LE ATROCITÀ DELLA “BANDA CARITÀ” – 1

a cura di Cornelio Galas

Questa volta cominciamo dalla fine. Anche perché proprio in Alto Adige finisce il capo di una feroce banda fascista, colpevole di una serie di omicidi, torture, atrocità d’ogni tipo. Nella notte tra il 18 e il 19 maggio 1945 moriva nei pressi di Siusi, colpito da una sventagliata di mitra americano il maggiore “repubblichino” Mario Carità.

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Viene ucciso dalla polizia militare americana nella camera da letto di una casa di contadini in provincia di Bolzano dove si era messo al sicuro assieme a una donna e un tesoro in lire e preziosi. Le sue due figlie, sistemate in un’abitazione vicina, vengono prese. Si tratta di una casa a Castelrotto vicino all’Alpe di Siusi (Bolzano).

La polizia militare è sulle sue tracce da tempo. Lui è a letto con l’amante Emilia Chiani, prende la pistola e spara uccidendo un soldato, quindi viene freddato e nella sparatoria la donna rimane ferita.

Mario Carità (al centro)

Mario Carità (al centro)

Venti giorni esatti dopo l’uccisione del suo capo, Benito Mussolini, bloccato dai partigiani con l’amante mentre cercava di fuggire in Svizzera, muore dunque in circostanze simili il più feroce degli aguzzini fascisti della Repubblica Sociale Italiana, Mario Carità, appunto, fondatore della cosiddetta Banda Carità rimasta tristemente celebre in Toscana e Veneto per le feroci torture che infliggeva agli antifascisti.

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“Il tesoro che portava con sé – scrive il giornalista, storico Roberto Brumat – lo aveva affidato alla figlia più giovane della proprietaria di casa, Frida Planötscher, che ricevette una busta in cuoio con 1.400.000 lire, 200 monete d’argento di vario conio, due orologi d’oro, quattro anelli d’oro di cui uno con brillante di raro valore, tutto frutto di furti, da nascondere in una mangiatoia della stalla del maso Sielber.

A guerra finita Frida Planötscher (denunciata per appropriazione indebita aggravata), divise con quattro amici quel bottino tenendone la parte più rilevante; i carabinieri vennero a saperlo e così saltò fuori anche una seconda borsa contenente banconote da mille e da cinquecento lire che Carità aveva nascosto nel sottotetto del maso, e che la pioggia danneggiò”.

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La notizia, incompleta, della morte di Mario Carità, apparve in poche righe nel primo numero (24 maggio 1945) del giornale del Comitato di Liberazione, Alto Adige: “Il maggiore Mario Carità, capo delle SS italiane, è rimasto ucciso con la sua amante in un albergo delle Dolomiti durante una sparatoria con dei soldati americani che vi si erano recati per catturarli. Sono pure rimasti uccisi due soldati americani”. 

Mario Carità (al centro)

Mario Carità (al centro)

Del caso si scrisse diffusamente solo il 4 maggio dell’anno successivo, nel 1946, quando si venne a sapere del “tesoro” che il maggiore aveva portato con sé. (l’Alto Adige (4/5/1945):

“Prima cura del delinquente, appena messe al sicuro le sue zanne ancora insanguinate sotto il tetto dì una compiacente seppur effimera ospitalità, fu quella di nascondere il suo tesoro.

Chiamò la figlia più giovane della famiglia, Frida Planötscher e le affidò una busta di cuoio contenente un milione e quattrocentomila lire in liquidi, duecento monete d’argento di vario conio, due orologi d’oro, quattro anelli d’oro, di cui uno con brillante di raro valore. Il tutto venne in un primo tempo nascosto dalla signorina Frida in una mangiatoia della stalla del maso”.

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Ma nella notte tra il 18 e il 19 maggio il Carità e la sua amante furono sorpresi da militari americani (una delazione?): ci fu un conflitto a fuoco, il Carità morì, la sua donna fu ferita (la notizia di un anno prima la dava per morta), illese le due figlie del maggiore che erano state da lui dislocate prudentemente in un edificio vicino.

Si è ipotizzato che il Carità pur di non cadere nelle mani degli alleati, si fosse alla fine suicidato. Diego Meldi (“La Repubblica si Salò”) ritiene che sull’episodio vi siano state non poche ombre. Comunque Frida Planötscher, trovatasi tra le mani quell’autentico tesoro, lo distribuì in parte a quattro persone amiche, tenendosi il resto.

Lo vennero a sapere i carabinieri di Castelrotto, e così si apprese anche di una seconda borsa contenente banconote da mille e da cinquecento lire che il “famigerato maggiore” aveva nascosto nel sottotetto del maso.

