SECONDA GUERRA MONDIALE, LE CAUSE NASCOSTE – 1

CENTRO DI STUDI STORICO – MILITARI
“Generale Gino Bernardini”

L E CAUSE OCCULTE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Conferenza tenuta dal Dott. Aldo Stoico

Se chiedete all’ uomo detta strada quali sono state le cause della seconda Guerra Mondiale, se domandate per quale ragione è esploso quell’immane conflitto che per 6 anni ha insanguinato il mondo intero e provocato circa 60 milioni di morti, l’uomo della strada risponderà pressappoco così: “In Germania è salito al potere un dittatore fanatico e sanguinario che s’illudeva di poter conquistare il mondo, ma le nazioni libere l’hanno sconfitto, restituendo all’Europa la libertà”.

Ma se leggete i libri di testo per le scuole, le argomentazioni non sono poi tanto diverse. Detto così, sembra un vecchio film di James Bond, le forze del bene contro le forze dei male, con l’immancabile vittoria del bene. A parte il fatto che non tutte le nazioni vincitrici erano libere, la risposta appare troppo semplice per essere vera. Viene spontanea una domanda: ma è stato proprio così? È davvero possibile che un uomo solo, un ex caporale austriaco, ex imbianchino, ex pittore fallito che si aggirava come un fantasma e vestito come un barbone per le strade dì Vienna e di Monaco, sia stato capace di scatenare un simile inferno?

Evidentemente no. E questo senza nulla togliere alle immani responsabilità di Adolf Hitler e del suo maestro (o cattivo maestro!) Benito Mussolini. La maggior parte degli storici è concorde nell’affermare che senza Mussolini Hitler non avrebbe trovato la forza e il propellente per iniziare la sua straordinaria, vertiginosa e sciagurata scalata ai vertici della storia.

Ho definito occulte le cause della seconda Guerra Mondiale, ma sarebbe più opportuno definirle occultate, Perché in parte si conoscevano, ma venivano volutamente ignorate. Mettere a silenziatore voleva dire anche usare un solo capro espiatorio per nascondere dietro ad un paravento altre e più imbarazzanti responsabilità.

Si sa che la storia dai Greci e dai Romani in poi l’hanno sempre scritta i vincitori e i vincitori si sono sempre presi tutti i meriti, lasciando ai vinti tutte le colpe e anche tutte le nefandezze commesse. Per ben capire il brodo di cultura in cui sono nati e proliferati i germi nefasti della guerra, bisogna anche dire che il concetto stesso di guerra è mutato nell’ultimo secolo.

Prima si diceva ai soldati e al popolo (per quel poco che il popolo potesse contare) che combattere era un dovere del cittadino e che comunque si combatteva per la grandezza della Patria. Poi sono intervenute le sottigliezze anche dal punto di vista etico: guerre preventive, guerre di liberazione, guerre giuste e guerre sbagliate, addirittura guerre umanitarie!

1919

A parte il fatto che spesso il diaframma che divide la guerra giusta da quella sbagliata è molto sottile, si potrebbe dire, un po’ cinicamente, che le guerre giuste sono quelle che si vincono, e sbagliate quelle che sì perdono.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, una breve riflessione su quelle che sono state sempre le cause delle guerre in tutti i tempi, poiché in questo la storia si ripete:

1. Cause egemoniche: è nel DNA di tutti gli esseri umani imporre la propria supremazia
sul territorio e cercare anche di ampliarlo (anche gli animali segnano il proprio territorio). Ne consegue l’espansionismo dei popoli che ha sempre scandito come un metronomo i ritmi della storia. Così sono nati i grandi Imperi, da quello effimero di Alessandro Magno a quello ben più consistente dell’Impero Romano e quello Mongolo, a quello Ottomano.

2. Cause economiche: è forse la causa più importante e sottintende tutte le guerre, dalla
guerra di Troia all’ultima, anche se la guerra di Troia è stata ingentilita dalla leggenda del ratto della bella Elena. Cause economiche significano il dominio dei mercati, il traffico delle merci, lo sfruttamento delle risorse, il controllo dell’aita finanza. L’economia è il vero nocciolo della questione, impossibile ignorarne l’importanza.

3. Cause ideologiche: è il trionfo della propria ideologia su quella altrui, ma spesso l’ideologia è un paravento dietro al quale si nascondono altri fini. Si dice che la guerra di Spagna sta stata una guerra ideologica, ma è una tesi discutibile. Poi ci sono le guerre interetniche, come quella avvenuta nella ex Jugoslavia, le guerre di religione e tante altre più o meno in questo ambito.

Tutte queste cause erano presenti alto scoppio della seconda Guerra Mondiale e poi si sono intersecate in una rete di interessi, spesso indecifrabili. Vi sono ancora molte verità da studiare e da scoprire. Oggi chi fa ricerca storica o semplicemente si avvicina ad essa si trova di fronte a due ostacoli pressoché insormontabili: il primo ostacolo è la cultura del “politicamente corretto”, che significa non uscire dagli schemi, seguire le linee guida, non deragliare, in sintesi, teoremi prefissati e immodificabili.

Il secondo ostacolo è l’accusa di revisionismo, una sorta di anatema che viene scagliato contro chi cerca di vedere i fatti in una luce diversa, come se la storia fosse un vangelo che non ammette modifiche. La revisione è invece parte integrante della storia, se così non fosse sarebbe inutile la ricerca. Lo scopo è quello di dare alla storia un taglio diverso, non soltanto un’arida successione di fatti, ma cercare di capire perché si sono verificati e, soprattutto, scoprire che cosa si nasconde dietro questi avvenimenti.

L’INIZIO

Sui libri di storia si legge che la seconda Guerra Mondiale è iniziata il primo settembre del 1939. Molte vote abbiamo visto i cinegiornali dell’epoca con i soldati germanici che spostavano la barra di confine ed iniziavano l’invasione della Polonia. Ma non è stato esattamente così o perlomeno in quella data è iniziata la guerra guerreggiata, ma la conflittualità che l’ha determinata è iniziata molto prima.

A parte il fatto che la guerra è già in atto in Estremo Oriente con l’invasione giapponese detta Manciuria. La seconda Guerra Mondiale in realtà ha inizio laddove la prima Guerra Mondiale finisce e ha un luogo e una data precisi: Parigi, 28 Giugno 1919. E’ il giorno in cui si conclude la Conferenza di Parigi e viene ratificato nella sala degli specchi quello che va sotto il nome di Trattato di Versailles.

