intendiamo mantenere chiare. A tal fine, ed oltre i normali mezzi diplomatici, Stoiadinovic mi ha accreditato per eventuali comunicazioni riservate ed urgenti, il fratello, deputato alla Scupcina e suo collaboratore. Per casi analoghi, io gli ho indicato Anfuso.

Inoltre, data la vicinanza, potremo vederci con una certa frequenza. Nell’agosto si propone, ed io lo ho incoraggiato, di venire a passare qualche giorno al Lido di Venezia. Piú tardi, in novembre, sarà a Roma per rendere omaggio al Duce. E si potrà, in futuro, pensare anche ad una visita del Reggente Paolo.

Poi conviene che l’industria, la banca e la cultura si orientino decisamente verso questo nuovo naturale singolarissimo sbocco dell’Italia Fascista. A Belgrado, come in nessun’altra capitale europea, ho trovato una profonda conoscenza della lingua e della cultura italiana. Non soltanto tra i vecchi, ma anche nelle nuove generazioni, cioè fra coloro che si sono affacciati alla vita mentre piú violento era il contrasto fra le due Nazioni adriatiche, la conoscenza vaga o precisa dell’italiano è quasi generalizzata nelle classi piú elevate.

Ciano sorride alla folla che lo accoglie in una stazione italiana (?); sulla sinistra si scorgono personalità del partito fascista

Se ciò è stato possibile durante i venti anni di aspra frizione, tutto lascia credere che nel nuovo clima che gli accordi hanno determinato e piú ancora determineranno, l’Italia potrà in breve e vantaggiosamente rimpiazzare in Jugoslavia proprio quella Francia che fino ad ora si è tanto adoperata per tenercene cosí scrupolosamente lontani.

APRILE 1937

COLLOQUIO DEL DUCE
COL CANCELLIERE AUSTRIACO

Venezia, 22 aprile 1937-XV

Il Cancelliere Schuschnigg comincia il suo dire affermando che ogni cambiamento nelle sue linee di politica estera, cambiamento cui in questi ultimi tempi è stato fatto piú volte cenno, è senz’altro da escludersi. La politica austriaca rimane orientata sui Protocolli di Roma e, per quanto è possibile, sull’Accordo dell’11 luglio.

Sta di fatto che le relazioni con la Germania sono oggi corrette, ma bisogna distinguere le relazioni col Governo da quelle col Partito, che cerca attivamente nella sua propaganda e nella sua azione di oltrepassare i limiti dell’Accordo dell’11 luglio. Anche la stampa, per la quale si era rispettata un’utile tregua, ha in questi ultimi giorni ripreso i suoi attacchi per futili motivi e con una violenza senza precedenti.

Mussolini firma il trattato di amicizia con l’Austria. Schober di spalle.

Ciò rende difficile il lavoro del Cancelliere, diretto a polarízzare la collaborazione con la Germania, dato che gli elementi radicali del Fronte Nazionale prendono lo spunto da tali polemiche per rimproverare al Cancelliere il riavvicinamento con Berlino. Sarebbe necessario che la Germania compisse in questo momento un gesto di simpatia verso l’Austria, gesto che è stato atteso da molto tempo.

L’ambiente che fino ad ora si è mostrato più malleabile è quello dei militari: tra le due forze armate della Repubblica Federale e del Reich si sono stabiliti rapporti di cordialità, ma il Partito continua invece nella sua politica di propaganda intensiva, che assai spesso prende un sapore anti-italiano.

Nonostante ciò il Cancelliere ha l’intenzione di continuare a svolgere una politica di collaborazione e di pace con la Germania e a tal fine si impegna di applicare integralmentc l’Accordo dell’11 luglio.

Il ministro Konstantin Von Neurath posa con il ministro degli esteri Galeazzo Ciano lungo una banchina della stazione Termini

Riferisce le voci che si sono sparse a Vienna relativamente al viaggio in Italia del Principe di Rohan e afferma che in seguito a tali voci le trattative che erano in corso con gli ambienti nazionalsocialisti hanno subíto un tempo di arresto (il Duce mette in chiaro quanto è stato fatto da Rohan a Roma, e particolarmente che egli non lo ha neppure ricevuto, limitandosi a leggere il promemoria lasciato al Ministro degli Esteri dal Rohan stesso).

Gli emigrati austriaci hanno ancora in Germania il permesso di svolgere una sostanziale attività. Il loro numero è ancora altissimo e si calcola che vadano da dieci a ventimila. Tutto ciò premesso, il Cancelliere afferma che non c’è nessuna possibilità che l’Austria autoritaria possa orientarsi sull’asse ultrademocratico Parigi-Praga. Ciò comporterebbe un necessario cambiamento di politica interna che è da escludersi.

Si è molto parlato in questi ultimi giorni dei rapporti tra l’Austria e la Cecoslovacchia. In realtà i due Paesi hanno un comune interesse, ed è quello di non venire attaccati dalla Germania. È evidente che un attacco tedesco alla Cecoslovacchia, determinante un semiaccerchiamento della Repubblica austriaca, sarebbe letale anche per quest’ultima. Ciò nonostante nessun accordo di carattere politico esiste né è previsto tra i due Paesi.

Il ministro Ciano, l’ambasciatore Ulrich von Hassell e un gruppo di personalità attendono, lungo una banchina della stazione Termini, la partenza del ministro degli esteri tedesco Von Neurath

Hodza, nella sua ultima visita a Vienna, fece il punto della politica cecoslovacca nel seguente modo: oggi, nessun patto militare con la Russia; una tendenza a migliorare le relazioni con la Polonia; impossibilità di mettersi d’accordo con l’Ungheria; costante pressione tedesca. Praga in queste condizioni non può rimanere isolata: qualora ogni altro legame venisse a mancare, la Cecoslovacchia dovrebbe gettarsi in braccio alla Russia. Ma ciò si può anche evitare con altre amicizie: quella sopra tutte preferita, sarebbe l’amicizia con l’Italia.

