“LA SARCA”, L’ACQUA “RUBATA”

LA SARCA, STORIA DI UN FIUME “RUBATO” ALLA COMUNITA’

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da Nerino Torboli una canzone proposta 30 anni fa a Radio Spazio Tre

a cura di Cornelio Galas

Uno dei miei primi articoli sul giornale l’Adige – parlo degli anni Settanta – riguardava proprio il fiume Sarca. O meglio, “la” Sarca, perché questo è l’articolo determinativo che, storicamente, precede il nome del corso d’acqua trentino. Ho sempre avuto, fin dall’infanzia – grazie ai “filò” serali che sostituivano la mancanza del televisore in  casa (fatto salvo “Lascia e Raddoppia” al bar Cattoi di Vignole) – una grande curiosità per questo fiume. Che sì, diciamolo, ad un certo punto è stato di fatto “rubato” all’ambiente. Messo in galleria. Per scopi idroelettrici. A distanza di anni gli “Amici del Sarca” si stanno battendo, da tempo, per ridare almeno parte di quell’acqua, di quella “forza” al fiume. Si parla – pure da tempo – di parco fluviale. Qualcosa è stato fatto. Qualcosa forse si farà. Spero di vivere abbastanza per vedere i risultati, concreti, di questi progetti. Intanto propongo la storia di questo fiume. La sua “Odissea”: dagli anni in cui era veramente “la Sarca”, quasi una sorella, una fidanzata, una moglie del nostro territorio. Fino a quei giorni che ne decisero (irrimediabilmente?) il destino.

-Ricevo da Gilberto Galvagni di Arco:

“… si perchè da bòci (primi ani zinquanta), noi gh’avem sèmper ciamà: EL SARCA. Quando te te devi apuntamento per zugar su le so sponde se diseva: “…ne trovém soto ‘l ponte del Sarca…”; o quando a l’oratòri neva zo ‘l balom…l’era la stessa storia: “…òs-cia n’è na ‘l balom nel Sarca…”; o quando ne butevem nel “Fitom” a Prabi o nele poze de Prabi per ‘mparar a noar, nevem al “Penèl” e per enfrancarne mèio, ne butevem e ne fevem portar su l’altra sponda dala corente del Sarca (perchè Cornelio gh’è anca da dir che na vòlta el nòss Sarca l’era pù sior de acqua!!).
Ensoma, che te diga mi…per mi sarà sèmper el me Sarca e…la Sarca… gh’el lasso dir ai lezudi.
Ciao Cornelio e lèzi l’alegato prima de nar en do che no passa cari.
Bòna not, meto zo.
… scusa, me som desmentegà. 
Tuta sta tiri tera chi de soto, sol per dirte bravo per el servizi sul Sarca che t’hai mess su la TV de la libera Republica de Vignòle.
Bòm, rimeto zo valà.
Firmato: Mi
Gilberto

EL ME SARCA

di Gilberto Galvagni

Gilberto Galvagni

Gilberto Galvagni

El me Sarca

alegher piem de vita

nel so lèt el scoreva.

Enluminà de slusegori

soto i ragi che ‘l sol

el ghé ‘mpresteva.

Da ‘na sponda a l’altra

se coreva drio le rondole!B87zUdgBmk-$(KGrHqYOKoYEz!t)k8nIBM4YMOC7Lg--0_35

basse

così per zugar

per fermarse po’ a polsar

su ‘n de ‘n ram de siresèra

che l’oràl lizer del me Sarca

piam piam el dondoleva.

Nel tèmp ch’è nà

quando nei penseri$(KGrHqZ,!o0E63YVvQ8)BO5i80WJbw--60_35

no’ gh’èra tensiom

no’ gh’èra mistéri

en gran’ tant mi ho zuga

su quele sponde…

…me rèsta sol ricòrdi

de ore spensierade

de spruzi d’acqua fresca9957969

de tufi ‘n le so onde.

Nele sere pù calde d’istà

en la so acqua se spegiéva la luna

e tut el ciel

co’ le stele a corona.

S’empizéva le luciole ‘ntorno

e i veciòti al muret lì postadi

i godéva n’oreta ‘n frescura

i se contéva dei tèmpi passadi.

El me Sarca adèssed1250

no’ ‘l gh’è pù

l’è mòrt!

Nel so lèt

gh’è zo  ‘n rigagnol d’acqua

lènta la score

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L’è somenà

de sassi

dal sol brusai

nudi.

Nudi e bianchi

come òssi de schèletri spacai !

Colori no’ghé n’è

l’azuro l’è sparì

tut s’è fat pù trist

tut s’è fat pù griso.

El me Sarca

no’ ‘l g’ ha pù vita

no’ gh’è pù gnan’ la breza150578713237_1_2_1

pianze anca le rondole

sul ram de sirezèra…

…e a mi…

a mi me pianze ‘l còr

nel ricordar el Sarca

come l’èra !!

Arco, 2 novembre 1987.

DOVE NASCE, DOVE MUORE

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Il Basso Sarca fa parte del bacino idrografico del fiume Sarca, che scorre nel Trentino sudoccidentale. Questo fiume nasce dai ghiacciai del gruppo Adamello Presanella con caratteristiche torrentizie e con regime alpino e sfocia nel lago di Garda dopo aver percorso circa 80 km con una portata media annua di circa 40 metri cubi al secondo.

Il tratto iniziale è caratterizzato da diversi rami che si riuniscono sul fondo valle di Madonna di Campiglio: il Sarca di Nambino, di Campiglio e di Nambrone, sulla destra, il Sarca di Vallesinella, di Brenta e di Valagola sulla sinistra. Gli affluenti del tratto iniziale, trovandosi su valli sospese, creano delle imponenti cascate, come quelle del Lares e di Genova nelle valli omonime.

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Il Sarca bagna poi la Val Rendena e le Valli Giudicarie Centrali dove, nella zona di Ponte Pià, è sbarrato da una diga dell’Enel che fornisce acqua alla centrale idroelettrica di Santa Massenza. In questa grande centrale arriva anche l’acqua del Sarca raccolta a Carisolo, incanalata in galleria e mandata nel lago di Molveno, da dove in condotta sotterranea alimenta la centrale. Il martoriato percorso di parte dell’acqua del fiume continua. Dal lago di Santa Massenza l’acqua passa a quello di Toblino, e poi, attraverso il canale Rimone, finisce nel lago di Cavedine. Di qui, in galleria, termina nei pressi di Torbole dove è situata la centrale idroelettrica di Linfano.

Ma torniamo a Ponte Pià. L’acqua in eccesso continua nel suo corso naturale e attraversa le Valli delle Giudicarie Esteriori; scorre poi nella forra del Limarò, uno dei più  spettacolari canyon della regione scavato tra i monti Casale e Gazza, per uscire a Sarche. Nel suo corso inferiore il fiume Sarca bagna la piana alluvionale del Basso Sarca e infine sfocia nel lago di Garda.

LA PESCA

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Se attualmente la pesca sul fiume Sarca viene praticata come un’attività sportiva, un tempo invece era un modo per procurare cibo utile all’alimentazione della famiglia. Così come per l’agricoltura, le foreste e i pascoli anche per la pesca gli antichi Statuti di Arco, risalenti alla seconda metà del XIII secolo, prevedevano regole di tutela. L’art. 15 stabiliva che «se qualche persona sarà trovata a pescare nella Sarca, con lo scopo di catturare cavedoni, passata la festa della Resurrezione di Pasqua fin da Quaresima sia con le reti che con le fiocine, paghi al Comune cinque soldi veronesi ogni volta, a meno che non sia stato comandato o precettato dal signore o dai consoli di codesta terra».

Il periodo dell’anno citato era importante per la riproduzione dei cavedoni e quindi quella specie ittica andava rispettata. Si lasciava aperta comunque la possibilità di un’eccezione alla regola su richiesta delle maggiori autorità del territorio, i conti ed i consoli. Il rispetto del periodo riproduttivo di alcune varietà di pesce viene ribadito in modo più esplicito negli “Statuti dei cento capitoli” (1480) al capitolo 61 «[…] eo enim tempore vel pregnantes sunt, vel incubant oves – in quel tempo infatti o sono pregne o incubano le uova». Si fa cenno in questo capitolo anche ad un sistema diverso per catturare il pesce: prosciugare un ramo o qualche parte del fiume. La minor presenza di acqua lasciava ovviamente allo scoperto i pesci. Nel capitolo 60 degli stessi Statuti si stabiliva anche il tratto del fiume protetto: dalla roccia che sovrasta l’eremo di San Paolo, in località Prabi, fino al lago di Garda.

Questi sono alcuni dei “cento capitoli” degli Statuti che la comunità di Arco si diede nel 1480. Qualche decennio dopo, nel 1512, viene stipulata fra le due linee della famiglia dei conti d’Arco, quella di Andrea e quella di Odorico, una divisione detta Adriana dal nome del cardinale Adriano da Corneto che l’aveva elaborata. Il libro XXXI la riproduce interamente. La contea viene divisa in due parti: quella della Scaria e quella del Ponte. Nel testo che prevede in dettaglio i confini fra le due parti e le rispettive pertinenze, ci si riferisce esplicitamente alla “risorsa” Sarca: «Item che li sudditi di Arco e di tutto il Contado d’Arco sì d’una parte che dell’altra possino pescar in la Sarcha e tuor le acque per adaquar li suoi prati come han fatto anticamente per fin’al presente».

“Divisione Adriana”: è l’atto che sanciva, con la mediazione del cardinale Adriano Castellesi da Corneto, la divisione della contea in due parti (anno 1512). A pag. 57 sono ricordati e confermati i diritti dei cittadini della contea di pescare e di “togliere le acque” dal fiume Sarca.

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Nel 1598 il notaio Francesco Ischia riporta alcune regole stabilite durante il consolato di Sisto Tachelli e Cristoforo Gardumi. Alla pagina 457 del Libro XVI si ricordano le norme riferite alla pesca già stabilite nei Cento Capitoli. «Ancora che per l’avvenir non sii persona alcuna così terrera che forestera che habbi ardir in modo alcuno pescar nel fiume della Sarca, regular della comunità di Arco, incominciando da capo di sopra del logo dell’illustrissimo signor conte Prospero d’Arco ditto da santo Paulo per fino al lago di Garda per piar cavidoni nè sugar ramo alcuno di ditto fiume tra detti confini senza espressa licentia di ditti signori consuli et suoi consiglieri…».

Uno dei più voluminosi libri dell’intero archivio, riporta sia alla pagina 280 (a. 1625) che alla pagina 336 (1627) la nomina anche dei saltari «delli peschadori». I saltari erano solitamente delle guardie campestri che rimanevano in carica un anno. Avevano il compito di controllare i campi e di infliggere multe a chi rubava, inquinava o compiva atti contrari a quanto stabilito dagli Statuti. In quell’anno si nominano anche delle guardie a tutela della pesca. Il documento è stato redatto dal cancelliere Giovanni Perugini. Si noti a lato dello stemma della Comunità di Arco la scritta “Summa libertas”. Un proclama del 1689 per “rimediare alli disordini de pescadori tanto terrieri che forestieri habitanti in questa comunità d’Arco” proibiva innanzitutto ai forestieri di pescare nel territorio di Arco senza aver licenza dei consoli. Inoltre stabiliva che i pescatori autorizzati dovessero in ogni caso portare nella piazza di Arco il pesce pescato e deporlo sulla pietra del pesce “per il spazio di tre hore”, in modo tale che potesse essere controllato dai funzionari comunitari. Lo stesso proclama comunale elencava inoltre i prezzi di alcune varietà di pesce. E così sappiamo che i pesci più frequentemente venduti erano i cavedoni, le trote, i lucci, i barbi ed i gamberi.

La terza pagina del proclama comunale riferito alla pesca e alle modalità di vendita del pesce stabilisce i prezzi dei cavedoni, delle trote e “trotelle”, dei lucci, dei gamberi, dei barbi e degli squali! Nella parte terminale del corso del fiume esisteva una struttura particolare per cercare di catturare il maggior numero di pesci possibile. Nella zona del Linfano vi era la pescaia (o peschiera), i cui conduttori venivano designati dai conti d’Arco, proprietari di tali strutture. La pescaia era costituita da una briglia fatta da pietre e da pali di larice su cui passava un pontile in legno che attraversava il fiume. Immediatamente a monte della briglia erano collocate le “arelle”, formate da lunghi bastoni collegati con cordicelle di canapa; questo per creare e controllare opportunità di passaggio dei pesci e così più facilmente catturarli. La cattura avveniva da novembre a gennaio, mesi in cui le trote tentavano di risalire il corso del fiume. Naturalmente questa struttura poteva rappresentare un pericolo in caso di piene del fiume; l’acqua, trovando degli ostacoli, poteva uscire nelle campagne. In archivio sono conservati molti documenti che riguardano le frequenti liti fra i conduttori delle peschiere e le comunità di Arco e di Nago-Torbole, in queste occasioni alleate.

Lo sfruttamento della sabbia e dei ciottoli di fiume

Fin dai tempi antichi sul greto del fiume Sarca venivano cavati sassi e sabbia per la costruzione di edifici e per la pavimentazione delle strade (sarasà). Naturalmente vi era chi ne approfittava. Una sentenza del 1757 proibisce a Luca Vivaldi di continuare a cavare sabbia allo Spiazzo delle Ischie (che si trovava fra il corso del fiume Sarca e le pendici est del monte Brione) minacciando di infliggergli una severa multa. «Ad istanza dello Spettabile Consiglio della Spettabile Communità di Arco, quale avendo osservato che Luca Vivaldi si faccia lecito non ostanti l’ammonizioni urbanamente ad esso state fatte, di baldanzosamente cavar e condor via contro ogni ragione come persona forestiera del sabbione dal Spiazzo delle Ischie per farne di quello l’esito e mercanzia, apportando anche grave danno alle vie e spiazzo in pregiudizio de cittadini e del pubblico ancora; perciò intendendo di voler poner freno al detto Vivaldi a rimediare ad un tale disordine colli mezzi della Giustizia.

Al tenor del presente per uno si intima, proibisce ed espressamente vieta al medesimo Luca Vivaldi qualmente dal ricever del presente non ardisca sotto qual si sia pretesto o colore ne per se, né per altri per li quali cavar o far cavar e condor via sabione nel spiazzo delle Ischie ed altrove sul suolo comunale in e sotto pena di talleri cinquanta all’eccellentissimo Fisco per cadauno et ogni volta sarà contraffatto, oltre il mezzo ducato alla Spettabile Comunità istante ed altre arbitrarie ai Signori Conti in sussidio e così si proibisce e vieta non solo con questo ma con ogn’altro miglior modo. Datum Arci 26 Augusti 1757 Cavazzani Commissario Sabbia per la Casa di Dio.

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Qualche decennio prima la Comunità di Arco si era invece comportata in modo generoso con la Comunità di Riva che aveva chiesto la possibilità di cavare sabbia per uno scopo estremamente importante: l’edificazione della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, iniziata nel 1728 ed ultimata nel 1742.

Il luogo dove venne concesso ai rivani di cavare sabbia era la riva del Linfano; dice il documento: “regolar della nostra comunità”, ossia compreso entro i confini del territorio del comune di Arco. Questa precisazione conferma il fatto che il comune di Arco arrivava con la sua giurisdizione alla riva settentrionale del lago di Garda. Questo documento  ci fornisce un’altra informazione: la comunità aveva una propria casa dove si svolgevano le riunioni dei rappresentanti dei cittadini. La città era amministrata da due consoli, da un cancelliere e da sette consiglieri che insieme formavano il Consiglio dei Dieci. Poi vi era il Consiglio Maggiore formati dai Dieci e da altri 28 rappresentanti, quattordici per la parte della Scaria, quattordici per quella del Ponte. Questa decisione viene presa dal Consiglio dei 14 ossia, dai consiglieri di una parte. «Consiglio dei 14 per la licenza data ai Rappresentanti di Riva per il sabione del Linfano. In Christi nomine Die Dominico 3 mensis Martii 1731, Arci Domo Spectabilis Comunitatis. (nel giorno di domenica 3 marzo 1731 nella casa della Spettabile Comunità) 14 Convocato il solito Consiglio Fu a questo letta la lettera che i signori Sindici di Riva intorno alla richiesta da essi fatta per haver la licenza di condor per la fabrica della lor chiesa dalle rive del Linfano, regolar della nostra Comunità, sabione, a consonanza del stabilito hier sera, sopra l’altra loro lettera, scritta hier mattina, onde si ricerca se si debba conceder tal licenza.

Il Consiglio ha decretato che si dii in scritto tal licenza e con tenerne copia della medesima licenza e registrarla in questo libro e che duri sotto il presente Consolato tanto per con far revocar il proclama per uso della Chiesa. Copia della licenza Il Spettabile Consiglio della Spettabile Communità d’Arco, in virtù del decreto questa sera seguito, come in libro giornale, ha concessa licenza all’Illustrissimo pubblico della Città di Riva di puoter far levare dalla riva del Linfano, tra il regolare della Communità suddetta durante il presente Consiglio sabione e condurlo in Riva al solo fine et oggetto di puotersene servire per la loro fabrica della Casa di Dio e non per altro, rispetto al che et in questo resta revocato il proclama ad istanza del prefato Consiglio pubblicato sotto il 28 prossimo scaduto mese, fermo restando rispetto ad altri si di Riva che altri forastieri, e ciò senza minimo pregiudicio delle raggioni dovute, e spettanti alla medesima Spettabile Communità di Arco. In fede Datum in Arco li 3 marzo 1731 Stefano Michele Mallengo Notaio.

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Interessante è anche una decisione presa nel 1841 dal Comune di Oltresarca. Con un avviso pubblico si cercò di assegnare in appalto la “sabionara” posta nei pressi del maso del Bruttagosto, lungo il corso del fiume Sarca. L’asta però andò deserta, anche per le difficoltà interposte da un proprietario del luogo, e non se ne fece nulla. «Presente Adamo Bertamini Capocomune Osservato da questa Rappresentanza Comunale il disordine che ogni anno succede nell’asportare la sabbia dal fiume Sarca e specialmente nella località cosiddetta alle Giare sotto il maso di Bruttagosto perché pochi particolari raccogliono la sabbia e ne formano magazzino, non riesce di alcun vantaggio pubblico; s’è quindi determinato a farlo dell’avviso esposto al pubblico d.d. 7 corrente, n. 230 di passare ad esperimentarne l’incanto alle condizioni seguenti: primo la locazione sarà per un solo anno che avrà principio oggi e terminerà col giorno 6 giugno dell’anno 1842. 2. Viene affittata la sabbia da accogliersi nella sabionara così detta alle Giare e presso i fronti Marosi, Bertamini ed altro nel fiume Sarca, sotto il maso di Bruttagosto ed il levatario dovrà servirsi delle strade 3. Il levatario resta obbligato di concedere a tutti i comunisti il bisogno di sabbia che gli verrà richiesto mediante il pronto pagamento di carentani 5 cinque di Vienna per ogni benna. 4. Il prezzo offerto dovrà essere dal levatario pagato in mano del Capo Comune o ricevitore comunale in giorno 29 settembre prossimo venturo senza eccezioni e tosto chiuso l’incanto. carentani 30 per l’atto presente. 5. Viene riservata da conto del Comune la superiore approvazione. 6. Viene sperimentata il prezzo di prima grida di Vienna f. 5 Sperimentato debitamente l’incanto surriferito, non si presentò alcun offerente attesa specialmente.

Atto redatto dal notaio Stefano Michele Mallengo nel 1731: le difficoltà proposte dal Sig Luigi Marosi qui presente che non intende presso il suo fondo che il Comune abbia alcun diritto di approfittarsi di sabia ne altro. Quindi l’atto presente viene chiuso senza alcun buon effetto per la qual cosa in margine notato sia tempo per poter maturare nuove risoluzioni. Letto e firmato Bertamini Capocomune Luigi Marosi Giobatta Caproni Avviso In questa cancelleria comunale il giorno 29 corrente verrà incanata la sabionara alle Giare sotto il maso del Bruttagosto presso Marosi e Bertamini e altri per un anno e pel prezzo di prima grida di fiorini che dovranno dal levatario esser pagati subito chiuso l’incanto oltre carentani 30 di spesa relativa. Oltresarca 29 aprile aprile 1841 Il capo Comune Bertamini.

L’acqua del fiume come forza motrice

L’avvento delle macchine ad acqua crea, nel Medioevo, una vera rivoluzione nel mondo agricolo ed artigianale: l’acqua viene usata come forza motrice e con il suo scorrere dà movimento ad una ruota che fa funzionare alcuni ingranaggi, che a loro volta muovono macine e torchi. La trasformazione dei prodotti della terra e la pratica di alcune attività artigianali ricevono un notevole impulso.

Ovviamente questi luoghi di interesse vitale per una comunità erano privilegio e proprietà dei nobili che governavano il territorio. I molini e i torchi presenti ad Arco appartenevano ai conti d’Arco che li concedevano in gestione a terzi in cambio di un canone annuo. Le comunità del contado avevano però il diritto di regolamentare l’uso dei molini e dei torchi e di controllarne l’efficienza, obbligando i conti a curare il perfetto funzionamento delle macchine ad acqua. Un documento risalente al 7 novembre 1614, ripreso e avvalorato dal notaio Stefano Mallengo, testimonia che i molini e i torchi appartenevano alla famiglia dei conti d’Arco. Erano ritenuti beni inalienabili e quindi non potevano andare in dote a contesse di Casa d’Arco. «Primo. La verità fu ed è che già sono 10, 20, 40, 60, 70 anni et più et già tanto tempo che non v’è memoria in contrario, in qua sempre tutti li molini, tre sono in Arco et fuori cioè quello dal Ponte, e quello di sotto, quello dalle Giare, et quello da Sai et parimente anco li torchi dal oglio dal Ponte et di sotto, che tutti giacciono sopra due rami del fiume Sarca nel contado d’Arco, sono stati nella famiglia dell’Ill.mi Conti d’Arco et dalli stessi successivamente sempre tenuti et reputati per beni feudali et inalienabili talmente che per detto rispetto et causa non si sono mai veduti essi edificii posseder d’alcuna femina dell’Ill.ma famiglia … Che per li sudetti rispetti et cause quando li Huomeni del comun di Romarzolo hanno voluto per loro comodità fabricar un edificio da torchio nella Villa di Vigne hanno procurato d’ottener licenza da detti signori Conti con promissione di fargli dono di detto torchio come han fatto in effetto, ritenendosi solo la detta comodità, sapendo essi di non poter far altrimenti, attese le sopradette regole et privillegii d’essi Signori Conti».

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La prima segheria sorta ad Arco (documentata a partire dal 1467) venne edificata per volontà delle tre comunità di Arco, Oltresarca e Romarzolo. Anche per le fucine l’acqua rappresentò un’energia quanto mai preziosa sia per far alzare con ritmo cadenzato il maglio sia per dare movimento al mantice che alimentava il fuoco necessario a rendere incandescenti gli oggetti da produrre. All’arte tessile l’acqua era legata per due principali funzioni: veniva utilizzata per macerare la canapa e poi per dare movimento ai “folli”, per la pressatura dei tessuti.

Era prassi consolidata che, con una certa regolarità, le varie comunità rivedessero i propri confini. I rappresentanti del popolo, accompagnati talvolta da un notaio, si muovevano sul territorio, verificavano che fossero ben evidenti i segni di confine (pietre collocate appositamente, ossia i “termini”, croci scolpite sulla roccia e altro) e stendevano un verbale di questo controllo. In questo caso si è voluto unire anche una mappa che, pur nella sua semplicità, fornisse alcune importanti indicazioni. Il disegno, risalente alla seconda metà del Seicento (1670?), illustra la zona del Linfano, in prossimità delle foci del fiume Sarca. La legenda indica che il territorio della comunità di Arco è segnato con la lettera A, mentre con 19 la lettera B è segnato il territorio di Nago. La lettera C segna il percorso del ramo del fiume Sarca, cosiddetto della Perosina o Perugina. Un aspetto che si ritrova anche nella mappa del 1883, realizzata in occasione della rettifica del corso del fiume. La mappa presenta poi il “vaso vecchio”, ossia il greto, di un ramo della Sarca non più percorso dall’acqua. La lettera F segna le “pallate” nuove, cioè le palizzate che servivano per indirizzare l’acqua o per bloccarla. Nella mappa si vede anche chiaro l’edificio della chiesa della Madonna delle Vittorie. Sono indicate inoltre le strade, sia quella “imperiale” che quella “consortale”.

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Fra gli edifici che rappresentano il centro abitato di Torbole si scorge anche un mulino, contraddistinto dalla ruota. Lo stemma disegnato in basso a sinistra è quello della comunità di Arco; infatti la famiglia dei conti d’Arco aveva già provveduto da più di un secolo e mezzo a caratterizzare lo stemma di famiglia con delle variabili a seconda della linea di appartenenza.

I canali che portano, seguendo varie direzioni, l’acqua nelle campagne si chiamano localmente “fitte”. Già negli antichi statuti (sec. XIII) si ordina di non inquinare l’acqua di questi canali (art. 37). L’acqua era derivata dalle “fitte” attraverso canali secondari e poi, liberando o chiudendo delle saracinesche, veniva fatta defluire nei campi. Questa operazione veniva eseguita seguendo il “rodolo”, cioè il turno; ecco perché il preposto a questa operazione si chiama ancora oggi “rodoler”. Per la regolamentazione e lo sfruttamento delle acque irrigue sono sorti nell’Ottocento dei Consorzi irrigui che sono in attività anche adesso. L’importanza di questa mappa, soprattutto per quanto riguarda il territorio nei pressi Arco, deriva dalla precisione con cui sono segnati canali che ora sono stati sottesi, che non si vedono, ma che in realtà esistono ancora. A partire dalla zona di Prabi, da nord quindi, si vede il grande canale fitta che arriva fino alla periferia nord di Arco.

È attorno alla città che i canali si dividono; uno si dirige verso via Pomerio, mentre l’altro circonda la città per poi passare dove si trova il Casinò Municipale di Arco. Qui questo canale riceveva l’apporto del fosso alimentato dalla sorgente di Fontanelle e che scendeva lungo le mura di Arco sul lato ovest, l’attuale via Fossa Grande. I canali si dirigevano poi verso la campagna per una distribuzione capillare dell’acqua. Spesso i fossati erano i luoghi dove venivano realizzati i lavatoi. E’ passato alla storia quello situato in Via della Cinta dove le lavandaie assistettero al salvataggio del piccolo Segantini. Ora molti di questi canali sono coperti, soprattutto in città; nella campagna scorrono tra argini di terra e vengono sottoposti a periodiche pulizie.

La centrale idroelettrica di Prabi

La prima luce elettrica venne prodotta ad Arco da una turbina installata nel 1886 presso lo stabilimento Bagni e fornita ai più importanti edifici del Kurort. L’acqua per far funzionare la turbina venne concessa dal Consorzio Fitta di Arco. Nei primi anni Novanta Arco è ormai un centro di soggiorno apprezzato dalla borghesia mitteleuropea e si avvertiva l’esigenza di produrre una maggiore quantità di energia elettrica. Venne formato un “Comitato per l’introduzione dell’energia elettrica ad Arco” i cui membri furono confermati dal consiglio nel 1891. Furono avviate quindi le pratiche per la concessione di un mutuo ipotecario (l’ipoteca era sugli stabili della centrale e sulle apparecchiature ivi installate) e per l’acquisto di uno stabile a Prabi. Le prospettive economiche che l’utilizzazione del nuovo impianto faceva intravvedere erano buone, come la prospettiva di un rapido sviluppo del Kurort, con la conseguente facilità di vendita dell’energia prodotta. Questo rassicurava gli amministratori, certamente cauti per il grosso impegno finanziario al quale stavano trascinando il Comune.

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Il progetto definitivo per portare la luce elettrica ad Arco fu presentato al Consiglio comunale nella seduta del 20 giugno 1891. Il podestà Angelo de Negri e gli amministratori cittadini ruppero gli indugi e incaricarono la ditta Kremeneski Majer & co. di Vienna di progettare e costruire, sfruttando le acque derivate dal fiume Sarca ed immesse in un canale, la prima vera centrale elettrica a Prabi: due turbine con collegate le relative dinamo per una potenza complessiva di 228 kw che arrivò, nell’ultimo periodo, a 360 kw. Nella stessa seduta fu approvato anche il piano finanziario e con esso il prestito obbligazionario di 160.000 fiorini, consentendo al Comune di contrarre il necessario mutuo per la somma che non fosse stata sottoscritta dai risparmiatori.

Oltre alla costruzione del nuovo fabbricato che doveva servire per il macchinario della centrale vera e propria, fu approvata anche l’acquisizione dello stabile di Mariano Tosi e fu decisa la regolarizzazione del canale Fitta per renderlo adatto quale condotto di carico della nuova centrale elettrica. L’impianto andò in esercizio nel 1892. Le disposizioni per regolare la distribuzione dell’energia elettrica furono deliberate dal Municipio nell’ottobre 1892, approvando il primo “Regolamento per la concessione della luce elettrica a domicilio”. Nel 1897 in prossimità della consegna al Comune della Centrale, furono sollevati dubbi sull’utilità che l’impianto passasse in esercizio diretto ma, dopo varie valutazioni, nel maggio 1898, il Comune decise di gestire in proprio l’esercizio dell’impianto elettrico assumendo anche tutto il personale in servizio presso la centrale.

Il Comune incaricò due ingegneri di prendere in consegna l’impianto, riservandosi di fare entro sei mesi il collaudo definitivo. Di tale collaudo vi è la pratica in archivio: “Collaudo finale dell’impianto elettrico comunale 1898”. Il documento è interessante perché redatto con domande sul corretto funzionamento dell’impianto e le relative risposte tecniche. A 10 anni dalla costruzione dell’impianto la richiesta di energia costrinse ad un potenziamento dell’impianto. Si valutarono varie ipotesi: acquistare energia da Rovereto, attendere la costruzione della Centrale di Fies, aumentare l’entrata d’acqua nel canale di Prabi, o sostituire i vecchi gruppi con altri di maggiore potenza, approfittando nel tempo stesso per passare dalla corrente continua a quella alternata, che aveva già dato ottimi risultati in altri impianti. Verso la fine del 1908 furono installate le nuove macchine. I due gruppi erano formati da una turbina tipo Francis. La centrale di Prabi venne ammodernata poi nel 1929, dopo che l’anno prima la sua gestione era stata affidata alla Ste. Nel secondo dopoguerra, con il subentro dell’Enel alla Società Trentina Elettricità (Ste), l’impianto venne dismesso: era il 1968. (Informazioni da “Il carbone bianco” di Umberto Zanin, anno 1998).

Il PONTE DI ARCO E LE INONDAZIONI

Il ponte di Arco sul fiume Sarca era il passaggio privilegiato attraverso cui si entrava in città da molti dei territori limitrofi; al ponte vi era la casa dei gabellieri (casa natale di Giovanni Segantini) che controllava l’accesso alla porta del Ponte e alla Contrada di Mezzo (poi via G. Segantini), sul ponte si accanì la furia degli eserciti stranieri perché esso è sempre stato ritenuto importante anche dal punto di vista strategico.

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Nel 1504 troviamo in una pergamena un’informazione relativa al restauro del ponte: alle spese dovevano concorrere tutte tre le comunità con un terzo ciascuna (Arco, Oltresarca e Romarzolo). Sempre nel 1504 il conte Andrea d’Arco condannò le comunità di Romarzolo, Dro e Ceniga a partecipare con la loro terza parte al rifacimento del ponte, sulla base di un’antichissima consuetudine, in virtù della quale ognuna delle tre comunità del contado d’Arco contribuiva in terza parte in tutte le necessità pubbliche della contea di Arco. Nel 1665 cadde un’arcata del ponte: tutti dovevano contribuire alla sua riparazione con manodopera o carri, pena una multa. C’è agli atti una controversia con Angelo Reghellino che si rifiutò di prestare la sua opera, essendo medico chirurgo. Il Commissario sentenziò che fosse esentato dalla prestazione d’opera per ragione del suo dottorato in chirurgia, ma che fosse tassato per i beni che possedeva nella contea. 1704 – L’accordo dell’arca La seconda arcata del ponte fu diroccata dai francesi nell’anno 1703, all’avviso che gli austriaci erano scesi dai monti di Oltresarca e stavano per entrare in città. Immediatamente dopo il passaggio della furia devastatrice dell’esercito guidato dal generale Vendôme, il maestro costruttore Gerolamo Pernice si disse disposto a riedificare la parte di ponte distrutta a proprie spese. La comunità di Arco fu riconoscente verso questo personaggio al punto da concedergli la cittadinanza. «Nel nome d’Iddio così sia. Correndo l’anno doppo la sua santissima Natività 1704 indizione dodicesima, in giorno di giovedì li 18 febraro, in Arco, nella casa della Spettabile Communità. L’anno prossimo decorso 1703, doppo la festa della Beata Vergine Maria nel mese di settembre sendo invaso questo contado da nazione nemica francese, fu dalla medesima derocata e demolita l’arca seconda verso la Porta del Ponte della Sarca su la comparsa che fecero li Alemanni discesi dal monte di S. Giacomo sopra li prati di Bolognano, oltre l’haver nell’istesso tempo incendiate le case del borgo di Mogno. Perciò la spettabile Communità d’Arco, e magnifiche Communità esteriori, mediante Ms. Giacomo Marina e Gioachino Carmelino Consoli, e magnifici signori Antonio Zampicoli e Antonio Tomasi sindici esteriori quest’hoggi accordano al Maestro Signor Gieronimo Pernis (Pernice) fabro muraro per riedificare e restaurare quella per il prezzo convenuto di troni milla duecento e trenta.

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Per pagamento de quali troni 1230 esso maestro Gieronimo s’obbligò il tutto a proprie sue spese fare, opperare, tanto nel levar l’aqua, quanto in mettergli materiali, maestri, manuali, legnami, ferrarezza et in soma tutto ciò che vi occorre per ridurre in perfezione e stato primiero la predetta arca».

Accordo per la ricostruzione dell’arcata del ponte abbattuta dai francesi nel 1703. Nel 1757 vi fu una straordinaria inondazione del fiume che rovesciò gli argini e mise in pericolo l’arcata del ponte. Ecco il drammatico racconto del console Pietro Piombazzi e la nota delle spese sostenute per riparare i danni causati dalla piena. «Memoria dell’estraordinaria inondazione del fiume Sarca avvenuta l’anno 1757. La più famosa inondazione che sia avvenuta a memoria d’uomo del fiume Sarca, essa è stata, non v’ha dubbio, quella che succedette l’anno 1757.

Imperciocché dopo esser venuto dal Cielo un diluvio d’aqua tra continui lampi e tuoni mediocri, la notte fra l’ultimo di agosto, in parte del giorno 27 aveva preceduto con non ordinaria pioggia, e il secondo di settembre talmente gonfiossi la Sarca che sormontato il prato di San Giuseppe ed empita la strada che porta dal ponte ai P.P. Cappuccini costituiva un solo continuo fiume che arrivava una sol quarta sotto la solia del Capitello della casa Malsona, ov’è la tintoria e che era sì rapido e galiardo ch’escavò ben profondamente la strada di la dal Ponte, atterrò li due ponti di Laste una delle quali si ritrovò poscia nel fondo del vaso al orto Bozzone per dove l’aqua passa nella Sarca, demolì altresì il carbonile della fucina, li muri delli orti Bozzoni ed Andreotti fino dai fondamenti, sradicò delle grandi morare, escavò il salasado del Ponte, e parte del pillone di mezzo verso settentrione specialmente dalla parte a mattina con disfare in parte due arche di esso ponte cioè la seconda e la terza numerandole dalla parte d’Arco e finalmente entrava con tanto impeto per la porta della casa Bozzona che aveva già incominciato ad escavare all’intorno di quella colonna che la sostenta, quale sarebbe certamente caduta insieme colla casa, se giente dalla parte del Ponte accorsa non avesse tostamente attraversata la porta suddetta con grosse travi e legnami e così impedito per di là il precipitoso corso dell’aqua era gionta per fine, altezza dell’aqua dalla parte d’Arco che era arrivata a coprire li piastrelli bassi della porta del orto posseduto dalli fradelli Del Ponte.

Li restanti danni poi cagionati dalla detta escrescenza sono notabilissimi, quali saranno registrati doppo la presente. Pietro Piombazzi console ho scritto Li dani apportati al ponte, cioè spesi al riparamento del ponte, come dalla perizia del sig. Francesco Faber e Stefano Paina ascende la suma di fiorini due milla e sei cento, dico fiorini 2600 come potrai vedere dalla stessa perizia che ritrovasi nel libro delle carte raccolte dal console Piombazzi. L’istessa inondazione ha cagionato sul regolare solo della detta Comunità danni alla suma di fiorini sedici milla settecento settanta cinque dico fiorni 16.765 come vedrai dal estimo fatto dalli depuatati Tomasini e Canevari che ritrovasi nel istesso libro et ora nel registro delle scritture».

Danni gravissimi furono arrecati al ponte anche dall’inondazione del 17 settembre 1772 che lo demolì in parte. Ecco un’annotazione dell’arciprete Santoni a margine di un documento a stampa. «Il dì primo settembre 1757 la Sarca fu tanto grande che non c’era memoria d’uomo che fosse stata sì alta e poco vi mancò che non cadesse il Ponte di Arco perché aveva cominciato a sfasciare il Pillone di mezzo verso settentrione che fu poi rinnovato e fortificato di cambre. Il dì 17 settembre 1772 fu di nuovo sì grande quel fiume che l’acqua ascese all’altezza di mezza pertica all’incirca di più della sopraddetta escrescenza del 1757 e portò via le tre arche del suddetto Ponte verso Arco, ne restò in piedi che la quarta arca verso Oltresarca. Per il 23 di detto mese fu terminato un ponte interino di legno da passarvi anco con carri e fu posto su in cima al campo Cillà ed andare a fenire al prato verso la palazzina di Sua Ecc.za il signor conte Giorgio».

Vi furono in seguito altri restauri al ponte, ad esempio negli anni 1838 – 1839 con lavori di riparazione sul ponte del Sarca eseguiti da G. Fambri (falegname). L’inondazione del 1882, segnalata nel documento qui riprodotto portò alla decisione di eseguire grandi lavori di rettifica del corso del fiume Sarca a partire da Dro fino alla foce del Linfano. Arco li 29 ottobre 1882 All’inclito imperial regio Capitanato distrettuale Riva n. 1810 Una nuova piena del Sarca produceva ieri gravi guasti alla campagna, acquedotti e strada di questo Comune.

Anche la strada commerciale in causa delle corrosioni verificatesi lungo il viale dei Cappuccini è in parte caduta, e non si presta più al passaggio dei ruotabili i quali devono ora transitare per Massone, S.to Martino e raggiungere la commerciale alla Moletta. Giovarono assai i repellenti fatti costruire da questo Comune a difesa della strada presso i Cappuccini altrimenti si avrebbero a lamentare danni incomparabilmente maggiori. Ora le acque sono in decrescenza e si spera che il pericolo di ulteriori danni si andrà mano mano allontanando.

“Regolarizzazione del fiume Sarca”

Mappe che segnano con estrema precisione gli interventi di rettifica del corso del fiume Sarca da compiersi per porre rimedio alle disastrose piene che periodicamente accadevano. Le mappe sono due. La prima, datata ottobre 1883, parte dalla foce sul lago di Garda e termina al ponte di Arco. La seconda inizia al ponte e finisce a Dro. Queste mappe sono importanti anche per i toponimi che esse 33 riportano: Merizzo, Linfano, Maza, Ischie, Prato della Fame, Giare. Sono segnate inoltre con estrema precisione le particelle fondiarie. La parte iniziale della mappa datata 1883, con le foci del fiume, è pubblicata sulla pagina 4 di copertina. Si notino il ramo della Sarca detta della Perosina e lo sbarramento della peschiera del Linfano.

Un ultimo, grave danneggiamento al ponte di Arco avvenne durante le fasi finali della seconda guerra mondiale, nella primavera del 1945. Le truppe tedesche in ritirata lo minarono e poi fecero brillare le cariche di esplosivo. Riportiamo qui una nota presentata al Genio civile dall’Amministrazione comunale di Arco che elenca l’ammontare dei danni recati dalla guerra ad edifici e strutture di interesse pubblico; fra questi il ponte di Arco. Per l’allestimento della passerella sul fiume Sarca la spesa stimata è di Lire 50.000.

Due immagini della zona del ponte. La prima presenta il fiume Sarca ricco di acque; esiste ancora la casa natale di Segantini che poi verrà abbattuta negli anni Quaranta (Archivio Fabio Emanuelli). Nella seconda si vede la passerella costruita dopo che il ponte era stato gravemente danneggiato dall’esercito tedesco in ritirata nella primavera del 1945 (Museo Riva del Garda).

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La sottensione del fiume Sarca

Alla sottensione del fiume Sarca sono dedicati decine e decine di documenti conservati nell’Archivio storico del Comune di Arco. In particolare il faldone 572/5; II° contiene una relazione di 124 pagine (più allegati) che ripercorre le tappe e le problematiche connesse allo sfruttamento delle acque del fiume Sarca per scopi idroelettrici. Può essere la base per ricerche più approfondite. Ma di questo progetto si era parlato qualche decennio prima della sua reale attuazione. Dal 1924 vengono messe ad istruttoria istanze tendenti ad ottenere in concessione lo sfruttamento delle acque del fiume Sarca a scopo idroelettrico. Nel 1942 le varie istanze vengono riprese. Nel 1946 si prevede la concessione dello sfruttamento delle acque del fiume Sarca alla Società Idroelettrica Sarca Molveno (Sism); il Comune di Arco tenta una protesta presso il Ministero dei Lavori Pubblici.

Si chiede un supplemento di istruttoria per valutare tutti gli aspetti connessi alla concessione. Il 14 giugno 1957 si svolge un primo colloquio informativo (Allegato 15). Intanto però avanzano i lavori per la realizzazione della galleria da far percorrere da buona parte delle acque del fiume Sarca. Il 7 aprile 1959 si affrontano tematiche diverse, ad esempio il problema del mascheramento delle discariche, cioè degli enormi accumuli di materiale derivato dallo scavo delle gallerie. L’Allegato 65 presenta una relazione dettagliata, redatta a cura della Sism su vari aspetti.

Il 1961 è l’anno della protesta

Ecco il testo del messaggio, datato 14 settembre 19161, inviato dal sindaco di Arco Italo Riccadonna a Senatori e Deputati trentini o che erano stati eletti anche con i voti di trentini. Oggetto: Sottensione a scopo idroelettrico delle acque del Basso Sarca. Onorevoli signori, dalla nota 4 settembre 1961 n.° 9962, dell’Ufficio del Genio Civile di Trento, questo Comune è venuto ufficialmente a conoscenza che lo schema disciplinare definitivo regolante la concessione in oggetto è stato trasmesso al Ministero dei Lavori Pubblici, per le definitive decisioni da parte di quel Dicastero dopo sentito il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Questo Comune non è a conoscenza ufficialmente del contenuto del detto schema di disciplinare, ma, nel timore che le doglianze e le proteste ripetutamente esposte, sia in sede amministrativa, che in sede politica, per rappresentare i gravissimi danni che, dalla detta sottensione, deriveranno a tutta la zona del Basso Sarca, non siano state tenute nel conto che meritavano – se non addirittura del tutto disattese e ignorate – e seriamente preoccupato delle gravissime conseguenze che da questo stato di cose potrebbero derivare. per decisione concorde e unanime di tutti i partiti rappresentati, ritiene suo preciso dovere prospettare la situazione predetta a tutti i Parlamentari, indipendentemente dal Partito di appartenenza, nonché alle Autorità politiche responsabili.

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Nel contempo, vengono elencati in sintesi i punti minimi inderogabili e fondamentali che dovranno assolutamente accoglimento nel disciplinare definito, se non si vuole ingenerare nelle nostre popolazioni il convincimento che gli interessi delle collettività locali sono posposti a quelli privati e cioè che lo sfruttamento idroelettrico delle energie idriche, abbia diritto di distruggere e soppiantare le fonti di vita e di progresso da sempre esistenti.

Non sembra assolutamente concepibile che la voce di una comunità di 12.000 abitanti, con secoli di storia, debba rimanere disattesa e inascoltata dai Superiori Organi dello Stato. Ancora una volta si presenta un appello accorato e pressante a tutte le persone in indirizzo, affinché vogliano intervenire, con l’energia che l’importanza del problema esige, perché le sacrosante richieste avanzate dai rappresentanti della Comunità di Arco, siano accolte. Agli Onorevoli Parlamentari ci si permette di prospettare l’opportunità di una comune, concorde 37 azione sul Ministro competente, per vedere garantito l’accoglimento delle richieste espresse nel foglio allegato, che, nel piano tecnico, si ritiene siano tutt’altro che impossibili e inattuabili. In fiduciosa attesa si assicura che l’Amministrazione e gli Uffici sono a completa disposizione per qualunque notizia e precisazione fosse ritenuta utile e necessaria.

Con i più vivi ringraziamenti porgo deferenti ossequi. Il Sindaco Italo Allegato: Punti fondamentali e inderogabili per la difesa del pubblico interesse 1) Paesaggio e salute pubblica Il paesaggio di Arco è tutelato da specifica disposizione emanata con il D.M. 30 giugno 1958. Perché tale tutela continui in forma efficace e non effimera, occorre, come fu espressamente prospettato dalla Commissione Provinciale Bellezze naturali e dalla Soprintendenza ai Monumenti di Trento con lettera 4 luglio 1961 n.° 2035: a) che nel Sarca scorra almeno una minima quantità di acqua che si indica in metri cubi 6 al secondo. Analoga condizione fu imposta per la derivazione dall’Adige nei pressi di Verona. b) che il greto del fiume rimanga rimasto parzialmente asciutto sia convenientemente sistemato secondo le prescrizioni che potranno essere impartite dalla Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Trento. 2) Falda freatica. E’ indispensabile l’inserimento nel disciplinare definitivo di chiare, esplicite e inequivocabili norme con le quali la concessionaria Sism è impegnata non solo a dar modo di controllare, attraverso i pozzi piezometrici, l’eventuale abbassamento della falda freatica, ma altresì a rimediare tutti i danni e conseguenze da esso abbassamento derivanti, comprese quindi le variazioni che si rendessero necessarie alle colture agricole in atto. 3) Clima. Nessuno può disconoscere che le acque del Sarca hanno una diretta notevolissima influenza sull’andamento climatico della conca di Arco nota universalmente per la mitezza del suo clima: occorre inserire nel disciplinare definitivo norme positive che garantiscono il Comune contro eventuali variazioni da controllarsi attraverso l’ufficio Meteorologico che già da oltre 70 anni rileva i dati climatologici dell’umidità atmosferica. 4) Fognatura civica. Per quanto riguarda lo smaltimento delle acque luride, occorre che nel disciplinare definitivo sia chiaramente specificato che agli scoli delle attuali fognature sia cittadina che frazionali, sia provveduto a cura e spese della concessionaria in modo adeguato e rispondente qualora essi scoli, per qualsiasi causa, non potessero essere scaricati nei canali di irrigazione detti “Fitte” e ciò fino a tanto che non sia stata realizzata la nuova fognatura comunale. 5) Acque del Monte Stivo e Torrenti Ir, Salone ecc. Queste acque, tanto esigue, devono rimanere, come attualmente lo sono, a completa disposizione della popolazione di Arco per uso potabile e di irrigazione. 6) Energia riservata – art. 52 – Legge L’art. 52 della legge sulle concessioni idroelettriche prevede che, ai Comuni compresi fra il punto di presa e il punto di restituzione dell’acqua sottesa, può essere riservata una quantità di energia non superiore a un decimo della produzione. Occorre che nel disciplinare sia stabilito che almeno questa quantità, e non meno, sia effettivamente riservata».