Un filo rosso unisce quindi la prima alla seconda Guerra Mondiale, un filo rosso-sangue, poiché alle innumerevoli vittime della prima Guerra sì aggiungeranno i circa 60 milioni di morti della seconda. L’inutile strage della prima Guerra Mondiale (come la definì il Papa} non è riuscita a scongiurare la seconda, anzi ha contribuito a determinarla.

La Conferenza era nata da nobilissimi intenti, ovvero assicurare una sorta di pace universale, associata alla giustizia per tutti. La pace e la giustizia formano una coppia bene assortita ma che, purtroppo, ha un grandissimo difetto, quello di andare difficilmente d’accordo. A Parigi, in effetti, affluirono personaggi da tutto il mondo, ognuno con Le proprie ragioni e i propri obiettivi.

Vennero dall’Europa ma anche dalla Cina, daL Giappone, dal Sudafrica, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. Sostenevano le cause più disparate, ogni Nazione aveva qualcosa da rivendicare: indipendenza, territori da annettere, zone d’influenza, risorse economiche. A dirigere questa orchestra, a volte sgangherata, le Nazioni vincitrici che pretendevano ovviamente di essere adeguatamente compensate per la vittoria ottenuta sui campi di battaglia.

Georges Clemenceau

Ai vertici, naturalmente, Francia e Gran Bretagna, la prima rappresentata da Georges Clemenceau, la seconda da Sir David Lloyd George. Il primo era ossessionato dal pericolo tedesco, al punto che Winston Churchill disse: “L’odio della Francia verso la Germania ha qualcosa che va al di là dell’umano”. Il primo ministro inglese, a sua volta, cercava di difendere l’immenso impero Britannico che già cominciava a emettere sinistri scricchiolii.

La terza potenza vincitrice, gli Stati Uniti, era rappresentata da Woodrow Wilson, personaggio singolare, definito nei modi più svariati: ingenuo, idealista, profeta, ma anche sprovveduto e privo di cultura diplomatica, più incline all’utopia che al realismo politico.  Ai contrario dei rappresentanti anglo-francesi, Wilson era completamente digiuno di storia e geografia, tanto che, parlando di Fiume, la confondeva con Pola e sulla carta geografica la cercava addirittura nei sud della Dalmazia.

Woodrow Wilson

Anche nel privato era un personaggio chiacchierato: divorziato, conviveva con la futura seconda moglie e su di lui circolava qualche battuta. Quando annunciò a lei l intenzione di sposarla, la sposa, per la gioia, cadde dal letto. Ora questa battuta è del tutto insignificante, ma per la cultura puritana di allora essere nello stesso letto senza essere ancora sposati costituiva una situazione scandalosa.

I tre grandi erano in disaccordo su quasi tutto, ma in comune avevano una profonda antipatia per l’Italia e per gli italiani. Spesso, parlando dell’Italia, usavano espressioni sarcastiche, sconfinando talvolta in un vero e proprio disprezzo. E l’Italia, è bene ricordarlo e ribadirlo, era una Nazione vincitrice e per questo era stata chiamata a Parigi come quarta Grande.

David Lloyd George

A rappresentarla era Vittorio Emanuele Orlando, il cosiddetto “Presidente della Vittoria”, personaggio di elevato livello culturale e morale, ma non in grado di competere, sul piano politico e diplomatico, con le astuzie dei rappresentanti anglo-francesi. Contrariamente a quanto convenuto, l’Italia non si trovava affatto su un piano paritario rispetto alle grandi Potenze. Spesso le discussioni avvenivano in assenza dei rappresentanti italiani e alcune decisioni vennero prese addirittura senza la firma dell’Italia.

Significativo l’uso della lingua: alia richiesta di Orlando di introdurre anche l’italiano accanto all’inglese e al francese, Clemenceau rispose sprezzante: “Perché non anche il cinese, il giapponese, l’afrikaaner?”. Lo smacco era cocente, così come le frequenti allusioni all’atteggiamento italiano nel passaggio dalia Triplice Alleanza alla Triplice Intesa. Un modo non proprio garbato, insomma, per dare all’Italia una patente di inaffidabilità.

Vittorio Emanuele Orlando

Con la fine della prima Guerra Mondiale vengono disgregati i due grandi imperi multietnici: quello Asburgico e quello Ottomano. La risultante fu una vera e propria frammentazione di popoli che prima i governi centrali tenevano uniti, a Vienna e Istanbul. A quel punto esplode un delirante nazionalismo che coinvolge gran parte delle Nazioni europee. Si pone allora il problema dei gruppi allogeni. Che cosa si intende con questo termine? Letteralmente deriva dal greco “nati altrove” ma, in senso geopolitico, si intendono quelle minoranze che, per storia, cultura e lingua, appartengono a Nazioni diverse da quelle entro i cui confini sono inserite. Allogeni, riferiti alle popolazioni, allotropi, riferiti ai luoghi.

Per fare un esempio, li gruppo etnico tedesco in Alto Adige, il gruppo sloveno in Venezia-Giulia, ma anche la Valle d’Aosta e le comunità albanesi sparse nel Sud Italia. Gruppi allogeni esistevano in tutte le Nazioni europee, particolarmente nell’Europa orientale. Così vi erano gruppi ungheresi in Romania e viceversa, per non parlare dei Balcani. La Romania rivendicava il Banato, dove però vivevano anche minoranze ungheresi e tedesche. L’ultimo premio Nobel per la letteratura è difatti di nazionalità rumena, ma appartenente a un ceppo svevo.

Alcuni territori erano addirittura contesi da tre Nazioni, come la Macedonia, composta da Slavi, Greci e Bulgari. La Polonia contendeva territori alla Lituania e alla Bielorussia, la Grecia era in disputa con la Turchia per l’Asia Minore e così via, un grovìglio inestricabile dì interessi, non solo territoriali, ma anche economici per le risorse che potevano contenere i territori contesi. Difficile accontentare tutti senza scontentare nessuno.

E qui entra in scena l’Italia che avrà un ruolo fondamentale in tutti gli eventi conseguenti alla Conferenza di Parigi. Tra tutte le Nazioni europee, infatti, l’Italia era quella che aveva più gruppi allogeni ai di fuori del proprio territorio e che, per complesse vicende storiche, facevano parte di altri Stati. E non erano gruppi isolati, ma anche intere regioni. A cominciare da Nizza, che non era mai stata francese (il toponimo Nice è stato inventato dai francesi dopo la cessione delia città alla Francia nel 1859) e a seguire la Savoia e così la Corsica, il Canton Ticino. Non erano territori marginali, ma facevano parte della storia e della cultura italiane, avendo dato personaggi di risonanza mondiale.

Di Nizza era Garibaldi; la Savoia, anche se di lingua francese, era sempre stata legata ai Piemonte, mai alla Francia, era inoltre la terra di origine della Casa Regnante italiana. Sì potrebbe continuare con il corso Napoleone e con il grande architetto Sorromini, iiaiianissimo, nato nel Canton Ticino, e anche Malta era vicinissima all’Italia per storia e per cultura.

 In questo clima di globalizzazione nazionalistica esasperata non poteva mancare fa voce dell’Italia. Ma l’Italia, seppur vincitrice di quella guerra sanguinosa, non poteva di certo chiedere territori appartenenti alle altre Nazioni vincitrici, Francia e Gran Bretagna che, peraltro, la sovrastavano per potenza politica, economica e militare. Oltre alle zone conquistate con largo spargimento dì sangue (Trento, Trieste, Gorizia e l’Istria), l’Italia chiedeva Fiume, il Quarnaro e la Dalmazia.

Trattato di Versailles

La Dalmazia, si potrebbe dire, questa sconosciuta. Molti italiani hanno frequentato le coste di questa bellissima regione, una tra le più belle d’Europa, ma vi diranno quasi sempre che sono andati in vacanza in Croazia o, in passato, in Jugoslavia, ignorando le profonde radici italiane di questa terra, peraltro ben riconoscibili nei suoi splendidi monumenti. La Dalmazia diventerà il pomo della discordia tra l’Italia e le grandi potenze europee e condizionerà anche gli eventi che seguiranno.

Qualcuno l’ha definita “l’orlo di grasso in un prosciutto” per quella striscia costiera protetta alle spalle dalla catena montuosa. Regione di frontiera, cerniera tra Nord e Sud Europa, realtà multietnica, spesso teatro di scontri tra etnie e popoli diversi. Dapprima popolata dai Libumi e dagli Illiri, entra poi in contatto con i Greci di Sicilia e, nel 230 a. C , entra a far parte del dominio Romano. Sotto la pax romana sviluppa un’altissima civiltà, testimoniata dalle imponenti rovine tra le quali spicca il palazzo di Diocleziano a Spalato. Quindi la Repubblica di Venezia: gran parte della potenza della marineria veneziana è da attribuirsi proprio ai marinai dalmati che dimostreranno poi fedeltà ed eroismo nella battaglia di Lepanto.

Con la pace di Presburgo passa poi alla Francia, per essere poi ceduta da Napoleone all’Austria. Ha così inizio il processo di snazionalizzazione della Dalmazia. L’Austria favorisce l’immigrazione slava e sviluppa una politica filo-croata. Nel 1867 alle elezioni vincono ancora gli italiani ma, nel 1870, favorita dall’imponente afflusso slavo, la maggioranza passa ai croati. Vengono “croatizzate” le scuole, l’italiano non è più riconosciuto, anche se tollerato. Si cerca di cancellare le radici italiane della Dalmazia. È il grido di dolore inascoltato di personaggi eminenti della comunità italiana, Bajamonti, Salvi, Crestich.

Ha inizio il primo esodo degli italiani; il secondo avverrà dopo la prima Guerra Mondiale, il terzo nel 1944-1945 in seguito at terrore instaurato dai partigiani comunisti dì Tito. Gli italiani fuggono, ma le testimonianze dell’italianità di quelle terre rimangono. In Dalmazia, come dirà il senatore Gigante, parlanolte pietre. A Parigi, il Marchese di S. Giuliano, Sydney Sennino e il Grande Ammiraglio Thaon di Revel si battono invano. La Dalmazia ci viene negata.

Nel 1915, prima di entrare in guerra, l’ l’Italia aveva firmato con gli alleati anglo-francesi i patti di Londra. Bisognerebbe definirli i “misteriosi patti di Londra”, poiché furono resi noti solo alcuni anni dopo e pare che alcune clausole non siano ancora state rivelate. È certo che gran parte delia Dalmazia era stata promessa all’Italia, con Spalato e Sebenico.

L’avvento di Wilson cambiò le carte in tavola. Il Presidente americano, con argomentazioni pretestuose, dichiarò nulli quegli accordi. Esplode l’ira dei nazionalisti italiani, si fanno manifestazioni in tutto il Paese, una grande adunata per la Dalmazia italiana viene organizzata a Napoli. Ma a Parigi l’Italia è stata sconfitta, le è stata assegnata solo Zara e un gruppo di isole, enclave italiana in territorio slavo. Nasce così il mito della vittoria mutilata, della Patria tradita, della negazione dei territori che avevano dato i natali a Nicolò Tommaseo, colui che aveva pubblicato il primo vocabolario della lìngua italiana e alla famiglia dei grande esploratore Marco Polo, originaria dell’isola di Cuzzola.

Il resto è storia, storia amara: il ritiro dell’Italia dalla conferenza di Parigi, le lacrime di Vittorio Emanuele Orlando, il trattato quasi imposto all’Italia che sembrava riferirsi più a una nazione vinta che a una nazione vincitrice. La delusione per il trattato di Versailles fu enorme. Oltre tutto, nei Patti di Londra erano contenuti “cospicui vanteggi coloniali” ed anche promesse riguardanti i territori dell’ex-impero ottomano in Asia Minore, in particolare nella zona di Antalya e di Smirne. Naturalmente, nulla dì tutto questo.

I nazionalisti italiani ebbero la sensazione dì essere stati beffati e traditi dagli Alleati e crebbe in loro il risentimento verso gli anglo-francesi che, ovviamente, non vedevano di buon occhio questo espansionismo italiano. Non che l’Italia del 1919 facesse paura alle grandi Potenze, tuttavia un dominio italiano sull’altra sponda adriatica significava concedere all’Italia una supremazia su di una parte del Mediterraneo in una zona ritenuta strategica nett’ottica di allora.

