LA RESISTENZA IN TRENTINO – 24

a cura di Cornelio Galas

Come era “organizzato” il Lager di Bolzano? Chi erano i responsabili di quel campo? Hanno pagato per i crimini commessi? Ecco, cercheremo di rispondere a questi interrogativi oggi, sulla base di documenti storici e fascicoli giudiziari.

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Il “KZ” ovvero Konzentrazionslager era sostanzialmente “una cellula dello Stato delle SS”, concepito come un apparato che avrebbe dovuto svuotare l’umanità, distruggerne “l’io”, e annientare la volontà di vivere. La maggior parte dei KZ riprodussero con varianti poco significative il modello sviluppato da Theodor Eicke nel KZ di Dachau. Incarichi e competenze si articolavano secondo la seguente struttura di comando: I. Comando; II. Dipartimento politico; III. Campo di fermo precauzionale; IV. Amministrazione; V. Servizio sanitario; VI. Servizio di lavoro.

Il Lager di Bolzano, in conformità alle gerarchie delle SS, era sottoposto all’autorità del quartier generale del Comando della Sicherheitspolizei e del Sicherheitsdienst (BdS) di stanza a Verona, agli ordini del Brigadeführer delle SS Wilhelm Harster.

Theodor Eicke

Theodor Eicke

Il comandante, l’Untersturmführer Karl Friedrich Titho, rappresentava l’autorità superiore delle SS del Lager e godeva di piena autorità su di esso. Gli aiutanti di campo erano impiegati per la conduzione del Comando e la corrispondenza con gli altri uffici di servizio.

Il dipartimento politico (Politische Abteilung) era responsabile della consegna dei nuovi arrivati, della loro registrazione, della sicurezza complessiva nel Lager e della repressione di eventuali tentativi di resistenza interna organizzata; decideva infine sugli interrogatori, i trasferimenti, i rilasci, e anche sulle esecuzioni. Era infatti indicato come “succursale della Gestapo” (Geheimnisstaatspolizei), in quanto risultava unicamente dipendente dalla polizia politica, come dipartimento principale.

Karl Friedrich Titho

Karl Friedrich Titho

Per esigenze politiche, il capo della Gestapo, l’SS Sturmbannführer August Schiffer, aveva ritenuto di attribuire pieni poteri al Tribunale speciale già insediato, per i reati di “attività come persone socialmente nocive, delitti d’insurrezione armata, di diserzione”. I condannati quindi vennero spesso assassinati direttamente nella sede che ospitava il Comando della Sicherheitspolizei, l’edificio che poi a Bolzano è stata sede del IV Corpo d’armata in piazza IV Novembre; oppure vennero rinchiusi, a seguito di torture e sevizie, proprio nel Durchgangslager.

Allo “Schutzhaftlagerführer”, che deteneva l’effettiva autorità di comando nel Lager, erano sottoposti il Blockführer, l’Arbeitsführer, il Kommandoführer e il Rapportführer. I Blockführer erano responsabili della disciplina e dell’ordine nello spazio assegnato, e avevano potere assoluto sulla vita degli internati. Allo stesso rango appartenevano gli Arbeitskommandoführer, che erano assegnati all’intero ambito lavorativo, e che potevano arbitrariamente imporre agli “schiavi di produzione” condizioni di lavoro pericolose per la loro vita.

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Il Rapportführer eseguiva gli appelli per contare i detenuti, faceva rapporto sugli effettivi dei prigionieri, e trasmetteva le note punitive. Schutzhaftlagerführer e superiore diretto degli internati a Bolzano, dall’agosto 1944 al maggio 1945 fu l’SS- Oberscharführer Hans Haage, l’aiutante di Titho.

Al vertice invece della struttura sanitaria si trovava il “medico di guarnigione” o “medico del Lager”, responsabile delle condizioni sanitarie del personale del Lager stesso: nell’infermeria si trovavano anche degli internati che venivano incaricati di compiti sanitari. Il reparto per il “servizio di lavoro” si occupava invece dei rapporti giornalieri di lavoro e coordinava gli Arbeitskommandos.