Per quanto concerne poi il dibattuto problema della restaurazione, il Cancelliere dice che egli ha dato prova in tutta la sua politica di non amare i colpi di testa: data la situazione attuale internazionale ed interna, si rende ben conto che il problema non è attuale. Anche con Neurath, durante la sua recente visita a Vienna, il Cancelliere si espresse in tal senso.

Quindi nessuna sorpresa si verificherà praticamente in tale direzione, ma, in linea di principio, egli non può rinunciare alla restaurazione. Conferma che il problema è di carattere interno e che egli non ha mai pensato a chiedere l’intervento italiano. In realtà, in questi ultimi tempi, nulla si era verificato in Austria che giustificasse tutte le campagne di stampa e le polemiche che sono sorte sul problema della restaurazione.

Il ministro tedesco Hans Frank, l’ambasciatore Von Hassell, Marpicati e altre autorità nel giardino dell’Ara dei Caduti Fascisti

Ciò prova che i suoi avversari si sono valsi di tali argomenti per creare a lui delle difficoltà, dato che nella lotta che il Fronte Patriottico conduce contro la propaganda nazista, la collaborazione apportata dai monarchici deve essere considerata utilissima ed indispensabile. Il Cancelliere informa che Neurath ha fatto opposizioni specifiche contro gli Absburgo e contro i Wittelsbach: accetterebbe, se del caso, il Liechtenstein.

La ragione per la quale Neurath ha dichiarato che la Germania osteggia la restaurazione è stata quella del pericolo rappresentato dall’attrazione che una monarchia in Austria eserciterebbe sui tedeschi del sud. Concludendo il Cancelliere tiene a far sapere che egli ricerca e ricercherà l’amicizia con la Germania, dato che nessun contrasto dovrebbe necessariamente separare questi due Paesi. Le grandi linee della politica dei due Stati sono e necessariamente debbono essere identiche, pur mantenendosi quelle differenziazioni determinate dalla religione, dalla cultura e dallo stesso spirito nazionale austriaco.

La pregiudiziale della indipendenza deve essere considerata sostanziale oggi: se poi i tedeschi intendono parlare di Anschluss, proiettato in un futuro indeterminato, egli non fa obiezioni. Ma sta di fatto che la generazione attuale vuole conservare l’indipendenza del Paese, la cui perdita potrebbe rappresentare un danno per la stessa Germania e per la cultura tedesca.

Il Cancelliere austriaco Schuschnigg parla con Renato Ricci al Foro Mussolini

In questo stato di cose egli si augura che, come non ha mai dubitato, la linea politica dell’Italia nei confronti dell’Austria, non sia stata né sia per essere modificata. In questi ultimi tempi si è spesso ripetuto che l’Italia avrebbe preso un nuovo orientamento: ciò ha portato in Austria un nervosismo che sarebbe bene eliminare subito, provando invece che l’Italia si mantiene sulle vecchie posizioni, dato che niente nella politica e nella situazione austriaca potrebbe suggerire nuovi orientamenti.

Il Duce risponde al Cancelliere che in occasione dell’ultimo colloquio avuto con Göring, ebbe a confermargli che il nostro atteggiamento nei confronti del problema austriaco era immutato, basandosi, come sempre, sulla necessità dell’indipendenza dell’Austria. Göring disse che la questione dell’Anschluss non era posta sul tappeto, ma che doveva far rilevare come l’Austria si portasse male nei confronti del Reich, applicando insufficientemente e con molte riserve mentali l’Accordo dell’11 luglio.

Egli stesso passando in Austria, aveva dovuto viaggiare con le cortine abbassate e la popolazione nazista era stata tenuta lontana dalle stazioni per impedirle di manifestare verso di lui. Göring aveva riaffermato che la Germania non poteva disinteressarsi della sorte di sette milioni di puri tedeschi, cosí come non poteva disinteressarsi, sia pure in certi casi, soltanto per la loro vita spirituale e culturale, di tutti gli altri nuclei tedeschi esistenti in Europa.

Il Cancelliere austriaco Schuschnigg e il Ministro degli Esteri austriaco Berger Waldenegg nei pressi del Foro di Augusto

Ma ciò era stato riconosciuto legittimo anche da parte nostra e dallo stesso Governo di Schuschnigg, il quale affermava, come tutti i precedenti Governi austriaci, che Vienna non poteva condurre la sua politica senza Berlino e meno ancora contro Berlino. Però importava riaffermare che il problema dell’Anschluss non bisognava porlo adesso e che invece si doveva mettere l’accento sull’indipendenza e sull’integrità austriaca.

Il Duce, parlando del problema della restaurazione dichiara che su di esso si era espresso giudicandolo inattuabile fin dai tempi in cui l’aveva discusso con il Cancelliere Dollfuss e con il Generale Gömbös. Riafferma la sua fede nel sistema monarchico, ma dice anche che la restaurazione in Austria presupporrebbe un clima internazionale che oggi non esiste e rappresenterebbe un grave pericolo di perturbazioni.

L’atteggiamento assunto dal “Giornale d’Italia” qualche tempo fa circa tale problema fu determinato dall’alternativa che ci era stata posta dalla stampa franco-britannica: l’Italia deve scegliere: o 1’Anschluss o la restaurazione. Tale manovra era evidentemente suggerita dal desiderio di provocare un urto tra Roma e Berlino e di rendere difficili le trattative allora in corso con la Jugoslavia, la quale è stata e si mantiene ostile alla restaurazione particolarmente per il riflesso che la monarchia avrebbe in Croazia.

Avanguardisti pre-marinari sfilano al Foro Mussolini

Allorché il “Giornale d’Italia” escluse che il Governo Fascista favorisse la restaurazione absburgica, la speculazione internazionale continuò affermando che dunque a Roma si voleva l’Anschluss. Ciò è falso. L’alternativa non esiste. Nessuna delle due soluzioni è urgente: l’Austria può continuare a vivere, come ha vissuto finora col suo regime federale, riservandosi di vedere nell’avvenire, che deve essere ancor decifrato, quali nuovi elementi possano entrare a far parte del gioco.

