LE BATTAGLIE DI CASSINO – 1

a cura di Cornelio Galas

  • I documenti di Enzo Antonio Cicchino

LE BATTAGLIE DI CASSINO

STRATEGIA

Al mattino del 19 settembre 1943 una colonna di autovetture dello stato maggiore germanico si fermò al chilometro 111 della strada statale Casilina, all’incirca all’altezza di Cassino, fra i monti Aurunci e quello a zampa d’orso su cui sorgeva l’antica Abbazia. Più lontano sorgeva il massiccio lungo delle Mainarde.

Alla testa del convoglio vi era il feldmaresciallo Albert Kesselring, che dopo la partenza di Rommel dal Nord Italia, rimarrà l’unico comandante supremo dell’O.K.W. in Italia. Era giunto nella valle del Gari con il suo Stato Maggiore, coadiuvato in tale occasione anche dal colonnello giapponese Moriaki Shimizu addetto militare presso l’ambasciata del Sol Levante a Roma e da altri tre  ufficiali nipponici.

Mussolini riceve a palazzo Venezia l’addetto militare giapponese Shimizu ed il generale Banzai data 05.05.1942

Le scelte strategiche da attuare in Italia erano dibattute e restarono tali per almeno un paio di mesi. A fronteggiarsi erano le due posizioni strategiche, le due concezioni del condurre la guerra che nascevano da principi militari completamente diversi.

L’una prevedeva lo sguardo dal cielo, la posizione dell’aviatore, quella del generale Albert Kesselring l’altra era invece più strana, controcorrente, era quella ancorata alla percezione sensibile delle azioni del nemico e tipiche di un uomo dall’intuito formidabile, la Volpe del Deserto: Rommel, che Hitler aveva urgentemente in Italia inviato dopo l’otto settembre e stabilitosi ormai da qualche giorno presso il suo Quartier Generale sul lago di Garda.

Da una parte il generale di aviazione Kesselring, temeva che un avvicinamento troppo eccessivo del fronte al suolo tedesco avrebbe fortemente favorito i bombardamenti Alleati sulla Germania Meridionale in quanto – essi – avvicinandosi troppo alla Pianura Padana avrebbero beneficiato di tutti gli aeroporti posti più a Nord, che offrivano maggior vantaggio tattico.

Dall’altro c’era il punto di vista del maestro della manovra Erwin Rommel che temeva invece uno sbarco Alleato nella Pianura Padana che potesse tagliare fuori tutta l’armata tedesca ancora presente nella parte sud dello stivale.

Erwin Rommel and Albert Kesselring in conversation, North Africa, 1942

Dimenticando che forse così facendo avrebbe avvantaggiato gli Anglo Americani nel condurre i loro bombardamenti a tappeto sugli impianti industriali e minerari della Romania, dell’Austria, e che avrebbero bloccato la vitale navigazione del Danubio con il suo continuo flusso di merci e di minerali.

Mettere a rischio tutta l’armata tedesca in Italia tenendola a Sud invece che creare un baluardo di ferro lungo la Linea Gotica a ridosso della Pianura Padana! O trattenere l’esercito alleato a Sud con l’esito di evitare dei bombardamenti nei territori in mano ai nazisti! Questi i punti di vista, ciascuno con le sue ragioni.

Come si sa la spuntò Kesselring, apparentemente perché la sua posizione fu ritenuta dal Führer più vantaggiosa, almeno per l’immagine di un esercito tedesco ancora battagliero. In realtà -lo si è scoperto perché rivelato dal colonnello Eugen Dollman molti anni dopo la fine della guerra – per una ragione per nulla di strategia, o di opportunità bellica. Per un fatto umano.

Semplicemente umano e quasi provato. Fu esplicitamente riferito ad Hitler che Rommel lo si era sentito più volte affermare che non credeva più nella vittoria tedesca e fatto ancor più grave lo diceva ad alta voce, creando sgomento fra i suoi ufficiali. Questo fu dunque il motivo serio che agì sulla scelta del Führer, che si vide costretto a richiamarlo dall’Italia, inviandolo, con il suo Gruppo di Armate B a sovraintendere alle fortificazioni in attesa dello sbarco in Normandia.