Le celle del Lager di Bolzano

Le celle del Lager di Bolzano

Il sistema del terrore funzionava principalmente attraverso il servizio di guardia. I guardiani, in generale uomini o donne giovani e plasmabili, erano addestrati psicologicamente e fisicamente a considerare gli internati del Lager come parassiti, dai quali l’umanità doveva essere difesa.

Dovevano adeguarsi a un codice nazista di valori, e disporre di ulteriori attributi: obbedienza assoluta, spirito di corpo, subordinazione, durezza, scrupolosità e inclinazione al dispotismo. Al di là del filo spinato e delle torri di guardia si arrivò a eccessi di violenza: i responsabili abituali delle SS adempivano, secondo una propria valutazione, regolarmente il proprio obbligo di servizio.

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La responsabilità per i crimini commessi dal loro punto di vista non andava loro attribuita, bensì a un superiore dominante. L’arma, ”l’equipaggiamento base” dei guardiani, veniva impiegata arbitrariamente, perlopiù senza motivazioni comprensibili per gli internati.

Le multiformi sfaccettature della violenza giungevano fino al terrore intimidatorio e al supplizio per motivi casuali. Il preteso criminale, una “rappresentazione dell’abiezione” senza attributi umani, doveva soffrire le pene dell’inferno. L’apparato di sorveglianza del Lager di Bolzano era composto da tedeschi, austriaci, italiani, sudtirolesi e appartenenti ai cosiddetti “popoli ausiliari”.

La baracca delle celle per i prigionieri politici nel lager di Bolzano

La baracca delle celle per i prigionieri politici nel lager di Bolzano

I famigerati servi torturatori, ucraini di nazionalità tedesca, Michael “Mischa” Seifert e Otto Sein, assaporarono interamente il completo potere di controllo sugli internati del Blocco Celle, e condussero a morte almeno 14 internati. I Lager non furono solamente luoghi di violenza arbitraria, di disciplina e di sottomissione, bensì anche un importante fattore economico collegato alla produzione bellica. Già dal 16 marzo 1942 tutti i “KZ” erano sottoposti al controllo dell’Ufficio centrale dell’amministrazione economica, aspetto questo che ne sottolinea il significato economico.

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Wilhelm Harster

Le SS mobilitarono a fini di produzione bellica gli schiavi e li sfruttarono come forza-lavoro: il tempo di lavoro era impiegato in modo da ottenere il massimo della produzione possibile. A Bolzano solo gli internati che potevano risultare utili al funzionamento del campo avevano qualche possibilità di non essere deportati verso i KZ e verso i Vernichtungslager. Perciò il lavoro significò per i prigionieri da una parte lo sfruttamento fino allo spossamento, sotto il controllo dispotico dei guardiani che li costringevano a suon di botte ad accelerare i ritmi; dall’altra anche una possibilità di sopravvivenza.

"Misha" Seifert

“Misha” Seifert

Diverse strutture ne approfittarono ampiamente: lo stesso Lager utilizzò gli internati in proprio, elevando il grado di sfruttamento fino all’autarchia e all’autonomia produttiva. Il lavoro dei prigionieri venne impiegato innanzitutto per i servizi interni e per i relativi laboratori, così come nel settore dell’infermeria, della lavanderia, nelle cucine, nei magazzini, nei servizi igienici, nel magazzino del vestiario e degli attrezzi, nella stamperia, nella falegnameria, nella sartoria, nelle stalle e nell’officina meccanica. In alternativa, gli “schiavi” vennero portati a lavorare nei dintorni di Bolzano oppure nei cosiddetti “Lager satellite”.

