MUSSOLINI E IL GARDA – 15

a cura di Cornelio Galas

Quindicesima ed ultima (meno male dirà qualcuno … ) puntata sul periodo “gardesano” di Benito Mussolini. Concludo con i rapporti dell’ex duce con la religione cattolica e un ritratto psicologico dei suoi ultimi giorni.

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Pochi mesi dopo la Liberazione, il cardinale Ildefonso Schuster diede alle stampe un volume dal titolo “Gli ultimi tempi di un regime”, vero libro bianco in cui il primate dell’alta Italia, al di sopra di ogni possibile polemica, intendeva far chiarezza sul ruolo svolto dalla Chiesa ambrosiana tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945, soffermandosi in particolar modo sulla vera portata del suo estremo tentativo di mediazione fra Mussolini e gli esponenti della Resistenza.

Ancor oggi, scorrendo le pagine di quel testo scritto dall’allora arcivescovo di Milano, è facile cogliere alcune connotazioni tipiche della personalità schusteriana: la religiosa pietà, l’umanissima paternità, la delicata discrezione, insieme ad un coraggioso realismo. Colui che in quel drammatico frangente sedeva sulla cattedra di Ambrogio, infatti, si fece carico della civitas nella sua interezza, quale autentico, supremo punto di riferimento, al di sopra delle parti.

MUSSOLINI E SCHUSTER

MUSSOLINI E SCHUSTER

Alle ore 15 del 25 aprile 1945, il duce era giunto in Arcivescovado accompagnato dal maresciallo d’Italia Graziani, dal ministro dell’interno Zerbino, dal sottosegretario Barracu, dal prefetto Bassi e dall’industriale Cella, dal quale peraltro era partita l’iniziativa per quest’ultima, disperata trattativa.

Salito lo scalone, Mussolini venne accompagnato nella sala delle udienze, interamente tappezzata di damasco rosso, dove per tre lunghe ore si trovò faccia a faccia con il cardinal Schuster.

PAOLO ZERBINO

PAOLO ZERBINO

Fu un colloquio assai faticoso. Da una parte l’arcivescovo che tentava di persuadere il capo della Repubblica di Salò ad arrendersi, dall’altra Mussolini che appariva fisicamente e moralmente distrutto. «Aveva il volto talmente stravolto che faceva l’impressione di un uomo quasi inebetito dall’immane sventura», scriverà Schuster nelle sue memorie, descrivendo dettagliatamente l’incontro.

Il presule aveva perfino fatto preparare una stanza nel palazzo arcivescovile per ospitarvi il duce stesso, nella previsione che questi si sarebbe arreso non appena concluse le trattative con il Comitato di liberazione nazionale, rimanendo lì al sicuro come prigioniero di guerra, con tutte le garanzie internazionali.

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Intanto Milano era preda di una grande confusione. Si sapeva soltanto che gli Alleati stavano arrivando e che il Cln aveva diramato l’ordine di insorgere, motivo per cui in alcuni quartieri si combatteva anche per le strade e fra le case.

Proprio questo era l’angoscioso timore del cardinal Schuster, e cioè che tedeschi e repubblichini decidessero di resistere ad oltranza, trasformando la città in una sorta di Stalingrado, così che la popolazione, che già aveva sofferto pene indicibili, sarebbe stata vittima di nuove tragedie.

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I membri designati dal Comitato di liberazione arrivarono in Curia a pomeriggio inoltrato, sia perché si era discusso a lungo sull’opportunità di partecipare a questo incontro, sia perché non era stato agevole rintracciare il generale Cadorna, reduce da una missione in Svizzera.

Il responsabile del Corpo volontari della libertà era accompagnato da Achille Marazza, segretario della Democrazia Cristiana nel periodo della Resistenza, dall’azionista Lombardi e dal liberale Arpesani: tutti avevano ricevuto come unico mandato quello di accettare la resa senza condizioni dei fascisti.

