IL TRENTINO NEL RISORGIMENTO – 8

Ottava puntata: in gran parte riservata più alle vicende diplomatiche che alle battaglie per l’indipendenza. I patrioti trentini puntano su quello che è in realtà il “piano B” sempre in funzione dell’autonomia dall’Austria: r l’annessione al Veneto. L’attività di propaganda in questa direzione deve però fare i conti con la repressione del Governo austriaco. Tanti trentini intanto si arruolano nell’esercito dell’Italia centrale guidato da Garibaldi. Infine i “consigli” di Cavour che però Antonio Gazzoletti non vuole affatto ascoltare. Allego anche questa volta un video didattico su quel periodo storico. Si tratta di un’ampia e semplice disamina delle sorti dell’Italia dal Risorgimento in poi. Infine ho riportato l’elenco (purtroppo incompleto) dei volontari trentini nell’esercito di Garibaldi in quegli anni. Ringrazio, e non è il mio ultimo pensiero, tutti quelli che hanno avuto parole di apprezzamento per questa ricerca storica. E che danno la forza, l’entusiasmo necessari per andare avanti in questo, mi si creda, tutt’altro che facile e sbrigativo lavoro. (cornelio galas)

a cura di Cornelio Galas

L’agitazione per il distacco dal Tirolo e la congiunzione alla Venezia inizia subito dopo l’annuncio dell’armistizio di Villafranca. Appena si apprende a Rovereto che un dispaccio dell’i. r. luogotenenza in data 13 luglio al civico Magistrato accenna al disegno di una Confederazione italiana cui l’ Imperatore d’Austria sarebbe disposto ad aderire, la rappresentanza comunale si rivolge con una pubblica lettera al podestà (18 luglio), pregandolo di esprimere all’Imperatore il voto che il Trentino sia compreso, insieme col Veneto, nella costituenda Confederazione.

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In quei giorni l’arciduca luogotenente del Tirolo aveva convocato ad Innsbruck il Comitato della Dieta provinciale e deliberato di rinforzarlo con alcuni cosiddetti uomini di fiducia scelti dal Governo nei più importanti comuni del Tirolo e del Trentino: per Trento era stato invitato a presentarsi il consigliere municipale Romano Rungg. La rappresentanza cittadina, riunitasi il 23 luglio, coglie l’occasione della convocazione del Comitato ad Innsbruck per manifestare la sua opinione affatto contraria ad ogni comunanza di interessi col Tirolo, e propensa ad una immediata unione del paese colle provincie venete.

La deliberazione municipale fu presa in seguito ad una mozione firmata da vari membri del Consiglio ed illustrata dal consigliere dott. Carlo Dordi, che doveva allora e più tardi acquistare al suo nome tanti titoli di gratitudine da parte dei suoi concittadini. Ricordato il manifesto del 16 luglio, col quale l’Imperatore aveva dichiarato di voler consacrare tutta la propria attenzione ad assicurare ai suoi popoli le benedizioni della pace, rilevò la necessità di esporre coraggiosamente al sovrano tutto ciò che il Municipio riteneva necessario o vantaggioso e proseguì:

“Il bisogno più grande, l’ interesse più vitale per il nostro paese, in specie dopo gli ultimi avvenimenti, è quello di essere congiunto sotto i riguardi politici ed amministrativi, colle altre Provincie italiane della Monarchia, e più precisamente colle provincie italiane della Venezia … Lo sviluppo di tutte le nostre forze morali e materiali rimarrà in mille guise inceppato, finché ci troveremo costretti ad aggirarci in mezzo ad un elemento che non è consentaneo alle nostre tradizioni, alle nostre tendenze, ai nostri costumi, al nostro carattere, alle nostre necessità. E questo inceppamento minaccerebbe di farsi sempre maggiore, se per avventura, riguardo alle provincie venete dovessero esser fatti dei miglioramenti, i quali, rimanendo noi dalle medesime disgiunti, potrebbero forse far sorgere delle imprevedute barriere, che rendessero se non del tutto impossibili, per lo meno assai più difficili che per lo passato le nostre comunicazioni, i nostri commerci, i nostri studi, i nostri impieghi, insomma tutti i nostri rapporti con quelle finitime provincie colle quali siamo per lingua, per costumi, per interessi intimamente connessi … Egli è per questo, e per tutte quelle altre ragioni che, come ripeto, reputerei superfluo di qui enumerare, che questo pare il momento opportuno sopra ogni altro, nel quale i nostri Municipi debbano agire d’accordo per ottenere questo scopo già da tanti anni desiderato”.

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Chiudeva il Dordi il suo dire colla proposta di una deliberazione consiliare cosi concepita:

Il Consiglio comunale, considerando che il desiderio, anzi nelle attuali circostanze l’assoluto bisogno della parte italiana della Provincia, reclama imperiosamente !’aggregazione della medesima sotto i rapporti politici ed amministrativi colle Provincie venete, ed animato dalle benefiche intenzioni esternate da S. M. I. R. A. nel Manifesto imperiale dei 15 luglio 1859, delibera: che di concerto colle rappresentanze delle altre città debbano essere fatti i passi opportuni per conseguire questo scopo; ed invita quindi il civico Magistrato a mettersi per tale oggetto in corrispondenza colle suddette rappresentanze, ed in pari tempo a comunicare il presente conchiuso al signor Consigliere municipale Romano Rungg, chiamato, come uomo di confidenza, a rinforzare il Comitato della Dieta provinciale, pregandolo di volerlo portare a notizia dell’Eccelso Presidio del Comitato suddetto”.

La proposta Dordi fu approvata all’unanimità, e analogo ordine del giorno fu deliberato, il 26 luglio, dalla rappresentanza comunale di Rovereto, con piena adesione alla iniziativa di Trento e con mandato al barone Giuseppe de Moll, che doveva come uomo di fiducia governativo rappresentare la città di Rovereto ad Innsbruck, di farsi interprete di tale voto presso la Dieta provinciale. Lo stesso giorno 26 la città di Ala prendeva identico provvedimento. E i municipi di Riva e di Arco si apprestavano a fare altrettanto, quando, d’ordine del capitanato circolare di Trento, fu notificato ai rispettivi podestà un decreto che vietava la convocazione delle rappresentanze comunali a tale scopo, giacché la questione politica sollevata “eccedeva i poteri del Comune„.

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Tuttavia il Bertamini, f. f. di podestà di Arco e il Martini, podestà di Riva, non si astenevano dal comunicare al Municipio di Trento (26 luglio e 1° agosto) il pieno consenso delle rispettive città all’ iniziativa di quella rappresentanza. Frattanto i comuni dei due distretti di Tione e di Condino avevano per proprio conto presentato direttamente all’autorità governativa una analoga domanda, e adesioni calde ed incondizionate al voto di Trento giungevano da Levico, da Strigno, da Borgo e da altre località del Trentino.