Si convenne, inequivocabilmente allora che le Armate del generale di Clark ed Alexander, accolta la posizione di Kesselring (cognome curioso, vuol dire “anello del paiolo”) dunque, dovessero essere trattenute il più a Sud possibile, il più a lungo possibile, e questo era in una zona particolare: il punto più stretto della penisola, il cui tracciato erano i fiumi Garigliano, Gari, il corso settentrionale del Rapido nella metà occidentale dello stivale.

Il grande cosolone delle Mainarde e poi la Maiella e tutto il corso del fiume Sangro fino ad Ortona, nella parte dell’Abruzzo, tratto geografico più tardi comunemente detto “Linea Gustav”.

Dopo le tragedie dell’armistizio dell’8 settembre, i relativi combattimenti  a Porta San Paolo e Monterotondo, fu curiosamente proprio l’addetto militare giapponese a suggerire a Kesselring la posizione di Cassino, che in realtà non era una idea granché originale: veniva infatti riproposto un  piano di battaglia che lo Stato Maggiore italiano aveva fatto già studiare al generale Pollio addirittura nel 1909, che aveva identificato Cassino, ovvero “la bretella di Cassino” quale miglior caposaldo per bloccare qualunque esercito di invasione che tentasse di raggiungere Roma dal Sud.

Pollio per intenderci è lo stesso noto studioso che aveva rianalizzato, mettendone in evidenza gli errori, la tattica delle battaglie del Risorgimento, per esempio scrisse un prezioso volume su la sconfitta piemontese di Custoza nel 1849.

Il centro della Linea Gustav era costituito dalla valle del Liri, larga 10 chilometri, con i suoi due punti fermi: il Monte Cassino, alto 519 m. a nord, e il Monte Maio a sud, con una quota di 900 metri sul fondovalle. Dinanzi a questa linea di difesa ce n’era un’altra, passante per il Volturno, Mignano, Montelungo, San Pietro.

Infine fino a Termoli, strutturata come linea provvisoria che poi però resistette piuttosto bene: la  “Linea Bernard”, o “Reinard” indicata dagli Alleati come ‘Linea d’Inverno’. Su questo fronte, “La Battaglia di San Pietro” durò qualche giorno, portò alla totale distruzione dell’abitato, terribile, fu immortalata per la storia del cinema dalle splendide riprese dirette da John Huston.

Utilizzando sia il lavoro dei soldati tedeschi che quello coatto degli abitanti del luogo, cassinesi, frusinati, ma anche campani, il generale del genio militare Bossel organizzò con criteri strategici tipicamente da trincea dinamica, una infinita serie di gallerie, ricoveri antiaerei, campi minati e costruzioni in filo spinato che sbarravano i  punti più accessibili della linea.

Il corso superiore del fiume Rapido e quello inferiore del Garigliano vennero sfruttati per creare inondazioni, facendone crollare una parte degli argini.

Chi passasse oggi per Cassino, non si spiegherebbe alcuni aspetti di questa strategia, ma deve sapere che la geografia del territorio in parte è stata cambiata, per esempio nel dopoguerra, per evitare inondazioni poco desiderata nel centro del paese fu spostato molto in periferia il corso del fiume Rapido.

Alle spalle della della Linea Gustav all’altezza di Aquino, fu creato una terza linea di appoggio per reagire in caso di uno slittamento temporaneo del fronte: la “Linea Adolf Hitler” o “Sbarramento Senger”. Poi immediatamente vicino Roma, la “Linea C”, tutti segmenti strategici opportuni per  dare  maggior difesa e movimento alla X Armata tedesca.

Intanto Winston Churchill aveva capito che c’era dell’assurdità da parte degli Alleati nel cercare di colpire a morte la  Germania nazista proprio passando per Cassino, ovvero risalendo la penisola, ma si scontrò con l’opinione di Roosewelt e quella interessata di Stalin.