Certo, l’Italia era debole, sia politicamente che militarmente, ma il ricordo dei grande passato sul Mare Nostrum poteva risvegliare antiche ambizioni imperiali che le rovine romane e le vestigia del dominio della Serenissima testimoniavano palesemente. E il vento nazionalista che soffiava su tutta l’Europa poteva coinvolgere ed alimentare le pretese e le speranze italiane. Ciò non poteva piacere alla Gran Bretagna che deteneva le chiavi di accesso al Mediterraneo, con Malta e Gibilterra e, men che meno, alla Francia, che temeva un rigurgito di antiche pretese sulle regioni appartenute all’Italia: Nizza, Savoia, Corsica.

In questa particolare congiuntura si profilava una conflittualità per l’egemonia sul Mediterraneo orientale. Si delinea uno scenario nuovo, in cui si contendono quattro Nazioni: l’Italia, la nuova Turchia, nata dalle ceneri dell’Impero Ottomano, la Grecia e la nuova Nazione costituita dagli Slavi del Sud, quella che sarà poi chiamata Jugoslavia, prima regno e poi repubblica.

E qui entrano in scena nuovi personaggi, trascurati dalla storiografia ufficiale, ma molto importanti per quel tumultuoso divenire che, con una serie di eventi, porterà alla seconda Guerra Mondiale. Pasic e Trumbic si mettono alla testa di due territori coinvolti direttamente nella prima Guerra Mondiale: la Serbia, che scatenò il conflitto con l’attentato di Sarajevo, e la Croazia che vi aveva partecipato, inserita nell’esercito Austro-Ungarico. Due personaggi abili e astuti che seppero sfruttare il vento favorevole che soffiava sui sempre turbolenti Balcani.

Così, prima ancora che fosse ratificato a Parigi, mettendo da parte le antiche rivalità, proclamano la nascita del Regno dei Serbi e dei Croati, includendo anche gli Sloveni, questi ultimi, tuttavia, un po’ riluttanti, in quanto si sentivano più legati al Centro-Europa che non al mondo slavo: il risultato fu eccellente. Nasce così un nuovo Stato, la Jugoslavia, favorito soprattutto dalle grandi Potenze, Francia e Gran Bretagna.

Si dice che Trumbic sia sbiancato in volto e che stesse addirittura per svenire, quando apprese che tutta la Dalmazia era stata regalata dalle Potenze vincitrici alla nuova Jugoslavia, beffando e deludendo l’Italia che, in quella terra, aveva profonde radici. E tutto questo sotto la grande ala protettrice del Presidente americano Wilson.

A questo punto, la grande storia si intreccia con il gossip: Wilson aveva una segretaria croata, non è dato sapere se fosse anche qualcosa di più, ma sembra che sia stata proprio lei a convincerlo ad intervenire nell’assegnazione della Dalmazia alla Jugoslavia. E lui, scarso conoscitore della geografia, nulla sapeva della storia e della civiltà che per duemila anni si era affermata su quelle terre. E all’Italia, matrice di quella civiltà, che cosa era rimasto? Poco o nulla, a parte Zara, una zona d’influenza sull’Albania, qualche concessione nel porto di Valona. Così, Spalato diventerà Split, Sebenico Sibenìk e Ragusa prenderà il nome di un piccolo sobborgo slavo, Dubrovnik.

A questo punto entra in scena un terzo incomodo, la Grecia, rappresentata a Parigi da un personaggio doiato di un grande carisma: Eleuterios Venizelos. Innamorato del passato e della grandezza dell’antica Grecia, aveva come motto: “La natura ha posto dei limiti alle ambizioni umane, ma non a quelle dei Greci”. Di fronte a queste dichiarazioni impallidisce il nazionalismo italiano!

Ebbe un ruolo di primo piano, partecipando alla lotta di liberazione di Creta, per sottrarla al dominio turco. Ma dopo volse io sguardo ancora più lontano, all’Asia Minore, alle città di Pergamo, Efeso, Alicarnasso, alla patria di Erodoto, Ippocrate, Saffo. Vagheggiava una Grecia dei due continenti e dei cinque mari, una influenza che si estendesse all’Egeo e al basso Adriatico, andando ad interferite con te pretese dell’italia che si era illusa di estendere la propria influenza nell’Egeo, offre che sull’ìsola dì Dodecaneso, anche sulla terraferma.

Ataturk

Ma il nemico principate della Grecia era, ovviamente, la Turchia. E qui entra in scena un altro personaggio: Ataturk, un uomo ambizioso, un autentico guerriero, abile e coraggioso, che si mise alla testa di ciò che era rimasto del disciolto Impero Ottomano. Riformò lo Stato, dandogli un’impronta laica, tolse il velo alle donne, contribuì alla ripresa economica del Paese. Tuttavia, se fosse vissuto oggi, sarebbe stato deferito al Tribunale dell’Aja per crimini di guerra.

Egli si macchiò di ben tre genocidi: uno, veramente spaventoso, ai danni degi Armeni, oltre un milione di persone uccise e un numero altissimo di profughi, tra i quali una famiglia che poi, a Parigi, genererà un figlio, il cui nome diventerà famoso in tutto il mondo, il cantante Charles Aznavour, il cui cognome originate era Aznavourian. Si narrano episodi raccapriccianti, con efferatezze che nulla hanno da invidiare a quelle commesse dai nazisti e dai partigiani di Tito a danno degli italiani dell’Istria e della Dalmazia.

Charles Aznavour

Fecero sfilare per le strade di Erevan una colonna dì prigionieri armeni con le piante dei piedi ferrate come i cavalli. Ma Ataturk si rese responsabile di altri due genocidi, quello ai danni dei bulgari e quello ai danni dei Greci di Smirne. Tra i profughi, un bambino che da grande farà parlare di sé: Aristotele Onassis. Orrori purtroppo dimenticati. L’Italia faceva appello alla giusta quota sui territori ottomani promessi dai Patti di Londra, trovando più opposizione da parte greca che non da parte turca. La Turchia sarebbe stata disposta anche ad un compromesso.

Stranamente, l’Italia trovò un alleato nel britannico Lloyd George, che si rifaceva alla storia, definendo gli antichi Romani ottimi colonizzatori, subito  zittito da Wilson che ribattè: “malauguratamente, gli italiani di oggi non sono degni degli antichi Romani”, dimenticando però che anche i Greci non erano gli stessi dei loro gloriosi antenati. Ed intervenne pure il Patriarca di Costantinopoli che disse chiaramente di non volere gli italiani come vicini: evidente il contenzioso millenario con la Chiesa di Roma. Le frasi umilianti contribuivano ad alimentare te delusioni e le frustrazioni dei delegati italiani.

Quindi l’Italia, pur vincitrice in quella guerra sanguinosa, era il classico debole, fragile vaso di coccio. In questo caos totale che interessava, non soltanto l’Europa, ma anche il Vicino e Medio Oriente, le Potenze occidentali cercarono la chiave per risolvere il contrasto con le varie nazioni con due proposte:

1. I plebisciti:

Teoricamente una proposta equa, così i popoli avrebbero potuto scegliere liberamente il proprio destino. Ma subito iniziarono le difficoltà; chi avrebbe avuto diritto al voto? Quelli presenti nei territori contesi o anche quelli che erano stati costretti a lasciarli? Chi c’era prima e chi c’era dopo? E inoltre, dovevano votare anche le donne? Questi dubbi venivano da Stati Uniti e Gran Bretagna, proprio quei Paesi dove le femministe e le suffragette conducevano le loro battaglie per l’emancipazione delle donne. Non solo, ma si negavano i plebisciti in Alsazia, nei Sudeti, nella Slesia, bocciato anche il plebiscito proposto dall’Austria per una federazione con la Germania. Insomma, nuove discriminazioni, nuove discordie, nuove ingiustizie.

2. I mandati:

Si partiva da un concetto che oggi ci farebbe inorridire. Esistevano dunque popoli depositari di una civiltà superiore e popoli, non diciamo proprio inferiori, ma quanto meno immaturi e non ancora in grado di autogovernarsi e di assicurare ai sudditi un minimo di legalità e di giustizia. Era quindi necessario un lungo periodo, per così dire, dì apprendistato, da parte di buoni maestri, prima di poter camminare da soli. Un modo ipocrita per nascondere la verità, quello che realmente interessava era il dominio dei mercati, lo sfruttamento delle risorse, oltre che mantenere l’egemonia su quelle zone vitali per l’economia mondiale.

E chi potevano essere i bravi maestri, se non Francia e Gran Bretagna? Così le due grandi Nazioni si spartirono il Medio Oriente, una a te e una a me: Libano e Siria alla Francia, Palestina e Iraq alla Gran Bretagna. Vedremo in seguito quali gravi conseguenze avrà questa spartizione e come essa pure sarà una delle cause della seconda Guerra Mondiale. Ancora oggi vediamo, nel ventunesimo secolo, quale immensa polveriera sia la regione mediorientale.

Sydney Sonnino

All’Italia, naturalmente, non fu assegnato alcun mandato, anche se Sydney Sonnino aveva timidamente richiesto un mandato sulla Palestina, in virtù delle radici cristiane di quella Terra. La Grecia, addirittura, aveva chiesto Costantinopoli. Un vero delirio nazionalista sembrava essersi impadronito dell’Europa, perché dunque stupirsi delle rimostranze e delle richieste italiane? Questo era il contesto storico nei primo ventennio del XX secolo. Consideriamo ora le condizioni delle altre Nazioni direttamente interessate, quelle che saranno determinanti nel successivo svolgersi di eventi che porteranno l’Europa verso la seconda Guerra Mondiale.

La Germania

Le condizioni di pace imposte dai vincitori furono durissime. Aveva perso un ottavo del suo territorio, un decimo della sua popolazione e tutte le colonie. Era stata obbligata a sopprimere il servizio di leva, ad abolire la marina da guerra, ad avere un esercito inferiore a centomila uomini e dotato soltanto di armi leggere e inoltre a pagare una cifra astronomica per i danni di guerra, cifra che avrebbe impedito qualsiasi ripresa economica. Infine, la smilitarizzazione della Renania che rimaneva pertanto sotto tutela francese, un vero e proprio colpo al cuore e all’orgoglio tedesco. La Renania, infatti, era la terra di Sigfrido, del mito dei Nibelunghi, di Lorelei, la radice della cultura germanica. Una pace iniqua, altamente punitiva.

Nel 1922 la Germania chiese una moratoria ma, in tutta risposta, Belgio e Francia occuparono la Ruhr, il cuore pulsante dell’economia germanica. Gli imprenditori e gli operai attuarono la resistenza passiva, anche abbandonando le fabbriche. Francesi e belgi, anziché trattare come si conviene alle Nazioni democratiche, attuarono una spietata repressione, con metodi simili al sistema staliniano; arresti di massa, processi sommari, fucilazioni.

La crisi dei 1929 segnò il tracollo dell’economia tedesca: disoccupazione, inflazione alle stelle, il marco divenuto carta straccia al punto che un chilogrammo di pane costava quattro miliardi e che al posto del marco si usavano francobolli con sopra stampigliate le cifre colossali. Come stupirsi, se il partito nazionalsocialista del caporale austriaco sia passato dal 2% dei 1928 al 13% dei 1930 e al 38% del 1932! La dittatura hitleriana non poteva che essere il terminale di questo trend impressionante e foriero dì sventure per l’intera umanità. Questa è l’amara verità.

La Cecoslovacchia

Altra decisione importante. La Cecoslovacchia è uno Stato creato artificialmente, antistorico, poiché unisce due Nazioni completamente diverse. A fronte di una Slovacchia, con capitale Bratislava, perfettamente inserita nel mondo slavo, la Boemia e Moravia (ora divenute Repubblica Ceca) guarda decisamente verso la Mitteleuropa. A Praga, negli anni venti, coesistevano tre gruppi etnici, quello boemo, quello tedesco e quello ebraico, ma la cultura tedesca era quella predominante, tanto è vero che Kafka, boemo, ha scritto le sue opere in tedesco, e Rainer Maria Riike, orgogliosamente definitosi praghese, è considerato uno dei maggiori poeti di lingua tedesca. Questo ci aiuta a capire perchè la Cecoslovacchia non abbia opposto nessuna resistenza all’invasione tedesca del 1939. Lo stesso dicasi per l’Austria.

L’Austria

Da Potenza imperiale, ridotta a repubblica delle banane, dopo la disintegrazione dell’Impero asburgico. Chiese invano un plebiscito per la fusione con la Germania, nel tentativo di ricostruire uno stato forte e stabile. Ci penserà poi Hitler, con un’azione di forza che non fu poi tanto sgradita, considerando che il dittatore sfila a bordo di un’auto scoperta tra due ali d folla plaudente.

I Sudeti

Infine, regione orgogliosamente tedesca, basta ricordare le città termali dì Karisbad e Marienbad, poi divenute Karlovy Vary e Marianske Lanske, dopo l’annessione dell’intera regione alla Cecoslovacchia. La minoranza tedesca, inglobata nella nuova Nazione, ammontava a tre milioni e mezzo di abitanti, per lo più vessati dalla maggioranza ceca. Impossibile non pensare che una Germania risorta non cercasse di riprendersi ciò che le era stato ingiustamente tolto.

La Polonia

La Polonia esce da due secoli di dominazione straniera, dopo tante frustrazioni rinasce e rispolvera l’antico orgoglio, ma dimostra alcune ambizioni, superiori alle forze dì cui dispone. Un emissario tedesco disse testualmente: “La Polonia ha l’appetito di un passero appena uscito dal guscio”. Nel 1919 non era affatto una nazione pacifica e dimostrò poco dopo le sue intenzioni aggressive. Durante la prima Guerra Mondiale si divise tra l’impero Austro-Ungarico e l’Intesa, composta da Francia e Gran Bretagna. Il suo leader Pildsuski si schiera a favore dell’Austria-Ungheria, ma rifiuta orgogliosamente di affidare le sue legioni al comando tedesco.

Di origini nobili, era un uomo colto e coraggioso, amava l’arte e la musica, soprattutto Chopin, ma era anche molto vicino alla cultura tedesca. Il suo rivale, Dmwoski, era invece di origini contadine, non amava la cultura, per lui la musica era soltanto rumore ed era decisamente ostile alla Germania. Due personalità opposte che, tuttavia, avevano in comune un amore smisurato per la propria Patria e il desiderio di farla ritornare grande.

Purtroppo, anche le loro mentì erano state infettate dal virus nazionalista. Si voleva ritornare alle frontiere del 1772, quando te Polonia comprendeva addirittura tutte la Lituania, la Bielorussia e parte dell’Ucraina. Un sogno folle, che porterà la Polonia ad entrare in rotta di collisione sia con la Germania che con la Russia sovietica. Nel 1919 la Polonia aveva intenzioni aggressive ed espansionistiche e si era illusa dì poter fronteggiare in futuro due colossi come la Germania hitleriana e l’Unione Sovietica di Stalin. Pagherà un prezzo altissimo, finendo vittima di entrambe.

Tutti amiamo questa nobile nazione, Italia e Polonia hanno sempre avuto stretti rapporti culturali. Inoltre, i soldati polacchi hanno combattuto valorosamente sul fronte italiano nella seconda Guerra Mondiale e tutti ricordiamo il grande rispetto che i militari hanno sempre avuto verso la popolazione civile, contrariamente ad altre truppe straniere che hanno anche commesso crimini e violenze inqualificabili.

Tuttavia l’obiettività storica ci impone di considerare l’atteggiamento intransigente della Polonia come una delle cause della seconda Guerra Mondiale. Questa affermazione potrà stupire, ma nella storia purtroppo esistono sacche inesplorate, verità difficili da ammettere, Perché potrebbero contraddire i teoremi e le sentenza già emesse. Ma dietro a queste Polonia guerriera s i muovono ancora una volta Francia e Gran Bretagna.

La Francia manìfestava evidenti simpatìe per la Polonia e la cultura accreditava questa simpatia. La musica di Chopin (perattro di origine francese), le sue polacche composte a Parigi mentre Varsavia era invasa dalle truppe straniere, esaltavano e commuovevano. A questo feeling con la Polonia contribuiva anche il ricordo di Maria Walerska, l’ultima amante di Napoleone, ma anche la riconoscenza verso i volontari polacchi che accorrono a difesa della Francia nella guerra contro la Prussia.

Allo stesso modo, la Gran Bretagna cercava di favorire la Polonia a danno della Germania, sconfitta e umiliata. Ma a spingere le potenze occidentali verso una Polonia forte contribuì in modo decisivo un personaggio ben noto ai musicofili, ma che non sì trova sui libri di storia: Paderewski Con i suoi concerti estasiava le platee di tutta Europa, ma soprattutto quelle di New York e il Presidente Wilson si decise ad affiancarsi a Francia e Gran Bretagna per soddisfare le richieste polacche.

Paderewski

Fu proprio Paderewski a creare lo slogan, poi divenuto famoso: “la Polonia ha bisogno di respirare e per respirare ha bisogno di ossigeno e di una finestra aperta sul Mar Baltico”. E subito le Potenze vincitrici le spalancarono la finestra: Danzica e il suo territorio. Danzica, un nome fatele che diventerà funesto per l’Europa intera. A Danzica, infatti, inizierà la seconda Guerra Mondiale. “Quando entrai in Danzica alla guida della mia automobile, credetti di aver sbagliato strada e dì essere arrivato in Prussia o in Sassonia. Tutto, nell’architettura di quella città, pareva di cultura tedesca. La città aveva fatto parte per secoli delia Lega Anseatica, assieme ad Amburgo, Brema e Riga, e ha sempre guardato a Occidente, mai a Oriente”.

Nel 1919 l’80 per cento della popolazione era tedesca. Come poteva la Germania accettare un simile affronto? La città anseatica, con il suo corridoio verso il Mar Baltico, era una lama infuocata che lacerava il mondo germanico. Forse qualcuno ricorderà i titoli dei giornali dell’epoca: “Morire per Danzica?”  Valeva la pena di combattere per una città che polacca non era? Ma era evidente che Francia e Gran Bretagna non erano soltanto sedotte dall’alone romantico che aleggiava intorno alla nuova Polonia, vi era ben altro. Assieme a questo Stato artificiate chiamato Cecoslovacchia, l’ipertrofica Polonia poteva servire da baluardo sia verso Occidente, contro la Germania, sta verso Oriente ove si ergeva minacciosa l’ombra inquietante della Russia sovietica.

Questa era dunque la situazione e queste erano le strategie, quando, il 28 Giugno 1919 si chiuse la Conferenza di Parigi. E così quella conferenza che doveva assicurare la pace con giustizia al mondo intero, assieme alle frustrazioni e alle ambizioni delle singole nazioni, finirà per spalancare le porte alle dittature e per divenire la matrice involontaria di quella catena di eventi che, in un impressionante crescendo rossiniano, spingerà l’Europa e il mondo verso il baratro della seconda Guerra Mondiale. Da una parte egoismo e miopia, dall’altra ambizioni sfrenate e delirio di grandezza, queste le cause principali di quell’immane catastrofe che sconvolgerà l’intero pianeta. E Parigi diventerà il simbolo dell’ingiustizia e provocherà la rivolta.

La scintilla che accenderà il fuoco e porterà all’incendio parte proprio dall’Italia. Erano passati pochi mesi dalla chiusura della Conferenza di Parigi quando, nel settembre del 1919, il Vate Gabriele D’Annunzio, con un gruppo di legionari, quasi tutti combattenti della prima Guerra Mondiale, muove da Ronchi verso Fiume, la città negata, la città tradita, l’Olocausta come la chiamò l’immaginifica Poeta. È il primo segnate di rivolta verso Parigi.

A Fiume forma un governo provvisorio, sotto il nome di Reggenza italiana del Quarnaro. L’immaginazione al potere (sembra di sentire gli slogan del 1968). Un misto di utopia, di poesia, ma anche di modernismo. E innovativo lo era davvero quel governo; nello statuto veniva consentito il divorzio, si proponeva il voto alle donne, si accettava l’omosessualità e si proclamava il diritto dello Stato a requisire addirittura la proprietà improduttiva. Ne rimane sorpreso e quasi scandalizzato anche il socialista Filippo Turati.

Fiume visse un momento magico, una sorta di delirio collettivo, tra feste, adunate oceaniche e proclami dell’immaginifico, denominato Comandante a furor dì popolo. I legionari si trasformarono in corsari rifornendosi degli approvvigionamenti anche assaltando le navi, anche se in modo incruento. In queste imprese si distinse un giovane, anzi un giovanissimo, che D’Annunzio chiamerà “Jim dagli occhi verdi”.

Questo ragazzo diventerà famoso per il suo coraggio e detiene tuttora alcuni record: il più giovane volontario della prima Guerra Mondiate, il soldato più decorato d’Italia, colui che riuscì a partecipare a ben cinque guerre. Morirà a poco più di quarantanni, ucciso in circostanze misteriose nel 1943 nella pineta di Fregene. È ovvio che si tratta di Ettore Muti, il futuro Segretario del Partito Fascista.

Ettore Muti

A Fiume vi era il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, l’estensore della costituzione motto avanzata, detta Carta del Quarnaro. Ma vi erano anche le donne e tutte in prima fila. Da Fiammetta alla marchesa Incisa di Camerario che partecipava addirittura alle esercitazioni militari. E il giovane poeta Kochnitzky, una sorta di Ministro degli Esteri, fondò la Lega di Fiume per unire i popoli oppressi di tutto i  mondo, dagli irlandesi ai catalani, dai cinesi della California ai neri d’America. Mussolini imiterà D’Annunzio nell’uso del balcone per i discorsi, nel tegame quasi mistico con te folte, adottando il celebre slogan: “Eja, Eja, Alalà”.

Da Fiume al fascismo, da D’Annunzio al Duce il passo è breve, il resto è storia. La marcia su Roma, la presa di potere di Mussolini, la dittatura. Ma intanto tutta l’Europa è in fermento. La Grecia, quanto mai bellicosa e ispirata da Venizelos, muove alla conquista dell’Asia Minore. Le potenze occidentali hanno un atteggiamento ambiguo; dapprima la Gran Bretagna appoggia la Grecia, anche militarmente, poi ripiega e le sue navi al largo di Smirne assistono, senza intervenire, al massacro dei Greci da parte dei Turchi di Ataturk.

Tra i profughi della città, un bambino che diventerà famoso: Aristotele Onassis. La Grecia poi sfiderà anche l’Italia e Mussolini risponderà con la classica politica delle cannoniere, di matrice britannica, bombardando Corfù. La Polonia, sempre più aggressiva, invade la Lituania, annettendosi addirittura la capitale, Viinius, e costringendo la Lituania a spostare la capitale a Kaunas. Non contenta, attacca la Bielorussia ed entra in Ucraina, finché l’avanzata non viene stroncata dalla reazione sovietica.

Nel 1917, come è noto, prende il potere la fazione bolscevica del partito comunista russo e l’Internazionale Socialista fa proseliti in tutta Europa. Le masse operaie e contadine scendono in piazza, sperando e illudendosi che sia giunta l’ora della riscossa e che finalmente possa affermarsi la giustizia sociale. Dilaga la rivolta. A Vienna, una insurrezione di chiara matrice marxista viene stroncata nel sangue dal Cancelliere Dolfuss, colui che diventerà amico di Mussolini e che sarà ospitato nella villa dì Riccione assieme alla sua famìglia. L’Ungheria conoscerà una breve, ma sciagurata e sanguinosa dittatura comunista, capeggiata da Bela Khun.

La Germania, con la sua debolissima Repubblica di Weimar, è incapace di mantenere l’ordine. La rivolta è ispirata dagli Spartachisti e da Rosa Luxemburg che verrà uccisa e che
diventerà una icona della cultura di estrema sinistra, lei che (ecco i paradossi della storia) comunista non era mai stata. La reazione a questa onda rossa che minaccia di sommergere l’Europa è altrettanto violenta e sanguinosa.

In una birreria di Monaco l’ex caporale austriaco Adof Hitler sale su un tavolo, spara un colpo di pistola in aria e dà inizio alia rivolta. Assieme a lui, Goring, Gobbels, Hess, Bormann, nomi che, purtroppo, diverranno noti in tutto il mondo. Hitler sperava di avere successo, sulla scia della marcia su Roma di Benito Mussolini, il suo maestro che egli  amava, anzi idolatrava, e che continuò ad ammirare fino alla morte. Prima di suicidarsi, nel 1945 nel bunker dì Berlino, l’ultimo pensiero fu proprio per il suo amico che, pochi giorni prima, era stato ucciso e il suo cadavere esposto a Piazzate Loreto. Secondo la testimonianza della sua segretaria, anch’essa nel bunker, sarà proprio la fine ingloriosa del Duce a togliergli gli ultimi dubbi sulla decisione di suicidarsi.

