DOV’E’ FINITO TUTTO QUELL’ORO RUBATO? – 7

a cura di Cornelio Galas

Dall’agosto 1944 all’aprile 1945

La liberazione della Francia (giugno–agosto 1944), la conseguente rottura della morsa dell’Asse intorno alla Svizzera e la conferenza di Bretton Woods (luglio 1944) segnarono l’inizio di una quarta fase, caratterizzata dal rapido crollo del territorio sotto controllo nazista.

Contemporaneamente alla firma del succitato accordo integrativo (29 settembre 1944), il Consiglio federale vide venuto il momento – corretto, nell’ottica della politica di neutralità – di emanare un divieto generale dell’esportazione di materiale bellico, quindi anche verso gli Alleati.

Anche se il governo motivò con ragioni politiche il proseguimento di uno scambio commerciale almeno ridottissimo con la Germania (stando alla versione ufficiale, «dal punto di vista meramente economico una cessazione dello scambio di merci e delle operazioni di pagamento non avrebbe più comportato per la Svizzera perdite degne di rilievo»), le motivazioni economiche non vanno trascurate: dati i notevoli crediti, infatti, si trattava di «riuscire a ottenere dalla Germania ancora un massimo di merci [e di averi finanziari, nota della Commissione]».

A posteriori va osservato che gli scopi negoziali della Svizzera, per nulla disinteressati, a loro volta tornarono utili alla parte tedesca su punti decisivi, e in misura non insignificante:
«Le trattative erano all’insegna delle fortissime rimostranze delle potenze nemiche al governo svizzero, perché rompesse i rapporti economici con la Germania o almeno li limitasse in modo da eliminare ogni prestazione alla Germania che fosse importante per la guerra. Questi sforzi di parte alleata si estendevano in uguale misura al settore del traffico di merci, dei rapporti finanziari e del transito.

Va riconosciuto che in tutti i campi dei rapporti economici tedesco-elvetici la Svizzera si è opposta a queste pressioni e, nonostante concessioni all’altra parte in singoli settori, si è attenuta alla sua volontà di conservare il rapporto contrattuale con il Reich. … Nel complesso va costatato che con gli accordi presi vengono assicurati gli interessi tedeschi più importanti per il prossimo periodo, e precisamente le transazioni della Reichsbank in oro e divise … , il transito da e per l’Italia … , le forniture di corrente elettrica … , l’esportazione di merci svizzere in campo industriale e agricolo.»

Nel dicembre 1944 cominciarono a Berna nuove trattative per prolungare l’accordo economico tedesco-elvetico oltre il 31 dicembre di quell’anno. Visto che in pratica le forniture tedesche di carbone erano cessate, ora la Svizzera chiese che sul suo territorio i transiti di carbone tedesco diretto in Italia, rimasti sempre intensi, a partire dal 1° gennaio 1945 non superassero quantitativamente le forniture alla Svizzera stessa.

Anche se la Germania accettò in linea di principio questa clausola, il compromesso sul carbone finì col fallire: dati i ritardi già prodottisi nelle consegne, ritardi che la Germania non era in grado di recuperare, la Svizzera interruppe il transito del carbone verso l’Italia finché non si giungesse a un conguaglio. Per lo stesso motivo furono interrotte le forniture svizzere di elettricità alla Germania; il traffico di transito attraverso la Svizzera, fra l’altro, venne ridotto ai livelli d’anteguerra.

Punto negoziale decisivo, però, era il futuro del «libero surplus-divise» della Reichsbank, legato direttamente alla mole delle esportazioni tedesche verso la Svizzera: data l’incapacità di consegna tedesca, adesso la sua ora era scoccata. Il punto era determinante perché gli venne vincolata – in forma non del tutto corretta, a dire il vero, ma psicologicamente di centrale importanza – la solvibilità del Reich.

Le assicurazioni svizzere – così come le due banche creditrici dei debiti fondiari in franchi, la Schweizerische Bodenkreditanstalt e la banca Leu – erano probabilmente il gruppo di creditori più precocemente e più direttamente interessato alla questione di un’eventuale alimentazione del fondo-trasferimenti con altre vendite di oro della Reichsbank.