Churchill

Churchill intuiva in anticipo il futuro delle cose, lui si faceva sostenitore di una strategia globale coerente che si ponesse al servizio di un disegno politico unitario che sul piano internazionale aveva lo scopo di frenare l’avvolgente sviluppo imperialistico dell’Armata Rossa. Il  primo ministro britannico aveva indicato più volte infatti, con insistenza, agli stati maggiori Alleati. che il colpo decisivo per l’attacco finale contro la Germania di Hitler, andasse inferto nei Balcani.

La proposta di Winston Churchill non fu ascoltata e così le armate di Stalin ebbero successivamente modo di superare Berlino a nord, occupare Vienna e giungere fino a Trieste a Sud.

L’ABBAZIA DI MONTECASSINO

Già fortezza sannitica e poi romana si aggettava come una zampa d’orso nella vallata controllandone ogni forma di vita. San Benedetto vi fondò il suo monastero nel 529.

Caposaldo strategico, l’Abbazia fu nei secoli ripetutamente distrutta dai Longobardi, poi dalle armate bizantine, etc. Tuttavia  risorse molte volte e fino all’ottobre del ’43 e si abbellì  dei  preziosi affreschi di Luca Giordano, di cui esistono ora purtroppo solo le foto, che possono essere consultate presso l’Archivio dei Beni Culturali all’Istituto del San Miche a Roma.

Ma presso il Monastero vi erano ancora anche altre opere artistiche di pregio, il coro ligneo, incunaboli e  pergamene che testimoniano il nascere della lingua italiana. Montecassino fu uno dei massimi centri di diffusione ed origine della cultura occidentale di ogni tempo, e non solo per gli studi teologici ma anche scientifici.

Prima della distruzione

In più bisogna tener  conto che nella cosiddetta Biblioteca Monumentale i monaci  custodivano i codici originali delle grandi opere latine e greche salvate dalle distruzioni barbariche. Tacito, Tito Livio, Seneca, Sant’Agostino, etc. Una raccolta unica al mondo.

1943

Fra i tanti ufficiali della Wehrmacht che in precedenza si  erano recati a visitare i tesori di Montecassino c’era il  proprietario di una ditta di imballaggi e traslochi di Vienna, il cinquantenne tenente colonnello Julius Schlegel, ed il  trentatreenne medico Becker, appassionato di archeologia.

Quando costoro, si resero conto che la linea Gustav passante  per Montecassino era cosa definitiva fecero pressioni sui loro comandi affinché si organizzasse un piano di messa in salvo di tutte le opere d’arte ivi custodite.

Benché non dessero autorizzazioni ufficiali, la reazione dei  vari generali, soprattutto Conrath e Kesselring fu estremamente positiva, permisero che si sottraessero al fronte più di centocinquanta autocarri pur di compiere un gesto meritorio per la cultura occidentale.

Paul Conrath

Ci volle molta fatica e pazienza per convincere l’abate Gregorio Diamare a dare il consenso di trasferire tutto a Castel Sant’Angelo in Roma.

Si riuscirono così a salvare i circa 70.000 volumi della Biblioteca Monumentale e dell’Archivio. Vennero portati in  salvo 1.200 pezzi di valore storico inestimabile, i sigilli di re Roberto il Guiscardo, re Ruggero I° di Sicilia e poi di  molti papi.

Per giunta si scoprì che nel Monastero non solo erano  custodite le opere d’arte di proprietà religiosa, ma addirittura l’importantissima pinacoteca del Museo di Napoli con i capolavori di Tiziano, Raffaello, Il Ghirlandaio, Tintoretto, Leonardo da Vinci, Bruegel, ed altri.

Lo sgombero completo delle opere si svolse all’incirca tra la metà di ottobre e i primi di novembre. Non tutto però era stato portato via, rimanevano alcune grosse tele d’altare, il coro ligneo del seicento ed ancora molte alte cose preziosissime.