Partecipò con entusiasmo a questa generale agitazione la classe degli industriali e dei commercianti. Una petizione, diretta alla Camera di commercio ed industria di Rovereto perché si unisse vigorosamente all’azione per il distacco dal Tirolo e per l’annessione al Veneto, raccoglieva le firme di 749 ditte sparse in tutte le città e in tutte le valli.

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Ma il 16 agosto, giorno destinato per l’adunanza camerale che doveva occuparsi di tale petizione, sopravvenne un decreto dell’autorità politica che ingiungeva la sospensione della seduta e la immediata consegna di tutte le carte riguardanti la questione per la quale era stata convocata. Come fu accennato avanti, l’arciduca luogotenente aveva invitato tre persone di fiducia del governo a partecipare alle adunanze del Comitato della Dieta provinciale ad Innsbruck. Ora di questi tre uomini scelti dall’autorità politica a rappresentare il Trentino, il Rungg, designato per il distretto di Trento, si asteneva dal recarsi ad Innsbruck col pretesto di non conoscere la lingua tedesca, e spediva alla Dieta il verbale della deliberazione presa il 23 luglio dal suo Municipio; il Moll, per Rovereto, interveniva coll’incarico di esprimere alla dieta il voto dei propri concittadini, e il decano di Arco, scelto come persona di fiducia per le città di Arco e Riva, non si muoveva che in seguito ad ordine formale del vescovo di Trento; e richiesto ad Innsbruck se avesse qualche voto da formulare, rispondeva altro non desiderare il paese che di essere separato dal Tirolo ed aggregato alla Venezia (18 agosto).

Tale dichiarazione, come era facile supporre, fu accolta dalla Dieta con clamorose disapprovazioni, e l’arciduca che presiedeva l’adunanza, seccamente replicò non esser quelli desideri da esprimersi, e tanto meno da esaudirsi.

ALFONSO LA MARMORA

ALFONSO LA MARMORA

Frattanto i patrioti emigrati in Italia non rimanevano inoperosi. Numerosi articoli e corrispondenze riflettenti la questione trentina apparivano in quei tempi su tutti i più importanti quotidiani allo scopo di interessare l’opinione pubblica e il Governo alle sorti di quella dimenticata parte d’Italia: più vivace degli altri in questa propaganda era la Lombardia che aveva a suo collaboratore responsabile il poeta Antonio Gazzoletti. Il 31 luglio 1859 egli con altri trentini si rivolge per lettera al La Marmora, allora presidente del Consiglio dei ministri, raccomandando a lui nella sua qualità di capo del Governo la questione trentina : gli ricorda la cortese accoglienza fatta da Vittorio Emanuele ai rappresentanti degli emigrati, richiama la sua attenzione sul voto del Municipio di Trento per la aggregazione alla Venezia, ed esorta il Governo a voler metter sul tappeto, nei negoziati per la pace definitiva, la questione trentina sulle basi del distacco dalla Confederazione germanica e dal Tirolo e dell’annessione al Veneto : conseguito tale intento, sarebbe stata poi molto più agevole la congiunzione del paese ad un futuro grande Stato italiano. Ma il La Marmora, che aveva in quel momento altre ben più gravi questioni da ponderare e da risolvere e che a tutto pensava meno che a tirare in ballo la Confederazione germanica, non se ne dette per inteso.

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Il Comitato degli emigrati non per questo ristette dalla sua opera, che anzi moltiplicò i suoi sforzi e nell’Italia redenta e nell’irredenta. Per tener desta l’agitazione nel paese i patrioti spedivano copie della “Lombardia” e del “Piccolo Corriere d’Italia” nel Trentino, stampavano 400 copie del ritratto di Narciso Bronzetti e le facevano diffondere per le valli, ove inviavano pure versi patriottici del Giusti, manifestini volanti, opuscoli, libri. Tutto questo contrabbando politico seguiva la via di Desenzano e di Limone facendo capo a Riva e a Trento, ove Giuseppe Santoni (detto il Moro) affrontando gravi pericoli, diramava istruzioni ed inviti, raccoglieva notizie e denari, arruolava col concorso di agenti fidati i giovani volontari da spedire nella Lombardia e nell’Emilia attraverso il lago di Garda. Il Comitato teneva poi i suoi uomini di fiducia nei principali centri della regione.

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Ecco i nomi dei corrispondenti e delle persone di fiducia nei vari luoghi : A Trento Giuseppe Santoni, Martino Martini, Giacomo Scozzi, Domenico Zeni, Giuseppe Maria Stenico. A Rovereto Fortunato Zeni, Giosuè Pavani cartolaio,  Angelo Marsilli, Pietro Rossi. A Riva Massimiliano Bazzanella e il conte Martini. Ad Arco il dott. Prospero Marchetti e Francesco Plankensteiner. Ad Ala Antonio Marchesini. A Lavis Giuseppe Maria Viero e Francesco del Maso, a Vigo di Meano Giacomo Felice Bortolotti, a Mezzolombardo Riccardo dal Pez (negoziante), Elia de Varda e Taddei (negoziante), a Denno Lorenzo Gozzaldi, a Tuenno Giuseppe Grandi e Andrea Alessandrini, a Flavon Giuseppe Joris (negoziante), a Cles il dott. Luigi dal Lago (podestà), a Cagno Antonio Visintainer e il dott. Luigi de Pretis (medico), a Rumo Andrea Vendri, a Sarnonico il dott. Giuseppe Bolego (medico), a Fondo Bernardino Bertagnolli, a Malé il dott. Giuseppe Taddei e l’ingegnere Ghettinger, a Cis don Simone Zanini, a Pelizzano il dott. Remigio Bezzi, a Pinzolo Giacomo Ferrari (detto Stioslin), a Tione e Stenico Paolo Salari (negoziante), a Condino il dott. Pietro Ghezza ed Ermete Pedrini (negoziante), a Cavedine il dott. Joccoli, a Storo Matteo Polli (negoziante), ad Aldeno Gaudenzio Tonoli e Carlo Borgognoni, ad Ala Antonio Marchesini, a Volano Alessio Elena, ad Isera Cesare Cavalieri, a Villa Lagarina Giuseppe Canella, a Besenello il Lunardelli, a Galliano il dott. Pietro Zanella, Francesco Benvenuti, Giovan Battista Sardagna, a Mattarello il Campolongo, a Sopramonte Luigi Cainelli, a Terlago Don Antonio Leonardi (cappellano), a Vezzano Luigi Monti (cancellista), a FJaveggio don Viola (curato), a Povo Giovanni Carloni, a Pergine il dott. Ennio dalla Rosa, il dott. Bertolli (medico), Pietro Paoli (negoziante), Eduino Cbimelli e Giongo, a Caldonazzo Gioacchino Garbari, a Levico il dott. Riccardo Rinaldi, Lazzaro Sluca, Cirillo Broso, Ignazio Bertoldi,G.B.Villi, a Borgo Francesco Ambrosi,ill dott. Egidio Sartorelli, Carlo Bellotti (podestà), Ferdinando e Augusto Bellotti, a Ospedaletto il parroco, a Strigno il dott. Pietro Rinaldi, a San Francesco don Giuseppe Grazioli (curato), a Pieve Tesino Giuseppe Pellizzano, Giuseppe Rio, Giovanni Buffa, ecc., a Cavalese Bortolo Scopoli (capocomune) e il dott. Giovanni Rainer(avvocato), a Predazzo Giuseppe Bernard (birraio), a Telve Dal Maso, a Bolzano Antonio Torboli di Riva.