Un ruolo importante in tale contesto, per motivi di tattica negoziale, fu assunto dalla questione dei pagamenti degli interessi sui debiti fondiari in franchi, in qualque caso concernente terreni distrutti dalla guerra, che erano in arretrato per oltre 4 milioni di franchi. I tedeschi, in base alla loro legislazione sui danni di guerra, non consideravano scontato l’obbligo di pagamento; anche su questo punto, tuttavia, erano disposti a una cortesia per non mettere in pericolo la libertà delle transazioni in oro e divise con la Svizzera, sulla cui possibile limitazione correvano voci nel dicembre 1944.

La delegazione elvetica, viceversa, su richiesta confermò «espressamente» «che non si pensa, su pressioni della controparte, di eliminare questa libertà [del traffico dei capitali, con l’introduzione di un regime dei cambi controllati], … e che [la Svizzera] non impedirà neppure alla Banca nazionale, nell’ambito della politica bancaria autonoma di quest’ultima, di comprare oro dalla Germania in cambio di divise. Il presupposto – aggiunse Homberger – ovviamente anche qui è l’esistenza di rapporti economici regolati per contratto.»

Si capisce così perché alla Germania, nonostante tutti gli interventi svizzeri, premesse tanto il proseguimento di un’intesa anche soltanto minima: per trattenere la Svizzera da interventi sul traffico di oro e divise, così importante per il Reich, la delegazione economica tedesca si mostrò pronta ad ampie concessioni soprattutto in materia di traffico finanziario.

Simile compiacenza era ancor più importante per i creditori finanziari elvetici, perché col calo drammatico delle forniture di merci tedesche, e quindi del «surplus-divise della Reichsbank» ad esse collegato, si presentava una situazione tanto nuova quanto spiacevole: le notevoli eccedenze che ancora all’inizio del 1944 si registravano nel fondo-trasferimenti si erano consumate alla fine dell’anno, e nuovi introiti non erano in vista.

Invece dell’importo minimo occorrente di 3 milioni mensili, nel gennaio 1945 affluirono al conto-trasferimenti solo 1,4 milioni di franchi; i mezzi necessari andavano quindi procurati con altri meccanismi. Ciò si rivelò molto più semplice, a quanto sembra, di quanto si credesse in origine: nelle trattative la delegazione tedesca si mostrò tranquillamente disposta, per ottenere il credito, a versare «certe divise libere per saldare gli interessi richiesti dai creditori finanziari», e inoltre accettò di rinunciare al «libero surplus della Reichsbank», corrispondente all’11,8% del volume del clearing.

Che queste divise potessero venire dalla vendita di oro alla Svizzera, il «comitato protettivo Germania» dell’Associazione svizzera dei banchieri doveva saperlo benissimo, ma non ne parlò minimamente: quando nel comitato, anzi, fu sollevato il quesito di come la Germania si sarebbe potuta procurare queste divise suppletive, il direttore generale del Credito Svizzero, Peter Vieli, rispose che i tedeschi le avrebbero certo prese «dai capitali a loro libera disposizione in Svizzera».

Questa risposta ben difficilmente poteva corrispondere a ciò che sapeva Vieli, perché era implicito che l’apertura prevista del fondo-trasferimenti fosse legata per forza di cose a ulteriori vendite tedesche di oro: infatti, da parte tedesca la volontà di adempimento era espressamente vincolata alla disponibilità svizzera ad accettare altro oro, quindi i tedeschi non pensavano di usare in tal senso i propri capitali presenti in Svizzera.

Su questo punto gli interessi delle due parti coincidevano, perché anche fra i creditori finanziari svizzeri ci si sforzava di evitare il più possibile una simile regolamentazione: si pensava di riservare quei mezzi, in effetti, a dopo il crollo del Terzo Reich. Che la disponibilità tedesca a pagare fosse legata a ulteriori vendite di oro, fra i creditori finanziari ben difficilmente gli esponenti delle banche e delle assicurazioni potevano ignorarlo; nella BNS quel collegamento era chiaro da tempo.

Quando un membro del consiglio di banca, a metà del dicembre 1944, chiese che «la Banca nazionale in tali casi non potesse respingere oro», venne però obiettato che «l’ulteriore accettazione di oro è sostenibile, per la Banca nazionale, solo se alla Svizzera vengono consegnate merci». Questo vincolo era nuovo e di portata notevole, perché faceva traballare il principio della BNS secondo cui «la politica valutaria … non senza necessità si può intrecciare con la politica commerciale».

