MOSTRI TRENTINI – 3

a cura di Cornelio Galas

Veniamo subito, come promesso, in questa terza puntata sui “Mostri trentini”, alla storia del gigante della Val di Ledro. Si tratta, di Bernardo Gigli (in alcuni testi troviamo anche “Gilli”) detto «el Pòpo». Nasce a Bezzecca nel 1726. A vent’anni misura due metri e sessanta, ed è forse l’uomo più alto del mondo. Sin da ragazzo il colosso strabilia i compaesani caricandosi enormi slitte cariche di fieno sulle spalle. Nel 1745 viene notato da Giambattista Perghem, detto Carattà, un eccellente equilibrista di Nomi (Trento) che tornava carico di glorie al paesello nativo.

Il Popo e il Perghem vestiti da turchi durante uno dei loro spettaco

Il Popo e il Perghem vestiti da turchi durante uno dei loro spettacoli

Il Carattà intravvede subito il business, come si direbbe oggi, e con qualche preoccupazione dei genitori si porta via «el Popo» per impartirgli sei mesi di apprendistato. Vestiti da turchi i due si esibiranno davanti a papi e regnanti. Il Carattà, stanco e più anziano di Bernardo, a un certo punto decide di rientrare, ma il gigante è ormai lanciato. Con due servitori viaggia da Madrid a Varsavia, da Roma a S. Pietroburgo, esibendosi in straordinarie prove di forza. Tanto che un signore di Venezia, sospettando un inganno, paga una bella somma per vederlo all’opera completamente nudo. Nonostante le proporzioni erculee, sappiamo da una testimonianza dell’epoca che il volto di Bernardo Gilli «non spicca ferocia, sibbene una tal quale bonarietà da montanaro».

Bernardo Gigli (2)

A pensarci bene, non è un caso che il gigante di Bezzecca e il Carattà si esibissero vestiti da turchi. I popoli esotici rappresentano sì un’alterità inquietante, ma dentro uno spazio scenico ben delimitato, come quello fieristico, esercitano il fascino di sempre, scevro di minacce.

Un'immagine del gigante Gigli tratta da una rivista tedesca di metà Settecento

Un’immagine del gigante Gigli tratta da una rivista tedesca di metà Settecento

Con successive donazioni al Museo Civico di Rovereto, regolarmente registrate, pervengono dalla Val di Ledro reperti anatomici del gigante, il quale aveva disposto nel testamento che i suoi nipoti utilizzassero il suo scheletro «per conservar memoria perpetua della mia grandezza straordinaria». Lo scheletro viene ceduto a un chirurgo di Riva. Il cranio e un femore giungono a Rovereto, insieme a un ritratto a olio a grandezza naturale e a una smisurata calza di seta.

Locandina annunciante l'esibizione del "Popo" a San Pietroburgo nel 1765

Locandina annunciante l’esibizione del “Popo” a San Pietroburgo nel 1765

Come ricorda lo storico ledrense Danilo Mussi, nel 1872 in una sala del Museo roveretano viene allestita una vetrina con alcuni passaporti e documenti del gigante. Ma tutto va perduto durante la prima guerra mondiale, durante la quale il Museo è colpito da una bomba, che ne distrugge un’ala.

Incisione raffigurante Bernardus Gigli Tridentin

Incisione raffigurante Bernardus Gigli Tridentin

Un altro gigante (più “piccolo” però del “Pòpo” di Bezzecca) ledrense? Martin Ruboga. In realtà il suo vero nome era Martino Ribaga nato a Tiarno di Sopra nel 1796; non si conosce il luogo e la data della sua morte ma, secondo alcune fonti,  sarebbe deceduto a Fontainebleau, vicino a Parigi, nel 1828.

Casa natale di Martino Ribaga a Tiarno di Sopra

Casa natale di Martino Ribaga a Tiarno di Sopra

Adottò il nome d’arte di Martin Ruboga che rievocava, almeno nelle intenzioni, i misteri di lontani paesi d’oriente. Faceva credere di essere parente del più famoso gigante di Ledro, Bernardo Gigli, alto due metri e 60 centimetri ma lui misurava “solo” due metri e 15 centimetri.  Famosa però era la sua forza. Sulla sua casa natale a Tiarno di Sopra si può leggere la targa commemorativa:

“Qui nacque nel 1800 Martino Ribaga detto il gigante dei Barchi alto sei piedi e mezzo- sollevava un somaro carico di sacchi di grano-caduto in mano ad uno speculatore fu portato ad esibirsi in tutta Europa-morì in Francia a soli 23 anni.”

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Dalla “Descrizione topografica e statistica della Valle di Ledro” del 1835, pubblicata dai cugini Cis nel 2010, fra le persone distinte della Valle invece Antonio Scopoli, annota:

“Il terzo gigante di Ledro (dopo Antonio Cauzzi, del quale non siamo riusciti a raccogliere ancora notizie e Bernardo Gilli n.d.r.) un certo Martino Ribaga, nato a Tiarno di sopra li 7 dicembre 1796, il quale, oltre la grandezza di piedi Viennesi 7 ½ avea una forza erculea. Egli viaggiava la Francia, e Fointenblau diede la tomba, allo stesso li Agosto 1828 per una febbre adinamica acquistata in seguito a un bagno freddo a corpo riscaldato.”

Secondo Danilo Mussi la data della sua nascita fu il 1799 e, sembra, morì in Francia. Da documenti ritrovati, recentemente, si può arguire che nel 1824 era sicuramente ancora in vita.

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Dal “Bullettin des Sciences Naturelles et de Geologie” edito a Parigi nel 1824:

 “Tra le curiosità offerte da questo anno dalla fiera di Saint-Lazare, a Marsiglia, dobbiamo ricordare il gigante Martin Ruboga. La sua altezza è di 7 piedi  e 2 pollici ; il petto, le mani, le gambe sono proporzionate alla sua statura e tutto contribuisce a renderlo un uomo straordinario. Se lo si guarda si riconosce che deve essere dotato di una forza prodigiosa; si è esibito sotto gli occhi degli spettatori che rimangono più increduli di coloro che non sono stati testimoni. Le cose più sorprendenti sembrano essere semplici e facili per lui: con solo pugno e le mani nude, riduce una pietra in pezzi, e due dita sono sufficienti per afferrare e bilanciare un’asta con un peso di molti chili. Martin Ruboga, nato in Italia, è un discendente del famoso Gigli, al quale il Buffon si è degnato di dedicare un curioso e interessante articolo nella sua Histoire Naturelle.”

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Lo stesso articolo comparve ancora, nel 1824, 1825, su numerose altre pubblicazioni in diverse nazioni, come sul tedesco “Notizen aus dem Gebiete der Natur und Heilkunde” del 1825.

Ma “el Pòpo” della Val di Ledro, il Ribaga, il Cauzzi non sono a quanto pare gli ’unici giganti trentini. Chi visita il castello di Ambras presso Innsbruck inizia il suo giro dalle sale in cui da una ventina d’anni è stata risistemata la collezione di armi dell’arciduca del Tirolo Ferdinando II, morto nel 1595. La prima cosa che si nota, contro la parete di fondo della sala d’ingresso, sono le piccole armature dei figli dell’arciduca con al centro una guardia del corpo gigantesca, alta due metri e sessanta. E’ Bartimä, ovvero Bartolomeo Bon, il contadinone di Riva del Garda, omonimo dell’architetto veneziano della Ca’ d’Oro.

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Il suo manichino di legno è protetto dalla corazza. Ha le mani poggiate sull’elsa fiorata di uno spadone tenuto a pied’arm. L’abito che porta è registrato anch’esso in un inventario della fine del Cinquecento: è del tipo “alla lanzichenecca”, a strisce rosse e bianche, con le maniche a sbuffo e la calzamaglia aderente che spunta da sotto i gambali. L’armatura è della fabbrica di corte fondata a Praga da Ferdinando II: risale a quando il “gorilla” Bartimä accompagnò a Vienna un nipotino dell’arciduca al suo primo torneo imperiale, di quelli combattuti a piedi e non a cavallo. Era il 1560.

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Il Bartimä di legno ha il volto bonario sotto l’elmo crestato a calotta. Gli occhi guardano lontano, inquadrati dalle sopracciglia ad arco. Il testone da giraffa sembra muoversi in bilico sul cilindro del collo blindato. I custodi lo chiamano confidenzialmente “Die Puppe”, e questo fa venire in mente proprio “El Popo” ledrense, alto esattamente quanto Bartimä: due metri e sessanta centimetri. Questa sorta di “moda”, in fatto di collezionismo, si impose tra il Sette e l’Ottocento, ma l’interesse era già vivo da molti secoli, come dimostrano i raccoglitori del secondo Cinquecento.

Lo stesso Ferdinando II si circondò di inutili cianfrusaglie mischiate a opere rare della letteratura e dell’arte figurativa, organizzate ed esposte in funzione degli ospiti, secondo criteri teatrali e di modernità. Ed è probabile che Bartimä Bon fosse stato chiamato da Riva alla corte del Tirolo come pezzo vivente delle collezioni dell’arciduca.

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Nel 1872, anno dell’Esposizione di Torino, Vittorio Emanuele II ricevette in dono due pigmei “vivi” dal re d’Egitto e li girò alla Società Geografica Italiana. Il gigantismo alpino ha un altro esempio famoso: quello dei fratelli Battista e Paolo Ugo, di Vinadio in Valle Stura, vissuti a cavallo tra Ottocento e Novecento, alti due metri e quaranta quando l’altezza media degli italiani era di uno e sessanta.

Furono assunti entrambi dal circo francese Bati e presentati sotto la torre Eiffel come Baptiste e Paul Hugo di St. Martin Vesubie, i più grandi giganti del mondo intero. Quando tornavano al paese, le due superstar del Bati si accendevano i sigari dai lampioni o da un fiammifero sfregato sui davanzali delle finestre dei primi piani di Vinadio.

Robert Wadlow

Robert Wadlow

Per chi ama le statistiche, ricordiamo che il biblico gigante Golia misurava sei cubiti e un palmo, per l’esattezza tre metri e ventuno centimetri, equivalenti a dieci piedi e mezzo. E che l’uomo più alto della storia pare sia stato Robert Wadlow da Alton nell’Illinois, con i suoi otto piedi e undici pollici, qualcosa come due metri e settantadue centimetri.

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