Oltre ché la lista dei corrispondenti e degli uomini di fiducia, il comitato aveva pure la lista degli austriacanti e delle persone sospette, e quella dei preti e degli impiegati favorevoli alla causa italiana. Questi elenchi però, come quello sopra riportato, si riferiscono all’anno 1860, quando cioè una gran parte dei patrioti avevano passato il conline per arruolarsi o por sottrarsi alle persecuzioni dell’Austria.

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E mentre i municipi più importanti del Trentino chiedevano in forma ufficiale al Governo il distacco dai Tirolo e l’annessione alla Venezia, i patrioti facevano circolare e coprir di firme nelle città e per le valli delle piccole schede a stampa con questa dicitura:

“I sottoscritti deputati ed abitanti il Circolo o provincia di Trento dichiarano: che è voto e bisogno generale del loro paese di essere riconosciuto e trattato come parte d’ Italia, e che ora vorrebbe almeno aver comuni le sorti colla Venezia, con la quale divide tutte le aspirazioni e tutte le speranze”.

Senonché il Governo austriaco corse in fretta ai ripari prima che questo simpatico plebiscito potesse compiersi. Quantunque i municipi di Trento e Rovereto avessero mascherato il loro voto con una apparenza di legalità, ben comprendeva l’Austria, non meno che gli stessi patrioti italiani, che il consentire l’aggregazione del Trentino alla Venezia valeva quanto il rassegnarsi a perderlo in un prossimo avvenire: ora né la tradizione ereditata da novecento anni, né la ragione strategica e politica permettevano che l’Impero si piegasse ad una simile rinuncia. Il conservare sotto il suo dominio il Trentino, quand’anche avesse poi perduto il Veneto, significava per l’Austria il poter se non minacciare, almeno porre in rispetto il nuovo Stato italiano, tenendo ferma la rocca avanzata dell’antica potenza germanica.

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Ed in questa sua politica aveva la solidarietà dell’opinione pubblica tedesca. ” La scomposizione del Tirolo –  scriveva la Gazzetta d’Augusta ai primi di agosto –  sarebbe un tradimento dell’ Impero: equivarrebbe alla perdita della Lombardia”.. E notava la somma inopportunità dell’agitazione dei municipi trentini — date le angustie del momento che la monarchia austriaca attraversava dopo Villafranca — accusando i trentini di sfrontata infedeltà al loro sovrano.

Come già abbiamo visto, il Governo di Vienna non aveva tardato ad accettare una simile interpretazione, coll’espresso divieto di aderire al movimento iniziato dai municipi di Trento e di Rovereto. Né lasciava sopravvivere dubbi di sorta, in proposito, il contegno tenuto dai fedeli tirolesi della Dieta e dall’arciduca luogotenente nell’udire le sincere parole dell’arciprete di Arco. Peggio accadde quando l’autorità ebbe sentore delle schede di sottoscrizione che si facevano circolare clandestinamente dai patrioti per una manifestazione del sentimento italiano del popolo, e contemporaneamente riseppe dei manifestini e degli opuscoli di propaganda che entravano dalla Lombardia.

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Per ordine dell’arciduca luogotenente le locali preture diramarono ai capi comune del Trentino circolari cosi concepite :

“Al Signor Capocomune di … .

A tenore di un dispaccio dell’Eccelso Presidio Luogotenenziale !4 corrente n. 3272 comunicato col Capitanale Decreto 21 ottobre 1859 n. 399 press., basato sopra sicure notizie ufficiose, il partito rivoluzionale {sic) in Trento cerca di propagare per mezzo della posta scritti rivoluzionari, i quali hanno per scopo di adescare la gioventù del Circolo di Trento ad arruolarsi sotto la bandiera di Garibaldi. Si venne pure in cognizione che diversi agenti del partito rivoluzionario furono incaricati da Garibaldi di carpire dai preposti del Tirolo italiano dichiarazioni d’annessione ai Piemonte, il che si dovrà effettuare ad ogni costo anche mediante l’ impressione dei sigilli comunali sulle dichiarazioni d’annessione di già preparate per poter cosi aumentare la credibilità delle firme imitate di capi comuni. Il signor Capo comune viene perciò incaricato, ad evitare la propagazione dei sopra indicati eccitamenti, e di altri scritti incendiari (sic) del partito rivoluzionario, a sequestrarli in caso comparissero, e a portarli a mia cognizione in caso di scoprimento. Vorrà poi in ispecialità custodire gelosamente il timbro e suggello comunale, affinché qualche male intenzionato non abbia ad abusarne, rimanendo di ciò personalmente responsabile”.

Dall’i. r. Pretura, li 27 ottobre 1859.

Data la rigorosa sorveglianza dell’autorità politica, la sottoscrizione incontrava gravissimi ostacoli. Alcuni capicomune, che nonostante il divieto avevano apposto la loro firma alla petizione, erano deposti dalla carica: fra questi il dott. Pietro Rinaldi, podestà di Strigno. Si aprivano processi contro gli arruolatori di volontari: in settembre sei popolani di Trento, accusati di questo delitto, erano tradotti ad Innsbruck e condannati ad alcuni mesi di prigione.

DEGENFELD

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Intanto l’Austria, allarmata dal pronunciamento popolare, inviava il maresciallo Degenfeld nel Trentino a studiarvi un sistema di fortificazioni da erigersi sui confini della Lombardia, mentre conservava forti contingenti di truppe a guardia del paese per premunirsi contro una ripresa delle ostilità da parte del re di Sardegna. E alla agitazione dei patrioti contrapponeva per suo conto una attiva propaganda contro la causa italiana, condotta per mezzo dei suoi fogli ufficiali e dei suoi agenti fedeli. L’assassinio del conte Anviti, noto reazionario di Parma (ottobre 1859), le porgeva un singolare pretesto per denigrare di fronte alle popolazioni rurali del Trentino gli attori del riscatto nazionale.