 MARAZZA

ACHILLE MARAZZA

Mussolini, pur preso in contropiede da questa richiesta non trattabile, anche per insistenza dell’arcivescovo si dichiarava disposto a discutere e sembrava quasi sul punto di accettare di deporre le armi. Ma all’improvviso in quel delicato negoziato si intrometteva con arroganza Graziani, affermando che principi di onore e lealtà impedivano al governo della Repubblica sociale di trattare all’insaputa dei tedeschi. Al che l’avvocato Marazza intervenne prontamente, precisando che in realtà le autorità germaniche in Italia stavano negoziando la resa da oltre dieci giorni …

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A questa notizia del tutto inattesa, il duce rimase come fulminato: «Ci hanno sempre trattato come servi e alla fine ci hanno traditi!», urlò fuori di sé. L’ormai ex dittatore chiedeva quindi di interrompere la seduta per andare a dire ai tedeschi il fatto loro. Promise che sarebbe stato di ritorno entro un’ora, ma l’attesa, com’è noto, fu vana. Indignato e confuso – «Sapete cosa mi ha detto il cardinale? Di pentirmi dei miei peccati!», sbottò abbandonando la Curia -, Mussolini fuggì verso Como, in un disperato quanto inutile tentativo di sottrarsi al proprio destino.

GIORGIO RUMI

GIORGIO RUMI

Da alcuni è stato scritto che quell’incontro in Arcivescovado «fu il tentativo di togliere il merito – della fine del conflitto – alla Resistenza per avocarlo alla Chiesa». Ma si tratta di una posizione insostenibile, come spiegava l’indimenticato storico Giorgio Rumi, che sottolineava come, semmai, «bisognerebbe mettere in evidenza la gestione umana, anzi umanistica di quella transizione: nel passaggio di poteri che sarebbe seguito alla catastrofe fascista, infatti, il cardinal Schuster cercava di portare un certo rispetto del diritto sostanziale, in modo da evitare massacri, vendette private e processi sommari».

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A proposito di fede: c’è chi ha parlato di una conversione religiosa al cattolicesimo da parte di Mussolini negli ultimi anni della sua vita dopo il suo arresto nel 1943. Effettivamente, la caduta ha probabilmente fatto emergere nel fondatore del fascismo dubbi e domande sul destino ultimo dell’anima, ma storici come Renzo De Felice e Denis Mack Smith hanno escluso l’ipotesi di una sua conversione e del resto, non va dimenticato che negli anni della Repubblica di Salò Mussolini appoggiò l’opera di don Tullio Calcagno, sacerdote che minacciava uno scisma dalla Santa Sede a causa del mancato appoggio del Vaticano alla Repubblica Sociale Italiana.

DON TULLIO CALCAGNO

DON TULLIO CALCAGNO

Ha  scritto Armando Carlini sulla politica religiosa di Mussolini: «E’ vero che con lui il nome di Dio risuonò , forse per la prima volta, solenne e ammonitore nella grigia aula del parlamento. E’ vero che si deve a lui la distruzione in Italia della Massoneria e la Conciliazione con il Vaticano. Ma queste imprese non furono da lui eseguite, e di fatto giustificate, con ragioni che non fossero essenzialmente politiche e sociali». Un approccio dunque materialista e calcolatore che a lungo andare però sarebbe andato a cozzare, come infatti è successo, con la vera anima del fascismo fondata sul nazionalismo esasperato e sul controllo totalitario della società.

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E se pure si ha da concedere qualche valore religioso alla invocazione di Dio, essa non va al di là di una fede in un principio del tutto indeterminato, troppo più vicino al vago principio di una fede di stile mazziniano, che a quello ben definito, preciso e impegnativo, del cristianesimo, anzi del cattolicesimo …l a morale del fascismo da lui fondato è tutta una esaltazione di principi fondamentalmente pagani, come molti hanno messo in rilievo.

MUSSOLINI CON D'ANNUNZIO

MUSSOLINI CON D’ANNUNZIO

Il fascismo infatti si nutriva dei miti pagani della nazione, della rievocazione della grandezza di Roma: la Roma degli imperatori, non quella dei papi. Utilizzava un linguaggio, simboli, riti, cerimonie, tutti tipici di una religione civile, per sacralizzare lo Stato, come “educatore del popolo nel culto della nazione”, e per celebrare il duce come il grande sacerdote della Patria.

Divise per tutti, littori, sabati fascisti, feste laiche della patria, patrioti celebrati come “martiri”, creazione di una “storia sacra del partito”, corsi di “mistica fascista”, usanza di contare gli anni dall’inizio dell’ era fascista” invece che dalla nascita di Cristo, leggi razziali, liturgie di Stato, culto della bandiera, giuramento di fedeltà al fascismo, pellegrinaggi obbligati al Milite Ignoto, celebrazione di eroi fondatori … dicono chiaramente che il nazionalismo fascista fu una religione. Una religione laica, politica, senza Dio, senza redenzione divina, senza aldilà.