All’insegna di un compromesso, l’istituto d’emissione si dichiarò «disposto volentieri» a segnalare a Puhl, informalmente, «che il mantenimento di un traffico di merci in qualche modo sufficiente per i bisogni svizzeri deve costituire il presupposto perché continui il traffico attuale di oro e dei pagamenti con la Reichsbank; in altre parole, la direzione generale della Banca nazionale è pronta ad acquistare i 6000 kg di oro prospettati, attendendosi precisamente che la Germania, nel senso auspicato, non frapponga ostacoli allo sviluppo del traffico di merci con la Svizzera.»

Il presidente della Confederazione, Stampfli, trovò «un’idea felice» accoppiare il desiderio tedesco di mantenere il traffico dei pagamenti con quello svizzero concernente il traffico di merci. «Così, rispetto ad attacchi di terzi, si dà una certa giustificazione agli acquisti di oro della Reichsbank da parte della Banca nazionale, perché poi si può dimostrare che con questi acquisti di oro si può procurare lavoro e guadagno al paese.»

Un altro punto negoziale, anch’esso estremamente importante per la delegazione tedesca, era la questione dei transiti (carbone a parte). Benché la delegazione svizzera sapesse della sua importanza e avesse subito pressioni massicce al riguardo da parte alleata, essa rinunciò a giocare questa carta.

Negoziati economici negli ultimi mesi di guerra

All’inizio del 1945 giunse un nuovo monito degli Alleati; con rammarico della BNS, però, una risposta ufficiale del Consiglio federale alla nota americana dell’agosto 1944 non c’era ancora. Il promemoria del 31 gennaio 1945, redatto in tono brusco, oltre a censurare quella risposta mancata del governo elvetico osservò che adesso la Svizzera, in fatto di oro, doveva introdurre «immediatamente» e «rendere efficace» una politica all’insegna del memorandum dell’agosto precedente (divieto di acquistare altro oro dal regime nazista o di mettergli a disposizione divise); quanto a «transazioni in oro rubato» già avvenute, gli USA non le potevano approvare neppure in caso di un riorientamento della politica svizzera in materia di oro.

Poiché, secondo la direzione generale, ulteriori acquisti di oro non sarebbero stati più «solo una questione valutaria ma eminentemente politica», ora a decidere dovevano essere gli organi politici della Confederazione. L’8 febbraio 1945, perciò, la direzione generale inoltrò al consigliere federale Nobs, capo del Dipartimento federale delle finanze e delle dogane, la richiesta del vicepresidente della Reichsbank, Puhl, perché venisse «autorizzata una consegna di oro per circa 6000 kg e un controvalore di circa 30 milioni di franchi».

Questi fondi avrebbero dovuto essere destinati, in gran parte, a pagamenti finora compiuti con il «libero surplus-divise della Reichsbank»; la BNS stessa era convinta che «pagamenti in oro per transazioni legittime e soprattutto per saldare pretese svizzere … vadano per quanto possibile autorizzati, nell’interesse del paese, tanto più che c’è la garanzia che l’oro in esame non rechi la macchia di un bene rubato». Un’aggiunta degna di nota era questa: si sarebbe dovuta vagliare la possibilità di orientare al riguardo, in forma adeguata, gli Alleati.

La BNS si trovava in una situazione spiacevole, perché in linea di massima aveva promesso certi acquisti di oro alla Reichsbank, che a sua volta si era già preparata alle vendite. Mentre il 1° dipartimento e il presidente del consiglio di banca, Bachmann, visto il «carattere eminentemente politico» della questione non volevano decidere senza il consenso del Consiglio federale, il 2° e il 3° dipartimento propendevano per compiere sì la transazione, semmai in più scaglioni:
«L’importante qui è la questione delle dimensioni. … Con l’acquisto di oro, fra l’altro, la Germania viene piuttosto indebolita, e … non si capisce perché l’oro della Reichsbank non dovrebbe essere acquistato per gli scopi citati.»

Il Consiglio federale decise che «nel momento attuale l’acquisto di oro della Reichsbank non può venire effettuato», ma in linea di principio non escluse ulteriori acquisti dopo la fine delle trattative con la delegazione economica alleata.