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Ma i patrioti, dal canto loro, studiavano ogni occasione atta a manifestare i loro sentimenti. Il 22 settembre, nella chiesa di San Pietro a Trento, era celebrata in onore di Daniele Manin una solenne messa funebre alla quale intervenivano numerosissimi i cittadini. Il 26 novembre una banda militare percorreva le vie di Trento suonando allegre marce per festeggiare la promozione a colonnello di un maggiore del proprio reggimento. Intorno alla musica — cosa insolita –si era raccolto un buon seguito di borghesi. “Evviva il nostro colonnello ! „ gridarono i soldati. ” Viva Garibaldi! „ rimbeccarono con forza i popolani.

La soldatesca inveì con ingiurie, i cittadini risposerò per le rime, si venne alle legnate, la banda si eclissò: ma la mattina appresso i più focosi dimostranti furono ammanettati e gettati in carcere.’ Pochi giorni dopo, sulle cantonate più in vista della città apparivano in grandi caratteri dipinti a olio le iscrizioni: “Viva Vittorio Emanuele nostro Re! W. Garibaldi!” Garibaldi aveva infatti, nel 1859, suscitato nel Trentino caldissimi entusiasmi. Per spiegarci questa profonda passione garibaldina occorre dire di un singolare tratto di delicatezza del nobilissimo cuore dell’Eroe.

VITTORIO EMANUELE

VITTORIO EMANUELE

Dopo Villafranca re Vittorio Emanuele elogiò pubblicamente quanti avevano preso parte alla guerra dell’indipendenza, ponendo in evidenza quelle provincie che col valore dei loro figli vi si erano maggiormente segnalate : ma, o per ragioni di prudenza internazionale, o per una semplice dimenticanza il Trentino in quell’elenco di terre benemerite non era affatto nominato. Volle riparare all’omissione Giuseppe Garibaldi; e da Modena –  ov’era il quartier generale della divisione ch’egli comandava allora nell’Esercito dell’Italia centrale — rivolse ai trentini questa lettera, che ancor oggi è considerata quasi un diploma di nobiltà dai patrioti di lassù:

“Ai Trentini

Nella, lotta santa sostenuta dall’ Italia contro i suoi oppressori da tanto tempo, uno de’ più brillanti episodi e pili gloriosi, si è certo quello decorso in questi ultimi mesi. Vi fu un cenno onorevole di gratitudine per quelle Provincie che meglio risposero all’appello del prode campione dell’Indipendenza, Vittorio Emanuele, e che mandarono sui campi delle patrie battaglie la gioventù animosa a suggellare col sangue il patto sublime d’ unione nazionale meritevole oggi del plauso dell’Europa. Nessuno peraltro ricordò il Trentino, quella nobile parte della nostra penisola che ad onta di dugento mila mercenari dell’Austria che la calcano e la depredano, non mancò di far sentire coraggiosamente una voce di giubilo al trionfo della causa italiana di reprobazione e di disprezzo alla fetida dominazione austriaca.

Eppure, modesti come lo sono generalmente gli uomini di cuore, ì Trentini continuano silenziosi a dividere, come divisero nel passato, le fatiche e le speranze comuni. Essi diedero nella campagna passata buon numero di valorosi ufficiali e soldati e al martirologio nostro, nomi, che mi commuovono nel pronunciarli, e che certamente onorano il nostro paese al pari dei più illustri.

NARCISO BRONZETTI FOTOGRAFATO SUL LETTO DI MORTE

NARCISO BRONZETTI FOTOGRAFATO SUL LETTO DI MORTE

li nome del trentino Bronzetti durerà nella memoria dei posteri quanto i fasti gloriosi della nostra storia, e sarà il grido di guerra de’ bravi Cacciatori delle Alpi nelle pugne venture contro gli oppressori d’ Italia. Furon centinaia i concittadini di Bronzetti che si distinsero nella sacra guerra  ed una parola non s’è alzata a segnalarli alla gratitudine nazionale! Valga lamia debole voce a supplire in parte all’ Involontario oblio, ed a ricordare un ramo de’ più nobili e più generosi della famiglia italiana, su cui posano meritamente le nostre speranze di redenzione”.

GARIBALDI

GARIBALDI

Alla nobile lettera di Garibaldi, che stampata e diffusa dai patrioti in mille copie nel Trentino rivesti il carattere di un commovente proclama di riconoscenza e di esortazione, risposero i rappresentanti dell’emigrazione con un indirizzo che riassumeva in forma elevata ed eloquentissima le angustie, le speranze, le lotte di quella povera regione abbandonata e la gioia di udire, finalmente, una voce alta e coraggiosa che ne riconoscesse i meriti e i diritti:

“Voi, signor Generale, il cui nome ha lo stesso senso che quello d’ Italia, Voi avete testé con una parola di giustizia e di verità suggellato per sempre quel patto di ricongiungimento alla propria nazione, che il Trentino invoca come bene supremo da quarantaquattro anni. Per quanto un paese oppresso ancora dallo straniero può esultare, il Trentino esulta di quello che avete detto in favor suo, e con quanto v’ha di più nobile nell’anima vi ringrazia e vi benedice dal fondo delle sue sciagure.

E il sangue versato e gli amari disinganni, e tutti i dolori patiti gli paiono più sopportabil cosa, poiché gli valsero il vostro encomio, la vostra raccomandazione. Oh fosse venuto il giorno tanto aspettato, in cui la bandiera di Vittorio Emanuele, portata da Voi, avesse sventolato su quegli ultimi baluardi d’Italia! Là forse avreste trovato altri forti e modesti soldati e cittadini, altri santi della Patria che, come fu Narciso Bronzetti, l’avrebbero custodita fino alla morte. Ma quel giorno verrà; verrà il giorno della giustizia per tutti i popoli italiani, verrà tanto più sicuramente, se l’Italia – la terra delle grandi anime – resterà in ogni sua parte feconda d’ uomini che somiglino a Voi, o di tali di cui possiate compiacervi”.

LORENZO WEISS

LORENZO WEISS

Non fra i soli emigrati, ma in tutto il Trentino trovò la lettera di Garibaldi un’eco profonda ed indimenticabile. Le donne trentine, sin dall’ottobre 1859, tagliarono e ricamarono una bandiera da offrire all’Eroe, e Lorenzo Weiss di Strigno, avvoltasela intorno al busto, la trafugò alla dogana di Peschiera e la portò in salvo a Milano: senonché i successivi eventi impedirono la consegna del vessillo, che avvenne poi soltanto nel 1866.