Il salvataggio era stato affidato alla divisione Hermann Goring.
Contemporaneamente a questo trasloco, il Vaticano si era anche mosso affinché il monastero stesso venisse risparmiato dalla distruzione.

Kesselring di sua iniziativa dichiarò Montecassino ed un perimetro compreso per circa trecento metri intorno all’Abazia, -zona neutrale- interdetta per qualunque motivo ai soldati, anche se feriti! E in linea di massima pure gli Alleati accettarono questo accordo.

1944

PRIMA BATTAGLIA

 17 gennaio – 11 febbraio

Mappa militare “Prima battaglia di Cassino” 17 gennaio 1944 – 18 febbraio 1944

A dicembre del ’43, dopo il ricongiungimento delle truppe alleate sbarcate in Sicilia in luglio con quelle sbarcate il 9 settembre a Salerno, sfondando, queste, la “Linea  Reinardt”  sul Volturno, poi occupato San Pietro Infine e conquistato Monte Trocchio, si trovarono finalmente all’imbocco della valle del Liri e quindi a contatto con le prime fortificazioni della “Linea Gustav”.

Dopo i primi assaggi del fronte, il 17 gennaio 1944, finalmente s’inizia la prima fase -quella inglese- della  Prima Battaglia di Cassino.

Essa  ebbe  inizio nel pomeriggio del 17, quando i fanti della  XVII Brigata inglese si lanciarono sugli avamposti della 94°  Divisione Fanteria Tedesca, sul Garigliano inferiore, quasi sulla riva del mare. L’attacco ebbe esito positivo e portò i soldati inglesi sino all’ingresso della vallata dell’Ausente, vallata di estrema importanza visto che si collega direttamente con quella del Liri poco sotto Cassino.

La lotta prosegue sino al 20 gennaio quando i tedeschi ristabilirono le loro posizioni difensive un po’ più arretrate ma più solide.

La sera dello stesso giorno 17 era iniziata anche la seconda fase, quella americana, più ad Est, in zona Cassino. L’attacco venne sferrato dai fanti  della divisione Texas sul fiume Rapido in località Sant’Angelo in Theodice. Con raccapriccio dopo poche ore però, avevano già perso 1700 uomini.

link – Clicca sull’immagine sotto per “entrare” nell’abbazia di Montecassino

L’abbazia di Montecassino

L’esito dell’attacco fu alterno, comunque si protrasse fino al 23 gennaio quando gli americani furono costretti a riattraversare il Rapido e tutto tornò  – con tanti morti – come prima.

Intanto proprio il 23 gennaio era avvenuto lo sbarco di Anzio, che, come si sa, fu un totale fallimento. Sempre a Cassino… eccoci alla terza fase della Prima Battaglia, quella franco-neozelandese. Essa ebbe inizio il 24 gennaio e terminò il 4 febbraio, fu la più lunga e più sanguinosa di tutte. In essa combatterono soldati di ben 11 nazioni.

Iniziò con l’attacco dei marocchini e algerini del generale francese Alfonse Juin dal fianco destro dello schieramento  alleato, diritti verso l’Abazia, Terelle e Caira.

Ai francesi si unirono gli americani di Keyes, spintisi alla periferia di Cassino. Era il 6 febbraio infine, quando maturò l’insuccesso del famoso corpo neozelandese di Freyberg: i cui reparti scelti erano stati chiamati per l’occasione dall’Adriatico, ove l’VIII Armata inglese era rimasta bloccata davanti a Ortona.

DISTRUZIONE Abbazia

SECONDA BATTAGLIA

 12 febbraio – 19 febbraio

Il 14 febbraio, nelle prime ore del pomeriggio strani  proiettili scoppiarono nel recinto del Monastero: ne vennero  fuori dei volantini su cui v’era scritto:

“Amici italiani, attenzione! Noi abbiamo sinora cercato in  tutti i modi di evitare il bombardamento di Montecassino. I  tedeschi hanno saputo trarre vantaggio da ciò. Ma ora il combattimento si stretto ancor più attorno al Sacro Recinto. E’ venuto il tempo in cui a malincuore siamo costretti a puntare  le nostre armi contro il monastero stesso.