Il blocco degli averi tedeschi

1l 16 febbraio 1945, varando un decreto sul blocco degli averi tedeschi in Svizzera, il Consiglio federale prese la sua prima decisione contro gli interessi finanziari tedeschi, soddisfacendo così un’importante richiesta alleata. Benché discusso già da tempo a livello governativo, in quel momento il provvedimento era una diretta conseguenza degli accordi di Bretton Woods sul sequestro dei capitali tedeschi in fuga.

Al capo della delegazione tedesca, Schnurre, Stucki dichiarò ciò che si aspettavano allora gli Alleati: «che la Svizzera ‘all’ultimo momento’ dimostri chiaro e tondo al mondo da che parte sta …, che a livello economico e morale si schieri chiaramente con gli Alleati». Da parte elvetica, però, il blocco degli averi sembrò dettato principalmente dallo scopo di creare – nell’eventualità, ora possibile in qualsiasi momento, di un crollo del Terzo Reich – un pegno manuale («la Svizzera si assicura così la prima mossa sugli averi tedeschi!») per i patrimoni svizzeri in Germania non più trasferibili:

«A prescindere dai beni di cui venga dimostrato che sono stati acquisiti illegalmente, la Svizzera si riserva di compensare se possibile, in qualsiasi forma, gli averi tedeschi costatati con gli averi svizzeri in Germania.»

La Svizzera si riservava in linea di principio la possibilità di manovre di compensazione; ciò avrebbe reso un po’ più accettabile il decreto di blocco negli ambienti economici e specialmente nelle banche. Anche per la BNS, sempre attenta al punto di vista valutario, il blocco dovrebbe essere giunto indesiderato, perché in contrasto con «l’esigenza valutaria di sfruttare al massimo ogni possibilità d’importazione»; ma come per il blocco dei beni ungheresi, croati e slovacchi in Svizzera, scattato alla fine del 1944, l’istituto dovette «subordinare i suoi dubbi alle considerazioni politiche».

Così l’accordo economico elvetico-tedesco venne a cadere, e la Svizzera si mostrò straordinariamente contenta di questo risultato:

«Rispetto alla Germania è stato raggiunto lo scopo volutamente nascosto: non si firma più nessun nuovo accordo economico (che per l’altra parte [gli Alleati] sarebbe stato intollerabile), senza essere giunti alla rottura delle relazioni diplomatiche, che in caso di necessità ci saremmo dovuti accollare. Al contrario, la delegazione tedesca … ha espresso l’insistente desiderio di stipulare un ‘modus vivendi’ e per ora ha rinviato l’annunciata partenza.»

Quanto i tedeschi nonostante tutto fossero interessati a un’intesa con la Svizzera, lo si vede dal fatto che perfino dopo il blocco dei loro averi i contatti con la loro delegazione rimasero «non solo corretti ma assolutamente amichevoli». La delegazione svizzera si era aspettata una reazione tedesca ben più energica al fallimento delle trattative, magari anche la rottura dei rapporti diplomatici da parte del Reich. Questi timori oggi sembrano molto esagerati e, dati gli intensi contatti informali, difficilmente comprensibili:

«Schnurre mi ha detto che lui e i suoi collaboratori hanno sentito il divieto del concerto di Furtwängler a Zurigo come ben più duro e offensivo che non il blocco degli averi tedeschi e le nostre richieste sulla fornitura di carbone. Naturalmente anche queste misure e richieste sono molto spiacevoli, ma essi comprendono senz’altro la nostra situazione.»

Dalla metà del febbraio 1945 i rapporti esistenti, benché senza il «libero surplus-divise della Reichsbank», di fatto proseguirono nel quadro di un modus vivendi. La Confederazione, inoltre, avviò molto rapidamente trattative con gli Alleati, fra l’altro sulle questioni specifiche del traffico dei pagamenti per i creditori finanziari; a tali negoziati, peraltro, non vennero invitati rappresentanti diretti d’interessi (il «comitato di protezione Germania» dell’Associazione svizzera dei banchieri).

L’oro come oggetto dei negoziati Currie

Nel febbraio 1945 l’arrivo di una delegazione negoziale diretta da Lauchlin Currie, inviato speciale del presidente statunitense, andò chiaramente al di là dei passi e delle dichiarazioni precedenti degli Alleati: la Svizzera andava messa sotto pressione e inserita nell’ordine previsto per il dopoguerra dalle potenze vincitrici.