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Mussolini a Salò – dicono altri storici – in realtà non disponeva di un piano né militare, né politico-diplomatico, né economico a meno che non si voglia far passare per tale l’estemporaneo espediente delle mercuriali e dei calmieri che avevano portato al tacito compromesso del binomio tesseramento-mercato nero. Il capo del fascismo repubblicano, prigioniero di un passato glorioso, ostaggio di un cupo presente e in balia di un avvenire segnato, non aveva più i lampi dell’antica genialità e la percezione esatta dell’orizzonte che si dischiudeva davanti ai suoi occhi affetti da un’ingravescente miopia. La tristezza del Duce e la malinconia del lago stringevano un’alleanza che accentuava i contorni sgradevoli delle cose, mettendo in evidenza tutta la drammaticità dei recenti avvenimenti.

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Un ritratto desolante quello che vari storici fanno del duce sul Garda in quel periodo: “L’antica baldanza era scomparsa e non era difficile leggergli nel viso un penoso dilemma (ammiccare o reagire?). La magrezza rendeva flosce e cadenti le sue guance, profonde le sue occhiaie e dava una specie di inquietudine al suo sguardo apprensivo che denotava premonitrici visioni pestilenziali, incubi malefici e ossessionanti turbamenti. L’energia del dittatore, un tempo prorompente, aveva rari soprassalti seguiti da improvvise assenze durante le quali si perdeva, rincorrendo ragionamenti che sperava gli potessero additare i mezzi per modificare un destino che solo lui s’illudeva ancora di poter mutare …”

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“Non voleva avere i tedeschi tra i piedi e sognava di chiudere una esistenza tribolata senza averli come difensori o come testimoni dato che non sapevano mettersi in ghingheri di amabilità per compiacere chi li ospitava con malcelata sopportazione. Alla fine, nel mare delle contraddizioni in cui si era perso, si sarebbe affidato proprio a loro e non agli italiani ai quali avrebbe rivolto solo dure frasi di condanna …”

“Pur tentando di sollevare dalla sofferenza e dal dolore alcune persone, Mussolini aveva perso la certezza che il sacrificio impostogli dal destino malevolo servisse a risollevare l’Italia dal baratro nel quale era irreparabilmente caduta. Facilonerie, incongruenze, incostanza, contraddizioni, ondeggiamenti di indirizzi, alibi elusivi: con queste premesse veniva pilotata quella parte della Nazione governata dalla RSI, una guarnigione assediata, dove regnava l’effimero, il precario e l’estemporaneo, che si reggeva in piedi per dispetto o forse per una volgare scommessa fatta da uomini che amavano non solo il rischio calcolato, ma soprattutto quello fine a sé stesso …”

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“Malinconicamente aperto alle confidenze del prossimo e quasi ansioso nel cercare la comprensione altrui, l’anziano leader del fascismo saloino agiva più come un automa e non come un uomo cosciente delle responsabilità e dei compiti che si era assunto. Certamente non si comportava come un capo, non come una guida sicura o come un mentore credibile al quale potersi affidare … Sulle rive di uno specchio d’acqua lugubre, immoto “perchè privo di onde”, viveva dolorosamente ripiegato su sé stesso in una parabola autoreferenziale distante chilometri dal mondo circostante, oscillando in un’altalena illusoria dove apparivano e scomparivano spiragli di salvezza e barlumi di fiduciosa attesa”.

“Propenso alla riflessione impietosa e al ricordo meditativo, era un perdente piegato e travolto dalla macchina della Storia che si era vantato di saper guidare verso mete sempre più radiose. Un individuo svuotato, fragile, terreo, con gli zigomi pronunciati sulle gote scavate e con lo sguardo allucinato sperso nel vuoto: così appare il Duce nell’immagine che lo ritrae mentre sta visitando, il sacrario di Gabriele D’Annunzio a Gardone …”

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“La coreografia non era da meno e le corone d’alloro in onore del Vate fungevano da degna cornice alle esequie di un uomo, una figura soltanto ornamentale, che aveva l’espressione di colui che assiste impotente al proprio funerale. L’unica cosa che sapeva fare, per distrarsi, era quella di perdere facilmente la pazienza con le tante Cassandre che deambulavano per gli ambulacri del suo disadorno e domestico palazzo, casa e bottega della confraternita littoria. In tali occasioni, essendo tendenzialmente tragico, non disdegnava le colleriche scenate, espressione di una costernata disapprovazione. Ad esse seguivano, di norma, crisi di completo abbandono e di abulica rassegnazione che appalesavano un umore sicuramente depresso”.