La situazione in Europa è oggi caratterizzata dalla esistenza pratica di due blocchi che automaticamente si sono venuti a formare su una base ideologica, e la cui differenziazione e stata accelerata e accentuata dagli avvenimenti in Spagna. Non si può nascondere che oggi il pericolo bolscevico esiste e che esso diventerebbe ben piú grave se il Comintern riuscisse vittorioso nel conflitto spagnuolo.

In questa eventualità non c’è dubbio che la Francia si orienterebbe anche piú marcatamente verso sinistra, e ciò determinerebbe certamente una revisione della politica britannica dato che storicamente a Londra si è sempre osteggiato ogni movimento apertamente rivoluzionario nella vicina Francia.

Il Cancelliere austriaco Schuschnigg e Renato Ricci passano in rivista i balilla moschettieri al Foro Mussolini

Per precisare, le ragioni che rendono solido l’asse Roma-Berlino sono di due ordini. La prima di politica estera, in quanto l’Italia deve assicurarsi una solida posizione continentale per poter continuare a fronteggiare nel Mediterraneo la non troppo dissimulata ostilità britannica. Il gentlemen’s agreement, firmato in gennaio, è valso a dare soltanto una breve pausa di calma nei rapporti tra Roma e Londra, ma ben presto la situazione è tornata ad essere dura ed i due Paesi hanno dato prova di continuare a nutrire reciprocamente sospetti e diffidenze.

L’altra ragione è determinata dalla solidarietà dei regimi autoritari. È manifesto che tra il Fascismo e il Nazismo vi sono delle differenze sostanziali. Noi siamo cattolici, fieri e rispettosi della nostra religione. Non ammettiamo le teorie razziste, sopratutto nelle loro conseguenze giuridiche. Anche in economia seguiamo dei sistemi diversi. Ma è positivo che i due regimi si trovano a dover fronteggiare gli stessi nemici, dato che il blocco delle democrazie la cui attiva esistenza si rivela sempre piú palesemente, cerca di isolare i due Paesi per poterci infine eliminare.

Tutta la speculazione di stampa sul recente caso Degrelle, che non andava al di là di una lotta elettorale, prova come in ogni modo le democrazie vogliono limitare l’area dei Paesi a regime autoritario. Nel mancato successo di Degrelle si è voluto identificare una sconfitta del Fascismo e del Nazismo.

Il Cancelliere austriaco Schuschnigg e Renato Ricci passano in rassegna gli avanguardisti al Foro Mussolini

È evidente che quanto piú si tenterà di isolarci, tanto piú i due Paesi si serreranno in una comune politica ideologica e nazionale. In tale stato di cose la separazione di Roma e di Berlino sarebbe gravissima per ambo i Paesi in quanto la coalizione democratica avrebbe una ben piú facile partita.

Ma ecco che qui si presenta, nel suo pieno valore, il problema austriaco. Si pensa spesso che l’Austria debba rappresentare il punto di frizione nei rapporti italo-tedeschi e perciò la speculazione internazionale cerca di lavorare a creare delle difficoltà.

La politica seguita dall’Austria finora ha dato dei buoni risultati; quindi si deve continuare a battere la stessa strada. A Vienna, pur premettendo di essere uno Stato tedesco, bisogna affermare che esistono le differenze sostanziali determinate dalla religione, dalla cultura, da una diversa visione del mondo e che i rapporti di amicizia con la Germania saranno resi migliori dalla indipendenza nazionale austriaca.

E siccome anche nel Reich vi sono delle forti correnti tedesche che desiderano una détente con l’Austria, bisogna appoggiarsi su di esse e consolidarle. Le migliorate relazioni tra gli ambienti militari sono certamente significative e promettenti. Bisogna lavorare attivamente in tale direzione.

Il Cancelliere austriaco Schuschnigg visita i Mercati Traianei

Per quanto concerne la Francia, il Duce ha detto che i nostri rapporti possono venir sintetizzati nella seguente formula: piú la Francia va a sinistra e più essa si allontana da noi. La situazione è strana dato che questioni aperte fra i due Paesi non esistono; ma invece si mantiene ugualmente uno stato d’animo di sorda ed irritante ostilità. Noi ci rendiamo conto che la Francia sia molto esasperata dalla esistenza dell’asse Roma-Berlino.

Se risaliamo col pensiero ai tempi della guerra vedremo quale importanza possa avere nel gioco francese l’intesa italo-tedesca. Fu soltanto per l’atteggiamento benevolo italiano che l’avanzata tedesca si arrestò sulla resistenza francese. Non c’è dubbio che anche adesso il solo pensiero che domina lo spirito francese è quello della sicurezza sul Reno. Tale sicurezza appare incerta, se l’Italia è legata alla Germania.

Comunque non è da ritenere che la Germania si prepari ad attaccare la Francia. I tedeschi non vantano rivendicazioni territoriali in quella direzione e sanno bene che per superare la linea di difesa francese bisognerebbe sacrificare milioni e milioni di uomini. Bisogna invece pensare che il dinamismo tedesco si rivolge tutto verso Est.

Il Cancelliere austriaco Schuschnigg e il Ministro degli Esteri austriaco Berger Waldenegg sotto il Tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano

Un’altra pedina che il Governo austriaco non deve trascurare nel suo gioco del mantenimento della indipendenza nazionale, è quella rappresentata dalle buone relazioni esistenti tra Budapest e Berlino. Per troppe ragioni il Governo magiaro deve considerarsi cointeressato alla esistenza dell’Austria, quindi sarebbe il caso di far discretamente pesare l’influenza magiara sul Governo del Reich.

È vero che in questi ultimi tempi i rapporti tra Budapest e il Reich si sono un po’ raffreddati in seguito alla forte propaganda nazista sviluppata particolarmente tra i nuclei tedeschi residenti in Ungheria, ma comunque si deve considerare che le relazioni tra i due Paesi sono molto strette e che la linea di condotta magiara di fronte all’eventualità dell’Anschluss verrà vagliata e tenuta in giusta considerazione dai dirigenti tedeschi.

