IL TABACCO FA MALE

IL TABACCO FA MALE – CECHOV, 1902

 Ivan Ivanovic Njuchin – (Con lunghe fedine, senza baffi, con indosso un vecchio frac, tutto consumato, entra solennemente, s’inchina e si aggiusta il panciotto).

 Egregi signore e, diciamolo pure, egregi signori. (Si liscia le fedine). A mia moglie è stato proposto che io, a scopo di beneficenza, tenessi qui una conferenza di propaganda. E perché no? Si deve fare una conferenza? E facciamo una conferenza! Per me è proprio lo stesso. Io, per dir la verità, non sono un professore e sono estraneo alla carriera accademica, ma ciononostante sono trent’anni che ininterrottamente, a discapito della mia salute, lavoro intorno a questioni di carattere strettamente scientifico, medito e talora, figuratevi, scrivo anche degli articoli scientifici; cioè, non proprio scientifici, ma diciamo di carattere quasi scientifico.

 Fra l’altro, in questi giorni, ho scritto un ponderoso articolo intitolato: Conseguenze nocive derivanti da alcuni insetti. Alle mie figliuole è piaciuto assai, specialmente per quello che riguarda le cimici; io dopo averlo letto l’ho stracciato. Del resto, che l’abbia scritto o no, è perfettamente lo stesso, poiché, tanto, della polvere insetticida non si può fare a meno. A casa nostra ci sono le cimici perfino dentro il pianoforte… Come tema della mia odierna conferenza io ho scelto, diciamo così, il danno che arreca all’umanità l’uso del tabacco.

 Anch’io fumo; ma mia moglie mi ha ordinato di tenere oggi una conferenza sui danni del tabacco e quindi non c’è niente da obiettare. Dobbiamo parlare del tabacco? E parliamo del tabacco! Per me è proprio lo stesso; chi non avesse piacere di sentirla può andarsene, ma prego chi resta di seguire silenziosamente, se no per me va a finire male. (Si aggiusta il panciotto). Chiedo una particolare attenzione ai signori medici qui presenti, i quali potranno attingere dalla mia conferenza molte utili cognizioni; giacché il tabacco è usato anche dalla medicina. Per esempio, se si mette una mosca in una tabacchiera, la mosca muore; probabilmente per choc nervoso. Il tabacco è, soprattutto, un vegetale…Quando io faccio una conferenza, di solito mi viene un tic all’occhio destro, ma voi non ci badate: dipende dall’agitazione. Io generalmente sono molto nervoso, e questo tic mi è cominciato il 13 settembre del 1889, il giorno in cui mia moglie dette alla luce, diciamo così, la quarta figlia, Varvara. Tutte le mie figlie sono nate il 13.

 Debbo farvi notare che mia moglie tiene una scuola di recitazione e un convitto privato, cioè, non proprio un convitto, ma qualcosa di simile. A dirla tra noi, mia moglie ama lagnarsi delle sue ristrettezze, si lamenta e ha da parte un quaranta o cinquantamila rubli, mentre io non ho il becco di un quattrino. Ma è inutile parlarne! Nel convitto io faccio da amministratore e da economo.

 Faccio le provviste, sorveglio la servitù, annoto le spese, cucio i quaderni, do la caccia alle cimici, faccio passeggiare il cane di mia moglie, acchiappo i sorci…Ieri sera mi è stata affidata la mansione di distribuire alla cuoca burro e farina per fare le frittelle, ne hanno cotte più del previsto e mia moglie prima ha ordinato di conservarle in cantina, ma poi ha detto: “Mangiale tu, queste frittelle, fantoccio”. Lei quando è di cattivo umore mi chiama così: “fantoccio”. Lei è sempre di cattivo umore. Io quindi non le ho mangiate le frittelle, le ho trangugiate senza nemmeno masticarle, perché sono sempre affamato. Ieri per esempio mi ha lasciato senza pranzo: “Tu fantoccio, non c’è ragione che mangi”! Ma, intanto (guarda l’orologio), noi ci siamo perduti in chiacchiere e abbiamo divagato un po’ dal nostro tema.

Proseguiamo. Sebbene non ci sia dubbio che voi, ora, ascoltereste più volentieri una romanza, o una sinfonia, o qualche arietta come questa… (Canticchia). “Della pugna nel furore, sempre impavido avrò il core…”. Non mi ricordo che pezzo sia… Fra l’altro ho dimenticato di dirvi che nella scuola di recitazione di mia moglie, oltre all’amministrazione è a me affidato anche l’insegnamento della storia del teatro, della musica, della danza, del costume e della scenografia, solfeggio, eccetera. Ecco, qui ci sono dei programmi, chi fosse interessato può rivolgersi a mia moglie.

 Se dopo questa conferenza qualcuno volesse fermarsi, la serata continuerà con uno spettacolo messo in scena dal gruppo di quest’anno. La nostra scuola sta al vicolo dei Cinque cani, n. 13. Ecco perché forse la mia vita è così disgraziata; abitiamo al n.13, le mie figlie son nate il 13 e la nostra casa ha 13 finestre. Dicono che il 13 porti jella; io credo che sia vero!