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Erano le SS che decidevano la ripartizione nei diversi Arbeitskommandos. Furono utilizzati ai fini produttivi lavoratori coatti nella zona industriale di Bolzano – presso la “Magnesio AG”, la “Lancia” e la “Feltrinelli” – e anche in stabilimenti specializzati nella produzione bellica o nell’edilizia. Reparti di lavoratori coatti furono impiegati nella galleria del Virgolo, dov’era collocata già dall’inizio del ’44 una fabbrica del gruppo “IMI” di Ferrara per la produzione di cuscinetti a sfera.

A seguito dei pesanti bombardamenti sulla città, i deportati vennero utilizzati anche per lo sgombero delle macerie e per la ricostruzione delle strade e dei binari colpiti: spesso vennero anche addetti ai pericolosi lavori di disinnesco delle bombe inesplose. Donne internate vennero invece obbligate ai lavori di pulizia nelle ville dei comandanti e nelle caserme, oppure usate nella riparazione di tende da campo militari, in una baracca situata a Gries, lungo l’attuale viale Druso.

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I “Lager satellite” erano dislocati a Merano, Sarentino, Vipiteno, Colle Isarco, Dobbiaco, Certosa in Val Senales e Moso in Val Passiria. Le fonti documentarie in merito ai servizi di lavoro coatto purtroppo sono scarse; mancano quasi completamente documenti ufficiali. Quel che è certo è che tali forme di produzione coatta costituirono la fonte di un enorme arricchimento economico per chi le sfruttò.

I prigionieri erano consapevoli del loro sfruttamento. Soprattutto gli appartenenti alla Resistenza, i cosiddetti “politici”, cercarono di contrastare le SS con i mezzi a loro disposizione: continuarono la loro attività di oppositori anche dopo l’arresto, in lotta contro la spietata quotidianità, contro l’isolamento. Il concetto di “Resistenza” non va applicato solamente alle azioni concrete e dirette contro i sorveglianti del Lager, ma anche a tutte quelle forme di impegno indirizzate contro la logica di annientamento propria della dittatura nazista.

Ada Buffulini

Ada Buffulini

Il solido nucleo centrale della Resistenza interna era costituito da Laura Conti, Ada Buffulini, Armando Sacchetta, insieme a diversi rappresentanti dei blocchi, che non intendevano fungere da strumento in mano alle SS. L’efficacia delle azioni di soccorso crebbe attraverso la collaborazione con le organizzazioni esterne al perimetro del Lager, principalmente con il CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale, che era stato creato il 9 settembre 1943 e che si attivò soprattutto nell’assistenza ai deportati e nell’organizzazione delle fughe.

Franca Turra

Franca Turra

Ferdinando Visco Gilardi, “Giacomo”, diresse il comitato di Resistenza all’esterno del campo grazie al sostegno di personalità forti e coraggiose: Franca Turra (“Anita”), Pia e Donatella Ruggero, Fiorenza e Vito Liberio, Elena Bonvicini, Gino Bombasaro (“Bepi”), Armando Condanni, Tarquinio Pavan e suo figlio, Mariuccia Gilardi e altri ancora. La Resistenza di lingua tedesca, riunita attorno all’“Andreas-Hofer-Bund” – organizzazione fondata nel novembre del 1939 guidata da Hans Egarter – identificò uno dei suoi obiettivi prioritari nella liberazione dei prigionieri del KZ, ma la cosa non fu però praticabile: ulteriori azioni di soccorso non sono documentate.

Ferdinando Visco Gilardi

Ferdinando Visco Gilardi

Alcuni coraggiosi civili, che abitavano nel rione delle “semirurali” – il quartiere di case popolari situato nelle vicinanze del Lager – riuscirono più volte a dare sostegno e aiuto ai prigionieri, facendo recapitare di nascosto agli internati e ai lavoratori coatti dell’Arbeitslager cibo e lettere che venivano fatti passare di lì. Anche i padri domenicani della parrocchia di Cristo Re, poco lontana dal campo, organizzarono azioni di aiuto e raccolsero vestiti e generi alimentari da far giungere alle “dolenti creature”.