Ciano rende omaggio al monumento in Piazza degli Eroi a Budapest

Esponendo infine le linee e gli scopi del recente accordo di Belgrado, il Duce rifà una rapida storia delle alterne vicende attraverso le quali sono passate in questi ultimi anni le nostre relazioni con la Jugoslavia. Bisogna comunque considerare il Patto di Belgrado, oltre che suggerito dalla opportunità di avere cordiali relazioni di amicizia con un paese di frontiera, anche in funzione della nostra situazione strategica nel Mediterraneo.

L’importanza politica della Jugoslavia è evidente e tutti ricordano come una delle principali preoccupazioni britanniche, allorché si determinò la tensione dei nostri rapporti con Londra, fu quella di raggruppare in un solo sistema di accordi anti-italiani la Turchia, la Jugoslavia e la Grecia.

È vero che cessate le sanzioni gli accordi furono dichiarati decaduti, ma comunque ci è parso di singolare utilità determinare una nuova situazione a noi favorevole. Tra l’Italia e la Jugoslavia non esistono delle questioni aperte, anzi gli interessi economici facilmente adattabili agli scambi e complementari fra loro suggeriscono e facilitano una naturale intesa.

Foto di gruppo dei partecipanti al Convegno dei Ministri degli Stati firmatari dei protocolli di Roma a Budapest: da sinistra a destra sono inquadrati: Guido Schmidt, Kalman Daranyi, Kurt von Schuschnigg, Galeazzo Ciano, Kalman de Kanya

Anche per quanto concerne l’Albania abbiamo potuto metterci d’accordo: tale questione che in un certo momento aveva assunto un’importanza del tutto precipua nelle relazioni italo-jugoslave, adesso è stata risolta con piena soddisfazione. L’indipendenza albanese, garantita finora soltanto dall’Italia, è oggi invece assicurata da Roma e da Belgrado. Per tale ragione anche in Albania l’accordo è stato considerato favorevolmente. Non bisogna infine dimenticare che la Jugoslavia ha concluso un cosí profondo ed importante patto politico al di fuori della Società delle Nazioni.

Per quanto concerne infine le relazioni tra l’accordo di Belgrado e i Protocolli di Roma, il Duce ritiene che tra qualche tempo si potrà eventualmente far aderire la Jugoslavia agli accordi italoaustro-ungheresi. Riassumendo infine la conversazione il Duce conclude dicendo che l’Italia conferma la sua politica diretta a mantenere l’indipendenza e l’integrità austriaca, sincronizzandola e armonizzandola con la politica dell’asse Roma-Berlino.

Galeazzo Ciano, sotto lo sguardo del cancelliere Schuschnigg, del primo ministro Daranyi e del ministro Schmidt, appone la sua firma in calce ad un documento

Nel successivo colloquio che ha avuto luogo il giorno 23 aprile alle ore 11 tra il Duce e Schuschnigg e al quale hanno assistito Ciano e Schmidt, essendo stato esaurito l’ordine del giorno relativo alle questioni politiche, si è parlato dei seguenti argomenti che qui brevemente riassumo:

1. Relazioni commerciali italo-austriache. – Il Cancelliere ha richiesto che, anche per fini politici, non venga ridotto o per lo meno non in forma troppo sensibile il contingente riservato all’Austria. Il Duce ha detto che darà istruzioni a Guarnieri nel senso di esaminare il problema non soltanto in base a criteri economici e valutari, ma anche tenendo presenti le necessità politiche del momento;

2. Trattamento delle minoranze di lingua tedesca in Alto Adige. – Il Cancelliere Schuschnigg ha chiesto ed ottenuto informazioni circa gli impegni da noi presi con gli jugoslavi per il trattamento da farsi alle minoranze slovene. Ha chiesto la istituzione di una scuola di lingua tedesca presso il Consolato austriaco, ma gli è stato risposto che un tale desiderio non poteva venire accolto in quanto anche il Reich avrebbe avanzato un’analoga richiesta e ci sarebbe stato impossibile di opporre un rifiuto.

Senza entrare in particolari di merito, il Cancelliere ha chiesto e ottenuto l’assicurazione che alle minoranze di lingua tedesca non verrà comunque fatto un trattamento inferiore a quello riservato agli alloglotti sloveni. Sono state infine esaminate e soddisfacentemente risolte alcune questioni di minore importanza concernenti sempre le minoranze dell’Alto Adige.

MAGGIO 1937

IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO

VON NEURATH DA MUSSOLINI

Roma, 3 maggio 1937-XV

Spagna. – Il Barone von Neurath informa che il Führer ha deciso di inviare i 40 pezzi anticarro richiesti per le truppe italiane. Il Duce ringrazia per la comunicazione e fa alcune osservazioni circa la lenta condotta delle operazioni da parte di Franco. Sarebbe suo intendimento di continuare ad aiutare il Generale Franco fino alla fine di maggio; poi, qualora niente di nuovo si fosse manifestato, mettergli questa alternativa: o andare avanti rapidamente, oppure ritirare le truppe italiane.

Konstantin von Neurath, 1940

Pertanto il Duce propone che ai primi di giugno abbia luogo a Roma presso di Lui una riunione cui partecipino anche i rappresentanti autorizzati del Führer per esaminare la situazione e decidere il da farsi. Il Barone von Neurath concorda e accetta tale proposta.

Locarno. – Il Barone von Neurath mette in evidenza la tendenza britannica di separare la Germania dall’Italia nella questione di Locarno sostituendo a quello che era il vecchio Patto una serie di Patti bilaterali da cui l’Italia rimarrebbe automaticamente esclusa.

