I “SEGRETI” DI GALEAZZO CIANO – 8

a cura di Cornelio Galas

  • documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino

A settanta anni dalla loro redazione ecco per la
prima volta in rete i documenti che Galeazzo Ciano
allegava al suo DIARIO

MARZO 1938


AGENDA PER UN ACCORDO ITALO-BRITANNICO

Roma, 8 marzo 1938 – XVI

Lord Perth ha iniziato il colloquio dichiarando di essere autorizzato dal Governo britannico ad aprire le conversazioni ai fini di realizzare un accordo tra il suo Paese e l’Italia, ed ha aggiunto di essere lieto di rimettermi un messaggio personale di Halifax. Ho ringraziato del messaggio e ho assicurato che non avrei mancato di far pervenire al più presto una risposta al Ministro degli Esteri della Gran Bretagna.

Continuando il colloquio preliminare Lord Perth ha tenuto a ripetermi, a nome del suo Ministro degli Esteri, che l’intervista concessa al Negus non doveva assumere nessun particolare rilievo. Il Governo britannico, nella situazione attuale, non può esimersi dall’aver contatti col rappresentante dell’ex-Impero Etiopico né poteva respingere una richiesta di udienza da parte del Negus.

Noi avremo certo rilevato che la stampa ha fatto passare sotto silenzio questo avvenimento. Ho risposto prendendo atto della dichiarazione, ma aggiungendo che per parte mia non ero del tutto d’accordo nel ritenere che la richiesta di udienza del Negus doveva venire accettata. Comunque facevo rilevare che anche la stampa italiana, secondo il desiderio espresso dal Governo inglese, si era astenuta dal polemizzare in materia, per quanto l’avvenimento non fosse sfuggito all’attenzione generale ed avesse determinato, particolarmente in Francia, commenti assurdi e in ogni caso sgradevoli.

Edward Frederick Lindley Wood, I conte di Halifax

Lord Perth mi ha parlato della propaganda esercitata dalla stampa ed ha pregato che durante il corso delle trattative una tale azione di propaganda venga limitata da parte nostra. Halifax ha già, per suo conto, rivolto un appello alla stampa britannica, salvo naturalmente quella di opposizione, affinché, non vengano svolte campagne antitaliane. Ho fatto rilevare a Lord Perth che già da alcune settimane il tono della nostra stampa si è sostanzialmente modificato ed anche la radio svolge un’attività che non può dar luogo a rilievi.

Perth ha detto che anche un cambiamento di tono nei confronti della Francia sarebbe di utilità ai fini delle prossime trattative. Tale suggerimento era da considerarsi comunque personale. Ho risposto che le polemiche tra noi e la Francia sono determinate piuttosto da ragioni ideologiche in considerazione del carattere del Governo francese: ciò rende evidentemente più difficile una modifica del nostro atteggiamento. Per quanto concerne i problemi internazionali, tranne quello spagnuolo, non esistono motivi di diretta polemica tra l’Italia e la Francia.

Continuando nella conversazione preliminare, Lord Perth mi ha detto che il problema cui l’opinione pubblica britannica annette la maggiore importanza, è quello della evacuazione dei volontari dalla Spagna. Sarebbe perciò necessario realizzare quanto prima un concreto progresso in tale questione. A titolo personale suggeriva la possibilità di evacuare le nostre forze dalle Baleari, dato che, a suo avviso, un simile gesto sarebbe destinato ad avere la più larga e favorevole eco nella opinione pubblica britannica.

Gli ho risposto che tale suggerimento mi appariva strano, dato che, come è noto, noi non abbiamo forze terrestri alle Baleari e che, almeno fino ad ora, le discussioni del Comitato di Non Intervento hanno preso in considerazione soltanto le forze terrestri. Se dei reparti aerei si trovano alle Baleari, si tratta di aviazione legionaria nella quale il materiale è italiano e gli equipaggi misti.

L’ambasciatore Lord Perth e il ministro Ciano sorridono nel salone della Vittoria al termine della firma della dichiarazione italo-britannica

Comunque mi pareva che una tale proposta non potesse venir presa in considerazione. Lord Perth non ha insistito. Continuando nella conversazione preliminare egli mi ha ripetuto che il Governo britannico tiene a dare all’eventuale accordo tra i due Paesi il carattere di un gesto destinato a facilitare la generale pacificazione europea. Ho risposto che anche noi condividiamo tale punto di vista.

Lord Perth mi ha quindi rimesso l’agenda delle conversazioni angloitaliane. Nell’accettarla gli ho fatto presente che io mi riservavo di aggiungere quegli argomenti che il Duce avesse eventualmente ordinato di discutere. Abbiamo quindi proceduto all’esame degli undici punti che costituiscono l’agenda.

1. Spagna. – Di tale argomento l’esame è stato rinviato al capoverso 11, in connessione col riconoscimento dell’Impero italiano di Etiopia.

2. Conferma degli accordi mediterranei del 1937 compreso lo scambio di note. – Ho detto a Lord Perth che non vedevo obiezione, da parte nostra, a confermare quanto avevamo sottoscritto lo scorso anno.

3. Estensione degli articoli concernenti lo status quo mediterraneo alle altre Potenze mediterranee. – Lord Perth si è riservato di sottoporre una formula con la quale verrebbe praticamente dichiarato che l’Italia e l’Inghilterra accetterebbero con piacere una dichiarazione delle Potenze mediterranee nel senso dei capoversi 4 e 5 del genlemen’s agreement. I capoversi in questione suonano così:

“Il Regno Italiano e il Governo di S.M. del Regno Unito… escludono ogni proposito di modificare, o, per quanto li riguarda, di vedere modificato lo status quo relativo alla sovranità nazionale dei territori nel bacino del Mediterraneo; si impegnano al rispetto dei loro reciproci interessi e diritti su tale zona”.

L’incaricato degli affari esteri per l’Egitto Mustafà El Sadek firma una dichiarazione nel salone della Vittoria alla presenza del ministro Ciano, dell’ambasciatore britannico Lord Perth e di autorità

Ho domandato a Lord Perth quale concetto avesse ispirato questo suggerimento inglese. Egli mi ha risposto che si trattava unicamente di aggiungere una garanzia al mantenimento della pace e dell’equilibrio mediterraneo.

Pur riservandomi ogni risposta dopo aver ricevuto gli ordini dal mio Capo, ho fatto rilevare a Lord Perth che un simile invito apriva la strada a quel Patto Mediterraneo che, per il suo carattere di sicurezza collettiva, non incontrava le simpatie del Governo italiano. Ho aggiunto che per parte nostra non avevamo bisogno di una simile dichiarazione, dati gli accordi che ci legano con gli altri Stati mediterranei, completati, dopo la firma del gentlemen’s agreement, col patto di Belgrado che ha consacrato le ottime relazioni tra l’Italia e la .Jugoslavia.

Ho infine fatto rilevare che una simile richiesta alle altre Potenze sarebbe stata oggetto di controversie nei confronti del Governo spagnuolo, poiché, mentre noi abbiamo formalmente riconosciuto il Governo di Franco e soltanto il Governo di Franco, gli inglesi mantengono invece rapporti diplomatici ufficiali col Governo rosso di Barcellona. Lord Perth ha dovuto ammettere la fondatezza di quest’ultimo rilievo e si è riservato di riferire al suo Governo.

4. Forze italiane in Libia. – Lord Perth ha premesso che a tale argomento il Governo britannico annette la maggiore importanza. Pur senza avanzare una richiesta specifica e formale il Governo inglese chiede a noi l’assicurazione di diminuire le forze dislocate in Libia. Ho risposto a Lord Perth riservando al Duce ogni decisione in merito: a titolo personale ho aggiunto che il concentramento delle forze in Libia doveva venire considerato come una conseguenza e non come una causa della frizione tra Italia e Gran Bretagna. Il Governo inglese aveva a suo tempo concentrato nel Mediterraneo la “Home Fleet”: a preparativi militari è stato risposto con preparativi militari.

“Home Fleet”

5. Scambio di informazioni militari. – Questo era un suggerimento di S. E. Grandi che il Governo britannico accoglieva con simpatia, essendo disposto a concertare con noi un periodico scambio di informazioni circa le forze del Mediterraneo e del Mar Rosso. In via preliminare ci rimetteva un promemoria concernente i prossimi movimenti di forze britanniche.

6. Trattato navale. – Il Governo britannico chiede al Governo fascista l’adesione al Trattato navale, poiché ritiene una tale adesione vantaggiosa per la pacificazione generale e di grande effetto morale. Tale effetto sarà particolarmente e benevolmente risentito negli Stati Uniti.

“Home Fleet”

7. Palestina. – Mentre il Governo britannico si impegnerà al rispetto degli interessi italiani in tale regione, chiede la cessazione dell’attività di agenti italiani o al servizio dell’Italia colà esistenti e desidera ottenere dal Governo italiano un impegno di astenersi da ogni tentativo di creare difficoltà al Governo britannico nel decidere circa la politica e l’amministrazione della Palestina. In altre parole Lord Perth ha detto che dall’impegno pel mantenimento dello status quo nel Mediterraneo deve venire esclusa la Palestina, qualora dovessero in tale zona verificarsi modifiche sulla base del rapporto Peel. Su questo punto ho formulato le più ampie riserve.

Il piano di spartizione suggerito dalla Commissione Peel nel 1937

8. Richieste analoghe a quelle per la Palestina vengono avanzate anche per la Siria.

9. Arabia. – Lord Perth mi consegna una formula secondo cui i due Governi si impegnano, per quanto li concerne, di non far niente che possa disturbare lo status quo territoriale in Arabia nonché di astenersi dal ricercare una posizione privilegiata sulle coste arabiche del Mar Rosso. Tale formula è giudicata da Lord Perth conforme agli accordi già esistenti in merito tra l’Italia e l’Inghilterra.

10. Propaganda. – Lord Perth si riserva di sottopormi uno schema di formula relativo alla cessazione di ogni attività di propaganda antibritannica. Tale formula gli dovrà venire dal Governo di Londra.

11. Questione etiopica

a) Riconoscimento dell’Impero. – Lord Perth mi consegna una formula nella quale è detto: “Se un accordo è raggiunto in tutte le principali questioni esistenti fra il Governo di Sua Maestà e il Governo italiano, il Governo britannico, non appena possibile, farà passi a Ginevra al fine di rimuovere gli ostacoli che si oppongono al riconoscimento della sovranità italiana sull’Etiopia”.

Tra le questioni esistenti, Lord Perth mette nettamente la questione spagnola e dice che l’accordo potrà considerarsi raggiunto quando si sarà realizzato un concreto progresso nella questione della evacuazione dei volontari.

Ho fatto rilevare a Perth che mi pareva di scorgere una netta differenza tra quanto egli mi comunicava e quanto precedentemente ci era stato comunicato da Londra. Salvo errori il signor Chamberlain aveva richiesto, per aprire le conversazioni con noi, una dichiarazione di accettazione da parte nostra della formula britannica relativa al ritiro dei volontari. Tale accettazione era stata da noi comunicata. Adesso invece si parlava di progresso sostanziale nell’effettivo ritiro dei volontari.

Ciò poteva determinare un notevole ritardo, dipendendo non soltanto da noi e dalla nostra buona volontà, bensì dalla volontà di tutti i membri del Comitato di Non Intervento. Domandavo pertanto a Perth:

1. che cosa intendeva con precisione per concreto progresso nella evacuazione dei volontari;

2. che cosa avrebbe il Governo britannico inteso di fare, se tra l’eventuale intesa tra i due Governi sui vari punti sottoposti al nostro esame e la soluzione del problema spagnolo fosse intercorso un certo periodo di tempo;

3. quando e come il Governo britannico intendeva portare a Ginevra il problema del riconoscimento dell’Impero.

Lord Perth mi ha risposto per quanto concerne il primo punto che egli non era in grado di darmi precisazioni e che pertanto avrebbe a sua volta posto il quesito a Londra; per il secondo punto che un accordo eventualmente raggiunto tra l’Italia e l’Inghilterra avrebbe potuto essere tenuto in sospeso fino al momento della soluzione richiesta per il problema spagnolo, magari rendendo di pubblica ragione quanto fatto; che infine il Governo britannico intendeva portare il problema del riconoscimento dell’Impero alla prossima riunione del Consiglio della Società delle Nazioni che avrà luogo a Ginevra nel prossimo maggio.

Su tutti questi punti ho formulato le più ampie riserve. Anche Lord Perth si è riservato di chiedere maggiori istruzioni al suo Governo.

b) Frontiere dell’Impero. – Il Governo britannico proponeva di rinviare la discussione per la delimitazione dei confini a dopo il riconoscimento della sovranità italiana nell’Etiopia. Nel frattempo potrebbe realizzarsi una intesa di bon voisinage.

c) Lago Tana. – Il Governo britannico chiede che venga da parte nostra riaffermato il riconoscimento degli interessi inglesi in tale regione, così come precedentemente fu fatto.

d) Reclutamento di armati indigeni. – Il Governo britannico ci chiede di confermare l’assicurazione data nella nostra nota diretta a Ginevra il 29 giugno 1936, nel senso che l’Italia è per suo conto favorevole ad accettare il principio che gli indigeni non debbano essere obbligati ad altro servizio militare che non sia quello della Polizia locale e della difesa territoriale.

e) Trattamento dei missionari in Abissinia. – Il Governo britannico chiede che venga applicato l’articolo 11 del Trattato di San Germano che conferisce libertà di propaganda religiosa ai missionari di ogni confessione pur sottoponendoli al controllo dell’autorità politica e delle leggi locali.

f) Interessi generali del commercio britannico in Etiopia. – Siccome il Trattato di Commercio del 1883 si estende al Regno e alle Colonie, il Governo britannico chiede che esso, una volta realizzato il riconoscimento giuridico dell’Impero, si estenda all’Impero stesso.

Questi i punti contenuti nell’agenda. Infine Lord Perth ha sollevato il problema concernente la persona di Tafari; pur non volendo includere un tale argomento in quelli ufficialmente avanzati per la discussione, Lord Perth mi ha lasciato intendere che il Governo britannico è desideroso di conoscere le nostre intenzioni nei riguardi del predetto signore.

Ho risposto che non potevo comunque in via ufficiale prendere in considerazione un tale argomento. Parlavo quindi a titolo strettamente personale e cominciavo col dirgli che in Italia si nutre il più profondo disprezzo per questo individuo che dopo aver determinato un conflitto, ha disertato il suo posto sottraendo denaro e proprietà al popolo abissino. La sorte di questo disertore non ci interessava.

Escludevo quindi nel modo più formale ed assoluto che il Governo italiano fosse comunque disposto a fare qualsiasi concessione politica nei confronti dell’ex-Negus, cosí come a permettere a lui ed ai suoi discendenti di tornare in Etiopia. Lord Perth mi ha domandato se saremmo stati disposti a venire incontro alle sue necessità economiche.

Gli ho detto che tale questione appariva di secondaria importanza e che forse avrebbe potuto venir presa in considerazione a seconda dell’atteggiamento di Tafari. Siamo rimasti d’accordo con Lord Perth che un secondo incontro avrà luogo quando nuove e più dettagliate istruzioni gli saranno pervenute da Londra. Pertanto egli prenderà l’iniziativa del prossimo incontro.

NUOVO COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE BRITANNICO

Roma, 12 marzo 1938 – XVI

Questa mattina alle ore 11 ha avuto luogo il secondo colloquio con l’Ambasciatore di Gran Bretagna Lord Perth. Riprendendo alcuni punti della discussione che aveva avuto precedentemente luogo, egli mi ha comunicato:

1. Che il Governo britannico non era ancora in grado di farmi conoscere con precisione che cosa intendeva per “sostanziale progresso” nel ritiro dei volontari. Non appena possibile Lord Perth mi avrebbe dato maggiori spiegazioni. Per parte mia gli ho risposto che noi, allorché avevamo significato la nostra adesione alla formula britannica, lo avevamo fatto in piena buona fede e animati dalla migliore volontà.

Quindi era nostra intenzione di poter tradurre in pratica quanto di massima era stato concertato. Ma facevo rilevare all’Ambasciatore britannico che non solo da noi e da loro dipendevano i lavori del Comitato di Non Intervento, e che quindi avrebbe potuto presentare grave svantaggio il far dipendere i risultati delle conversazioni italo-britanniche dai progressi più o meno realizzati in seno al Comitato di Non Intervento stesso. Lord Perth ha concordato e mi ha detto che è proprio su questo punto che il Governo britannico ha portato la sua attenzione.

2. Per quanto concerne la riserva da me formulata sulla opportunità di invitare le altre Potenze mediterranee a manifestare la loro solidarietà per il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo, Lord Perth mi informava che il Governo britannico aveva deciso di mettere temporaneamente da parte tale questione. Io ho detto che, poiché su questo punto ritenevo la opposizione italiana di carattere definitivo, suggerivo al Governo britannico di non voler più tornare su questa proposta.

Lord Perth mi ha infine rimesso una proposta di formula per quanto concerne lo scambio di informazioni militari. Mi sono riservato di sottoporla all’esame dei nostri esperti. Lord Perth mi ha anche detto che nei primissimi giorni della prossima settimana giungerà a Roma il signor Rendel, esperto britannico per le questioni concernenti la Palestina, la Siria e l’Arabia. Egli prenderà contatto contatto col nostro rappresentante, da me indicato nella persona del signor Guarnaschelli. Abbiamo concordato con Lord Perth che nei primi giorni della prossima settimana anche noi cominceremo l’esame, punto per punto, delle questioni in discussione.

Ho richiamato l’attenzione di Lord Perth sul fatto che l’Inghilterra si propone di sottoporre all’esame del Consiglio della Società delle Nazioni la questione del riconoscimento dell’Impero. Ho domandato quale programma avrebbe l’Inghilterra nel caso che il Consiglio facesse delle difficoltà. Lord Perth mi ha detto di non essere in grado di rispondere, ma che comunque della soluzione di tale problema assumeva completa responsabilità il Governo britannico.

Prima di lasciarmi Lord Perth mi ha chiesto il nostro punto di vista nei confronti della situazione austriaca e mi ha comunicato la qui unita copia del telegramma diretto dal Foreign Office all’Ambasciatore britannico a Berlino. Ho risposto a Lord Perth sulla linea della dichiarazione preparata per la seduta di questa notte al Gran Consiglio. L’ho anche informato dell’arrivo di un messaggio personale del Führer, diretto al Duce, contenente punti molto importanti circa la questione austriaca, specialmente in rapporto alle relazioni italo-germaniche.

TERZO COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA

Roma, 16 marzo 1938 – XVI

Ha avuto luogo nel pomeriggio di ieri il terzo colloquio con l’Ambasciatore Perth. Egli ha condotto seco il Signor Rendel, esperto dei problemi arabo-palestinesi. L’ho messo in contatto con i nostri funzionari per discutere particolareggiatamente tali questioni. Lord Perth mi ha consegnato le formule proposte dagli inglesi relative alla propaganda, al trattamento dei missionari in Etiopia, al Lago Tana e al commercio britannico nell’Impero. Mi sono riservato di esaminarle e di sottoporle al giudizio del Duce.

Sir George William Rendel

Con Lord Perth abbiamo quindi parlato del punto 1 dell’agenda: cioè della Spagna. Egli mi ha di nuovo ripetuto la sua proposta di ritirare le forze dalle Baleari. Gli ho risposto che noi non avevamo forze terrestri alle Baleari. Mi ha fatto cenno all’aviazione. Ho detto che questo è un argomento mai discusso dal Comitato di Non Intervento e non compreso nella formula britannica per il ritiro dei volontari; quindi non deve venire sollevato in sede di conversazioni italo-britanniche. Lord Perth ha lasciato cadere l’argomento.

Mi ha chiesto allora la facoltà di ripetere al suo Governo l’assicurazione che l’Italia non sta mandando e non manderà nuovi contingenti di volontari in Spagna. Gli ho dato conferma. Mi ha chiesto inoltre di confermargli l’assicurazione data al tempo del gentlemen’s agreement e cioè che una volta raggiunta la vittoria da parte delle truppe di Franco, l’Italia non intende mantenere forze militari in Spagna. Gli ho dato conferma. Poiché nessuna formula è stata ancora proposta per la Spagna, abbiamo proceduto all’esame degli altri punti.

Tanto Lord Perth quanto io abbiamo manifestato l’accordo sul punto 2 dell’agenda e cioè la conferma del gentlemen’s agreement così come risulta dall’Accordo del 2 gennaio 1937. Di comune intesa non si è piú parlato dell’invito a terze Potenze a dichiarare il loro favore al mantenimento dello status quo.

Forze italiane in Libia. – Lord Perth mi ha detto che l’opinione pubblica britannica attribuisce a questa questione la piú grande importanza. Il Governo britannico fa presente al Governo Fascista il suo desiderio di vedere opportunamente ridotte le nostre forze in Libia. Secondo le informazioni che ha il Governo britannico, si troverebbero in Libia adesso due Corpi d’Armata metropolitani e un Corpo d’Armata indigeno. Il Governo britannico desidererebbe che un Corpo d’Armata venisse ritirato o che venissero ridotti di forze in modo molto sensibile. L’Ambasciatore britannico ha aggiunto che un ritiro sia pure limitato di forze in fase di trattative, sarebbe di grande aiuto al suo Governo di fronte all’opinione pubblica.

Ho detto a Lord Perth che il Governo Fascista era in linea di massima disposto a prendere in considerazione la eventualità di ridurre le forze, ma che non ero in grado di dargli alcuna risposta prima di aver preso precise istruzioni dal Duce.

Per i punti 5 e 6 relativi allo scambio di informazioni militari e alla nostra adesione al Trattato Navale, ho detto a Lord Perth che attendo conoscere i suggerimenti degli esperti e la decisione del Duce. Abbiamo concordato con l’Ambasciatore britannico di incontrarci nuovamente venerdì alle 18.30 per procedere nella discussione.

COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI

Roma, 24 marzo 1938 – XVI

L’ambasciatore Phillips è venuto a rivolgere a nome del suo Governo un invito ad aderire alla costituzione di un Comitato Internazionale con lo scopo di facilitare la emigrazione dall’Austria e dalla Germania dei rifugiati politici.

Ho risposto all’Ambasciatore che, mentre mi riservavo di informare il Duce, ritenevo di poter senz’altro opporre il piú reciso e categorico rifiuto a tale iniziativa contrastante non solo con le direttive della nostra attività internazionale, ma ancor più con la nostra morale politica.

1938 ROMA ACCADEMIA AMERICANA Vittorio Emanuele III William PHILLIPS John WALKER

L’Ambasciatore d’America ha preso atto di tale mia risposta dicendo che però questa non sarebbe stata compresa dal Governo americano animato da alti e nobili fini umanitari (sic). Continuando nel colloquio l’Ambasciatore mi ha chiesto informazioni relative alla situazione in Ispagna con particolare riferimento all’impressione prodotta negli Stati Uniti dai bombardamenti su Barcellona. Gli ho risposto sulla linea di quanto già comunicato a Lord Perth il 20 corrente.

A sua richiesta gli ho anche fornito vaghe indicazioni sull’andamento dei colloqui italo-britannici, ed egli mi ha ripetutamente detto che il Governo americano attribuisce al favorevole risultato di tali colloqui la più alta importanza.

COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE BRITANNICO

Roma, 26 marzo 1938 – XVI

Lord Perth mi ha dato un appunto col quale richiede l’autorizzazione per il Segretario di Stato inglese di dichiarare che noi abbiamo rinnovato l’assicurazione per il completo ritiro dei volontari dalla Spagna a guerra terminata, nonché quello di tutto il materiale da guerra. A mia richiesta ha specificato che non è compreso in tale richiesta il materiale da guerra da noi venduto, o comunque ceduto al Generalissimo Franco.

Chiederebbe inoltre la pubblicazione di una Informazione Diplomatica diretta ad esprimere la soddisfazione per i riferimenti fatti dal Primo Ministro relativamente alle assicurazioni già date dal Governo italiano nonché la volontà del Governo medesimo di portare a termine gli eventuali impegni.

Ho riservato una risposta dopo aver preso istruzioni dal Duce. Mi ha rimesso quindi la formula relativa alla introduzione del Protocollo. Tale formula, che appare in massima accettabile, contiene una riserva circa la data entro la quale il documento dovrebbe entrare in vigore. Tale data dovrebbe venire fissata dopo che i Governi britannico e italiano avranno dato esecuzione rispettivamente ai loro impegni per il ritiro dei volontari dalla Spagna.

A proposito del riconoscimento dell’Impero, Lord Perth ha fatto presente che il suo Governo non potrebbe accettare la formula da noi proposta, contenente la frase “il Governo britannico considera la questione etiopica chiusa”. Ciò verrebbe interpretato come un pieno riconoscimento di diritto, e determinerebbe delle gravi opposizioni al Governo negli ambienti parlamentari e forse renderebbe piú difficile la soluzione anche a Ginevra.

Lord Perth avanza le seguenti proposte:

1. Il documento non dovrebbe contenere nessun articolo relativo alla Spagna e alla questione del riconoscimento dell’Impero;

2. Queste due questioni dovrebbero formare oggetto di due lettere da scambiarsi fra me e Lord Perth e da rendersi pubbliche contemporaneamente alla pubblicazione dell’accordo;

3. La lettera di Perth relativa al riconoscimento dell’Impero sarebbe più o meno redatta nei termini della prima formula proposta dagli inglesi. A conferma di ciò il Governo britannico in pari tempo notificherebbe alla stampa la sua richiesta per iscrivere all’ordine del giorno dei lavori del Consiglio della Società delle Nazioni la soluzione della questione etiopica;

4. La nostra lettera relativa alla Spagna dovrebbe essere redatta nei termini della formula già praticamente concordata.

Ho riservato ogni risposta dopo aver preso istruzioni dal Duce. Lord Perth ha nuovamente fatto presente l’opportunità che avvenga il ritiro di qualche contingente di truppe dalla Libia, ed ha comunicato che il suo Governo considera soddisfacente la riduzione successiva dei nostri due Corpi d’Armata dagli effettivi di guerra agli effettivi di pace.

Lord Perth mi ha parlato dei rifugiati etiopici nelle colonie britanniche nonché di alcuni disertori eritrei e nazionali che si trovano in territorio coloniale inglese. Mi ha chiesto quale sarebbe stata la loro sorte dato che alcuni di essi esprimevano il desiderio di tornare in Etiopia.

Ho risposto che per quanto riguardava i disertori non avremmo mancato di applicare la legge nei suoi piú duri rigori; per quanto riguardava invece i rifugiati avrei preso contatti col Ministero delle Colonie non essendo fin d’ora in grado di dare una risposta, ma che in linea di massima ritenevo che il trattamento sarebbe stato regolato caso per caso a seconda della posizione personale e della responsabilità di ciascun rifugiato.

Lord Perth ha richiamato quindi la mia attenzione sulla propaganda antifrancese svolta dalla stazione di Bari. Gli ho risposto che non mi pareva che tale questione entrasse nell’agenda delle nostre discussioni. Lord Perth si è dichiarato d’accordo ed ha confermato di avermi detto ciò a puro titolo informativo. Sono state quindi trattate altre questioni di secondaria importanza.

APRILE 1938

CONSEGUENZE DELL’ANSCHLUSS IN JUGOSLAVIA

Roma, 15 aprile 1938 – XVI

Ho avuto un colloquio col Ministro Christic di ritorno da Belgrado. A nome di Stoiadinovic ha tenuto a ringraziare per l’Esposizione d’Arte che ha avuto un successo superiore ad ogni previsione e che ha molto contribuito a rendere popolare l’amicizia verso L’Italia. Christic afferma che in realtà egli stesso ha rimarcato in questi ultimi mesi che sotto l’impressione dei recenti avvenimenti politici l’opinione pubblica jugoslava si è orientata con la piú netta e convinta simpatia verso il nostro Paese.

Stoiadinovic desidera nell’estate prossima incontrarsi con me: per far ciò conta venire a passare qualche giorno a Venezia o in un’altra spiaggia italiana, al fine di dare all’incontro il carattere di assoluta spontaneità.

Milan Stojadinović

L’Anschluss non ha portato turbamento sensibile nella vita politica jugoslava, benché l’opinione pubblica ne abbia sentito un fortissimo contraccolpo, neutralizzato in parte dall’esistenza della intesa con l’Italia. Stoiadinovic personalmente prevedeva la cosa da molto tempo ed è del tutto tranquillo circa le intenzioni tedesche: almeno per un periodo di tempo da considerarsi rilevante in una valutazione politica se non storica. Anche in occasione del suo ultimo viaggio a Berlino, ebbe agio di sentirsi ripetere dal Führer che considerava “sacre” le frontiere tedesche con l’Italia e con la Jugoslavia.

Una certa sgradevole ripercussione si è avuta nelle minoranze tedesche, dato che alcuni elementi píú insofferenti hanno alzato la testa ed hanno cominciato una propaganda che la Jugoslavia non intende tollerare. Si riconosce però che il Governo tedesco è estraneo a tale attività. Gli Jugoslavi sono d’accordo con noi nel ritenere che il Governo tedesco non deve però rimanere passivo di fronte a tali movimenti irredentistici e deve con qualche gesto di energia soffocarli sul nascere.

Stoiadinovic intende continuare nel futuro la politica svolta nel passato: relazioni di ottimo vicinato con la Germania: intesa stretta, cordiale e profonda con l’Italia. Il Ministro di Jugoslavia, poi, ha desiderato conoscere il nostro atteggiamento nella eventualità di un’azione tedesca nei riguardi della Cecoslovacchia. Gli ho risposto che noi non consideriarno il problema cecoslovacco come problerna che ci interessi direttamente, quindi non prevediamo nessun’azione da parte nostra.

Il Ministro mi ha detto che Stoiadinovic intende armonizzare totalmente la sua politica con la nostra e seguire una identica linea di condotta. Egli è di avviso che 1a Germania procederà prima o poi all’annessione dei Sudeti, che l’Ungheria e Polonia regoleranno le loro partite con Praga e che si arriverà alla creazione di un piccolo Stato ceco a carattere neutro.

Contro un tale piano Stoiadinovic non solleva obiezioni e non intende compiere nessuna azione. Prega di considerare tale suo punto di vista strettamente confidenziale. Ho informato infine il Ministro Christic dei risultati raggiunti alle trattative italo-britanniche e Christic, a nome anche del suo Governo, ha espresso le felicitazioni per un avvenimento che la Jugoslavia considera molto utile per la pace europea.

MAGGIO 1938

VIAGGIO IN ALBANIA PER IL MATRIMONIO DI RE ZOG
(Appunto per il Duce)

2 maggio 1938 – XVI

Le impressioni direttamente riportate, recandomi sul posto a visitare i maggiori centri di interessi italiani, e le informazioni raccolte dalle migliori fonti circa la possibilità di sfruttamento e di potenziamento delle risorse albanesi, confermano che un avvenire di intensa e proficua operosità può aprirsi in Albania al nostro lavoro. Il Paese è ricco, effettivamente ricco, anche se molte delle sue ricchezze sembrano in un primo tempo difficili a raggiungersi, per difficoltà di natura diversa, ma nessuna di eccezionale gravità, e non certo tali da poter arrestare il nostro slancio e la nostra volontà.

Agricoltura. – Le condizioni attuali dell’agricoltura sono molto modeste. La terra è assai spesso incolta, anche nelle zone pianeggianti e collinose dell’Albania centrale ed orientale. Le fasce costiere, già intensamente abitate nella antichità, sono oggi in gran parte trasformate in acquitrini dai fiumi del tutto privi di regolamentazione. Si calcola che soltanto tra Scutari e Valona vi siano oltre 1700 chilometri quadrati facilmente ricuperabili arginando con lavori molto semplici alcuni corsi d’acqua.

Il Presidente della Repubblica Zogu Zogolli, dal 1928 ”Re degli Albanesi” con il nome di Zog I.

La piana di Durazzo potrebbe, secondo i calcoli dei nostri esperti, essere bonificata e messa in cultura con una spesa di 1700 lire per ettaro. La Musacchia è giudicata una vallata di illimitate possibilità agricole, capace di dare lavoro e vita a molte decine di migliaia di nostre famiglie. L’Albania è spopolata. Ha una superficie di quasi 30.000 chilometri quadrati, come il Belgio, e gli abitanti raggiungono, forse, il milione.

A bonifica compiuta, vi è largamente posto per almeno altri due. Ho visitato la zona di concessione dell’E.I.A.A.: 5000 ettari. Il comm. Romano, dirigente dell’Azienda, mi ha detto che l’opera di bonifica si è potuta compiere con relativa facilità ed a buon mercato. La terra è fertilissima: del tipo, ma ancora più ferace, della terra pugliese. Nella nostra piccola zona coltivata a grano, si calcola che quest’anno si raccoglieranno oltre 10.000 quintali.

Una razionale bonifica della fascia costiera permetterebbe la produzione di circa 5 milioni di quintali di grano. Questa cifra mi è stata confermata dallo stesso Re Zog, sulla base di calcoli compiuti da esperti austriaci. I nostri agricoltori e le loro famiglie vivono benissimo nella concessione dell’E.I.A.A. Li ho visti: sono floridi di aspetto. Ho parlato loro: sono contenti del trattamento che ricevono e della vita che conducono.

Lo scorso anno la natalità ha raggiunto nella concessione dell’E.I.A.A. l’inverosimile indice del 17 per cento. I rapporti con i braccianti albanesi sono cordiali e questi ultimi mi hanno dichiarato di essere più che soddisfatti di lavorare al servizio degli italiani: la paga è relativamente buona (circa 10 lire al giorno per 9-10 ore di lavoro), e i capi sono cordiali ed umani. Le domande di lavoro presso le nostre imprese sono infatti ogni giorno più numerose.

La pastorizia ha grandi possibilità e persino oggi, nello stato di semiabbandono in cui si trovano i nove decimi del Paese, rappresenta una notevole ricchezza. Con un semplice lavoro di selezione si potrebbe avere in breve tempo un largo prodotto di lana di ottima qualità.

Il legname rappresenta una delle maggiori risorse, ma anch’essa non è sfruttata. I boschi della Mirdizia, del Tomor e degli altri gruppi montani più orientali sono di ricchezza pari in quantità e qualità a quella dei migliori boschi jugoslavi. Nella zona collinosa e costiera prevalgono i latifogli: quercia, cerro, olmo, frassino. Nelle montagne del nord e del nord-est prevalgono invece il faggio, il pino, l’abete, il larice, la quercia e, in grande quantità nell’Albania settentrionale, il noce.

Fino ad ora lo sfruttamento del legname è stato compiuto in maniera irrisoria in confronto alla ricchezza dei boschi. Adesso il problema è oggetto di studio da parte nostra ed alcuni diritti ci sono già stati dati in concessione.

La pesca è abbondantissima, sia sulla costa marittima sia nei fiumi e nei laghi. Abbiamo recentemente ottenuto il monopolio di sfruttamento. L’organizzazione è in via di sviluppo, ma, secondo quanto riferisce il Ministro, non procede col ritmo che sarebbe desiderabile né gli uomini prescelti danno un affidamento sicuro. Mi riservo di seguire da vicino tale questione, ed eventualmente di tornarci sopra, data la notevole importanza che essa potrà rappresentare per l’autarchia alimentare del Paese.

Un’esplorazione sistematica delle ricchezze minerarie non è ancora stata compiuta, sì che taluni prodotti, certamente sfruttati in epoca antica, – a cominciare dall’argento e di cui alcune miniere furono aperte sino al 1600 – non sono stati rintracciati affatto, oppure soltanto in forma indiziaria.

La concessione ottenuta nel mio ultimo colloquio con Re Zog, permetterà all’A.M.M.I. di compiere quanto prima un’attenta ricognizione in tutta l’Albania. Finora, oltre quanto è noto circa i giacimenti petroliferi, gli asfalti, i bitumi, il rame, le cromiti, risulta l’esistenza di grandi banchi di ligniti di ottima qualità e situati in regioni assai facili allo sfruttamento in considerazione della viabilità del paese.

Nel 1914 fu fatta una carta mineraria dell’Albania dall’ingegnere austriaco Novak, ed è in base a tale carta che ancora oggi le ricerche si compiono. Ma lo stesso Re la giudica incompleta ed affrettatamente redatta. Indicazioni più utili si potranno avere dai Gesuiti di Scutari che, in gran segreto, hanno raccolto durante molti decenni campioni e notizie sulle ricchezze minerarie dell’Albania, e che adesso, dopo molte reticenze e resistenze, si sono decisi a mettere a disposizione della Legazione italiana.

L’opera di ricognizione che 1’A.M.M.I. si appresta a compiere richiederà lo stanziamento di un contributo, nell’ordine di qualche centinaio di migliaia di lire: senza indulgere in eccessivi ottimismi, le esperienze recenti lasciano ritenere che saranno somme molto utilmente impiegate.

La celebrazione delle nozze di Re Zog ha dato alla piccola vita campagnola di Tirana una eccezionale animazione. Da tutte 1e regioni albanesi, sono scesi nella capitale gli uomini più eminenti per censo e per posizione. Le forze armate skipetare hanno messo il quartiere generale tra il Viale Zog ed il Viale Mussolini.

Molte Rappresentanze diplomatiche che di solito risiedono a Roma, od in altre capitali balcaniche si sono ricordate di essere anche accreditate in Albania ed hanno affollato le locande e le camere di affitto, mentre la futura regina ha chiamato al seguito un codazzo di amici e di parenti magiari, che non nascondevano la duplice fierezza di dare la Sovrana all’Albania e di portare quella che a loro sembrava una nota di civiltà raffinata nelle cerimonie della più primitiva Corte balcanica.

La folla, ben diretta dai poliziotti di Musa Jukka, il Ministro dell’Interno, devotissimo a Zog fino dal suo primo ingresso nei vita politica, si è assiepata lungo i marciapiedi per ore e ore, ma non ha mai lasciato prorompere alcun entusiasmo. Rimaneva spettatrice indifferente e direi disinteressata di una vicenda intima, che non gradiva, tra personaggi poco amati. In realtà, da quanto mi è stato dato di osservare e da quanto mi hanno riferito osservatori italiani e nostri amici albanesi, fra la Corte ed il Popolo si è determinata una frattura, che il tempo approfondisce e non sana.

Il popolo, le cui condizioni di miserabilità sono tali da richiamare al pensiero quelle dei villaggi cinesi sperduti lungo lo Yang-tsé, mal sopporta l’esistenza e lo sviluppo e l’ostentazione di una Corte, che è da operetta per il tipo e le abitudini dei suoi componenti, ma che grava in modo insopportabile sulle finanze pubbliche. I 120 miserabili milioni che costituiscono nel suo complesso il bilancio statale subiscono falcidie troppo profonde per l’acquisto dei brillanti, degli abiti, delle macchine sgargianti che le sorelle del Re ostentano con sempre maggiore indiscrezione.

Se a ciò si aggiunge il disagio creato dall’imposizione di un protocollo rigido e presuntuoso, come forse esisteva nelle piccole Corti tedesche, ma che ormai sarebbe inutile ricercare nelle abitudini di qualsiasi Casa regnante, sarà facile rendersi conto della impopolarità della Dinastia. Il Re, un tempo, era odiato per ragioni politiche, ma rispettato anche dagli avversari: oggi, l’antipatia che i suoi familiari hanno saputo suscitare si rivolge anche contro di lui accusato di nepotismo e di profittismo.

Anche il matrimonio non è piaciuto. Le voci di spese sproporzionate fatte da Zog per regali alla fidanzata; la notizia, confermata da fonte sicura, dell’acquisto di una tenuta in Cecoslovacchia che appartenne agli Apponyi, gesto che Geraldína avrà potuto apprezzare per l’aspetto sentimentale, ma che il popolo ha freddamente considerato un investimento di valuta all’estero; l’arrivo dei parenti della sposa con evidenti intenzioni di sfruttare la situazione fino all’ultima possibilità, e molte altre vicende, magari secondarie, ma che non possono sfuggire alla pubblica attenzione in una minuscola capitale di 30.000 abitanti, hanno accentuato l’insofferenza popolare nei riguardi della Casa Reale e del regime di cui essa è ad un tempo l’espressione e la difesa.

Tutto ciò non avrebbe interesse se non venisse, a scadenza più o meno breve, a minacciare le nostre posizioni e ad intralciare la nostra penetrazione in Albania. Mentre il Re è, o almeno si dimostra, nostro amico, la Corte, nel migliore dei casi, appare indifferente e qualche elemento, come ad esempio una specie di Principotto educato in una scuola militare francese, ci è nettamente ostile. Vale la pena di sottolineare subito che il popolo della capitale, dei porti o comunque a contatto con noi, è invece, in ogni classe e senza reticenze, filoitaliano. Anche nell’Esercito, salvo qualche eccezione, le simpatie sono per l’Italia.

Quale sarà l’atteggiamento della Regina? Quale la sua influenza sul Re? Coloro che più da vicino conoscono Zog, sono proclivi a ritenere che la giovane consorte eserciterà un notevole ascendente su di lui. Poco male fino a quando essa dovesse agire di sua volontà: i suoi precedenti ed il suo aspetto non sembrano far sorgere preoccupazioni in linea politica. Ma più allarmante è invece il gruppetto di parenti e di amici che finora si è limitato a seguirla e che in futuro difficilmente sfuggirà alla tentazione di sfruttarne la posizione, procurandosi concessioni, vantaggi ed affari che intralceranno la nostra strada.

Non posso dire che i magiari del seguito si siano mostrati specialmente amici nostri. Non è mancato neppure il caso di una cugina della Regina che ha apertamente detto al Rappresentante dell’A.M.M.I. che sarà bene, per l’avvenire, che l’Italia abbandoni sogni di conquista o idee di protettorato e di egemonia sull’Albania: vi sarà chi saprebbe impedirlo: meglio gli ebrei, che gli italiani. Frase che, per essere stata pronunziata da una ragazza di famiglia principesca magiara, Festetics, prova quanto definitivi siano i sentimenti di tale ambiente a nostro riguardo.

Ma il pericolo non è solo e del tutto qui, per quanto sia già fastidioso che in questo angolo dei Balcani, finora riservato esclusivamente o quasi al nostro interessamento, vengano a mettere gli occhi tanti estranei. Non conviene dimenticare che i magiari sono stati molto spesso l’avanguardia del Germanesimo e che il Reich non mostra affatto di disinteressarsi dell’Albania. Il Ministro tedesco svolge un’attività per ora non proficua, ma non per questo meno instancabile. Il Führer ha offerto al Re Zog il più bel regalo di nozze.

E nemmeno bisogna dimenticare quella che fu prima della guerra, la posizione dell’Austria nel mondo albanese. Molte tracce sono rimaste nelle tendenze, nei gusti, nelle abitudini delle classi dirigenti di Tirana. Lo stesso Re parla il tedesco correntemente, anzi è la sola lingua straniera che egli parla. Veste a Vienna, ha i suoi medici a Vienna, la sua casa è arredata con mobili austriaci, la sua mensa coperta da stoviglie viennesi.

L’Anschluss non è valso ad accrescere le simpatie per la Germania. Al contrario. Ma forse si tratta di una reazione temporanea, poi il Reich, rafforzato dalla eredità austriaca, potrebbe riprendere la sua offensiva per guadagnare in Albania quelle posizioni economiche e politiche cui apertamente tende.

Fino a quando il Re continuerà a mantenere nei nostri riguardi l’atteggiamento che- oggi tiene e ci inviterà, come ha fatto, anche nell’ultimo colloquio avuto con me, a considerare il problema albanese come una questione interna italiana? Un giornale francese, il “Paris-soir”, rispondeva alcuni giorni or sono a questo quesito dicendo che è evidente l’intenzione di Zog di sfruttare sino al limite l’aiuto italiano, ma di tenersi pronto a scivolare dalla incomoda posizione di protetto non appena troverà l’appoggio sufficiente in un altro Stato.

È da escludere, per molte ragioni, che questo possa essere la Jugoslavia, mentre invece l’atteggiamento dei Tedeschi, ed alcune non indispensabili dichiarazioni fatte recentemente alla stampa dallo stesso Zog, lasciano ritenere che a Berlino si pensi di riprendere in nome proprio il ruolo in altri tempi giocato da Vienna, e che chi comanda ora a Tirana non sia dogmaticamente ostile a questo programma.

È evidente che il determinarsi di una influenza tedesca in Albania avrebbe ripercussioni molto profonde nei Balcani; mentre invece un’affermazione italiana, possibilmente di carattere definitivo e totalitario, varrebbe a controbilanciare nei confronti del mondo balcanico l’innegabile aumento di peso acquistato colà dal Reich in seguito alla realizzazione dell’Anschluss.

Il nostro prestigio e i nostri interessi, presenti e futuri, non possono tollerare invadenze di estranei né sarebbe prudente attendere che la minaccia che ora appena si delinea venisse nettamente a sagomarsi. L’Albania, che ci appartenne ogni qual volta nella storia cercammo e trovammo nei Balcani la naturale via della nostra espansione, che anche in tempi recenti mentre è stata riconosciuta dagli stranieri al nostro diritto fu abbandonata dalla viltà dei governanti, è stata in sedici anni di politica mussoliniana nuovamente cong-iunta all’Italia da legami di grande entità.

Questa opera, della cui singolare importanza bisogna sbarcare in terra albanese per rendersi conto appieno, dovrà trovare al momento opportuno il suo compimento attraverso l’annessione dell’Albania all’Italia.

Molte ragioni e di ogni ordine determinano la necessità di un tale avvenimento del quale gli stessi albanesi cominciano ad ammettere la eventualità e forse la fatalità. Alcuni di essi, e non i peggiori, lo desiderano. Il popolo albanese, nel regime imperiale turco, fu, almeno nelle epoche più recenti, il meno ribelle tra tutti quelli soggetti al dominio della mezzaluna.

Nell’esercito e nelle amministrazioni del Sultano i più intraprendenti figli dell’Albania trovarono quelle possibilità di carriera e di avvenire che oggi la piccola Patria indipendente non può riservare loro. Lasciar sperare un ritorno a possibilità analoghe nell’ambito dell’Impero di Roma sarebbe molto lusinghiero – e mi è stato apertamente detto – per la parte migliore della gioventù albanese. Gli altri non contano. O contano molto meno.

Per tracciare la futura linea d’azione in Albania, sembra che convenga tener presenti tre possibilità: quella di un allacciamento sempre più stretto del Paese attraverso vincoli economici che finiscono per giuocare anche nel settore politico; quella di una spartizione, d’accordo con la Jugoslavia, e forse anche con la Grecia; quella dell’annessione attraverso una unione personale.

La prima alternativa rappresenta, più o meno intensificata, la politica seguita fino ad oggi. Ottima, ma non definitiva, e soggetta all’eventualità di quelle interferenze cui ho prima accennato. Comunque politica che dobbiamo rafforzare fino al momento della soluzione totalitaria del problema, poiché è certo che quanto maggiore sarà il complesso delle nostre iniziative e quanto più numerosa sarà la massa degli albanesi cointeressati, tanto più facilmente riuscirà il nostro colpo di mano.

La seconda possibilità, quella della spartizione, appare, da un punto di vista diplomatico, la più facile delle soluzioni radicali del problema albanese. La Jugoslavia potrebbe accontentarsi di una rettifica di confine a nord che le desse il controllo di tutto il lago di Scutari nonché di una dichiarazione di rinuncia ai diritti sul Kossovo; la Grecia di un arrotondamento della frontiera verso Santi Quaranta, di fronte a Corfù. Nei confronti dell’uno e dell’altro Paese un impegno di smilitarizzazione dell’Albania.

Sul posto, mi è stato detto che questa soluzione presenterebbe lo svantaggio di determinare una reazione da parte di alcuni elementi albanesi, desiderosi, più che dell’indipendenza, dell’integrità nazionale. Non sono riuscito a rendermi conto con precisione quale portata potrebbe avere questa reazione: ma certamente non tale da renderci difficile l’occupazione se la Jugoslavia è d’accordo.

L’esistenza di nove campi d’aviazione sparsi in tutta l’Albania permette di portare fulmineamente reparti forniti d’armi automatiche, di cui gli albanesi sono privi o quasi, nei punti più remoti e vitali del Paese. Se qualche nucleo di resistenza dovesse formarsi, sarebbe facile raggiungerlo e disperderlo. Né credo che qualche colpo di mitragliatrice sperduto nelle gole della Mirdizia o del Mathi varrebbe a commuovere un mondo che non è stato scosso neppure dall’esplosione dei siluri tra Malta e Tunisi. L’intesa, o meglio la complicità della Jugoslavia, è condizione necessaria e sufficiente.

Rimane la terza possibilità: quella dell’unione personale. A tal fine bisognerebbe sfruttare come elemento fondamentale il dissenso fra Corte e popolo, fomentarlo con mezzi adatti e accentuare – cosa non difficile – i contrasti che già appaiono nella stessa famiglia reale. Al momento opportuno far scoppiare la crisi, con movimenti di piazza. Dal Partito italofilo, che già esiste e che nel frattempo dovrebbe essere convenientemente potenziato, far avanzare ed accogliere una richiesta di intervento per ristabilire l’ordine.

Quindi indurli ad offrirci formalmente la Corona d’Albania, accettarla e convalidare l’accaduto attraverso un plebiscito o qualche cosa di simile. Una procedura sul tipo di quella dell’Anschluss. Anche in questo caso è necessario, se non il concorso, almeno la non opposizione jugoslava. A tal fine, converrebbe nel frattempo stringere sempre più i legami politici e militari con Belgrado, affinché, al momento della crisi albanese, quei governanti, pur di mantenere l’amicizia italiana, fossero costretti a far buon viso ad un gioco non tanto gradito. La pressione tedesca sulle Caravanche e l’agitazione delle minoranze germaniche, che sembrano inquietare sempre più il popolo jugoslavo, possono favorire una nostra azione.

Naturalmente, anche in un tal caso, bisognerebbe riconoscere i diritti della Jugoslavia sul Kossovo, assicurare la cessazione di ogni attività irredentistica tra le minoranze residenti nel territorio soggetto a Belgrado e procedere alla smilitarizzazione delle frontiere nord-orientali albanesi.

Quando, e se lo crederà, il Duce ordinerà la via da seguire. Ma fin d’ora mi permetterei sottoporre alcune proposte che dovrebbero valere a facilitare la nostra azione futura di qualunque natura essa sia per essere.

Primo: far uscire l’Albania dalla Società delle Nazioni. Ciò può essere richiesto in seguito all’abbandono di Ginevra da parte nostra e in base agli Accordi esistenti tra i due Stati che prevedono una politica estera coordinata. Il non appartenere più l’Albania alla Società delle Nazioni impedirebbe a quest’ultima di ingerirsi nella questione quando la crisi dovesse determinarsi.

Il ministro Galeazzo Ciano testimone alle nozze del re Zog I con la contessina Geraldine Apponyi

Secondo: non far niente per potenziare l’esercito albanese. Secondo quanto unanimemente mi hanno riferito i nostri ufficiali della Missione comandata dal colonnello Bombagli, l’efficienza attuale delle forze di Zog è nulla. Adesso sono state avanzate alcune proposte dirette a dinamizzare l’esercito, sia pure rendendolo numericamente più piccolo. Si vorrebbero creare dei nuovi centri di istruzione forniti di qualche arma automatica. Non sarei favorevole all’accoglimento di queste proposte.

Ciò allarmerebbe gli jugoslavi e potrebbe anche rafforzare gli eventuali nuclei di resistenza ad una nostra azione. Converrebbe invece accrescere discretamente il numero degli ufficiali italiani in servizio presso l’esercito albanese con la missione specifica di crearvi cellule annessioniste. Terzo: costituire dei nuovi nuclei di interessi italiani sul tipo di quelli esistenti a Devoli per i petroli e nella piana di Durazzo per la concessione dell’E.I.A.A. Una notevole attività si sta già svolgendo in campo minerario, per la pesca, per il legname ecc. Bisognerebbe estendere questa opera, specialmente nei riguardi della bonifica.

Il ministro Galeazzo Ciano testimone alle nozze del re Zog I con la contessina Geraldine Apponyi

Non desteremmo sospetti, perché lo stesso Re ha più volte sollecitato un nostro intervento in tale settore, faremmo opera utile e vantaggiosa anche per l’avvenire, aumenteremmo il numero dei residenti italiani e quello degli albanesi ai nostri stipendi. Qualche lavoro pubblico a largo impiego di mano d’opera potrebbe anche venire iniziato a tal fine. Se il Duce approva tali proposte, mi riserverei quanto prima di presentare un programma preciso. Quarto: svolgere azione diretta ad aumentare il numero, già notevole, di albanesi che vedrebbero con simpatia l’unione all’Italia.

Nelle classi più elevate ciò dovrebbe essere fatto dai nostri agenti con accorta opera personale di cointeressamento, di promesse e di corruzione. Nel popolo, attraverso una immissione più o meno larvata dell’Albania nell’organizzazione assistenziale italiana. Funziona già il Dopolavoro, diretto da un ottimo funzionario del Partito, e in breve tempo ha dato risultati superiori alle previsioni. Dovremmo adesso costituire sezioni di assistenza invernale, Maternità ed Infanzia, centri medici ecc.

Il ministro Galeazzo Ciano sfila davanti a una tribuna, affollata di spettatori, levando il braccio nel saluto fascista

Anche l’organizzazione sportiva potrebbe essere assunta da noi. Mentre giorni or sono si svolgeva una partita di calcio tra le squadre di Tirana e quella di Bari nel rudimentale stadio della capitale albanese, e la popolazione accorsa in massa partecipava con l’entusiasmo dei novizi, mi domandavo se non sarebbe possibile fare entrare la discreta squadra tiranese in un qualsiasi girone del Campionato di Calcio italiano.

Difficoltà tecniche non dovrebbero esistere, mentre si avrebbe il vantaggio di cominciare, sia pure in una manifestazione di carattere secondario, a fare apparire l’Albania quale facente parte del sistema nazionale. Altri provvedimenti potranno di volta in volta manifestarsi convenienti e venire opportunamente adottati.

A conclusione di queste notizie ed osservazioni, aggiungerò ancora un elemento che non dobbiamo nascondere. L’Albania, che vide nella pianura di Cruia decidersi tra Cesare e Pompeo i destini dell’Impero di Roma, rammenta che in tempi recenti delle truppe italiane ripiegarono incalzate dalle lacere bande dei malissori, e la ritirata fu tanto frettolosa da sembrare una fuga. Nonostante tutto quanto è accaduto dopo, questa visione è rimasta nella mente di troppi albanesi ed è un ricordo che contro di noi pesa ancora. Penserà il Duce a cancellarlo, così come ne ha cancellati altri, e più gravi, della stessa natura.

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