 Mentre faccio una conferenza, all’aspetto sono allegro, ma avrei una gran voglia di gridare a squarciagola e di scappare in capo al mondo. E non ho nessuno con cui sfogarmi; anche se ho voglia di piangere… Voi direte: le figlie… Che cosa sono le figlie? Io parlo con loro e quelle mi ridono in faccia… Mia moglie ha sette figlie… No, scusate, mi sembra sei… (Vivacemente) Sette! La più grande, Anna, ha ventidue anni, la più piccola diciassette…

 Egregi signori! (Si guarda intorno). Io sono un infelice, sono diventato un imbecille, un uomo da nulla, ma in sostanza voi vedete davanti a voi il più felice dei padri. In sostanza deve essere così e io non oso dire il contrario. Ah, se sapeste! Sono trentatré anni che vivo con mia moglie e posso dire che questi sono stati i più begli anni della mia vita; cioè, non proprio i più belli, che il diavolo se li porti!

 (Guardandosi intorno).

Mia moglie a quanto pare non è ancora venuta, e posso dire quel che mi pare… Ho una paura maledetta, ho paura quando lei mi guarda. Le mie figliuole è tanto che aspettano di trovare marito, probabilmente perché sono timide e perché i giovanotti non le vedono mai.

 Mia moglie non invita mai nessuno, è una donna avarissima, irritabilissima, litigiosissima e perciò nessuno viene a casa nostra. Ah, sapeste che voglia avrei di fuggire… lasciare ogni cosa e fuggire senza nemmeno voltarmi… Dove? Non importa dove, pur di fuggire da questa vita meschina che mi ha ridotto come un vecchio miserabile idiota; pur di fuggire lontano da questa stupida, malvagia, malvagia, malvagia strega di mia moglie, da tutte queste cose misere e vili… e fermarsi in un luogo qualunque, lontano lontano, in mezzo alla campagna e restar lì piantato come un albero, come un fantoccio impagliato, sotto l’ampio cielo e guardare per tutta la notte come sopra di te pende quieta, chiara la luna e dimenticare, dimenticare… Oh, come vorrei non ricordare più nulla! Come vorrei strapparmi di dosso questo vile, vecchio frac, col quale trent’anni fa mi sono sposato… (Si sfila con violenza il frac), col quale faccio sempre le mie conferenze di beneficenza!… Tieni! (Calpesta il frac). Tieni! Non mi serve niente! Io sono più in alto e più puro di tutto ciò; io ero giovane un tempo, studiavo all’università, mi consideravo un uomo… Ora non mi occorre niente! Niente; eccetto un po’ di pace… un po’ di pace!

 (Dopo aver guardato da una parte, indossa rapidamente il frac). Ecco là mia moglie dietro le quinte… E’ venuta e mi aspetta là… (Guarda l’orologio). E’ già passato il tempo prescritto. Se vi domandasse qualcosa, per favore ditele che la conferenza è stata fatta e che il fantoccio, cioè io, si è comportato dignitosamente. (Guarda da una parte e tossisce). Lei sta guardando qua… (Alzando la voce). Poiché da questa tesi consegue che il tabacco contiene un terribile veleno, del quale ho or ora parlato, bisogna assolutamente astenersi dal fumo ed io oso sperare che questa mia conferenza, che ha illustrato i danni arrecati dal tabacco, porti i suoi utili effetti. Ho detto quando dovevo. Grazie. Grazie. (Fa un inchino ed esce con grande solennità).

EL TABACH EL FA MAL

 Siore e siori, scolteme mi, n’atimo. La me sposa, la m’ha dit, de tegnirve stasera

na conferenza. Per far del bem, per tirars su qualcos per quei che sta poc bem, se sa.

Ebbenvallah, bisogna far sta conferenza? Fente sta conferenza. Per mi l’è lo stess. Mi per dir la verità. no saria propri en professor, però l’è da trent’ani che senza darme tante pare, stago drio a ste rove, e scrivo anca articoi, cioè non propri articoi de scienza, ma quasi disente.

Tra l’altro en sti di chi ho scrit n’articol dal titol “Quel che podria capitarve se se sponzui da zerti inseti”.  A le me fioile el ghè piasù tant, soratut dove parlo de la zanzara tigre. Mi, dopo averlo let, l’ho sbregà su.  Del rest che l’abia scrit o no l’è la stesa roba, perchè tanto dei insetticidi no se pol far  a mem. A casa nossa ghè,le piatole anca dentro el pianoforte

Comunque stavolta ve parlerò dei dani che fa el tabach

Anca mi fumo, ma la me sposa l’ha m’ha dit di far ancoi na conferenza su sti dani del fum. E alora no se pol dirghe de no. Dovem parlar del tabac? E parlente del tabac. Per mi l’è lo stess: quei che no voles sentir sta conferenza i pol anca nar via neh,  ma i altri, quei che resta…ve prego, fe zito se no per mi la finiss mal.

Domando n’atimo de atenziom ai dotori che ghè en sala, che i poderà saver da quel che ve dirò, robe che pol tornar comot.

Per  esempi se se mette na mosca en de na tabachera, la mosca la more, forse per na specie de depressiom, de nervoso. El tabac lè soratut na specie de erba…Oscia, quando fago na conferenza de solit me vei en tic a l’ocio destro, no stè farghe caso, l’è l’agitaziom. Mi de soliti son tant nervos e questo l’è scominzià el tredese setembre dell’89 quando la me sposa l’ha mess al mondo, disente cosi, la quarta fiola. Varvara. Oh, tute le me fiole l’è nate el tredese.

Ah, me desmenteghevo, la me sposa la tei dei corsi de recitaziom e en convitto privato, cioè non popri en convitto ma qualcos che ghe somiglia. A dirla tra de de noi, la me sposa la se lamenta semper che no la pol comprar l’ultim model de borse. En realtà la gà via almen zinquantamila euro che gà lassà i soi. Mi enveze no gò gnent. Ma lassente star. Nel convitto mi fago l’aministrator, quel che controla i soldi. De la sposa, se sa.

Fago la spesa, dago n’ociada ai dipendenti, segno le spese, copo le formighe e le vespe, porto fora el cagn a pissar, ciapo le pantegane…perché no gavem en gat. Ieri sera i m’ha dit de darghe del buro e dela farina ala coga per far de le fortaie. I n’ha fat de pu de quel che i doveva e la me sposa prima la mha dit de meterle en qualche vaso zo en cantina, po la m’ha ciamà: “Magnetele ti ste fortaie en pu, embezile”

Ela l’è semper malmostosa. Mi le fortaie le ho magnae, le ho buae zo senza zacarle, perché son sempre famà come en luz. Ieri per esempi la m’ha lassà senza disnar: “,te sei ciciom meio che no te magni”

Ma scuseme tra na ciacera e l’altra som na fora come el Varom dal tema.

Nente avanti. Anca se no ghè dubi. Voi ades scoltereseme pu volentera na canzom  tipo che ne so: <Azuro, el dopodisnar l’è sempre azuro… No me ricordo le parole.

Ah tra l’altro, volevo dirve, nela scola de recitazion de me sposa, oltre a l’aministraziom i m’ha dat da far anca storia del teatro, dela musica, dela danza, dela scenografia, del solfegio…eco magari ve dago i depliant de sti programi, basta che parleghe ala sposa.

Se po qualchedum vol fermnase dopo la conferenza, ghe sarà dopo en spetacolo col grupo de quei che studia st’am en sta scola. Che l’è en via dei zinque cagni tredese, a Bedol. Ecp perché forse son così sfigà, abitem al tredese, le fiole le è nate el tredese, la nossa casa la gà tredese finestre

Quando fago le conferenze, paro alegro, e enveze Gavria tanta voia de gosar, de scapar dove no im me trova pu. No gò nessuni da sfogarme anca se gò voia de pianzer. Dirè: e le fiole? Le fiole? Mi ghe parlo e lore le me ride en facia. E de fiole ghe nò sete…la pu granda, Ana, la gà 22 ani, la pu picola 17

Ah, cari voi. Son deventà n’emebizle, n’om da gnent. O meio som el pu felize dei papà. Deve esser così, no penseria mai de dir el contrario. Ah, se savesse…l’è trentatrè ani che vivo co la me sposa e podo dir che l’è stà i i pu bei ani dela me vita, cioè non propri i pu bei…ma se ciava

La sposa no l’è vegnua…alora podo dir quel che voi. La me fa tanta paura quando la me varda. Le me fiole l’è da tant che le speta de trovar en marì, forsi le è timide o forsi i putei no i le vede mai

 

La me sposa no la envida mai nessuni,  la gà el braz cort, semper encazzada, e alora te credo che nessuni vei a nossa casa. Ah se savesse, gavria tanta voia de scapar…lassar chi tut e nar via, senza mai voltarme. Dove? Basta nar. Via da sta vita da disgrazià, pur de scapar da sta sposa cativa e fermarse lontam, magari en mez ala campagna e restar lì enciodà cone n’alber, come en spaventapasseri, co le stele che ve varda de sora e no dis gnente.

Voleria tant sbregarme de dos sti vestiti che meto da quando me som sposà, che dropo per ste conferenze

Via via, ero zovem na volta, pien de voia de far. Ades voleria sol en po de paze

Oscia, è arivà la sposa. L’è là drio, la me varda mal. Oh se la ve domandes come l’è nada, diseghe che l’è stà na bela conferenza neh…

Alora, come avrè capì da tuite le robe che v’ho dit fim ades, el tabac l’è tossech, bisogna no fumar, spero che sta conferenza la ve abia mess la paura giusta. Butè via i zigareti, subit.

Grazie….

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