Austria. – Il Barone von Neurath comunica che il Führer intende mantenere alla base della sua politica nei riguardi dell’Austria il Patto dell’11 luglio. Da parte tedesca, pur portandosi il piú attento interesse alla questione, non la si considera acuta. Si fa però una eccezione: quella della restaurazione asburgica, che comporterebbe una immediata revisione della politica germanica.

Il Duce espone a von Neurath i risultati del recente convegno di Venezia, che si possono rapidamente cosí riassumere: Austria Stato tedesco che non può svolgere nessuna politica contro la Germania. Nessuna politica dell’Austria verso Praga, che determinerebbe una immissione dell’Austria nel sistema delle democrazie, facendo saltare i Protocolli di Roma.

Restaurazione considerata permanentemente inattuale, pur non potendo Schuschnigg fare dichiarazioni di principio in tal senso, dato il carattere interno della questione. Il Duce dice a von Neurath che in fondo gli austriaci non desiderano altro che di vivere all’ombra della grande Germania, pur mantenendo la loro indipendenza e fa presente l’opportunità che ad essi venga concesso un trattamento analogo a quello che la Germania ha fatto ai polacchi, coi quali un modus vivendi si è trovato, sia pure attraverso un matrimonio che è di pura convenienza.

Hitler, Mussolini e Konstantin von Neurath

Per quanto concerne la collaborazione dei nazisti al Governo di Schuschnigg, il Duce dice di avere consigliato a Schuschnigg di prendere una rappresentanza dei partiti nazionali. Fa però rilevare come debba esistere una differenza di sistemi tra l’Austria e la Germania, poiché sarebbe impossibile assumere in Austria degli atteggiamenti anticattolici o troppo marcatamente antisemiti.

Rapporti con la Chiesa. – Il Barone von Neurath, dopo avere riassunto le vicende che hanno condotto all’acuto stato di tensione tra la Santa Sede e la Germania, dice che è intendimento del Governo tedesco di arrivare ad una sistemazione con la Santa Sede su basi analoghe a quelle che permisero l’intesa fra la Santa Sede e l’Italia.

Il Duce concorda e consiglia di agire in tal senso: raggiungere cioè una intesa cosí concepita: la politica è riservata allo Stato, la religione è riservata alla Chiesa.

Inghilterra. Il Barone von Neurath dice che la politica inglese si rivela ormai sempre più chiara: colpire prima l’Italia e poi la Germania, o magari i due Paesi insieme. L’insistenza britannica per la stipulazione di patti collettivi ha lo scopo di legare le mani ai due Stati autoritari. La Germania non è disposta ad accedere alle proposte di patti collettivi. Il Duce conferma anche da parte italiana identica linea di condotta.

Romania. – Il Barone von Neurath dice che anche la Germania considera adesso opportuno attrarre nel sistema dell’asse RomaBerlino anche la Romania. Fa presente però le difficoltà che sorgono da parte ungherese. Il Duce dichiara che da parte sua non è disposto a fare niente con i romeni se gli ungheresi non danno prima il loro placet. Anche il Barone von Neurath è d’accordo e si rimane d’intesa in questo senso.

Hitler e Mussolini

Dopo una breve conversazione, nella quale si esaminano particolarmente le condizioni interne della Russia e le relazioni fra la Germania, l’Italia e il Giappone, il colloquio ha termine.

CIANO IN UNGHERIA

Budapest, 19-22 maggio 1937-XV

Durante i colloqui che ho avuto con il Presidente Darànyi e con il Ministro Kànya, abbiamo compiuto un largo giro di orizzonte esaminando tutti i problemi che direttamente e indirettamente interessano la politica dei due Paesi. Devo premettere che fin dall’inizio delle conversazioni ho notato nel Ministro Kànya una certa perplessità, determinata particolarmente da alcuni dubbi che che nutriva circa la nostra politica in Austria, le nostre trattative con la Romania, le nostre relazioni con l’Inghilterra. Tali dubbi non parevano condivisi dal Presidente Darànyi.

In seguito dirò come io abbia potuto dare al Ministro Kànya le assicurazioni opportune, sicché egli, alla fine dei colloqui, mi ha confermato esplicitamente che nessuna incertezza esisteva piú nel suo animo nei confronti della nostre direttive.

Europa Centrale. – Ho detto ai miei interlocutori quali fossero stati i risultati dei colloqui di Venezia e il mio esposto ha integralmente coinciso, a loro dire, con quello già fatto da Schuschnigg in occasione della sua visita a Budapest.

Durante i colloqui avuti a Londra, a Kànya era stato ripetutamente detto dagli inglesi che noi, presi in Africa dalla nostra politica coloniale e panislamica, e in Ispagna dalla campagna antibolscevica, ci preparavamo a disinteressarci completamente del problema austriaco con tutto vantaggio della Germania nazista.

Il Ministro degli Esteri Rumeno Grigore Gafencu (il terzo da sinistra) e Ciano (il secondo da destra) insieme ad altre autorità

Eden aveva apertamente consigliato Kànya a cercare, insieme all’Austria e alla Cecoslovacchia, di costruire un argine contro la pressione tedesca. In pari tempo aveva lasciato comprendere che l’interessamento inglese alle vicende dell’Europa centrale non poteva essere che un interessamento platonico. D’altra parte Kànya gli aveva risposto che l’Ungheria, pur preoccupandosi di un eventuale dilagare della potenza tedesca verso i suoi confini, non vedeva la possibilità né intendeva mutare la sua linea politica basata sull’amicizia con l’Italia e sulla collaborazione con la Germania.

Comunque Kànya nutriva dei dubbi circa il nostro attivo interessamento alla indipendenza dell’Austria e particolarmente l’articolo di Gayda era valso a confermare in lui, come, a suo dire, in alcuni circoli ungheresi e in molti austriaci, l’opinione che l’Italia si stesse gradualmente allontanando dalla posizione austriaca. Ho ribattuto ciò con i noti argomenti e gli ho detto che una sola eventualità potrebbe immediatamente compromettere il nostro appoggio all’Austria: quella cioè di un allineamento di Vienna sull’asse democratico bolscevico di Parigi, Praga, Mosca.