Noi vi avvertiamo perché abbiate la possibilità di porvi in salvo. Il nostro avvertimento è urgente. Lasciate il Monastero. Andatevene subito!”

Non appena l’abate Diamare ebbe letto questo messaggio cercò di mettersi in contatto con i tedeschi, ma essendo ancora giorno, ed essendo il territorio interdetto a qualsiasi movimento, solo  a tarda notte alcuni rifugiati riuscirono ad avvicinare l’equipaggio di un carrarmato e a dare la notizia. Nessun ufficiale si fece vivo.

Il gen. Frido von Senger und Etterlin e l’abate Gregorio Diamare il 17 febraio 1944 nei pressi del Comando tedesco a Castelmassimo di Veroli

Solo verso le cinque del mattino dell’ormai 15 febbraio, quando don Martino Matronola si accingeva ad uscire -a suo rischio-  per recarsi al Comando Tedesco, ecco giungere a Montecassino il tenente Deiber, accompagnato da un soldato.

Costui definì il manifestino alleato ‘mezzo di propaganda’. Inoltre dichiarò che l’unica cosa che avrebbe potuto fare per i rifugiati sarebbe stata quella di tentare -fra la mezzanotte e le cinque del mattino del giorno 16- di far loro raggiungere le retrovie attraverso una mulattiera rasente la montagna. Comunque, in assoluto, non era permesso a chiunque di andare verso Cassino.

Tutto rimandato di un giorno quindi. Troppo tardi.

Infatti alle 9.45, i monaci avevano appena celebrato Messa, quando… durante la preghiera d’invocazione alla Vergine,  un’esplosione terribile scosse dalle fondamenta il cenobio, uno stormo di 142 fortezze volanti, dopo essere decollate dagli aeroporti pugliesi lasciò cadere sull’Abbazia 576 tonnellate di bombe.

Il  bombardamento, salvo qualche interruzione, durò tutta la giornata e, perché non ci fosse un attimo di tregua, fra il giungere di uno stormo e  l’altro, si abbattevano sul Monastero le centinaia di granate dell’artiglieria pesante giù nella valle e quella dei cannoni delle navi alla fonda nel golfo di Gaeta.

Churchill non fu soddisfatto dell’efficacia di quel raid aereo, lo considerò in effetti mal riuscito, forse perché le mura più antiche non crollarono sotto la deflagrazione delle bombe e salvarono tanta gente.

Ma le vittime furono incalcolabili! Diverse centinaia, non si è mai riusciti a darne un numero esatto. Per ironia della sorte un grappolo di bombe cadde pure sull’accampamento di Clark provocando decine di morti.

Eppure i tedeschi, sebbene fossero disseminati per il Monte Cassino, non erano a Mentecassino!

Che il Monastero potesse essere sfruttato dai tedeschi come ottimo posto di osservazione è una idea da scartarsi a prori perché un punto così appariscente è completamente inadatto all’installazione di un osservatorio bellico. La tattica  tedesca prescriveva che questi fossero situati a mezza costa e su fondo mimetizzato.

Gli Alleati lo sapevano bene che Montecassino non era occupato dalla Wermacht, già il 25 ottobre ed il 7 dicembre, la Segreteria di Stato della Santa Sede aveva ufficialmente chiesto agli Anglo-americani e ai tedeschi di avere rispetto per il  Monastero. I tedeschi vi avevano perciò lasciato un perimetro di circa trecento metri di zona smilitarizzata tutt’attorno.

Assicurazioni di rispetto per l’Abazia erano state poi espresse anche dalla legazione britannica presso la Santa Sede.