I volontari trentini che dopo Villafranca, credendo possibile una ripresa della guerra, passavano il confine a centinaia, cercavano quasi tutti di trovar posto nella divisione dell’esercito dell’ Italia centrale comandata da Giuseppe Garibaldi. Dopoché la sponda occidentale del lago di Garda era passata al Governo sardo, un’evasione dal Trentino era diventata più agevole: da Riva o da Condino era facile toccar terra libera a Limone attraversando il lago o valicando la montagna. Ciò nonostante molti di quei volontari dovettero affrontare peripezie terribili.

Un giovane, fuggito da Stenico per raggiungere Brescia, ebbe per varie ore i gendarmi alle calcagna e udì più volte fischiarsi le pallottole alle orecchie. Molti, arrestati una prima volta e ricondotti a casa, riuscivano ad evadere la seconda. E il Governo austriaco non trascurava di notare i giovani che si allontanavano e di intimare alle rispettive famiglie il loro richiamo. Ad onta di tutto, circa quattrocento furono i giovani trentini che si arruolarono fra il 1859 e il 1860 nell’esercito dell’ Italia centrale; 108 ne entrarono nella brigata Bologna, 40  nella brigata Reggio, 23 nella brigata Modena, 93 nel battaglione bersaglieri di Vignola (l’attuale 23° bersaglieri), circa 170 in vari altri corpi; e molti parteciparono, sotto il comando di Garibaldi, a quei famosi preparativi d’ invasione delle Marche (ottobre-novembre) che troncati al momento stesso in cui le truppe stavano per attraversare il Tavullo, dovevano dar poi luogo ai fieri sdegni dell’Eroe e al suo ritiro a Caprera.

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Volontari trentini nell’esercito dell’Italia centrale (molti sotto la guida di Garibaldi):

Angelini Luigi, Artel Pietro, Azzolini Giuseppe, Baccilieri Giovanni, Barcelli Angelo e Domenico, Baroni Cesare e Egidio, Bavecchi Angelo, Belli Angelo, Berloffa Giacomo, Bertagnolli Carlo, Berti Angelo e Pietro, Bertoldi Antonio, Betta Giacomo, Bommassar Giovanni, Luigi e Pietro, Bonapace Carlo, Bones Ermenegildo, Bonetti Raimondo, Bonfanti Alessandro e Giambattista, Bortolotti Antonio, Bozzoni Luigi, Brazzali Francesco, Brock Pietro e Santo, Camelli Amedeo, Caracristi Giuseppe, Cattoni Giovanni, Chiesa Tommaso, Chimelli Giuseppe, Chisté Antonio, Cogoli Antonio, Comai Pietro, Condini Serafino, Cortella Paolo, Corvi Giovanni, Costa Guglielmo, Cristofolini Luigi, Dallabona Vigilio, Dallavecchia Giuseppe, Debiasi Francesco, Decarli Pietro, Donà Dionisio, Dongili Giacomo, Dorigatti Angelo, Dorighelli Giacomo, Ester Pietro, Fabbri Giuseppe, Fantoni Adriano, Fenner Pietro, Ferrarini Luigi, Franchini Benvenuto, Frankman Giorgio, Fruet Giuseppe, Galvani Carlo, Garbari Fabio, Gerosa Beniamino ed Emilio, Girardelli Camillo, Girardi Giovanni e fratello, Girondi Giovanni, Gironemi Giovanni, lagher Pietro, Inangher Giacomo, Job Ermete, Lanner Felice e Valentino, Lazzaretti Marco, Lazzari Francesco e Giovanni, Lenner Francesco, Lutterini Angelo, Marchesoni Luigi, Margonner Giovanni, Marzari Giacomo, Merloffo Giovanni, Morandini Giorgio, Nicolussi Enrico, Olivieri Erminio, Omezzoli Luigi, Osler Pietro, Pavoli Giuseppe, Pedri Giuseppe, Peterlongo Simone, Pinteri Leonardo, Pisoni Pietro, Pizzini Domenico, Raitmiller Giovanni, Rasunzi Giambattista, Ravagni Cesare, Romani Giuseppe, Rosanelli Giuseppe, Rossi Giuseppe, Ruffini Andrea, Scoz Angelo, Serafini Alberto, Stefanelli Antonio, Stolfi Giovanni, Tomaselli Amedeo, Traffelini Giuseppe, Valentini Giuseppe, Veneri Antonio, Vinciguerra Luigi. In questo elenco, come negli altri, si riscontrano peraltro varie inesattezze, imputabili alla imprecisione dei ruoli da cui furono dedotti.

Altri nomi: Bianchi Francesco, Bonani Bartolomeo, Bonanimi Ottavio, Bonfanti Bortolo e Quintilio, Brido Antonio, Camelli Giuseppe, Cappelletti Luigi, Cereghini Giacomo, Ceschini Baldassare, Conci Eliodoro, Ferrari Domenico, Fiaider Desiderio, Giongo Giuseppe, Keppel Tommaso, Leoni Angelo, Lucchi Casciano, Lunelli Domenico, Manotti Pietro, Marchi Luigi, Molignoni Orazio, Morghen Ottavio, Pedrolli Fortunato, Pellegrini Felice, Peterlongo Carlo, Pederzolli Luigi, Pompeati Livio, Rodolfi Giovanni. Rovetti Pietro, Sebastiani Domenico, Serafini Antonio, Stanchina Giuseppe, Stenico Cristoforo, Tabacchi Tito, Taddei Enrico, Todeschini Giacomo, Valentini Domenico, Vaiz Pietro, Veronesi Guardini Luigi, Zadra Tobia.

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E ancora:  Andreata Antonio, Battisti Alessio e Giovanni, Bertoldi Alessandro, Biagioni Valentino, Bianchi Attilio, Bisolfi Filippo, Bona Francesco, Chien Annibale, Chimelli Lorenzo, De Magri Gaspare, Faes N., Falzolgher Bortolo, Malpaga Evaristo, Modena Giuseppe, Pizzini Angelo e Antonio, Rizzi Adamo, Robestainer Giuseppe e Lodovico, Soffia Bartolomeo, Todeschini N., Velo Francesco.

Altro elenco: Adami Giambattista. Anderlini Cesare, Artel Luigi, Battaglia Girolamo, Benigni Adamo, Berti Giuseppe, Bezzi Enoch, Bocchi Giuseppe, Bordato Mosè, Brandolani Luigi, Bresciani Domenico ed Eugenio, Briccio Giambattista, Brunon Antonio, Calvetti Primo, Campregher Andrea, Canella Giaf.omo, Cappelletti Domenico, Caprini Luciano, Carpentari Pietro, Cattarozzi Eugenio e Giambattista, Catturani Mariello, Ceola Lorenzo Antonio, Costa Francesco, Daldosso Vincenzo, Dalmaso Primo, Daprà Nicola, Do Pretis Sisinio, Elena Cesare, Faccchinelli Beniamino, Faes Narciso, Fontanari Pietro, Frasnelli Gerardo, Frassoni Filippo, Frighello Luigi, Fronza Antonio, Gerloni Carlo, Giannazzi Giuseppe, Gislimberti Antonio, Guberti Giuseppe, lagher Giovanni, Lorenzi Giuseppe, Lutterotti Ernesto, Maffei Alessandro, Maino Domenico, Manzani Domenico, Marcobruni Luigi, Marchi Angelo, Marinolli Giovanni, Mariotti Pietro, Martini Francesco e Gerolamo, Masera Giuseppe, Mazzocchi Vigilio, Moggio Luigi, Moratti Filippo, Moser Domenico e Giovanni Battista, Negri Francesco e Giuseppe, Olivieri Oliviero, Panizza Pompeo, Pederzolli Clemente, Perempruner Alessandro, Peterlini Onorato, Pizzini Antonio, Ricci Giuseppe, Rinaldi Ferdinando, Risati Giacomo, Rosi Giambattista, Rosina Giambattista, Rossaro Giovanni e Luigi, Rossi Luciano e Luigi, Soffia Bortolo, Stefanini Antonio, Svaldi Giovanni, Tedeschi Guido, Tessari Pietro, Tisi Emanuele, Tonini Leopoldo, Tressini Giovanni, Valbusa Enrico, Valentini Pietro, Valeri Claudio, Zanelli Illuminato, Zanini del Sole Fiorio, Zanzotti Giorgio, Zatelli Giambattista, Zinis Alessandro.

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Sparsi fra le truppe di artiglieria, di cavalleria, del genio, in varie brigate di fanteria (Regina, Parma, Ferrara, Ravenna, ecc.), nella guardia nazionale mobilizzata, ecc. Ecco i nomi, desunti dall’elenco del Circolo. Trentino di Milano :

Agostini Bortolo, Aliprandi Giacomo, Andreis Achille, Angeli Cesare e Michele, Angelini N., Antoniolli Clemente, Armani Riccardo, Arici Angelo, Auchentaller Alessandro, Azzolini Luigi, Baibel Tommaso, Bassi Antonio, Benvenuti Carlo, Bertani Giovanni, Betta N., Bettinazzi Vincenzo, Bezzi Antonio, Bianchini Aristide, Pietro e Vincenzo, Bosio N., Bottien N., Brachetti Luigi e Patrizio, Bruni Patrizio, Bruseghin N., Castelli Carlo, Cavallieri Olinto, Cescatti Giuseppe, Chimaschi Pietro, Chizzola Francesco, Ciani Filippo, CoIorio Angelo, Colotti Noè, Conci Achille, Conti Luigi, Conzatti Giovanni, Correnti Giovanni, Costa Giacomo, Dallabona Gaetano di Giuseppe, Dallabona Gaetano di Giacomo, Dallabona Giovanni, Dallafior Giorgio, Dallavecchia Gaspare, Dallemule Francesco, Dalprà N., Danieli Filotimo, Dante Demetrio e Pantaleone, Daprai Andrea, Daziaro Alessandro, De Gasperi Giovanni, Dipré Giacomo, Dorighelli Pietro, Eccheli Giovanni, Eccher Edoardo, Faccenda Domenico, Favelli Tommaso, Fedrigotti Pietro, Fellin Pietro, Ferrazza Camillo, Fogolari Àbramo, Fontana Antonio, Formenti Erminio, Galvano Pietro, Gazzoletti Giambattista, Gerardi Emilio e Giovanni, Ghillini Scipione, Giannazzi Giacomo, Giordani Francesco, Giovanelli N., Giuliani Gaetano Alessandro, Graziadei Giuseppe, Herman Pietro, lagher Carlo, Iseppi Giuseppe, Isnenghi Enrico, Larcher Simone, Libera Tobia, Limana Carlo, Lunelli Daniele, Malacarne Nicolò, Marchi Bortolo, Margoni Giambattista, Mariotti Bortolo, Marosi N., Martignoni Giuseppe Antonio, Martinelli Emanuele e Carlo, Martini Enrico e Federico, Meneguzzi Giovanni e Leopoldo, Mersi Giovanni, Miori Giuseppe, Moiola Faustino, Molinari Domenico, Moser Pietro, Negretti N., Negri Angelo, Nervo N., Nodari Antonio, Oberosler Paolo, Ognibeni Lodovico, Oss Pietro, Paini Alceste, Paoli Carlo, Passerini Luigi, Pavoli Gaetano, Pederzolli Antonio, Pedretti Pietro, Pedrotti Giovanni, Pedretti Giacomo e Giuseppe, Peretti Pietro, Perini Girolamo, Perlat Alfonso, Pernisi Luigi, Perotti Giovanni, Pezzati Costante e Giovanni, Pisoni Francesco, Poda Giuseppe, Potrick Michele, Pradella N., Preghel N., Primon Valentino, Puelli Giovanni, Ricci Giuseppe, Rocchetti Emilio e Francesco, Rodolfi Pietro, Romani Enrico Decimo e Giambattista, Rossi Pietro, Saiani Carlo, Salvadori Carlo, Salvi Giovanni e Giuseppe, Santoni Celestino, Sartorelli Egidio, Sartori Enrico, Scozzi Giacomo, Segarizzi Enrico, Setti Fortunato, Simonatti Beniamino, Simonini Domenico, Sitton Giambattista, Tasainer Bortolo, Toblini Donato, Torboli Antonio, Torelli Giulio, Tranquillini Filippo, Turri Antonio, Vaiz Augusto, Venturi Clemente e Riccardo, Vicentini Gaetano, Vicenzi Casimiro, Zamboni Sebastiano, Zanolli Attilio ed Enrico, Zencher Pietro.

NAPOLEONE III

NAPOLEONE III

 Se la guerra tardava a riardere, la pace s’andava assestando nella maniera più consona alle aspirazioni patriottiche degli italiani. A Villafranca, Napoleone s’era lasciato indurre dall’Austria alla promessa di cooperare alla formazione di una federazione di stati italiani con la restaurazione dei principi spodestati e, quel che è peggio,  aveva rinunziato ad esprimere nella convenzione il principio del non intervento.

Ma Vittorio Emanuele s’era — per consiglio di Cavour — salvato e aveva salvato l’Italia sottoscrivendo la convenzione soltanto per quel che lo riguardava, ossia per il solo articolo che concerneva il trapasso della Lombardia dall’Austria alla Francia, e da questa al Piemonte.

Intanto la rivoluzione, e con essa il movimento di annessione della Toscana, della Romagna pontificia e dei ducati di Modena e Parma, andava facendo il suo corso, col segreto assenso e colla pubblica disapprovazione di Napoleone III. Il 10 novembre, a Zurigo, era segnato fra le tre potenze belligeranti un trattato di pace che confermava la convenzione di Villafranca ; senonché, ancor prima che avvenisse la conclusione definitiva della pace, e cioè in ottobre, l’ Imperatore dei Francesi invitava le maggiori potenze di Europa, e queste accettavano di intervenire a un Congresso, da convocarsi subito dopo la ratifica del trattato allo scopo di sistemare definitivamente le cose italiane.

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Dal preannunciato Congresso, che doveva tenersi con ogni probabilità a Parigi, i trentini si ripromettevano qualche vantaggio per il loro paese: confidavano cioè in una azione vigorosa della Francia e della Sardegna in quella assemblea per obbligare l’Austria a staccare il Trentino dal Tirolo e ad aggregarlo al Veneto,  comprendendolo con questo nella disegnata Lega italiana.

Il contegno dell’Austria era però tale da lasciar ben scarse speranze. Da pochi giorni era stata sottoscritta la pace di Zurigo, quando il ministro Rechberg, in una circolare ai suoi legati, con parole sconvenientissime all’indirizzo della rivoluzione italiana affermò la necessità urgente di rimetter sui loro troni i principi spodestati e di restituire al papa le Romagne, dichiarandosi a priori avverso a qualsiasi eventuale proposta di riforme nell’amministrazione del Veneto, come una questione interna dell’Austria nella quale le altre potenze non dovessero ingerirsi nelle loro discussioni al Congresso.

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Questa condotta intransigente era una vera provvidenza por la rivoluzione italiana, in quanto determinava fra Napoleone e il Gabinetto di Vienna un antagonismo irreducibile di vedute e di intenti e conciliava sempre più l’animo dell’Imperatore dei francesi alla causa dell’unità nazionale. Napoleone infatti, a pochi giorni di distanza dalla circolare Rechberg, in un opuscolo intitolato “Le pape et le Congrès” esorta il papa a rinunciare alle provincie insorte (22 dicembre), e l’ultimo giorno dell’anno indirizza a Pio IX una lettera autografa, resa poi di pubblica ragione, nella quale ribadisce gli stessi concetti ed assevera essere bensì necessaria, per l’indipendenza del pontefice, la sovranità temporale, ma limitata a piccola estensione di territorio. Il nuovo anno perciò s’ iniziava con una viva tensione di rapporti fra il Gabinetto di Parigi e quello di Vienna, e alcuni già prevedevano il fallimento del progettato congresso.

Tuttavia i trentini, che al contrario degli altri italiani riponevano in quella Conferenza le loro ultime sebbene deboli speranze, non cessavano dall’adoperarsi, come fino allora si erano adoperati, perché dalle trattative fra le potenze potesse uscirne un qualche guadagno per l’avvenire politico del loro paese. Il 27 dicembre, prima cioè che l’opuscolo di Napoleone avesse prodotto il suo effetto, si riunirono a Milano i maggiorenti dell’emigrazione trentina e cioè Antonio Gazzoletti, Carlo Esterle, Giovanni Rizzi, Giuseppe Graziadei, Lorenzo Festi e Vittore Ricci, per decidere circa la condotta da seguire in occasione del Congresso. I convenuti decisero di domandare anzitutto consiglio a Camillo di Cavour, il quale doveva intervenire come plenipotenziario della Sardegna al Congresso di Parigi, e inviarono a Torino Vittore Ricci per abboccarsi con lui.

CAVOUR

CAVOUR

Il Ricci poté infatti colla mediazione di Costantino Nigra ottenere di parlare col grande statista fra le 5 e le 6 antimeridiane del 1° gennaio. Il Conte rivolse al nostro trentino numerose domande relative alla storia, alla condizione politica, all’opinione pubblica del suo paese, e il Ricci non esitò a rispondere colla maggiore abbondanza di particolari. Interpellato a sua volta circa il contegno che avrebbero dovuto serbare i trentini in quella circostanza, Cavour rispose non sembrargli il caso di inviare una formale deputazione a chicchessia, né di indirizzare un memoriale al Congresso o alle Potenze, perché la deputazione correva il rischio di non venir ricevuta, e il memoriale di essere addirittura respinto: ciò che avrebbe irrimediabilmente pregiudicato l’avvenire politico del Trentino ed impedito a lui e a chiunque di affacciare poi la questione durante i lavori dell’assemblea.

Invece i trentini potevano, per illuminare l’opinione pubblica internazionale, stampare a Parigi un opuscolo, il quale, senza essere ufficialmente presentato alle potenze riunite, fosse diretto alle medesime in veste di lettera aperta e poi ripubblicato sui più autorevoli giornali di Parigi e di Londra. Per stampare questo opuscolo, come per tenersi in immediato contatto colle persone atte a portare nelle riunioni una voce favorevole, il Conte non avrebbe visto di mal occhio un viaggio di qualche autorevole trentino a Parigi. Quanto all’azione che il Cavour stesso poteva iniziare come membro dell’Assemblea, egli osservava al Ricci : che il Trentino, come il Veneto, dato l’atteggiamento dell’Austria, doveva ritenersi escluso dall’ordine del giorno delle sedute; che a differenza del Veneto e a maggior svantaggio proprio, il Trentino apparteneva alla Confederazione germanica e che in assenza degli stati tedeschi fuor che della Prussia e dell’Austria, non poteva discutersi di un mutamento di confini di detta Confederazione; che per di più la Sardegna aveva bisogno del favore della Prussia per ottenere dal Congresso il riconoscimento della fusione dell’Italia centrale cogli Stati sardi, e che quindi era pericoloso indisporla o allarmarla fin dal principio col chiederle di appoggiare la causa trentina (ciò che alla Prussia medesima avrebbe fatto perdere molto della sua popolarità e del suo prestigio fra i tedeschi, sempre inclinati a considerare la congiunzione del Trentino al Veneto come una diminuzione del territorio germanico); che però, verso la fine del Congresso, quando tutti gli altri punti fossero già stati decisi e non potessero più esser compromessi, il Cavour avrebbe cercato di cogliere la più favorevole occasione per muovere un accenno alla questione veneta, e con essa, anche alla questione trentina: accenno destinato a divenire un antecedente diplomatico assai utile per il futuro; che infine il problema nazionale di quella regione si presentava irto di difficoltà politiche e che unicamente col tempo e per gradi poteva maturarsene la soluzione.