Ciano conversa con de Kanya in via dell’Impero in occasione della parata in onore del Reggente d’Ungheria

Kànya ha preso atto di queste mie dichiarazioni e ne è parso vivamente soddisfatto. Per quanto concerne i rapporti con la Piccola Intesa, ho narrato con molta ricchezza e precisione di particolari i colloqui con Stoiadinovic ed ho illustrato i risultati del Patto di Belgrado. Per quanto concerne la Romania ho confermato che, nonostante ogni voce corsa, nonostante il reale interesse che potrebbe avere il condurla nel nostro sistema, noi non avevamo negoziati in corso né intendevamo iniziarli fino a quando l’Ungheria non ci avesse fatto conoscere che la stipulazione di un patto tra Roma e Bucarest non era soltanto ammessa, ma risultava utile e gradita alla politica magiara.

Kànya, facendo il punto delle relazioni ungheresi con i tre Stati limitrofi, mi ha detto che egli aveva accolto con simpatia il Patto di Belgrado e che anche l’opinione pubblica ungherese si era, nella sua assoluta maggioranza, resa conto delle importanti ragioni che lo avevano determinato e delle conseguenze benefiche che esso avrebbe potuto avere nei riguardi della stessa Nazione magiara.

Inoltre Kànya ha accolto con la piú viva soddisfazione le mie dichiarazioni relative alla nostra politica nei confronti della Romania. Per quanto concerne l’attuale posizione ungherese egli faceva rilevare che il solo Stato con il quale avrebbe potuto stipulare un Patto in ogni momento, era la Cecoslovacchia la quale continua a rinnovare le sue profferte. Ma ciò non è, almeno per ora, nelle intenzioni del Governo ungherese.

Ciano si allontana in automobile insieme a von Mackensen, truppe schierate di fronte alla sede del Cancellierato

Con la Jugoslavia le relazioni hanno subíto una notevole détente, ma per il momento è da escludere, in seguito ai noti recenti accordi conclusi a Belgrado nella riunione della Piccola Intesa, un accordo separato con Belgrado. Piú difficili sono le relazioni con la Romania ove la pressione sulle minoranze ungheresi diviene ogni giorno più grave e dolorosa e dove l’opinione pubblica romena è nettamente orientata in senso anti-magiaro.

Allo stato degli atti Kànya non vede la possibilità di un immediato sviluppo della situazione. Si è parlato in alcuni ambienti ungheresi della possibilità di svolgere trattative contemporaneamente con i tre Stati per arrivare a dei Patti bilaterali con ciascuno di essi, lasciando poi al tempo di far sopravvivere quei Patti che avessero in sé contenuto di vitalità e di far morire quello che in Ungheria non è desiderato, e cioè il Patto con la

Cecoslovacchia. Comunque nessuna decisione è per ora presa e Kànya conferma che prima di iniziare trattative in qualsiasi senso prenderà contatto con il Governo Fascista.

Nostre relazioni con l’Inghilterra. – Durante il suo soggiorno londinese Kànya ha avuto colloqui con Eden e Vansittart i quali gli hanno dichiarato che da parte inglese si desiderava vivamente di arrivare ad un’intesa con l’Italia e che a loro parere nulla dovrebbe ormai sostanzialmente ostarvi.

Ciò è quanto Kànya mi ha detto. Ma in realtà ritengo che i due uomini politici inglesi abbiano descritto il nostro atteggiamento nei confronti dell’Inghilterra come quello di chi intende provocare un conflitto e ciò aveva profondamente impressionato Kànya. Questi mi ha ripetuto più volte numerose considerazioni sulla potenza inglese e sulle alleanze democratiche che automaticamente si salderebbero intorno ad una Gran Bretagna attaccata a noi.

Il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano insieme a un corteo di autorità civili e militari tedesche saluta la folla nella stazione di Berlino

Darànyi poi, meno diplomatico e nei riguardi nostri più schiettamente amico, mi ha rivolto questa domanda esplicita: “È vero che Mussolini vuole fare la guerra all’Inghilterra?”. Ho risposto elencando la serie di gesti da noi compiuti per rendere possibile una ripresa di relazioni con la Gran Bretagna e quella incontestabile delle numerose provocazioni che da parte britannica ci sono in questi ultimi tempi venute.

Anche in futuro noi vogliamo fare del nostro meglio per rendere normali le relazioni con l’Inghilterra, ma non abbiamo nel frattempo chiuso gli occhi alla realtà, e, di fronte alla preparazione inglese, la nostra preparazione procede con un ritmo metodico e sicuro. Nessuna intenzione aggressiva da parte nostra. Egualmente nessuna possibilità di ripiegamento italiano di fronte ad una eventuale aggressione britannica. Queste mie dichiarazioni sono state accolte con molto compiacimento da Kànya il quale era tornato da Londra preoccupato che noi volessimo intransigentemente provocare un conflitto con l’Inghilterra.

Il Conte Ciano si sporge dal finestrino, la folla e le autorità salutano da terra, si vedono anche alcuni membri della Hitler-Jugend

Nei riguardi delle relazioni con la Francia gli ungheresi mi hanno ripetuto che da parte francese si sono rinnovati i tentativi per indebolire il sistema politico dei Protocolli di Roma e per allontanare l’Ungheria dall’asse Roma-Berlino, ma l’azione francese non si è svolta che saltuariamente e sopratutto valendosi della cooperazione inglese. Le relazioni fra l’Ungheria e la Francia continuano a mantenersi su una base di assoluto convenzionalismo, tanto più che il popolo ungherese non sente nessun legame di simpatia verso la Nazione francese.

Tentativi forse piú insistenti ed organici sono stati compiuti dal Governo di Parigi presso Schmidt, ma Kànya assicura che il contegno di quest’ultimo è stato assolutamente irreprensibile durante il periodo delle visite a Londra e a Parigi. Si è fatto chiaramente capire a Delbos che ogni intensificazione di rapporti con la Francia e con la stessa Cecoslovacchia, potrà avere luogo sul terreno economico, ma che non è il caso di parlare di nuovi legami politici.