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Ma chi era Mario Carità? Mario Carità di fu Gesù – questo il suo vero, incredibile nome e cognome, nessuno avrebbe pensato che quell’orfanello a 40 anni sarebbe diventato assassino e selvaggio aguzzino torturatore.

Nato a Milano il 3 maggio 1904 (il padre non lo volle riconoscere), a 15 anni Mario Carità divenne squadrista tra i fascisti della prima ora prendendo poi parte a Lodi e Milano alle spedizioni punitive tra il 1920 e il 1922, guidate dal giornalista Luigi Freddi. Sparò una prima volta sulla folla durante un comizio elettorale a Milano nel 1919 e finì in prigione; poi fu coinvolto in un omicidio.

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”Come rappresentante di apparecchi radio Philips – scrive ancora Brumat – si trasferì con la moglie a Firenze lavorando come elettricista in un negozio di radio che lo licenziò quando venne fuori che li aveva derubati. Così aprì un laboratorio di riparazioni nella centrale via Panzani: l’attività rendeva molto, soprattutto perché nel retrobottega aveva istituito una bisca clandestina con annessa stanza per appuntamenti.

Ma non temeva denunce, dato che per hobby faceva lo squadrista e la spia della polizia di regime. Con lo scoppio della guerra, trovò il modo di rendersi ancora più utile alla polizia segnalando chi gli portava la radio ad aggiustare e gli raccontava di ascoltare la vietatissima trasmissione Radio Londra, con cui dal 1938 la BBC dava informazioni in italiano sugli esiti della Resistenza (più tardi anche indicazioni in codice ai partigiani).

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Già da prima della caduta del fascismo (25 luglio 1943) Mario Carità era nel libro paga della polizia segreta OVRA (Opera Volontaria per la Repressione dell’Antifascismo) che contava su molti informatori volontari, come lui.

Dopo l’8 settembre del ’43 e dopo la morte (tre giorni dopo) di sua moglie, con la nascita della Repubblica Sociale Italiana ottenne dai tedeschi il comando di un reparto di SS italiane, le cosiddette Italienische Waffenverbände der SS affiliate alle Waffen SScol compito di addestrare quanti avevano risposto all’ordine di affiancarsi ai tedeschi.

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Dopo il 17 settembre 1943 a Firenze all’interno della 92^ legione delle camicie nere (poi confluita nella Guardia nazionale repubblicana) venne istituito l’Ufficio politico investigativo con a capo proprio lui: prese il nome di Reparto Servizi Speciali, in gergo popolare la Banda Carità, alle dirette dipendenze dalle SS in Italia e in stretto collegamento con la Repubblica Sociale Italiana.

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 Carità, col grado di seniore (pari a quello di un maggiore dell’esercito) aveva ai suoi ordini una sessantina di uomini divisi in tre squadre: la Manente che si autodefiniva la squadraccia degli assassini, la Perotto detta la squadra della labbrata e la squadra dei quattro santi”.

Il «Gazzettino» del 26 settembre 1945, riferendo sull’apertura del processo celebrato alla Corte Straordinaria d’Assise di Padova contro la banda Carità, cosi diceva: “La fosca attività che per lunghi mesi ha gravato, con un alone di ossessionante mistero, sulla vita padovana, nell’ultimo periodo dell’oppressione nazifascista ad opera della tristemente famosa banda Carità, dietro le vecchie mura del Palazzo Giusti di via San Francesco, si è stamane ravvivata di sinistra luce nella prima giornata di udienza al processo contro un gruppo di componenti, i principali della sbirraglia prezzolata al servizio del nemico invasore”.

"Villa Triste" (Palazzo Giusti) a Firenze

“Villa Triste” a Firenze

Aveva avuto inizio quel giorno, dopo un’inchiesta istruttoria condotta dal Pubblico Ministero Aldo Fais, il giudizio pubblico dell’operato della banda Carità, assente tra gli imputati il principale responsabile, Mario Carità, sorpreso come detto in apertura, nel sonno da due soldati americani all’Alpe di Siusi ed ucciso mentre tentava di afferrare la pistola che teneva a portata di mano.

“Sul banco degli imputati – scrive Taina Dogo Baricolo in “Ritorno a Palazzo Giusti : testimonianze dei prigionieri di Carità a Padova, 1944-45″ – Firenze : La nuova Italia, 1972 – sedici uomini e tre donne, quasi tutti toscani. Chi erano? Quali colpe erano loro attribuite? Dove e come avevano agito prima di insediarsi nell’ottobre del 1944 nel Palazzo Giusti di Padova?

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Il clima di disgregazione politico-morale della repubblica fantoccio di Salò ha certamente favorito lo sviluppo di quei gruppi d’azione paramilitare, le cosiddette bande di tortura, in cui istinti degeneri, desideri di vendetta, ambizioni paranoidi dei singoli si manifestavano con atti di efferata crudeltà.