La sconfitta subita dai neozelandesi nella Prima Battaglia di Cassino era cocente. Ciò spinse molti a ricercare un capro espiatorio e la colpa fu addossata al Monastero che dall’alto dominava tutti gli accessi alla città ed alla Casilina.

Certo la colpa dell’insuccesso, soprattutto da parte di Freyberg  fu attribuita all’Abbazia invece che alla montagna sulla quale sorgeva!

Il generale neozelandese affermava che pur avendo conquistato la collina del monastero e pur essendo giunti a  cento metri dalle mura dell’Abbazia, da attaccanti non avevano potuto mantenere le posizioni conquistate in quanto la propria artiglieria non aveva potuto bersagliare con efficacia le posizioni germaniche proprio per paura di colpire il Monastero!

Questo argomento fu usato ripetute volte in quei giorni come mezzo di propaganda anche dalla BBC e dalla radio americana. Ragion per cui il ministro inglese Osborne, a nome di Winston Churchill,  si rivolse di nuovo alla Santa Sede affinché si accertasse la veridicità intorno all’Abazia della ‘neutral zone’ tedesca.

Intanto il 12 febbraio il generale inglese Alexander, dopo essersi consultato con Londra, fece sapere che se l’eroico Freyberg riteneva necessario che si bombardasse il Convento, poteva ben farlo come e quando volesse.

Il generale statunitense Mark Clark, datosi che gli aerei da bombardamento in tal caso sarebbero stati appunto americani, volle parlare ancora una volta con Alexander. Prima di dare l’ordine definitivo fu dunque mandato un tecnico militare in perlustrazione su un piccolo aereo intorno all’Abbazia per verificare se fosse proprio vera l’opinione dell’ostinato capo neozelandese.

Purtroppo il generale Jacob Devers, di ritorno dal sopralluogo, per aver scambiato i parafulmini che sovrastavano le mura del convento per antenne radio finì proprio  per dare l’ultima conferma sbagliata e togliere i dubbi. Freyberg l’ebbe vinta.

Bernard Freyberg a Cassino il 3 gennaio 1944

Tuttavia, pur dando l’assenso, il generale americano Mark Clark non era d’accordo sull’operazione, infatti lui condivideva il pensiero dell’amico gen. Keyes il quale riteneva che il bombardamento non solo non avrebbe giovato alle truppe attaccanti ma ne avrebbe reso addirittura ancora più difficile il compito: i tedeschi, se lì dentro non c’erano, poi si  sarebbero sentiti autorizzati a prenderne possesso e servirsi delle rovine come valide posizioni difensive. Tant’è vero poi proprio così accadde.

Altro aspetto insensato della logica di Freyberg: subito dopo  il bombardamento non attaccò immediatamente il Monastero per occuparlo, come si sarebbe potuto immaginare, ma aspettò il 23 febbraio, quando i tedeschi vi si erano posizionati già da otto giorni ed avevano incorporato il rudere come punto chiave della loro linea difensiva. Inoltre Freyberg aveva cambiato addirittura la direzione d’attacco, non più l’Abbazia, ma Cassino.

Geoffrey Keyes

Una domanda sorge spontanea, se Clark non era d’accordo per il bombardamento, perché lo permise? La risposta è ormai chiara ed inequivocabile, Clark obbediva agli ordini di una più alta autorità politica ed in particolare alle esigenze di rapporti di fiducia che intercorrevano tra i  Governi delle potenze che formavano la coalizione Alleata ed i  loro singoli comandanti sul campo.

La decisione fatale comunque maturò esclusivamente in seno ai vertici politico militari dei due grandi protagonisti: Inghilterra e Stati Uniti. Infatti il permesso alla distruzione venne direttamente dal Ministero della Guerra inglese e americano, vale a dire da Churchill e Roosevelt.

In tal grave situazione che vedeva i bei giovani delle colonie inglesi decimati dalle mitragliatrici teutoniche, l’eroico generale Freyberg aveva tutto il buon diritto di chiedere il bombardamento dei tedeschi nell’Abazia, pur di salvare le proprie gioventù da altra morte sicura. In tale ottica era perciò doveroso che Freyberg fosse accontentato.

