MUSSOLINI E IL TRENTINO – 5

Ed eccoci alla quinta puntata sul periodo trentino di Benito Mussolini.

a cura di Cornelio Galas

Il 29 gennaio 1909 “L’Avvenire del Lavoratore” annuncia che Benito sarà il segretario e il direttore del settimanale: “La scelta non poteva essere migliore – scrive il giornale – poiché Benito Mussolini, oltre che un lottatore provato è un fervente propagandista, versato specialmente in materia di anticlericalismo; è un giovane colto, e, con molto vantaggio del nostro movimento, conosce perfettamente la lingua tedesca”.

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Dell’anticlericalismo di Mussolini abbiamo già parlato, ora andiamo avanti con i fatti che caratterizzarono questo periodo. Ecco come lo stesso Benito descrive il suo arrivo a Trento del 6 febbraio: “Nevicava. C’erano alla stazione a ricevermi alcuni compagni fra i quali l’onorevole Avancini, Ernesto Ambrosi col quale mi avvinsi di poi colla più fraterna amicizia. Uscendo dalla stazione riportai un’indicibile impressione del colossale monumento a Dante”. A Trento, che in questo periodo è austriaca, Benito trova un partito non esattamente in linea con il suo animo: “Sono riformisti, non sostengono le rivendicazioni di italianità dei triestini, sono dediti principalmente all’ottenimento di un migliore stato dei lavoratori, nessuna rivoluzione arde nei loro cuori”. Sono però, come lui in questa fase, anticlericali, anche perché il clero è lontano dalle posizioni irredentiste ed è notoriamente ed evidentemente filoaustriaco.

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Questo disagio è bene espresso in una lettera che scrive all’amico Nanni: “Il lavoro non sarebbe molto, ma ci sono le conferenze di propaganda e, come sai, si tengono sempre nelle birrerie. Ciò mi esaspera. Quanto al movimento socialista locale, non ho ancora capito nulla. Ci sono qui tre quotidiani: cattolico, socialista, nazionale-irredentista. La loro attività giornalistica si spiega nell’ingiuriarsi reciprocamente. Tu ben comprendi che io non sono affatto lieto della mia posizione attuale. Non invecchierò quale stipendiato del partito socialista austriaco – oh, no – quando saprò strimpellare il violino: girerò il mondo piuttosto che vivere agli ordini dei nuovissimi padroni.  Scrivo articoli di quinta colonna sul Popolo – socialista – ma di proprietà del dott. Battisti e non è improbabile che mi venga offerta la redazione. Accetterei. Quanto al mio avvenire non ho piani fissati. Vivo, come sempre, alla giornata. Non credo che i buoni compagni mi caricheranno di lavoro. Si preferisce forse il mio silenzio alla mia propaganda, che è quasi sempre pericolosa. Del resto mi sono procurato già degli avversari. I filodrammatici della Camera del lavoro (anche qui si vuol riformare l’universo, attraverso i paesaggi di cartone, coi drammi a base di bastardi perduti e ritrovati), punti da una mia breve critica alla loro ultima produzione, non solo mi hanno oralmente manifestato il loro sacro sdegno, ma hanno scritto a me, come redattore, e alla Camera del lavoro, le loro solite scempiaggini. È inutile! Oggi non è più permesso di criticare, specie quando trattasi di compagni coscienti, nonché militanti, nonché filodrammatici. Tanto peggio. Ho messo degli avvisi nei giornali, offrendomi quale insegnante privato di lingua francese. Se riesco a vivere con questo mezzo rinuncio al Segretariato, subito. Noterai che il mio articolo è aspro, avvelenato, macabro. Ne pubblicherò diversi di questi racconti alla Poe. Uno fra breve dal titolo ‘Un suicida’. Li raccoglierò, poi, in un volumetto, che potrebbe intitolarsi ‘Novelle perverse’. […] La mia vita intellettuale è più intensa qui che a Forlì. Oltre alla vastissima Biblioteca comunale, c’è una magnifica sala di lettura aperta a tutti, dalle nove del mattino alle dieci di sera, e provvista di quaranta giornali e di ottanta riviste fra italiane, tedesche, francesi, inglesi. Qui passo molte delle mie ore libere ed ho la rara soddisfazione di leggere negli originali le più belle produzioni degli artisti stranieri; fra le ultime l’ ‘Oiseau blessé’ di A. Capus”.