È pertanto nel quadro degli avvenimenti storici verificatisi in Italia dopo 1’8 settembre, che va ricercato l’ingranaggio che ha permesso all’informatore fascista Mario Carità di assumere un incarico poliziesco ufficiale e di servirsene con tanta insensata criminalità attraverso la banda di tortura da lui organizzata con i peggiori elementi di Firenze, servendo di esempio allo stesso Pietro Koch.

Pietro Koch

Pietro Koch

Verso la metà di settembre del 1943 Ricci, tornato in Italia, con l’incarico di comandante della nuova milizia, da Rastenburg dove si era incontrato con Mussolini, aveva aperto il reclutamento con risultati modesti, ma sufficienti per far nascere nelle varie regioni le sezioni di partito, ricostituite dai relitti del vecchio regime.

RENATO RICCI

RENATO RICCI

E, come Ricci e Pavolini, segretario del nuovo Partito Fascista Repubblicano, erano di origine toscana, cosi questa regione divenne automaticamente la base delle nuove organizzazioni fasciste.

MUSSOLINI CON PAVOLINI

MUSSOLINI CON PAVOLINI

A Firenze si ricostituisce rapidamente la XCII legione della milizia, con gli ex fascisti che in Toscana erano rimasti fedeli al regime dopo la bufera del 25 luglio. I tedeschi, poco propensi a credere alle capacità organizzative, militari e politiche del nuovo governo fascista, ne prendono le redini, affidando a Rahn il comando politico dell’Italia, a Kesselring e a Rommel quello militare, a Wolff il comando delle SS e della polizia.

MUSSOLINI CON RAHN

MUSSOLINI CON RAHN

In virtù di questo potere, Wolff organizza la distruzione dei primi nuclei di resistenza degli antifascisti, attribuendo alla nuova milizia funzioni poliziesche più che militari. A Firenze, appunto con un tale tipo di incarico, comincia a far parlare di sé Mario Carità.

Già confidente politico della Questura, egli si era presentato subito dopo l’8 settembre alle nuove autorità tedesche ed era entrato al loro servizio come ufficiale di collegamento con l’esercito nazista.

KARL WOLFF

KARL WOLFF

Dopo qualche settimana, lascia tale incarico al ten. Giovanni Castaldelli, un ex prete, ed assume col grado di maggiore il comando del costituendo Reparto Servizi Speciali (RSS) dipendente dalla XCII legione.

Per espletare le sue nuove funzioni, Carità stabilisce una prima sede in via Benedetto Varchi; si trasferisce in novembre nella Villa Malatesta in via Foscolo, e infine, nel gennaio del 1944, in quella che sarà la Villa Triste di Firenze, in via Bolognese.

Contemporaneamente organizza altri uffici in diverse zone della città (Hotel Savoia, Hotel Excelsior), passando da una sede all’altra con itinerari e macchine diverse, accompagnato sempre dal suo autista personale, Antonio Corradeschi, e da due militi armati di mitra, e utilizzando spesso un’autoambulanza come copertura.

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La sua abitazione privata è un lussuoso appartamento in via Giusti, già proprietà di un ebreo. Attorno a sé raccoglie rapidamente 200 uomini, espressione di un’umanità viziosa e violenta. Divisi in gruppi, essi assolvono a servizi precisi: stato maggiore (del quale fa parte in un primo tempo anche Pietro Koch), guardie personali del maggiore Carità, amministratori, addetti ai corpi di reato, informatori, spie, addetti ai rastrellamenti e alle spedizioni punitive.

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Quest’ultimo gruppo si fraziona in squadre, che ben presto diventano famose: tra queste, la squadra Perotto, detta «squadra della labbrata », la squadra Manente o «degli assassini », e la «squadra dei quattro santi» (N. Cardini, A. Natali, Menichetti e L. Sestini).

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Così organizzata, la banda Carità prende l’appellativo di Ufficio di Polizia Investigativa (UPI) delia Guardia Nazionale Repubblicana di Firenze. Ne fanno parte fin dall’inizio, oltre Corradeschi e Castaldelli, parecchi di coloro che vedremo poi nell’autunno del 1944 nel Palazzo Giusti di Padova o in via Fratelli Albanese a Vicenza: V. Chiarotto (capo guardia personale di Carità), T. Piani e Massai (guardie personali di Carità), Faedda (amministratore), A. Sottili (addetto ai corpi di reato), A. Fogli (informatore), U. Cialdi (spia), F. Bacoccoli (rastrellamenti e spedizioni punitive).

Affiancando, nelle sue funzioni investigative, le SS tedesche e pur dipendendo ufficialmente da esse, la banda Carità, come altri organi fascisti, conduce una specie di guerra privata contro le forze della Resistenza, esasperando la violenza della lotta con atti di dissennato sadismo.