In seguito a richieste rivoltemi particolarmente da Darànyi ho dato assicurazione che, nonostante il nuovo trattato di commercio con la Jugoslavia, gli interessi ungheresi verranno tenuti in particolare considerazione da parte nostra. Ciò è riuscito tanto più gradito in quanto che in alcuni ambienti ungheresi si era temuta la concorrenza del commercio jugoslavo e se ne erano previste conseguenze seriamente dannose.

Tanto Darànyi quanto Kànya hanno tenuto a confermarmi a più riprese la loro soddisfazione per i colloqui avuti durante il mio soggiorno a Budapest e che sono valsi a dissipare ogni incertezza che si era potuta determinare relativamente alle nostre direttive politiche.

Darànyi, in un colloquio che ho avuto con lui durante un ricevimento a Palazzo Reale, mi ha fatto chiaramente comprendere di non avere piú una assoluta fiducia nella persona di Kànya. Con molto garbo pensa di allontanarlo dal Governo. Ciò potrebbe aver luogo in ottobre prendendo a pretesto le scosse condizioni di salute del ministro Kànya. A sostituirlo potrebbe essere chiamato o il conte Bethlen o l’attuale ministro di Ungheria a Bucarest.

GIUGNO 1937

COLLOQUIO
CON L’AMBASCIATORE DI TURCHIA

Roma, 2 giugno 1937-XV

È venuto a vedermi l’Ambasciatore di Turchia il quale mi ha fatto le seguenti due comunicazioni d’ordine del suo Ministro degli Affari esteri:

1. In un colloquio avuto con Eden, a Ginevra, Rustu Aras ha tratto la convinzione che il Governo inglese intenda compiere ogni sforzo per arrivare ad una completa conciliazione con l’Italia. Se un ritardo vi è, ciò è dovuto al fatto che la pubblica opinione inglese presenta ancora delle larghe zone di ostilità al Fascismo. Comunque Eden avrebbe dichiarato che non appena spentasi l’eco delle recenti polemiche, sarebbe sua intenzione di fare una dichiarazione ai Comuni tendente a rimettere in pieno vigore l’accordo mediterraneo del gennaio e a preparare una base di più larga intesa italo-britannica.

Il quartiere storico dell’antica Costantinopoli, dominato da cupole e minareti di moschee, visto dal ponte di una nave militare provvista di cannoni

2. Rustu Aras è rimasto molto spiacente dell’atteggiamento assunto dal Delegato polacco Kormanisky a Ginevra per quanto concerne il riconoscimento dell’Impero. La procedura seguita dal polacco è stata tale da impedire che l’Assemblea prendesse una positiva decisione. Se Rustu Aras fosse stato per tempo preavvisato, non avrebbe mancato di raccogliere intorno a sé tutti gli elementi favorevoli alla liquidazione dell’affare etiopico per compiere una manifestazione efficace in seno alla S.d.N. Non si è associato individualmente perché ha ritenuto che ciò sarebbe stato di scarsa utilità ed ha preferito invece tenersi in riserva per il mese di settembre quando la questione si presenterà di nuovo all’esame.

Non ho mancato fi far presente all’Ambasciatore di Turchia che l’adesione isolata di Rustu Aras a1 gesto compiuto dal polacco, anche se avesse sortito una scarsa efficacia pratica ai fini del riconoscimento dell’Impero, avrebbe avuto in Italia una ripercussione favorevole ed avrebbe certamente rafforzato i legami con la Turchia.

COLLOQUIO
CON L’AMBASCIATORE TEDESCO VON HASSEL

Roma, 14 giugno 1937-XV

L’Ambasciatore von Hassell, venuto da me col pretesto di consegnare la decorazione, mi ha comunicato che il Ministro Neurath ha ricevuto un invito ufficiale dal Governo britannico per recarsi a Londra alla fine del mese. “Trattandosi di un invito ufficiale il Ministro Neurath non poteva opporre un rifiuto”.

L’Ambasciatore era anche incaricato di dirci che Neurath desidera conoscere quale azione potrebbe svolgere a Londra in nostro favore. Ho accolto con molta freddezza la notizia ed ho fatto presente a von Hassell che il viaggio di Neurath nella capitale britannica non mancherà di dar luogo ad interpretazioni che sarebbe stato più conveniente evitare.

Il ministro tedesco Hans Frank scende la scalinata del Vittoriano con l’ambasciatore Von Hassell, Marpicati e altre autorità

Se la sola presenza di von Blomberg, elemento militare e non politico del Governo del Reich, in occasione di un avvenimento protocollare quale la incoronazione, è valsa a far versare fiumi di inchiostro, mi domandavo quale eco e quale spiegazione avrà il viaggio del Ministro degli Esteri, cui non potrà certamente negarsi un contenuto politico.

Ho chiesto a von Hassell se era già preparata un’agenda per le conversazioni. L’Ambasciatore mi ha risposto dichiarando di non essere a conoscenza di ciò, ma di informarsi subito a Berlino. Ritiene però che niente sia stato neppure considerato, dato che nell’opinione del Governo tedesco, ed anche in quella del Governo inglese, la via tra Londra e Berlino è ancora ingombra di molti e forse insuperabili ostacoli. Ha infine aggiunto che per parte sua farà il possibile per evitare che alla visita di Neurath a Londra venga data una interpretazione tendente ad indebolire l’Asse.

Ma von Hassell oggi, nel darmi la notizia, riusciva male a mascherare il suo compiacimento per la prossima attività politica del suo Ministro, alla quale egli, nei limiti della sue possibilità, ha sempre ed attivamente contribuito.

Marpicati indica qualcosa al ministro tedesco Hans Frank davanti all’Ara dei Caduti Fascisti

P. S. Ho ripensato a quando, recentemente, von Neurath ci fece dire che sarebbe stato meglio che noi non avessimo abbandonato il Comitato di Londra, dopo il bombardamento di Almeria. Non si stava forse già preparando il pretesto per il viaggio che ci ha oggi annunciato?

Telegramma dell’Ambasciatore d’Italia a Berlino:
232. Urgentissimo. – Visita di von Neurath a Londra. Nessuna agenda è fissata o ha potuto essere discussa. Si osserva pertanto che essa possa comprendere:

  • 1) un giro d’orizzonte generale;
  • 2) questioni particolari fra i due Paesi (comprese Colonie ecc. );
  • 3) la situazione spagnola;
  • 4) il Patto occidentale inteso come mezzo di riavvicinamento generale.
  • Sopra questi ultimi due punti particolarmente si gradirebbe conoscere il nostro pensiero essendo comunque fermo, fin d’ora, che von Neurath farà comprendere chiaramente agli uomini di Stato inglesi che “non c’è riavvicinamento fra Berlino e Londra senza Roma”.

Dalla visita di von Neurath questo Ministro degli Affari esteri – nel migliore dei casi – non si attende alcun risultato concreto all’infuori di una chiarificazione dell’atmosfera dei rapporti anglotedeschi, sia nell’interesse dei due Paesi, sia di quello europeo di “distensione generale” verso cui la politica tedesca si va – ogni giorno di più – orientando.
Attolico

Il ministro tedesco Hans Frank rende omaggio all’Ara dei Caduti Fascisti con l’ambasciatore Von Hassell, Marpicati e altre autorità

NUOVO COLLOQUIO CON VON HASSELL

Roma, 16 giugno 1937-XV

L’Ambasciatore veri Hassell, che ha chiesto stamane di vedermi, mi ha fatto una comunicazione di analogo contenuto, confermando quindi che si tratta:

  • a) di iniziativa inglese;
  • b) che non è stata stabilita un’agenda;
  • c) che le conversazioni verteranno presumibilmente sui punti 1, 2, 3, 4, di cui al telegramma N. 232;
  • d) che Neurath farà comprendere agli uomini di Stato inglesi che non c’è riavvicinamento possibile fra Berlino e Londra senza Roma.

GUADALAJARA

Roma, 19 giugno 1937-XV

Ho ricevuto l’Ambasciatore Drummond che aveva chiesto udíenza col pretesto di ringraziarmi per il dono inviato in occasione del matrimonio della figlia. Mi ha domandato se avevo letto la risposta data da Eden alla Camera dei Comuni in seguito all’interrogazione laburista circa i missionari in Etiopia.

Gli ho risposto di sì e allora Drummond ha aggiunto che certamente non mi era sfuggito il senso di moderazione che aveva guidato il Ministro degli Affari esteri britannico. È passato quindi a parlarmi dell’articolo “Guadalajara”. Ha premesso di parlarmi in via personale e quindi con la più assoluta franchezza.

Da qualche tempo Drummond, sostenendo col suo Governo la necessità di addivenire ad un prossimo miglioramento delle relazioni italo-britanniche, ha sempre assicurato che il Duce, al di là delle necessità e delle situazioni contingenti, era favorevole ad un’intesa con la Gran Bretagna, e che nell’animo degli italiani non albergavano propositi minacciosi ed aggressivi nei riguardi dell’Inghilterra. L’articolo su “Guadalajara”, che parla chiaramente di non lontane vendette, lo aveva condotto a riflettere e a domandarsi se, nel suo desiderio di raggiungere un accordo con l’Italia, non si fosse lasciato indurre in errore giudicando come sopra ho detto.

Gli ho risposto che certamente egli era nel giusto. Il Duce fin dal novembre scorso ha dato prova di desiderare il ritorno ai rapporti normali con la Gran Bretagna e la conclusione del gehtlemen’s agreement è stata la prova decisiva di questa sua volontà. Anche oggi credo di poter affermare che Mussolini è disposto ad intendersi con la Gran Bretagna sulla base di una intesa completa e chiarificatrice di ogni punto. A cominciare naturalmente da quello del riconoscimento dell’Impero che tolga ogni pratica possibilità di equivoco e di attrito nei rapporti futuri.

Per quanto concerne l’articolo “Guadalajara”, non sarà certo sfuggita all’Ambasciatore di Gran Bretagna l’ondata di entusiasmo sollevata in Italia da questa pubblicazione. Ma, anziché rendere più difficile un avvicinamento alla Gran Bretagna io penso che debba facilitarlo. In realtà, come ebbi occasione di dire a Drummond dopo gli incidenti di stampa per la questione di Bermeo, il Duce era rimasto profondamente ferito dalle affermazioni fatte dai giornali inglesi nei riguardi dell’Esercito italiano.

La pubblicazione dell’articolo “Guadalajara” valeva, a mio avviso, a mettere definitivamente in chiaro un episodio del quale si era cosí erroneamente e calunniosamente parlato, ed anche per quanto concerne personalmente il Duce, a permettergli di considerare i rapporti con la Gran Bretagna con la serenità che è data a colui che ha potuto finalmente dire quanto aveva in cuore. Per quanto concerne poi la “vendetta”, Drummond non doveva dimenticare che i nostri volontari sono ancora in Spagna e che è certamente sul terreno iberico che l’azione è considerata. La presa di Bilbao insegna.

Drummond ha risposto che prendeva atto con molto compiacimento di questo mio punto di vista e che per parte sua intendeva spingere, per quanto possibile, l’opera di conciliazione. Però egli non vede la possibilità di arrivare al riconoscimento giuridico dell’Impero prima della prossima sessione ginevrina. Mi ha chiesto se potevo dargli qualche suggerimento in proposito.

Gli ho risposto che non avevo nessuna formula pronta da sottoporgli, ma che comunque anch’io avrei riflettuto su questa sua richiesta e che per il momento mi limitavo a ringraziarlo di quanto mi aveva detto e a dirgli che le dichiarazioni fattemi comunicare da Eden, per il tramite di Grandi in questi ultimi giorni, erano riuscite gradite.

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