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Altre testate animano il Trentino Alto Adige di questi anni: ci sono “Il Trentino” di De Gasperi, “Il Popolo” di Cesare Battisti (al quale Mussolini come abbiamo visto collabora. È nella tipografia de “Il Popolo” che viene stampato “L’Avvenire del Lavoratore”), “La Squilla” di Costantino Dallabrida, “l’Alto Adige” di Scottoni. In questo periodo Benito conia espressioni che lo accompagneranno per tutta la vita, basti vedere cosa dice ai socialisti che leggono il suo settimanale: “Il socialismo è elevazione, purificazione della coscienza individuale, e il socialismo sarà il risultato di una lunga serie di sforzi e tentativi. Ognuno, dunque, porti la sua pietra all’edificio, compia quotidianamente opera socialista e prepari la rovina della società attuale. Nulla va perduto, ed è coll’opera assidua, vigilante, tenace, che maturano le grandi trasformazioni sociali”.

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Il giovane romagnolo è apprezzatissimo, gli incontri in cui parla diventano in breve affollatissimi: grande oratoria e profondo sapere. “Le riunioni erano pubbliche e l’anima che vi dominava, per la vastità della cultura, per la parola calda ed incisiva era Mussolini”.

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Di questo periodo riferisce Cesare Berti: “Consumava le ore in biblioteca, si privava del necessario per comprare libri e li divorava. Viveva poveramente con poco più di cento corone al mese, mangiava alla cucina economica della Camera del lavoro, dormiva in una stanzetta nuda alla Cervara. Sopra il letto un motto: ‘Viver liberi’. Portava vestiti logori, che mostravano il tessuto, con un’assoluta noncuranza d’ogni apparenza. Un giorno gli amici gli s’imposero e lo costrinsero ad acquistare un vestito ch’egli strapazzò e gualcì perché non paresse nuovo. […] La sezione di Trento del partito socialista si radunava ogni venerdì e i compagni più influenti, per incarico, a turno, vi esponevano e illustravano i fatti politici della settimana con commenti adatti all’ambiente e alle idee socialiste, ma anche nazionali, degli intervenuti: alla esposizione teneva dietro la discussione. Le riunioni erano pubbliche e l’anima che vi dominava, per la vastità della cultura, per la parola calda ed incisiva era Mussolini. Una sera egli prese la parola per delucidare una notizia sui fatti sanguinosi avvenuti in Persia, comparsa nel Popolo, quand’egli non faceva ancora parte della redazione. Improvvisò su argomento inatteso, fra lo stupore dei presenti, una conferenza smagliante, nella quale, dopo aver detto che i lavoratori italiani dovevano innanzitutto occuparsi delle vicende di casa loro, della patria, come più vicina al cuore, ed ai loro stessi interessi, ma che non dovevano tuttavia trascurare le cose del mondo, sviluppò l’argomento con tale precisione di particolari, con tanta vivezza di descrizione, con tanta conoscenza di dati, di fatti e di casi da rivelare una cultura vastissima e insospettata. E l’arte del porgere e la voce e l’empito del discorso davano al pensiero anche maggior rilievo ed efficacia di persuasione. Parve un miracolo, fu una rivelazione. Le riunioni, dopo quel giorno, furono affollatissime; il venerdì era atteso con impazienza come la promessa di una festa”.

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Questo scritto bene rende l’idea del personaggio: Benito ha delle doti naturali, questo è innegabile e la cosa è evidente sin dalla fanciullezza, dal periodo scolastico, come abbiamo visto. Ma a queste doti Mussolini aggiunge una cultura vastissima: è sempre informatissimo, legge da sempre, sin da bambino (ne abbiamo parlato) trascorre ore ed ore sui libri, gli interessa un po’ tutto, con una particolare predilezione per la storia, la letteratura, la filosofia. Ovviamente l’attualità e la politica lo appassionano ogni giorno, ma a questo lui aggiunge una formazione classica in continua evoluzione, non ha mai riposo, non ha pace, è un vulcano che erutta in continuazione, senza tregua, senza respiro. Vive ogni istante intensamente, fortemente, con passione in tutto ciò che fa, con veemenza, con decisione. Vuole scoprire, sapere, la sua curiosità è inestinguibile, ha un fuoco che gli brucia dentro e che continua ad ardere per tutta la sua vita. È impetuoso in tutto ciò che fa, lo è con le donne, lo è nello studio, lo è nella politica, lo è nei rapporti con gli altri. Segue la sua strada e non  si piega davanti a niente, lucido, ferreo. Non sottostà ai diktat di nessuno, il suo pensiero e il suo sentire lo guidano, vuole la rivoluzione, e l’avrà.

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Il periodo trentino procede tra botte da orbi sul giornale, condanne, arresti, carcere, censure,  sequestri, processi, polemiche e anche qualche scazzottata. Ad agosto Benito Mussolini si prende sette giorni di arresto per aver definito don Tommaso Barra “cane idrofobo”, per esempio.

Ma il clima è teso, molti trentini erano insofferenti alle prepotenze austriache, al punto che un gruppetto di giovani rivoluzionari si organizzarono per far saltare la sede della polizia: tra essi uno diserterà le file dell’esercito austriaco durante la Grande Guerra per arruolarsi volontario negli alpini, un altro se ne andrà a Fiume e morirà nel famoso Natale di sangue. Di questo tentativo rivoluzionario violento di far saltare la sede della polizia riferirà tal Cesare Berti, che all’epoca aveva 23 anni ed era a capo del “comitato segreto”. Dirà: “Non solo Mussolini non faceva parte del complotto per far saltare la polizia austriaca, ma, quando era tutto pronto e la bomba sperimentata, fu proprio Mussolini che mi dissuase a compiere il gesto adducendo che non era il momento politicamente opportuno. Prima di lui Augusto Avancini, l’avvocato Piscel e Cesare Battisti, che erano i dirigenti politici, avevano tentato l’impossibile per farmi recedere almeno per il momento dal tentativo. In verità fu solo Mussolini che seppe trovare argomenti tanto persuasivi da convincermi a rinviare l’azione. Quindi gli eventi precipitarono: Mussolini fu arrestato, processato e sfrattato dall’Austria; io, arrestato, tradotto a Vienna e trattenuto in carcere per una fila di mesi interminabili. Riavuta la libertà (ottobre 1910) riparai a Forlì facendomi dichiarare disertore dall’esercito austriaco”.

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Di certo la penna sferzante di Mussolini, nella ancora austriaca Trento dava parecchio fastidio: aveva messo a nudo le debolezze e le miserie di certa classe sociale senza peli sulla lingua, aveva agitato le acque, “una reazione delle forze da lui disturbate non poteva tardare”. Mussolini lo sapeva benissimo, ma questo – neanche a dirlo – non servì certo a fermarlo e nemmeno a renderlo più prudente. Anzi. Ad agosto venne annunciata la visita di Francesco Giuseppe, poteva Benito starsene tranquillo? No di certo. Ecco cosa scrisse: “Pagnottisti, è suonata la vostra ora! Chi vuole intascare 70 corone (diconsi settanta corone) e vuol fare gratis un viaggetto fino a Innsbruck a mangiare a ufo Knolden e Sauerkjraut  non ha che da iscriversi nei ruoli hoferiani. Ogni città, ogni paese ha l’emissario che provvede alle spese di chi andrà a Innsbruck a fare ‘il buon patriota tirolese’. mancano, è vero, i denari per le strade, per gli acquedotti. Ma per mandare a Innsbruck degli idioti pronti a proclamarsi tirolesi, i quattrini ci sono. Avanti, dunque, o pagnottisti”.

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Nel giorno della visita dell’imperatore vennero sottratte dalla Banca cooperativa di Trento 380mila corone. Siccome si pensò ad un complotto irredentista, le carceri vennero riempite di gente e moltissime furono le perquisizioni. In casa di Mussolini non trovarono assolutamente nulla che potesse far pensare ad un suo pur lontano coinvolgimento, però nel cassetto del direttore dell’ “Alto Adige” Mario Scottoni era stata rinvenuta una lettera di Mussolini con allegata una copia dell’Avvenire del Lavoratore originale,  priva dunque della censura, che Benito aveva spedito a Scottoni per fargli comprendere “l’arbitrio e la violenza”. Insomma con la scusa dell’ammanco di denaro alla Banca, era stata ispezionata la sua casa e tutte le sue carte erano state sequestrate. Tra queste carte c’era un’opera teatrale scritta da Mussolini e della musica. Il fatto suscitò molte polemiche, in molti si sollevarono in difesa del giovane che riscuoteva molte simpatie. A settembre Mussolini venne interrogato e riferì che si era “limitato a sollecitare, con la lettera a Scottoni, la solidarietà – non ottenuta – di un collega contro atti vessatori dell’autorità”, “Le copie del giornale erano allegate in busta chiusa, quindi non abusivamente diffuse”. Chiese la libertà provvisoria, e invece venne sfrattato. Non solo: gli venne impedito di incontrare il suo difensore e così non poté fare ricorso. inutili furono i reclami dell’onorevole Avancini, inutili le mobilitazioni delle assemblee operaie, le proteste dei deputati socialisti Adler e Pittoni: Mussolini fu, si, assolto alla fine di settembre, a Rovereto, con formula piena, ma fu trattenuto in carcere.

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Ancora proteste, lui in carcere fece lo sciopero della fame, un tentativo di pignoramento finì in nulla di fatto perché era talmente povero che in casa sua non venne trovato nulla di pignorabile. Insomma, un bel giorno – era il pomeriggio del 26 settembre – Mussolini venne liberato. Per essere messo su una carrozza e rimandato in Patria. “La polizia aveva cercato di fare le cose clandestinamente – racconterà lo stesso Benito tempo dopo –  ma pur tuttavia la notizia del mio sfratto doveva essere trapelata poiché quando la carrozza uscì dal portone delle carceri parecchie decine di persone mi salutarono e mi acclamarono”. Mussolini giunse così ad Ala, e da lì giunse a Verona. Il giorno dopo il Trentino viveva uno sciopero generale di protesta contro lo sfratto di Benito Mussolini dall’Austria: “Sciopero impressionante e solenne. Tutta la stampa italiana e austriaca si occupò diffusamente del mio sfratto voluto dal clericalismo trentino alleato colla polizia regio-imperiale”, scriverà. Cesare Battisti scrisse sul “Popolo”: “Di lui, della sua fierezza romagnola, della sua vivida intelligenza, della sua forte cultura, non ci è dato dire quel che vorremmo, mentre la censura si ostina a vedere ovunque, nei giornali nostri la ribellione all’ordine e al potere costituito. Questo solo diremo: l’essere stato sfrattato se per noi fu disgrazia, fu per lui un onore; l’essere stato a noi violentemente tolto è ragione di maggiore amicizia, di maggiori vincoli fraterni”.

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Il buon Cesare Battisti non sa ancora quanto infausta sarà per lui la partenza di Benito: al suo posto, come caporedattore, il direttore del Popolo chiama tal Vasilico Vergani. Benito non ne è per niente contento: “Nel conoscere il nome di colui che mi ha sostituito ho cominciato a vergognarmi di aver fatto parte del Popolo, tua bandiera purissima”, scriverà all’amico. Vergani, che Margherita Sarfatti descriverà come “il Giuda che nell’ora dell’imminente supplizio tradì, vendette, vituperò il suo benefattore”, avrà infatti, dicono, delle responsabilità nell’assassinio di Cesare Battisti nel 1916. Dall’Italia Benito scrive ai compagni trentini: “Abbiamo un’opera immensa da compiere: la creazione di un nuovo mondo! Come affermò Sorel, la nostra missione è terribile, grave, sublime”. Ancora: “Io devo ringraziarvi delle vostre prove di solidarietà a mio favore. E il mio grazie si riassume in una promessa: continuerò a scrivere su questo giornale che è l’arma migliore della nostra battaglia quotidiana. Il nome dello sfrattato tornerà ancora sovente sotto gli occhi di avversari e procuratori. Mi farò ancora sequestrare. Sarò ancora spiritualmente unito con voi. Separazione nello spazio, non è separazione di anime”.

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Di questo periodo della giovinezza di Benito Mussolini c’è, tra le varie testimonianze, anche il calendario socialista del 1910, una pubblicazione tascabile che nella quarta di copertina reca il ritratto di Benito Mussolini e all’interno altre immagini relative a personaggi locali noti al tempo, come Domenico Gasperini, Paolo Maraini, Valentino Pittoni, Raimondo Scabar, Giovanni Oliva e Augusto Avancini. Ancora una cosa occorre dire del periodo trentino. È questa l’epoca in cui Benito conosce Ida Dalser. Una storia tragica, ben descritta in un libro del giornalista trentino Marco Zeni e poi portata sul grande schermo dal film “Vincere” di Marco Bellocchio. Ma di questa ancora non ben chiara vicenda e dei rapporti con un’altra donna trentina, Fernanda Oss Facchinelli, parleremo nella prossima puntata.

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