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“… Relegato su di un lago che lo isolava dal mondo, il Mussolini post 8 Settembre 1943, un essere privo di volontà, era vittima dei nazisti che gli imprigionavano anche i pensieri più intimi. Non aveva più speranze, ma doveva dimostrare di averne, alcune almeno, per non deludere le aspettative di chi lo aveva seguito sulle sponde del Garda senza chiedere ricompense né pretendere particolari privilegi”.

“ … La corte palatina del Duce era diventata il mercato della trippa ed i tedeschi, con un portamento da litografia storica, erano trasfigurati, dalla sua foga romagnola, in creature isteriche, complicate e potenzialmente ostili. Soffriva di una nevrosi persecutoria che un modo di vivere convulso, in parte condizionato da quelli che lo volevano usare come simbolo di una impossibile riscossa, non contribuiva di certo ad alleviare …”

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“Non riusciva a riannodare i rapporti con il prossimo e a mettere a giorno le notizie e i dati indispensabili per mantenere in funzione i vari servizi con cui si articolava la macchinosa attività dello Stato. Gli elogi che faceva, se ne faceva, erano vaghi e non consentivano di trarre degli insegnamenti a cui ispirarsi. Nostalgico irriducibile di un passato non ancora archiviato, si sentiva prostrato ed avvilito per il giudizio espresso su di lui dagli italiani che erano ormai insensibili agli appelli della ridondante propaganda fascista …”

“Era, infatti, infastidito di essere continuamente punzecchiato da malevole allusioni e da pesanti insinuazioni delle quali sentiva, più degli altri, tutta la insolente portata. Le esplosioni di gioia, i cortei di esultanza, gli spensierati sbandieramenti e i baccanali festanti si erano trasformati in uno squallido ed avvilente spettacolo che coinvolgeva sia il vertice che la base del Partito Fascista”.

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“In questo periodo, paradossalmente, l’oratoria di Mussolini aveva prodotto un vero e proprio modello di ortofonia per forma e contenuti: il discorso tenuto al teatro Lirico di Milano il 16 Dicembre del 1944 al termine del quale erano seguiti uno scrosciante applauso e una roboante ovazione. Di fronte ad un pubblico di fedelissimi, il Duce aveva ribadito a tutto campo le accuse di tradimento, coinvolgendo il Re, la corte, i circoli plutocratici delle classi medie, i generali massoni degli stati maggiori e le forze clericali …”

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“Disposto ad accettare le proposte dei sostenitori del “Fascismo sociale” e a soddisfare le esigenze liberaleggianti espresse da alcuni esponenti moderati, Mussolini aveva promesso l’immediata attuazione delle leggi sulla socializzazione delle imprese e la convocazione di un’Assemblea Costituente non appena la guerra fosse terminata. Il popolo milanese osannante aveva costruito la lunga scala penitente dell’autoassoluzione, predisponendo il luogo e il tempo della congiura (piazzale Loreto) con il subdolo strumento dell’applauso”.

“… Dopo l’estemporaneo trionfo, il dittatore aveva incrociato le braccia e con l’occhio fisso allo stellone dell’Italia dimezzata aspettava il soffio chiarificatore di un Dio sullo specchio appannato delle proprie convinzioni o il portento che la dea Roma avrebbe dovuto fare dopo essersi assisa su di un trono costituito non da un tronco maestoso, ma soltanto da un cumulo di rupi silvane …”

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“Nessuno poteva trattenersi dal condannare senza indulgenza le incongruenze e gli errori politici del Duce, mancanze di cui ognuno si poteva contristare amaramente perché i loro riflessi incidevano senza pietà  su di un dominio più vasto e più profondo di quello che la stessa immensità della guerra perduta aveva abbracciato con la sua tragica violenza…

“Le ventennali raccomandazioni mussoliniane si erano volte in gramigna anziché in tenero frumento da macinare tra le quattro mura di Gargnano da cui non si poteva allontanare senza il beneplacito e la scorta dei soldati tedeschi …”.

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