SCIPIO SIGHELE

SCIPIONE SIGHELE

Tornato il Ricci a Milano, egli convocò in casa di Albino lacob il Gazzoletti, il Rizzi e il consigliere Scipione Sighele per riferire sull’abboccamento e venire a una decisione. Il Ricci, il Rizzi e il Sighele stimarono opportuno di seguire a puntino i consigli di Cavour, affinché la questione trentina fosse sollevata sia pure incidentalmente nella Conferenza e così additata ai congressi avvenire. Indipendentemente dalla mossa del conte di Cavour, i trentini durante il Congresso avrebbero tenuto viva l’agitazione e con opuscoli e con articoli e con dimostrazioni a Trento e fuori. Che se poi il plenipotenziario sardo fosse pervenuto ad esprimere un voto o un accenno qualsiasi riguardo al Trentino, tale accenno sarebbe stato raccolto, divulgato e agitato con effetto storico indiscutibile.

ANTONIO GAZZOLETTI

ANTONIO GAZZOLETTI

Ai più fra i convenuti non sembrava neppur prudente di tenere in non cale i suggerimenti del grande statista, visto che i veneti, che pure si erano rivolti a lui, si mostravano decisi ad ubbidirgli. Tali pratiche e tali vedute della maggioranza comunicò Vittore Ricci in una circolare segreta ai più influenti patrioti del Trentino (Manci, Ducati, Gar, Santoni, Dalla Rosa, Larcher e pochi altri); ma Antonio Gazzoletti si dichiarò di opposto pensiero e a sua volta indirizzò agli amici di Trento una lettera di protesta, della quale riproduco qualche brano:

“lo sono di contrario parere, lo dimostrai, benché vanamente, contro l’invio di V. R. (Vittore Ricci) in Torino; io previdi e predissi l’esito piuttosto sconfortante di quella conferenza; ed anche adesso, dopoché la situazione nostra si è resa per tale fatto più difficile, ritengo tuttavia che non si debba abbandonare il pensiero di una deputazione che, nelle forme possibilmente più solenni, promuova e propugni l nostri diritti. La nostra causa non può confondersi colla causa del Veneto. Il Veneto domanda esplicitamente il distacco dall’Austria; noi ci limitiamo per ora a domandare che si provvegga in qualche modo ai nostri morali e materiali bisogni, sciogliendoci da Germania e restituendoci a Italia …

La mozione relativa al nostro paese può quindi partire tanto dal rappresentante sardo, quanto dal francese, dall’ inglese, dal russo, e via discorrendo, dacché si tratta, senza sacrificio dell’ impero austriaco, di render ragione ai giustissimi reclami di una famiglia italiana, che stretta a durissimo giogo di straniero consorzio, non gioverebbe mai e forse un giorno potrebbe creare Imbarazzi al mantenimento di quella pace, alla quale hanno interesse tatti gli Stati d’Europa. Ma, si dice, la deputazione, come tale, non verrà né ricevuta né ascoltata e dovrete tornarvene colle pive nel sacco. Pazienza! A corona delle altre dimostrazioni, che ci costarono sacrifici di denaro e di sangue, avremo tentato anche quest’ultima prova; e i nostri tentativi saranno constatati dalla stampa di tutti i liberi Stati, e varranno almeno come una nuova protesta rimpetto alla diplomazia, e, quello che più monta, rimpetto alla pubblica opinione, e come un antecedente di non lieve peso per un’altra occasione”.

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Il Gazzoletti aggiunge che la protesta avrà tanto maggiore importanza se il consesso europeo dovrà occuparsi del definitivo e generale assetto d’Italia, e quanto alla possibilità che il delegato italiano abbia a far cenno della questione trentina, osserva:

“lo non mi illudo. Io stimo che il plenipotenziario sardo, se arriverà a far sancire l’annessione delle Provincie libere della media Italia al Piemonte, crederà d’aver fatto, e, in realtà, avrà fatto assai per il suo Re,  per la nazione e per la sua gloria; e cosi, quando le discussioni del Congresso non si allarghino di loro stessa natura alla Venezia e al Trentino, egli sarà costretto, per il momento, a soffocare quei sentimenti di simpatia e di giustizia, che certamente gli parlano in nostro favore”.

E più sotto :

“Mi pare che tre persone le quali si sappiano onorate della fiducia del paese e che abbiano la coscienza di poter parlare in suo nome si eccitano a vicenda, si incoraggiano, si consigliano, si spingono e da cosa nasce cosa: mentre è difficile trovare un tale, che solo, senza veste, senza rappresentanza, in abito tutt’affatto privato, sappia e possa farsi largo in quel mare magnum di Parigi e dell’Areopago europeo e nel pessimo caso basti a segnare una protesta, a creare un precedente nella pubblica opinione e nella storia del diritto internazionale europeo. I Franklin non spuntano né sempre né dappertutto …”.

Il Gazzoletti contesta poi l’efficacia di un opuscolo anonimo privato in mezzo alla colluvie di scritti politici che inonda l’Europa, quando non sia ufficialmente consegnato da una rappresentanza adatta. Aggiunge che, se al principio del 1859 avesse badato alle scoraggianti dichiarazioni udite dagli stessi ministri piemontesi, il Trentino non si sarebbe, per suo consiglio, pronunciato con nessuna di quelle manifestazioni che tanto lo elevarono nella stima dei fratelli italiani. Egli dichiara infine di rinunziare per suo conto a rappresentare il Trentino a Parigi in tale circostanza, ma vuole che una deputazione sia inviata, e perciò ha scritto le sue ragioni ” senza spirito di puntiglio, ma per sentimento di dovere, per intima convinzione, e per l’amore grandissimo che porto a codesta nostra povera patria„.

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La nobile disputa era ormai divenuta inutile. Il papa, indispettito per l’opuscolo e per la lettera di Napoleone, che venivano quasi a metter fuori causa le provincie insorte contro il suo Governo, respingeva  sdegnosamente le proposte dell’Imperatore dei Francesi; e l’Austria, informata da quest’ultimo che le idee della pubblicazione sarebbero patrocinate da Napoleone al Congresso, dichiarava in segno di protesta di astenersi definitivamente dal prendervi parte.

La progettata Conferenza di Parigi cosi andava in fumo e l’Italia, libera ormai dall’intervento straniero, sollevata da un incubo, si affrettava a compiere colle sole sue forze la propria unificazione nazionale; mentre il Trentino, nuovamente abbandonato a se stesso, perdeva cosi anche quella pallidissima speranza che i migliori suoi uomini avevano riposto nella dubbia equità di un consesso internazionale.

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