Non bisogna dimenticare infine l’assistenza prestata dai parenti dei prigionieri arrestati come ostaggi al posto di familiari, persone che nonostante la propria estrema povertà riuscivano a inviare dei viveri ai loro congiunti nel Lager. La Croce Rossa internazionale e il Lager di Bolzano La Croce Rossa internazionale decise di inviare verso il settembre 1944 in Italia settentrionale suoi delegati straordinari: dovevano prendere contatti con collaboratori locali, rinforzare i rapporti con gli appartenenti sul territorio, riorganizzare la sottodelegazione, effettuare visite al Lager, impedire le deportazioni, infine consegnare beni di conforto, così come condurre azioni di soccorso, tanto a favore degli internati politici quanto di quelli razziali.

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Walter Rauff

Al fine di realizzare questo programma di soccorso, un contatto con appartenenti alle SS diventava inevitabile, in modo tale da convincerli a collaborare, come elemento di difesa in caso di eventuali procedimenti giudiziari alla fine del conflitto. L’albergatore elvetico Hans Bon, incaricato del Comitato, si incontrò con il colonnello Armani, presidente centrale della Croce Rossa italiana, con il colonnello Walter Rauff, comandante delle SS per l’Italia del Nord, con i generali Wenning e Leyers, comandanti delle truppe di occupazione per l’Italia del Nord, con l’Obersturmführer delle SS Vötterl, comandante della produzione bellica nell’Italia del Nord, con il Comando dell’Italia nord-occidentale, con il Console generale a Milano Wolf, con il cardinale Ildefonso Schuster di Milano, con l’ambasciatore tedesco Rudolf Rahn, in collegamento con il generale Karl Wolff, Obergruppenführer e ufficiale più alto in grado delle SS e dell’apparato di polizia in Italia, che assicurò completo sostegno alla delegazione.

IL CARDINALE SCHUSTER

IL CARDINALE SCHUSTER

Anche il generale Wilhelm Harster prese parte ai colloqui, al fine di essere informato sui punti del programma della delegazione. I contatti ebbero un esito positivo: Hans Bon e due altri delegati della Croce Rossa internazionale – Leo Biaggi de Blasys e Frédéric Zweifel – ottennero il permesso per visitare il Durchgangslager di Bolzano. Fu però negata la consegna di una lista di deportati per la Germania.

La liquidazione del Polizeiliche Durchgangslager di Bolzano costituisce un capitolo irrisolto della storia del Lager. Mentre le truppe americane e la Croce Rossa internazionale liberavano il Lager, le SS lo abbandonarono, rilasciando il 26 aprile i primi internati con un “ordine di rilascio” e consegnando il Lager il 30 aprile alla Croce Rossa internazionale. Tale pianificata liberazione degli internati avvenne probabilmente nell’ambito della “Operation Sunrise”. “Sunrise” è il nome in codice che gli Alleati diedero agli accordi per la capitolazione, intercorsi tra Wehrmacht e SS in Italia da una parte e americani dall’altra, attraverso gli uffici dei servizi segreti OSS in Svizzera, al cui vertice stava seduto Allen Dulles, “simpatizzante” per la Germania.

Allen Dulles

Allen Dulles

Attraverso questi accordi le SS cercarono di costruirsi alibi per il dopoguerra, nonché di ottenere buone condizioni per la capitolazione. Inoltre alcuni circoli delle SS e della Wehrmacht sperarono di realizzare un “cambio al volo”, cercando di condurre gli alleati occidentali in direzione di un futuro scontro con l’Unione Sovietica. Il risultato fu la capitolazione del 2 maggio 1945 dell’esercito tedesco “Gruppe C” (in Italia) e delle SS, accordo sottoscritto il 29 aprile 1945 a Caserta in virtù di un mandato della Wehrmacht e delle SS.

Molti indizi mostrano come anche la liquidazione del Lager di Bolzano rientrasse nei contatti stabiliti nell’ambito della “Operation Sunrise”: il tramite tra questa e il Lager si mostra attraverso le figure di Friedrich Schwend e di Jac van Harten, che avevano ambedue fatto parte del gruppo di contatto dell’operazione Sunrise. Le SS e i delegati della Croce Rossa internazionale discussero nuovamente il programma di scambio tra internati del Lager di Bolzano, ebrei catturati a Milano durante una rappresaglia, e prigionieri di guerra tedeschi.

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Ernst Kaltenbrunner, l’uomo numero due della gerachia delle SS, a seguito di un colloquio con il segretario generale della Croce Rossa internazionale Hans Bachmann svoltosi il 26 aprile, ordinò la scarcerazione immediata di un gruppo di ebrei – da 35 a 50 persone – di nazionalità americana e inglese, detenuti nel Lager di Bolzano. Bon dovette allora informare la delegazione del Nord Italia, quindi diede ordine a van Harten di liberare gli internati del KZ. Nel dossier dell’FBI su Friedrich Schwend è riportato: “Schwend ha aperto il KZ e ha liberato i prigionieri con la mediazione del dr. Harster e l’aiuto del dr. Gyssling e di van Harten”.

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Dalla relazione di un detenuto inglese si apprende che van Harten il 28 aprile si recò nel Lager di Bolzano e di lì condusse verso Merano una parte degli internati. Gli ebrei vennero liberati due giorni dopo; alcuni furono fatti sostare a Castel Labers. Van Harten appariva tronfio, sosteneva di aver liberato dal Lager di Bolzano in soli due giorni 2.972 persone, e altre 7.000 da differenti Lager esterni.[…] Il comandante del Lager Titho parlò di circa 200 ebrei che sarebbero stati liberati dal Comando in maggio, lo Schutzhaftlagerführer Hans Haage nominò circa 100 ebrei, che sarebbero stati raccolti dalla Croce Rossa svizzera: tutti ulteriori indizi a proposito del rapporto intercorso tra la liberazione del Lager e il gruppo “Sunrise”.

Immediatamente dopo la fine della guerra, tra il maggio 1945 e l’autunno 1949, l’ex Durchgangslager funzionò da campo di sosta per migliaia tra sbandati, lavoratori coatti e sudtirolesi ex optanti, che all’epoca delle Opzioni erano stati trasferiti e come tutti i sudtirolesi optanti risultavano ora privi di nazionalità. I refluiti dall’ex Reich, indicati come “Enemy – Displaced Persons”, dovettero essere accolti proprio in quello che era stato il Durchgangslager, ora denominato Campo 23.

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Anche don Daniele Longhi attestò questo utilizzo del Lager, la cui gestione venne attribuita al “Commissariato alloggi” di Bolzano. Dal 15 gennaio 1947 una parte dell’area venne utilizzata dall’ONARMO (Opera nazionale per l’assistenza religiosa e morale degli operai). Fino allo smantellamento del Lager negli anni Sessanta , le baracche funzionarono come alloggi di fortuna per le famiglie, e vi venne ricavato anche un “teatro operaio”: quella che precedentemente era stata l’area dei laboratori e delle officine all’esterno delle mura del Lager, a partire dall’estate del 1947 venne utilizzata come colonia estiva e come asilo per l’infanzia. Oggi, solo il muro di recinzione ricorda quello che fu il Durchgangslager di Bolzano.

Successivamente al crollo del regime nazista, gli ex nazisti e gli ex fascisti italiani furono identificati e chiamati a rendere conto del proprio operato. Le sentenze avrebbero dovuto fungere a livello pubblico e giudiziario da “riparazioni” per le vittime del Konzentrationslager. Tra il 1945 e il 1947 la Corte d’Assise di Bolzano processò otto ex sorveglianti (Enrico Baldo, Josef Mittermair, Peter Mitterstieler, Philipp Lanz, Albino Cologna, Karl Gutweniger, Hermann Koppelstätter e Paula Plattner), che però vennero nuovamente rilasciati dopo un breve periodo di detenzione.

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Quattro provvedimenti di amnistia (22.6.1946, 29.1.1948, 23.12.1949, 19.12.1953) svolsero un’efficace opera di “rimozione”. Il passato doveva finalmente tacere: questo fu il motivo anche dell’archiviazione, il 14 gennaio 1960, del fascicolo relativo ai crimini nazisti, che conteneva il dossier con i numerosi capi di imputazione a carico del comandante Karl Titho e di diversi sorveglianti del Polizeiliche Durchgangslager, tra i quali Michael Seifert e Otto Sein.

Michael Seifert

Michael Seifert

Nel 1994 le cose cominciarono a cambiare, da quando vennero alla luce in un polveroso archivio militare di Roma importanti documenti sui crimini nazisti. Con la riapertura di questo armadio, soprannominato da allora “l’armadio della vergogna”, il passato nazista ritornò all’attenzione dell’opinione pubblica e si cominciò a lavorare per poter riportare davanti alla giustizia i protagonisti di quei crimini.

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Michael Seifert

La Procura militare di Verona nel 1996 iniziò un’ampia e approfondita inchiesta sui criminali di guerra nel Lager di Bolzano. Furono contattati numerosi ex deportati, e vennero convocati come testimoni: furono loro a ricostruire nel dettaglio l’inferno del campo

Le prime denunce a carico di Seifert sono ricevute nel 1946, e raccolte in un fascicolo dalla Procura Militare di Roma. Inizialmente non viene dato alcun seguito alle denunce, in quanto Seifert è falsamente rappresentato come vittima “di una campagna di tipo razzista scatenata da gruppi politici e circoli finanziari interessati a screditare l’esercito tedesco.” Il procedimento fu archiviato nel 1960 in maniera del tutto illegale.

I documenti istruttori saranno ritrovati solo nel 1994, a Roma in un armadio (il cosiddetto “armadio della vergogna”) negli uffici delle autorità giudiziarie militari. Il ritrovamento delle denunce ricevute dalle autorità militari, ed insabbiate per anni, consentirà la trasmissione del fascicolo su Seifert alla Procura Militare di Verona.

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Le indagini a suo carico sono aperte nel marzo 1999. Seifert, la cui esistenza in vita è stata provata dalle autorità giudiziarie della Renania Settentrionale-Vestfalia, è iscritto al registro degli indagati il 25 giugno. L’imputazione a suo carico è di concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravato e continuato.

Rinviato a giudizio con 15 capi di imputazione, nel novembre 2000 è stato riconosciuto colpevole di undici dei quindici omicidi a lui contestati, condannato all’ergastolo ed al risarcimento dei danni subiti dal comune di Bolzano. La sua estradizione dal Canada ed il trasferimento al carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) hanno avuto luogo il 16 febbraio 2008. Nato a Landau il 16 marzo 1924, Seifert è morto in carcere a Caserta il 6 novembre 2010.

La lettura della sentenza

Novembre 2000: la lettura della sentenza per Seifert a Verona

I CAPI D’IMPUTAZIONE PER SEIFERT

1 – La sera di un giorno imprecisato del febbraio 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Cologna, con il Sein e con un italiano rimasto ignoto, portava un prigioniero non identificato nel gabinetto e lo torturava lungamente anche con il fuoco per indurlo a rivelare notizie, cagionandone la morte che sopravveniva la mattina del giorno successivo.

2 – In un giorno imprecisato ma comunque compreso fra l’8 gennaio e la fine di aprile 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein uccideva una giovane prigioniera ebrea non identificata infierendo sul suo corpo con colli di bottiglie spezzati.

3 – In un giorno imprecisato verso la fine del mese di gennaio 1945, nella cella d’isolamento posta di fronte a quella contraddistinta dal numero 29, su ordine del Cologna e in concorso con il Sein uccideva una prigioniera di 17 anni, dopo averla torturata per cinque giorni con continue bastonature e versandole addosso secchi d’acqua gelida.

4 – In un giorno imprecisato ma comunque compreso fra il 20 gennaio ed il 25 marzo 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein e il Cologna, uccideva un prigioniero non identificato che, scoperto a sottrarre generi alimentari e di conforto da un magazzino, era stato ristretto in cella, lasciandolo senza cibo per tre giorni e bastonandolo fino a cagionarne la morte.

5 – In un giorno imprecisato ma comunque compreso fra il 20 gennaio ed il 25 marzo 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein , uccideva un prigioniero ebreo di circa 15 anni rimasto non identificato, lasciandolo morire di fame.

6 – Fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 1945, in concorso con il Sein , nelle celle di isolamento del lager, da prima usava violenza carnale nei confronti di una giovane donna incinta non meglio identificata, indi le lanciava addosso secchi di acqua gelata per convincerla a rivelare notizie ed infine la uccideva.

7 – Nella notte tra il 31 marzo (sabato santo) e il primo aprile (Pasqua) 1945, in concorso con il Sein , nelle celle di isolamento del lager, dopo aver inflitto violente bastonature al giovane prigioniero Pezzutti Bartolo, lo uccideva squarciandogli il ventre con un oggetto tagliente.

8 – Nel marzo 1945, in concorso con Sein , Cologna ed altri militari tedeschi non identificati, sul piazzale del lager uccideva con pugni e calci un prigioniero che aveva tentato la fuga.

9 – Fra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1945, sul piazzale del lager, in concorso con Sein e Cologna, colpiva con calci due internati non identificati e poi li finiva con colpi di arma da fuoco.

10 – Fra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein , uccideva un giovane prigioniero non identificato massacrandolo e poi ne introduceva il cadavere nella cella completamente buia nella quale era ristretta una internata la quale decedeva di lì a poco.

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11 – Fra la fine di gennaio e il mese di febbraio 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein , torturava lungamente un giovane prigioniero non identificato anche con l’infilargli le dita negli occhi, cagionandone la morte.

12 – Fra il 1° e il 15 febbraio 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein , uccideva la prigioniera Leoni Giulia in Voghera, ebrea e la figlia di costei Voghera Augusta in Menasse, torturandole per circa due ore, versando loro addosso acqua gelida e infine strangolandole.

13 – Il 1° aprile 1945 (giorno di Pasqua), nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein, uccideva un giovane prigioniero non identificato dopo averlo torturato per circa 4 ore.

14 – In un giorno imprecisato dei mesi di febbraio o marzo 1945, nei locali dell’infermeria del lager, in concorso con il Sein , picchiava con un manganello un giovane italiano rimasto non identificato fino a fargli perdere coscienza e lo lasciava nell’infermeria dove il giovane decedeva per le ferite riportate.

15 -In un giorno imprecisato del dicembre 1944, e comunque poco prima del giorno 25, su ordine del responsabile della disciplina maresciallo Hans Haage e agendo in concorso materiale con il Sein , sul piazzale del lager, dopo aver legato alla recinzione del campo un prigioniero che aveva tentato la fuga, alla presenza di tutti gli altri prigionieri fatti appositamente schierare a titolo di ammonizione, lo colpiva selvaggiamente e lo lasciava legato alla recinzione, cagionandone la morte che sopraggiungeva entro la mattina del giorno successivo.

Michael Seifert

Michael Seifert

Il tribunale lo ha riconosciuto colpevole di 9 dei 15 capi di imputazione, assolvendolo per insufficienza di prove dalle accuse di cui ai capi 1, 2, 3, 4, 10 e 13.

 

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