Hitler e Mussolini

Il putsch di Monaco fu stroncato, Hitler arrestato e chiuso in carcere vicino a un lago della
Baviera, lo Stamberg-See. Durante la prigionia scriverà quel libro mastodontico e illeggibile: il Mein Kampf.

Questo lo scenario che si presentava nel primo decennio successivo alla fine della prima Guerra Mondiale. Potremmo considerarlo come una grande rappresentazione teatrale, ove al proscenio vi erano le grandi Nazioni vincitrici, Francia e Gran Bretagna, dietro le seconde linee, quelle che ambivano a diventare protagoniste, Germania e Italia, poi ancora le inquiete Nazioni minori e, sullo sfondo, le comparse. Di fronte, la platea, con i popoli dell’Europa, ora entusiasti, ora terrorizzati, ora indifferenti, che assistevano comunque impotenti alla preparazione di quella che sarà la guerra più spaventosa che la storia ricordi.

Protagonista prima la Gran Bretagna, allora la più potente Nazione del mondo. Seguiamo  la sua storia dal ‘900 alla  prima Guerra Mondiale. Sul trono d’Inghilterra sedeva Giorgio V, figlio di Edoardo VII, il re libertino che frequentava tutti i bordelli di Parigi. Si disse che, in una di quelle case di piacere, si fosse fatto costruire un trono per assistere alla sfilata delle prostitute. E pensare che era il nipote della grande e castigatissima regina Vittoria, il Principe di Galles Edoardo, erede al trono, era giovane, bello, raffinato, intelligente, colto e sportivo, amante dei viaggi, insomma il più bel partito d’Europa. Ma era anche un futuro sovrano contro corrente e allergico ai formalismi di corte.

Wally ed Edoardo VII

Ad un dato momento della sua vita conosce una signora americana, non nobile, non bella, non ricca, sposata e divorziata. Sui suo conto aneddoti piccanti, come la precedente relazione con un giovane e fascinoso diplomatico italiano che farà parlare molto di sé: Galeazzo Ciano. Amore a prima vista? Si dice che fosse stato incatenato dalla signora americana con le sue arti amatorie, apprese nelle case di piacere di Shangai. Per lei rinunciò al trono, sposandola. Ma sarà stato veramente così?

Edoardo veniva descritto come un debole; in realtà il sovrano mancato era un uomo coraggioso, voleva partire volontario nella prima Guerra Mondiale, ma non fu accettato, poiché un futuro re non poteva correre il rischio di essere fatto prigioniero, una vergogna per il rampollo della casa reale di Sua Maestà britannica. Edoardo rispose che non sarebbe successo. Perché, piuttosto che cadere prigioniero, si sarebbe suicidato. Possibile che un personaggio di questa tempra potesse lasciarsi irretire dalla signora Wally Simpson?

Il ministro Galeazzo Ciano testimone alle nozze del re Zog I con la contessina Geraldine Apponyi

A questo punto la vita privata e il gossip si intersecano con la grande storia. Sia lui che Wally Simpson erano grandi ammiratori della Germania e di Hitler. Ma non era il solo. Vi erano anche Lord Halifax, Londonderry, Lord Hamilton e molti altri ancora, il fior fiore della nobiltà britannica che manifestava simpatie per il regime nazista. Inoltre, la casa regnante, i Sassonia-Coburgo, aveva sangue tedesco e per questo il nome fu poi mutato in Windsor.

Filippo di Mountbatten si chiamava in realtà Battenberg, aveva sangue germanico e greco (era figlio di Irene di Grecia). Questi intrecci dinastici aiutano a capire anche il perché di certi eventi non sufficientemente chiariti. Edoardo e Wally vanno in Germania, accolti con grandi onori da Gòring che esalta l’amicizia anglo-tedesca. Hitler ricorda le comuni origini anglosassoni e il Principe viene ripreso mentre, assieme ai gerarchi, fa il saluto nazista. Di Wally si dice addirittura che fosse una spia al servizio della Germania.

Hitler col duca di Windsor e la moglie Simpson

Si profilava quindi un’alleanza anglo-tedesca, con larghe concessioni da parte degli inglesi.
Questa alleanza poteva cambiare il corso delia storia. Contro questa alleanza, ritenuta mortale, si coalizzarono anzi tutte le forze conservatrici che temevano le troppe concessioni fatte alla Germania e soprattutto il potenziale economico tedesco in forte espansione. Ma anche le grandi compagnie navali che controllavano i mercati di tutto il mondo e, infine, la compagnie di assicurazione legate alla flotta mercantile, ma anche alla Royal Navy.

Come si vede, è ancora una volta il fattore economico a dirigere il corso della storia. Anche Edoardo voleva difendere l’lmpero britannico, ma riteneva ormai impossibile mantenere il dominio universale, per cui era disponibile a larghe concessioni, rinunciando a parte di quell’impero che l’antenata regina Vittoria aveva contribuito a ingigantire. La Gran Bretagna era attraversata da due forze contrapposte che potevano decidere i destini dell’umanità. Fece una scelta di campo che la portò ad allearsi con l’Unione Sovietica e a rigettare l’amicizia con la Germania nazista. Sull’utilità di questa scelta avrà qualche dubbio “a posteriori” anche Winston Churchill che pronunciò la famosa frase “Abbiamo ucciso il porco sbagliato”.

Stalin con Molotov

Tornando alla storia, i Reali inglesi andarono a Parigi a rinsaldare l’alleanza francobritannica. A Parigi vi erano anche Edoardo e Wallly. I Reali non vollero incontrarli, anzi, pretesero addirittura che la coppia lasciasse la città. Il mancato re e la sua sposa andranno, nel 1940, in Spagna e Portogallo, alleati silenti della Germania e dell’Italia. Dopo la guerra li si voleva addirittura processare, ma un processo a un personaggio di stirpe reale appariva sconveniente, e così si preferì mandare Edoardo alle Bahamas come Governatore. “La nostra S. Elena”, dirà poi amareggiato all’amata consorte.

La Germania, intanto, rifiutata come alleato della Gran Bretagna, si rivolgerà all’Unione Sovietica con il Patto Ribbentrop-Molotov. Ma questa è un’altra storia.

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