I britannici poi, non avevano alcun interesse a guastarsi rapporti proprio con la divisione neozelandese, con il suo  generale e soprattutto con il suo governo, rifiutando di bombardare un Convento che per Auckland o Wellington non aveva alcun significato.

Se gli inglesi si fossero rifiutati di aderire a quella richiesta potevano derivarne conseguenze incalcolabilmente gravi da un punto di vista militare, potevano addirittura comportare il ritiro della stessa divisione neozelandese dall’Italia e dal fronte per ordine del suo Governo.

E’ da tener presente che le truppe dell’Impero Britannico dipendevano dai rispettivi Dominion anche sul campo di battaglia, essendo sottoposte all’autorità di comando britannica solo per l’impiego. Si poteva perciò innescare un ritiro a  valanga di tutte le truppe Alleate, dai Brasiliani ai Canadesi, agli Indiani, Sudafricani, etc.

Comunque era proprio necessario occupare Montecassino per sfondare la Linea Gustav? Dal punto di vista della tecnica militare si afferma che quando un esercito si trova nella sua avanzata dinanzi ad un ostacolo inespugnabile è sempre bene aggirare l’ostacolo, accerchiarlo e non insistere a cozzarvi contro.

Tale strategia fu proposta, già all’inizio della prima battaglia, dal generale francese Alfonse Juin, ma non trovò ascolto. Si riteneva che Alfonse Juin -con i suoi marocchini- fosse un gregario di scarsa importanza. Ma era lui ad aver ragione!

TERZA BATTAGLIA

 20 febbraio – 25 marzo

Intanto pur se il 15 febbraio l’Abbazia era stata distrutta, e poi il 15 marzo anche l’abitato di Cassino raso al suolo da  2000 ton. di bombe. Gli Alleati cercano di penetrare con i loro blindati fra le macerie ma vengono ancora una volta respinti  dai superstiti della I° divisione paracadutisti del tenente  generale Heidrich. Si sono inoltre ripetuti i fallimentari attacchi per  occupare la stazione di Cassino.

Le zone strategicamente importanti per tutte le fasi delle quattro battaglie ricordiamo -La dorsale del Fantasma, La Masseria dell’Albaneta, Monte Calvario, Rocca Janula, La Collina dell’Impiccato- Ogni luogo ha una sua storia, ogni storia un fiero tributo di eroismo e di sangue.

NOTA: Quanto alle battaglie, esistono due forme di numerazione, quella tedesca conta tre battaglie difensive mentre gli Alleati quattro battaglie offensive. La cronologia qui seguita riporta lo schema Alleato.

QUARTA BATTAGLIA

26 marzo – 18 maggio

Mentre i principali generali del fronte tedesco sono a Berlino, il corpo di spedizione francese al comando del generale Alfonse Juin aggira alle spalle lo schieramento tedesco passando per  gli Aurunci. Costringe le truppe germaniche all’abbandono di tutta la linea del fronte per evitare l’accerchiamento. Le  truppe polacche occupano Montecassino, lasciato vuoto dai paracadutisti.

La battaglia sulla Linea  Gustav  durò fino a maggio. Churchill da Londra chiese ad Alexander il perché della ridicola progressione dell’avanzata dopo tanto uragano di  fuoco buttato addosso ai tedeschi. Alexander addusse varie ragioni e di ogni genere. Ma, prima fra tutte, indicò la difficoltà nell’utilizzo dei carrarmati in quel mare di pietre, buche, fango e rovine che loro stessi con i bombardamenti avevano contribuito a creare.

Praticamente ammise che quel diluvio di fuoco aveva creato la migliore barriera difensiva per i tedeschi. Ma con estrema onestà, mise nella massima evidenza anche il valore eccezionale dei soldati germanici che combattevano come spinti da una  forza non più umana, con una tenacia incredibile.

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento