LA RESISTENZA IN TRENTINO – 3

a cura di Cornelio Galas

Oggi parliamo di un’altra giovane partigiana trentina: Clorinda Menguzzato. Nata a Castel Tesino il 15 ottobre 1924, fu uccisa l’11 ottobre 1944. A lei, come ad Ancilla Marighetta è stata assegnata la  Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

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L’impegno di Clorinda Menguzzato nella Resistenza, dove era staffetta e infermiera nella Brigata “Gherlenda” della Divisione “Gramsci”, durò dal luglio del 1944 all’ottobre dello stesso anno. Era tale la costanza, l’impegno che metteva nel mantenere i collegamenti con le formazioni partigiane che operavano nel Trentino che, per motivi di sicurezza, dovette utilizzare in quel breve periodo due diversi nomi di battaglia. Appena ebbe raggiunti – con un fratello, come lei contadino – i partigiani della Brigata, la chiamarono, infatti “Garibaldina”, pseudonimo poi diventato “Veglia” (o “Velia”).

Clorinda Menguzzato fu fatta prigioniera durante un vasto rastrellamento che i tedeschi avevano organizzato dopo che i combattenti della “Gherlenda” avevano espugnato la caserma di Castel Tesino, catturando 55 militi fascisti ed alcuni ufficiali tedeschi. Si trattò di un’azione che ebbe vasta risonanza, tanto da essere segnalata da Radio Londra nel bollettino del CLN e da indurre le truppe tedesche ad intervenire in forze nella zona.

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Dalla cattura di “Veglia” i tedeschi si ripromettevano di individuare con precisione la dislocazione delle basi della guerriglia, ma non ottennero da quella ragazzina nessun’indicazione. La sottoposero a sevizie atroci, la violentarono a ripetizione, la fecero azzannare da cani inferociti, ma “Veglia” non tradì i suoi compagni. Si disse che, ormai ridotta allo stremo, avesse risposto ai suoi aguzzini che l’avrebbero poi fucilata: «Quando non potrò più sopportare le vostre torture, mi mozzerò la lingua pur di non parlare».

PARIDE BRUNETTI

PARIDE BRUNETTI

Veglia era una ragazza che, come tante sue paesane, lavorava la campagna, contribuendo alla economia familiare ma, alla fine del 1944, entrò a far parte del Battaglione Gherlenda. Nata per svolgere attività resistenziale in Valsugana e nel Tesino contro gli occupanti nazisti la Compagnia Gherlenda venne costituita nell’agosto del ’44 in seguito ai contatti stabilitisi tra ex militari del Tesino e il comandante della Brigata Garibaldi, Paride Brunetti. Sotto il comando di Isidoro Giacomin (detto “Fumo”) la Compagnia si stanziò presso Costabrunella, zona di montagna situata sopra i paesi di Pieve Tesino e Castello Tesino.

ISIDORO GIACOMIN "FUMO"

ISIDORO GIACOMIN “FUMO”

In seguito alla vittoria conseguita sui tedeschi il 14 settembre 1944 quando, con un reparto suddiviso in quattro squadre, assaltò la caserma del CST (Corpo di Sicurezza Trentino) di Castello Tesino sequestrando numerose armi e facendo 55 prigionieri, la Compagnia passò al livello di Battaglione. La risonanza dell’evento oltrepassò i confini nazionali e il Battaglione venne elogiato, come detto, anche da Radio Londra, ma la reazione del nemico non si fece attendere: i tedeschi, affiancati da membri del CST e da mongoli del Turkestan, puntarono verso il Comando di Costabrunella con l’intenzione di operare un rastrellamento.

IL RASTRELLAMENTO

IL RASTRELLAMENTO

In questa circostanza la storia testimonia che Veglia non fu soltanto una staffetta ma anche una combattente, contribuendo attivamente alla difesa del Battaglione. Durante il combattimento perse la vita il comandante “Fumo” e i partigiani furono costretti a riparare nella malga Cima d’Asta per poi stabilire il Comando a malga Tolvà. Come Comandante del Battaglione venne provvisoriamente nominato Gastone Velo, detto Nazzari (perché ricordava l’attore Amedeo Nazzari).

La riproduzione di una foto d'epoca mostra l'imputato Alfred Stork (al centro). Un ex autiere della Divisione Acqui, Bruno Bertoldi ha deposto il 31 gennaio 2013 al processo a carico di Alfred Stork accusato dell'uccisione di "almeno 117 ufficiali italiani" sull'isola di Cefalonia, nel settembre '43.ANSA/ VINCENZO SINAPI

L’8 ottobre i tedeschi operarono un altro rastrellamento, costringendo l’unità a disgregarsi: alcuni partigiani si nascosero sull’altopiano del Celado mentre Veglia e Nazzari decisero di recarsi presso la località “Zuna”, dove la famiglia di Clorinda aveva una casa di campagna , perché Veglia voleva assistere il suo compagno ferito. Veglia era in possesso solo del suo sacco di montagna, detto “prossacco”, mentre Nazzari di una rivoltella. Purtroppo durante il percorso vennero fermati da una pattuglia del CST e, condotti presso il Municipio di Castello Tesino, furono sottoposti ad interrogatori e disumane sevizie

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CLORINDA MENGUZZATO

Veglia venne torturata in continuazione nelle notti tra l’8 e l’11 di ottobre, e il suo comportamento fu eroico: il comandante Hegenbart le lanciò contro persino il suo cane lupo ma lei si rifiutò di parlare e di rivelare i nomi dei suoi compagni. Venne infine condotta fuori dal paese e trucidata da militi del CST. Ormai privo di vita il suo corpo venne denudato, preso a calci e gettato brutalmente in un dirupo nella zona di Pieve Tesino (dove poi è stato piantato un cippo, in onore del suo ricordo). Il giorno dopo nessuno osava passare da quelle parti. Lì venne trovata tra i rami degli alberi quando, a cura del parroco di Castello Tesino, Don Silvio Cristofolini, venne pietosamente recuperata e rivestita col magnifico abito tradizionale del paese.

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 Sulla memoria di Veglia è stato scritto: “Clorinda ha vinto i nazisti con il silenzio, il martirio e la morte. La sua è la storia di una donna che ha fatto una scelta: quella di lottare concretamente per la liberazione del proprio paese dall’oppressione, per costruire attivamente una società fondata sui valori della libertà, della pace, della tolleranza.

EMILY MENGUZZATO

EMILY MENGUZZATO

Ha detto, in un’intervista a “Vita Trentina”, la nipote Emily, che su Clorinda ha svolto un importante lavoro di ricerca: “La storia di mia zia Clorinda ha sempre fatto parte di me. Ricordo un episodio di quando ero bambina: avrò avuto circa 7 o 8 anni e andai, come capitava allora di rado, con la mia famiglia a Castello Tesino. Entrammo nella casa disabitata dei bisnonni e noi bambini ci fermammo davanti alla foto di Clorinda appesa in corridoio. Papà spiegò a me e ai miei due fratelli maggiori che quella era la sorella del nonno, uccisa durante la guerra. A quell’età, capire cosa fosse stata la Resistenza e chi fossero stati i partigiani, era per me ancora troppo difficile.

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Crescendo ripensai spesso a quell’episodio fino a quando un giorno, in prima liceo, digitai su un motore di ricerca “Clorinda Menguzzato”. Fu allora che scoprii che Veglia era stata torturata e violentata prima di essere fucilata e capii quanto forte fosse il significato del suo sacrificio per la nostra nazione, tanto che le era valso una delle pochissime Medaglie d’Oro al Valor Militare femminili della Resistenza. Fino a poco tempo fa però questa vicenda era rimasta in qualche modo solo “una storia”.

EMILY MENGUZZATO

EMILY MENGUZZATO

Ne sentivo forte il valore e ne avevo anche parlato con alcuni amici e con i ragazzi con cui lavoravo, ma restava lontana, come una di quelle storie che si sentono raccontare agli angoli del paese. Poi un giorno, durante un intenso corso di formazione per operatori della giustizia minorile in cui si parlava di democrazia e di antimafia, ho cominciato a pensare a lei in un altro modo, più profondo ed empatico. E’ stato così che di colpo la vita di Clorinda ha smesso di essere una storia ed è diventata la mia realtà.

CINTE E PIEVE TESINO

CINTE E PIEVE TESINO

Per giorni interi ho vissuto una specie di lutto a distanza di tantissimi anni e per la prima volta mi sono trovata a dover riconciliare due sentimenti molto presenti in me ma di diversa natura: da un lato la gratitudine che provavo come cittadina nei suoi confronti per il suo sacrificio e il suo contributo dato alla costruzione della nostra democrazia e dall’altro la sofferenza per la tragica perdita di una persona cara, sorella di mio nonno che, a 19 anni, aveva rinunciato al suo futuro, alla possibilità di essere moglie e madre. In quel momento ho provato “fisicamente” la consapevolezza della sua perdita. “Fare in modo che la sua memoria sia salvata”, ho pensato, “è il minimo che io possa fare”.

"PERTEGANTI" DEL TESINO

“PERTEGANTI” DEL TESINO

Così ho sentito un fortissimo bisogno di mettermi sulle tracce di Clorinda, di conoscere la sua storia fino in fondo, di leggere tutto ciò che è stato scritto su di lei e di parlare con chi l’ha conosciuta. Inizialmente ho pensato di poter fare una ricerca di tipo storico. Ma, dopo aver scritto di getto un testo in cui descrivevo in prima persona le motivazioni che mi avevano spinto a mettermi sulle sue tracce, ho capito che non era possibile.

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L’unico modo che avevo per raccontare questa storia in modo autentico era appuntare ciò che scoprivo in prima persona, come in un viaggio alla scoperta della figura di Clorinda. E il risultato è stato un flusso di coscienza che finisce per includere anche un percorso autobiografico. Perché la storia di Clorinda è anche la mia storia, come cittadina e come nipote. Nei miei appunti sono presenti tre piani temporali: il presente, ovvero il percorso mio e di mio papà, che mi accompagna in questa ricerca, il passato inteso come ciò che scopro della sua vita, e i miei ricordi di bambina che gravitano attorno ai racconti sulla sua figura.

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Veglia entrò nella Resistenza giovanissima: cosa la spinse a farlo? Si dice che Clorinda fosse una ragazza coraggiosa e decisa e che questo aspetto del suo carattere derivasse dal fatto che spesso aiutasse mio bisnonno nel suo lavoro di “pertegante”, sarto ambulante. Significava alzarsi presto, andare in stazione col buio, fare chilometri a piedi con il peso degli strumenti di lavoro addosso.

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E immagino anche la determinazione per non smettere di bussare alle porte delle case e non arrendersi di fronte a una giornata andata male. Questa esperienza l’aveva certamente formata, era una ragazza che sapeva cavarsela e che aveva già guardato oltre i confini del proprio paese. Quando mio nonno, assieme ai primi 29 compagni, partì per la montagne dando vita a quello che poi sarebbe stato il battaglione Gherlenda, Clorinda non tardò a portare loro gli aiuti fino a Costabrunella, a rendersi disponibile per dare informazioni ai compagni dei paesi vicini, rischiando molto ogni volta. E’ certo che Clorinda avesse una chiara idea di bene comune e che avesse scelto di agire in vista di ideali più alti, di libertà e uguaglianza, per i quali ha dato infine anche la vita. E lo ha fatto anche per tutte quelle persone che ancora oggi riescono a infangare la sua memoria e quella degli altri partigiani del Gherlenda. Clorinda si innamorò di Nazzari , Gastone Velo, e con lui rimase fino alla fine dei loro giorni, quando furono catturati insieme.

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Qualcuno sostiene che Clorinda fosse spinta nella sua azione partigiana solo da questa motivazione sentimentale ma, inteso che il fatto di provare sentimenti autentici non possa che farle onore, io non credo che fosse così. Mia zia non avrebbe certo dimostrato tutto quel coraggio durante i tre giorni di torture, quella determinazione a mantenere la fedeltà verso tutti i compagni se non fosse stata capace di provare amore non solo verso Nazzari ma anche verso i suoi amici, la sua famiglia, il suo paese e il suo Stato.

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I miei nonni si conobbero a guerra già iniziata in Friuli, al confine tra Italia e Austria. Mio nonno Rodolfo era stato trasferito lì come agente della Polizia di Frontiera. Incrociò per la prima volta lo sguardo di mia nonna Hildegard, di origine austriaca, controllandole i documenti mentre lei si dirigeva in treno da Rutte Piccolo, in provincia di Udine, a Villaco, in Carinzia, a fare visita a sua nonna. Dopo qualche anno lei rimase incinta ma nel frattempo la storia dell’Italia era cambiata.

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Il nazifascismo mostrava ormai tutte le sue contraddizioni e mio nonno aveva abbandonato la Polizia scegliendo di tornare sulle sue montagne in Tesino per lottare contro un nemico che stava cercando di imporre un progetto di sopraffazione razzista e violento. Mia nonna Hilde invece era rimasta in Friuli. Quando scoprì di essere in dolce attesa inviò una lettera a Castello Tesino per avvisare il suo amato. Mio nonno però era già partigiano e si trovava fuori dal paese. La lettera fu trovata da Clorinda che, a diciannove anni, sola e in tempo di guerra prese un treno, percorse 300 km, raggiunse Rutte Piccolo e rassicurò mia nonna sul fatto che suo fratello avrebbe assunto le sue responsabilità di padre appena la situazione avrebbe reso possibile la discesa dalle montagne.

VAL CALAMENTO

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Il sacrificio di mia zia Veglia ha permesso a mio nonno di rimanere in vita. Per questo motivo mi sento anch’io un po’ in debito con lei. Senza il coraggioso silenzio mantenuto da mia zia sotto tortura mentre le chiedevano di tradire i suoi compagni, probabilmente mio nonno Rodolfo sarebbe stato catturato e ucciso, mio padre non sarebbe mai nato e io nemmeno. Clorinda non ha salvato solo mio nonno: anch’io in qualche modo le devo la vita. E questo è diventato ulteriore motivo di gratitudine e di incentivo a ripercorrere i suoi passi. Con mio papà e mio nipote Leonardo, ho percorso un tratto della strada che da Castello Tesino porta a Zuna, dove la mia famiglia possedeva il maso che Veglia e Nazzari hanno cercato di raggiungere prima di essere catturati da una pattuglia del CST. Qualcuno racconta che li abbiano trovati “come addormentati”.

ALTOPIANO DEL CELADO

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Ho immaginato Gastone malato com’era, con febbre e pleurite, e Clorinda che, tenendolo abbracciato non lo vuole abbandonare, che lo incita a proseguire ma che infine capisce che sia meglio fermarsi per riprendere fiato. Ho scoperto di recente che fu mio bisnonno a suggerire loro di nascondersi “in Zuna” perchè aveva saputo dell’arrivo dei nazisti e militari del CST, pronti per l’ennesimo rastrellamento.

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E’ stato forte il dolore provato in quegli attimi ma, osservando mio nipote di tre anni curiosare nel bosco e pensando al futuro che lo aspetta, è riemerso anche il desiderio di far sì che la fine della vita di Veglia e Nazzari non rappresenti un punto d’arrivo ma diventi un punto di partenza per creare una società più giusta, un testimone che sa di libertà e uguaglianza e che, lasciato nelle nostre mani di cittadini, sia portato avanti attraverso l’impegno a tenere alti i valori democratici. Veglia aveva un carattere forte e deciso oltre a esser dotata di profonda sensibilità e di sentimenti autentici.

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Emily Menguzzato ha poco più di trent’anni ed è la nipote di Clorinda. Vive a Trieste dove lavora in una cooperativa sociale e si occupa di minori e di educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva

Soffriva molto all’idea di causare un forte dolore alla sua famiglia. “Sarò il dispiacere della mia mamma” sembra fosse una delle sue ultime frasi. In un’altra testimonianza, è riportato che avesse un umore un po’ altalenante, tipico di coloro che io chiamo “i tondi”, quelle persone che, a causa della propria smisurata sensibilità e degli alti ideali radicati in loro, sperimentano un vivere più doloroso, lo scotto da pagare per raggiungere una maggiore consapevolezza. E lei, secondo me, appare effettivamente “tonda”! Comunque tutti quelli che l’hanno conosciuta mi hanno confermato che fosse davvero una ragazza coraggiosa e intelligente. Non oserei paragonarmi a lei.

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Io non so se avrei mai avuto tanto coraggio e determinazione. Tuttavia sento di assomigliarle un po’, per il suo senso del bene comune e di quel sentire che la nostra vita non possa esser vissuta appieno se ci consideriamo individui singoli, sganciati dal contesto sociale e umano in cui viviamo. Per questo amo il mio lavoro di educatrice che, certo, è una sfida continua e spesso si ha la sensazione di essere solo una goccia nel mare. Ma, cercare di fare emergere le risorse delle persone che soffrono di forti disagi, offrire loro l’opportunità di migliorare le proprie condizioni di vita, ecco, questo mi fa tornare a casa la sera felice e appagata per aver contribuito al processo di crescita di tante persone.

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Quando penso al valore pedagogico che può avere il conoscere e il far conoscere la storia di mia zia, mi vengono in mente tutte le persone che hanno lottato contro le ingiustizie sociali, sacrificando spesso anche la loro vita. Don Ciotti, fondatore di LIBERA, ci ricorda che la memoria non può svincolarsi dall’impegno nel mantenere vivi gli insegnamenti che le vittime innocenti ci hanno lasciato. Per dare un senso al loro sacrificio, il fare memoria non deve limitarsi a un “celebrare” ma deve tradursi in azioni concrete nel nostro quotidiano. E il messaggio pedagogico è quello racchiuso nell’articolo 3 della nostra Costituzione, quando si dice che è compito della Repubblica, e quindi di tutti noi, impegnarsi per rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza delle persone e quindi il loro pieno sviluppo e la loro partecipazione alla vita politica economica e sociale del Paese”.

BIBLIOGRAFIA

G. Sittoni, Uomini e fatti del Gherlenda, Croxarie edizioni, Strigno (TN), 2005.

ORA E VEGLIA IL SILENZIO E LA NEVE, PUBLISTAMPAEDIZIONI, Pergine Valsugana (TN), 2010.

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