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Il 28 gennaio 1962 viene approvato il disciplinare della concessione del Sarca alla Sism. Un percorso più accessibile ai giovani studenti potrebbe essere rappresentato dagli articoli dei giornali quotidiani che riferiscono alla popolazione degli sviluppi di una situazione che aveva diversi risvolti. Ci sono articoli di giornali locali, risalenti ad anni diversi, che affrontano la tematica della sottensione del fiume Sarca e dei possibili danni all’ambiente. Un progetto non realizzato: rendere navigabile il corso del fiume Sarca Questo documento rappresenta una “curiosità” nel vasto repertorio di atti riferiti al fiume Sarca. Il 19 giugno 1798 viene illustrata dal sindaco del Comune di Oltresarca al Consiglio una proposta: rendere navigabile il fiume Sarca per poter far fluitare il legname dalla valle Rendena fino al Lago di Garda. Il Consiglio ritiene utile per l’economia pubblica questo progetto ma, al tempo stesso, mette in evidenza le possibili conseguenze negative della sua realizzazione. Si prospetta il timore, ad esempio, che vengano danneggiate le “pallade” e le “roste” ossia i sistemi di difesa degli argini e che servivano a convogliare l’acqua in canali laterali a vantaggio di molini, torchi e segherie.

Si ritiene inoltre che l’opera avrebbe portato alla distruzione la grande “rosta” che permetteva la pratica della pesca nella zona del Linfano. Si chiede quindi con forza che l’imprenditore proponente, ossia Tomaso Fravezzi di Dro, si impegni a risarcire eventuali danni e a rifare opere, quali ponti ed argini, danneggiate. Non c’è stato un seguito a questa proposta, che non era assolutamente illusoria. La potenza del fiume Sarca nel trasportare legname la si verifica puntualmente ad ogni piena, quando legname di varia grandezza arriva rapidamente al lago, coprendone la superficie in prossimità della foce. «Bolognano, e nella casa comunale gli 19 giugno 1798 Oggidì fu, more solito, convocato il magnifico Consiglio al quale così riunito fugli dal magnifico Sindaco Comecché venendo ricercato la dichiarazione se il rendere navigabile il fiume Sarca per condurre legnami da Rendena sino al Lago di Garda sia utile e vantaggioso al Bene pubblico, e ciò sopra la supplica presentata da Tomaso Fravezzi di Dro all’Inclito Regio Uffizio Capitaniale e come meglio quindi doppo fatta matura riflessione il magnifico Consiglio sì dichiara che tale opera sarà e deve essere più che utile e vantaggioso al pubblico quando però non vengano dannificate le palade e roste che difendono li fondi e che conducono l’acqua per li mulini ed altri edifizii e per l’irrigamento della campagna, e tanto più che riducendo il vaso Sarca in tal maniera devesi necessariamente distruggere ed atterrare quella grande rosta che attraversa il vaso cotanto pregiudizievole alla campagna nel tempo delle fiumane posta nel Luffano per rinserare la pesca del pesce; colla condizione però che quallora vengano dannificate in tutto o in parte le roste predette, che l’imprenditore di tale correzione sia sempre obbligato alli danni e al rifacimento e così anche alli ponti ed altri danni di qualunque sorte Giovanni Righi scrivante d’ordine».

Il fiume Sarca a valle del ponte di Arco. Sulla destra si noti l’edificio con la scritta “Fabbrica Mariano Tosi Pellami”, una delle concerie che erano attive in Arco e che abbisognavano per la loro produzione di una notevole quantità di acqua. (Archivio Fabio Emanuelli).

Divieto di balneazione

Nell’Archivio storico del Comune di Arco sono conservati anche molti documenti che riguardano il costume, il modo di comportarsi delle persone. Ecco una curiosità riferita al divieto di balneazione nel fiume Sarca, principalmente in località Prabi. Probabilmente questo divieto non venne rispettato nei decenni successivi, al punto che questa fotografia dell’archivio Emanuelli ritrae la colonia elioterapica istituita proprio nella zona indicata dal divieto del podestà De Negri!

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Colonia elioterapica di Prabi (1942). Gli adulti nella foto sono i maestri Pace, Mascher e F. Bertamini. (Archivio Fabio Emanuelli) Le cartoline La cartolina presenta diversi centri di interesse. In primo piano è la strada della Maza realizzata nel, su progetto dell’ing. Carlo Marchetti, appartenente ad una delle più importanti famiglie di Arco. Lungo la carreggiabile si snoda anche il binario della ferrovia Mori Arco Riva (MAR), inaugurata nel 1891 e funzionante fino al 1936. A est della strada della Maza si distende la campagna del Linfano attraversata dal corso del fiume Sarca. È ben chiara l’ansa del fiume che verrà rettificata. Sui monti che prospettano verso occidente sul lago di Garda si nota l’incisione trasversale della strada del Ponale che conduceva verso la Valle di Ledro. Questa strada è stata trasformata ora in un percorso riservato a bikers e pedoni.

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Questa cartolina illustra la situazione del fiume Sarca ai primi anni del Novecento. Nell’immagine si vedono chiaramente tre edifici di importante valore sociale realizzati in un lasso di tempo piuttosto breve. Il palazzo in primo piano, vicino alla riva del Sarca, è l’Asilo d’Infanzia edificato nel 1910 che poi, dopo il primo conflitto mondiale, divenne l’Oratorio di Arco. Accanto vi è il macello pubblico, mentre più all’interno si scorge l’edificio delle Scuole Maschili, ora sede di Uffici comunali. Lungo la riva, più a nord, si nota Villa Marienheim, recentemente abbattuta.

La veduta dalla riva sinistra del fiume ci presenta in primo piano il ponte in ferro della ferrovia Mori – Arco – Riva. Come ben si può vedere il fiume Sarca era ricco di acque. Prospettiva da nord sulla valle del Basso Sarca. In primo piano la rupe con il castello di Arco; in cima vi è la Torre Renghera e, più sotto, la Torre Grande. Il corso del fiume Sarca si snoda sinuoso nella pianura. La città di Arco sta vivendo il momento felice del Curort che ha segnato un’importante espansione urbanistica. Si notano gli edifici dell’Hotel delle Palme, del Kurcasino e della pensione Quisisana.

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FONTI ARCHIVISTICHE:

Ricerca storica: Marialisa Avi e Romano Turrini

Testi: Marialisa Avi e Romano Turrini

Impaginazione: Sebastiano Matteotti e Romano Turrini

I documenti riprodotti sono presenti nell’Archivio Storico del Comune di Arco

Immagini: Archivio Storico Comune di Arco – Archivio Fabio Emanuelli

Stampa: Grafica 5 – Arco

Novembre 2009

 

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