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Nel corso dei processi celebratisi a Padova e, piu tardi, a Lucca, sono emersi raccapriccianti testimonianze sui mezzi di tortura usati per estorcere delle confessioni ai prigionieri. Ma di questo si parlerà più avanti.

Al loro arrivo a Padova sorpresero la Resistenza veneta con l’esperienza acquisita dell’uso di metodi inquisitori di sapore medioevale. È probabile tuttavia che considerazioni di opportunità come l’imminente fine della guerra, l’inevitabilità della sconfitta tedesca e la possibilità di utilizzare i prigionieri come moneta di scambio, abbiano contenuto l’elenco dei morti fra i prigionieri caduti nelle mani della banda Carità a Padova e a Vicenza.

Gino Gobbi

Gino Gobbi

Il 10 dicembre 1943 un gruppo di partigiani scende dalla montagna a Firenze e uccide il comandante fascista Gino Gobbi. Il giorno seguente viene organizzata una rappresaglia e Carità ordina la fucilazione di 10 ostaggi; solo per il pressante intervento di autorità fasciste, il numero sarà ridotto a cinque. Il 12 febbraio 1944 cade a Firenze Alessandro Sinigaglia, capo dei GAP. Arrestato in una trattoria dalla squadra dei “quattro santi”, tenta la fuga; Cardini spara e lo uccide.

II 22 dello stesso mese compaiono davanti al Tribunale Militare Straordinario cinque giovani accusati di renitenza alla leva. Carità, che assiste al processo, induce i giudici, di cui era amico, a condannarli li. morte. La sentenza viene eseguita il giorno stesso a Campo di Marte: Carità 3_dannunziodà il colpo di grazia.

Il l° marzo, durante lo sciopero generale organizzato dal CLN, il più grosso sciopero effettuato nell’Europa occupata, le maestranze della Manifattura Tabacchi di Firenze avevano incrociato le braccia. II Carità, accompagnato dal prefetto Manganiello, che provava verso di lui rispetto e timore, entra nella fabbrica e, con i suoi sgherri, distribuisce pugni e calci alle donne che gli oppongono, davanti alle macchine ferme, tutto il loro disprezzo.

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Il 30 aprile Bernasconi, Masi, Cecchi e Gramigni uccidono a Carmignano Bruno Cecchi, noto antifascista. Lo stesso giorno Sottili ed Elio Cecchi arrestano a Firenze Gino Cenni mentre esce dalla sua abitazione in Lungarno del Pignone, e in auto si dirigono verso la località « Canonica». Qui lo fanno scendere e gli sparano a bruciapelo sul collo lasciandolo ferito molto gravemente.

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Anna Maria Enriques Agnoletti

L’11 maggio una spia fascista si presenta ad Anna Maria Enriques Agnoletti, chiedendo rifugio. Il giorno dopo Anna Maria è arrestata e sottoposta per settimane a torture dai tedeschi e da Carità. Sarà ospite della Villa Triste di via Bolognese fino al giorno della sua fucilazione, eseguita il 12 giugno. Avrà per compagni alcuni dirigenti di “Radio Cora” scoperti mentre trasmettevano da un’abitazione di piazza D’Azeglio.

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La sera del 19 dello stesso mese quattro uomini armati (Corradeschi, Cecchi, Massai e un altro) si introducono nell’abitazione della signora Maria Koss in via de’ Tavolini 2 a Firenze, dove erano convenuti il sottotenente Vincenzo Vannini, Franco Martelli e Rocco Caraviello per studiare il modo di liberare alcuni partigiani ricoverati nell’Ospedale Militare di Firenze.

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Rocco Caraviello

La Koss e tutti i partecipanti al convegno, arrestati, vengono condotti in via Bolognese, ad eccezione del Caraviello, ucciso subito dopo l’arresto in un vicolo dietro piazza della Signoria ed abbandonato cadavere nel Chiasso del Buco.

La sera stessa, dopo sevizie e sommari interrogatori dei prigionieri, sono tratti in arresto anche il fratello del Caraviello, Bartolomeo, e la moglie Maria Tenna. Nelle prime ore de1 21 giugno, la Koss, la Tenna e il Vannini sono condotti in macchina nella Val Terzollina. Il Vannini riesce a fuggire, ma le due donne sono freddate con una raffica di mitra.

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Qualche ora più tardi il Martelli e Bartolomeo Caraviello con un altro prigioniero, Edgardo Savoli, subiscono la stessa sorte nei pressi del Campo di Marte. Infine, nella notte tra il 6 ed il 7 luglio Carità uccide Carlo Griffoni, noto antifascista fiorentino, dopo averlo derubato di portafoglio e gioielli.

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