MOSTRI TRENTINI – 11

a cura di Cornelio Galas

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Ci spostiamo oggi in Val Rendena. Dove siamo già stati, virtualmente, per rievocare la leggenda del drago del lago di Nambino. E’ questo un luogo infatti che offre notevoli spunti in fatto di credenze popolari e antiche tradizioni.

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Oltre al mostro del lago di Nambino, infatti, c’è il Volpàt del Lago di Ritorto, il pane che non lievita a Mortaso dopo l’uccisione di S. Vigilio, l’ebreo di Pelugo impiccato da Carlo Magno, il raccoglitore di “rasa” (resina). Non è finita: c’è anche il misterioso uomo dai marenghi d’oro, il caso dei tesori custoditi dagli spiriti o dal diavolo, le streghe che si possono incontrare la notte dell’Epifania ai crocicchi delle strade dei campi.

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E infine: le gesta della “lega dei baldanza”, la spartizione dei masi, l’agrifoglio e il maggiociondolo di S. Martino, il “martel” (mortella) di S. Stefano, il dare il letto ai morti, la fata di Nardis che insegna a caserare ai pastori, il Bedù (fiume) rosso di sangue per le lotte tra pastori, il “tirar al gal” di Bocenago.

C’è poi, sempre in quell’area geografica, la Valle di Genova, tra le più significative dell’intero arco alpino: per l’aggressività selvaggia e la concentrazione di paesaggi naturali molto vari e spettacolari, ha sempre impressionato la fantasia dei montanari che l’hanno frequentata fin dall’antichità.

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Da qui derivano altre fantastiche leggende. Si vuole, tra l’altro, che i Padri del Concilio di Trento, vi abbiano relegato streghe e diavoli. Molti dei toponimi della valle, legati a curiosità naturalistiche, sono poeticamente espressivi: la Preda da la Luna (il sasso della luna), Pebordù, il Saltum Malum o Tof del Mal Neò (il dirupo del cattivo nipote), Il Dos de la Chosina (il dosso della cucina), i Tovi de l’acqua, l’Or de Folgòrida, l’Or dei Chioch.

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Torniamo alla Val Rendena. Nepomuceno Bolognini (ne abbiamo parlato a proposito del Risorgimento in Trentino), colonnello garibaldino nativo di Pinzolo ed appassionato etnografo della sua terra, battezzò con nomi fiabeschi i macigni erratici che si incontrano risalendo la valle, attribuendo a ciascuno l’onore di un racconto: Zampa da Gal, Schéna da Mul, Specchi delle Streghe, Calcaròt, Coa de Caval, Manaròt, l’Orco, il Belaiàl e il Pontiròl, la Cazetta rossa, il Polpalpegastro e Barzòla.

Nepomuceno Bolognini

Nepomuceno Bolognini

Da “Nepomuceno Bolognini, Maitinade fiabe e leggende della Rendena” (a cura di Arnaldo Forni Editore, 1979 – Ristampa anastatica dell’edizione di Rovereto, 1880-1881) propongo oggi “Il Casino del Diavolo”. Nella versione integrale dell’autore.

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“Quella parte della valle di Rendena che si allarga e si chiude a tramontana formando così un delizioso ba­cino seminato dei ridenti paeselli di Giustino, Massimeno, Pinzolo e Carisolo, è corsa nel suo fondo dalle bianche acque dei due rami del Sarca venienti l’uno dai ghiac­ciai di val di Genova e l’ altro del laghetto di Nambino, e su per le chine de’ suoi monti è tutta rivestita da verdi praterie e boscaglie che vi spandono quella sma­gliante bellezza di tinte, quella beata quiete che fanno sì caro questo simpatico angolo di terra trentina.

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Colà su d’ un altura soprastante a Pinzolo in mezzo a verdi praterie che ricoprono il ridosso del monte d’ oriente e a folti boschi di castagni che vi spandono un’ ombra confortante e severa, ti cade subito all’occhio un bianco casinello, che a primo aspetto parrebbe la tranquilla dimora di qualche felice famigliuola ivi rac­colta a godersi la beatitudine villereccia, ma avvici­nandosi, le imposte cadenti e spezzate, varie screpo­lature nelle muraglie e il completo disordine in tutto, l’ esteriore ti fa subito certo che sia da molto tempo abbandonato.

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E se vi entri, il dubbio si cangia subito in certezza, chè le scale sono in parte cadute, diroccate varie pareti interne lasciando sul luogo ammonticchiati sassi e cal­cinacei, rotte e levate le imposte, tutti screpolati i muri, ruinata una vecchia stufa che si trovava nell’ angolo di una cameretta, impraticabili i sotterranei, la cui oscurità mette paura a chi spinge gli sguardi giù pel foro la­sciatovi dalle scale distrutte, donde ti par di vedere uscire le ombre e udire i gemiti dei trapassati. Tale da molti anni si presenta, a chi salta il ticchio di visi­tarlo, questo casino che la popolare superstizione deno­minò del diavolo.

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 E il diavolo vi ha lascialo qui la sua leggenda, poco vera come tutte le sue storielle, ma che, se non colla indiscutibile fede antica, pur corre ancora narrata e seriamente ascoltata fra que’ buoni e onesti montanari.

E questa voglio qui esporvi con lo stile semplice e vero che essi adoperano, a chiusa del Saggio delle fiabe e leggende che ancora si narrano in questa mia sì bella e diletta vallata; e a prova, che il fatto e lo scherzo più semplice e comune può dare non di rado origine alla leggenda strana e paurosa, essendo questa burla di cattivo genere, avvenuta a memoria di molti che ancora godono la vita, burla variamente ripetuta altrove e sempre con effetti funesti.

images.jpgdddIl simpatico casinello fu eretto più di mezzo secolo fa da, un signore di Pinzolo che usava passare in esso qualche deliziosa giornata dell’ estate, in buona e alle­gra compagnia, merendando, giuocando a carte e a bar­zellette più o meno spiritose, più o meno lecite e one­ste.

Vi si tratteneva, anche qualche notte a dormire, o per trovarsi più al fresco fra le aurette soavi e profu­mate che olezzavano dai mille fiori e dalle erbe circostanti, per filosofare fra sè e sè sui secreti della natura, o per la quiete del luogo sì adatto al riposo, o per qualche altro diletto o capriccio, che la leggenda pudicamente sottace.

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Fatto è che quel signore, una bella notte d’estate. tutto soletto erasi recato al casinello, e fatta ora tarda, serrata ben bene la porta, si era adagiato beatamente nel suo letticiuolo e prestamente addormentato. E stava forse sognando le più belle e matte cose del mondo, quando uno strano rumore e lugubri cantilene lo desta­rono di soprassalto. Aperti gli occhi, così tra la veglia e il sonno, quale non fu il suo spavento nello scorgere di fianco al letto due strane figure tutte ravvolte in nera e lunga veste, incappucciata la testa, con torce accese tra mano, salmodiare con voci sepolcrali, che pareva provenissero dalla cavità del torace, le meste preci dei trapassati?

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Vi lascio pensare lo spavento da cui fu colto il po­vero signore; e balzare dal letto, precipitarsi fuori da una finestra e in camicia come si trovava, correre giù in paese alla propria casa, fu come un pensiero.

Lo raccolsero i suoi tramortito sulla porta: e quando fu rinvenuto per le cure che gli si prestarono, ed ebbe narrata in qualche modo la brutta avventura che gli era occorsa, si affannarono assai a calmarlo e a per­suaderlo che non poteva essere stato che l’ effetto di un brutto sogno, e mille altre ragioni e supposizioni le più tranquillanti del mondo, ma un’ ardente febbre l’ aveva già preso che in pochi giorni lo trasse al se­polcro a dispetto di tutte le cure più premurose.

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Com’ era naturale, la storiella corse subito per lo bocche di tutti que’ del paese: i credenzoni la giura­rono opera del diavolo, ché il povero morto aveva pur dei peccatuzzi sulla coscienza, ma i più saggi e avveduti la stimarono tosto, come doveva anche es­sere, un cattivo scherzo dei burloni compagni delle sue allegrie.

I quali poi pauriti pel fatale esito ch’ebbe la burla, timorosi, che venendo in chiaro la faccenda, si rovesciasse loro addosso un ben meritato castigo, si diedero a tutt’ uomo a dare voga alla credenza che l’ opera fosse stata proprio del diavolo.

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E per rinforzare la fiaba e dileguare i dubbi, in certe notti buie, per loro opera al certo, si udivano su nel casinello abban­donato strani rumori di catene strascinate, di stridi sepol­crali, e urla demoniache; e fuochi e fantasmi che appa­rivano e sparivano attraverso le invetriate e mille altre diavolerie e apparizioni, sicché in breve la convinzione e la paura del diavolo invase anche le menti più sicure e il casino si lasciò disabitato, né per offerta al mondo si trovava pur uno in paese che di notte volesse en­trarvi e fermarvisi.

diavoloE così fu che il casino ebbe nome del diavolo e tale lo serba ancora; e le paure, sebbene assai dimi­nuite, pur si mantengono in molte menti deboli e su­perstiziose, da farle rifuggire dal ridente casinello, come il diavolo, secondo esse, scapperebbe dall’ acqua santa o dal segno di croce”.

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