Le trattative con Currie, di conseguenza, risultarono estremamente difficili; gli elvetici misero in campo ancora una volta i loro obblighi legati alla neutralità e segnalarono le misure varate nei traffici economici e finanziari con la Germania, ma gli Alleati chiesero interventi ben più sostanziosi, oltre a una dichiarazione indubbia di principio a favore della causa alleata.

Con l’accordo Currie, dell’8 marzo 1945, la Svizzera s’impegnò nei confronti dei governi alleati a non accettare più oro dalla Reichsbank, salvo per coprire spese delle rappresentanze diplomatiche tedesche in Svizzera, per prigionieri di guerra e per contributi al Comitato internazionale della Croce Rossa.

La rinuncia ad altri acquisti del metallo, però, le fu «molto dolorosa» e non sarebbe avvenuta «sicuramente … senza le forti pressioni degli Alleati», perché la Germania «negli ultimi tempi ci [ha] pagato ancora somme cospicue: interessi, ipoteche, prestazioni assicurative, spese accessorie, denaro di rimpatriati ecc.».

Inoltre la Germania aveva dichiarato «di volerci fare, oggi, certi forti pagamenti», purché la Svizzera accettasse come mezzo di pagamento l’oro. Ma proprio ciò, dichiararono i negoziatori alleati, non sarebbe stato tollerato «in nessun caso», perché non si poteva «consentire che la Germania, con questo oro rubato, si compri l’aureola del buon debitore». Poiché gli Alleati su questo punto non si lasciavano ammorbidire, alla fine la Svizzera dovette cedere:

«Per il Consiglio federale è stato estremamente duro. Si tenga presente solo la situazione: c’è un creditore svizzero (rimpatriato, assicurato ecc.), il debitore lo vuole pagare e il Consiglio federale è costretto a impedirlo. Si tratta di circa 10–15 milioni al mese. Per un governo è molto penoso impedire a propri cittadini di ricevere simili pagamenti.»

Non venne detto, però, che per i pagamenti si sarebbe forse usato oro depredato. La questione degli acquisti di oro dalla Reichsbank costituì l’ostacolo più difficile nelle trattative con Currie. Ai diversi moniti alleati sulla natura dell’oro tedesco, la delegazione svizzera ribatté che la banca centrale elvetica, per poter adempiere il suo mandato di politica valutaria stabilito dalla legge, doveva poter praticare il libero commercio dell’oro; fece notare, fra l’altro, che la BNS negli anni precedenti aveva acquistato più metallo prezioso dalla Bank of England e dalla Federal Reserve Bank di quanto non avesse fatto dalla Reichsbank nell’intero arco della guerra.

Se si fosse rifiutata di accettarlo dalla Germania, «avrebbe rischiato soltanto che l’oro tedesco … venisse consegnato tramite le banche centrali di altri paesi». La politica valutaria dell’istituto d’emissione elvetico non era per nulla affare dei britannici e degli americani, che del resto, in caso di cessazione del libero commercio, anche loro non si sarebbero potuti più coprire con franchi in cambio di oro.

L’obiezione sollevata dagli Alleati, secondo cui il metallo offerto da loro non si poteva confondere tranquillamente con quello della Reichsbank, perché tutto l’oro di quest’ultima era stato rubato o depredato, venne registrata come «argomento tipicamente agiuridico».

Le due argomentazioni correvano parallele, ma senza connessioni comuni. Il compromesso necessario fu trovato, ma non senza un inquietante tradimento della cosa in sé: «En définitive, la Suisse a eu gain de cause quant au fond et les Alliés quant à la forme. … Par ce compromis, la Suisse a réussi à sauvegarder le principe essentiel et fondamental qui consiste à pouvoir maintenir ses achats d’or à l’Allemagne.» Si delineava già, in tal modo, l’ultima cessione di oro della Reichsbank alla BNS: quella dell’aprile 1945.

Gli accordi del 28 febbraio e dell’11 aprile 1945

La neutralità svizzera, così com’era esposta dalle autorità, rese inaccettabile fino all’ultimo, per considerazioni di principio, un’entrata in materia sulla richiesta alleata d’interrompere completamente i rapporti economici col Reich. La strategia del Consiglio federale contava sul fatto che in pratica lo scambio commerciale con la Germania sarebbe finito rapidamente, non de iure ma come conseguenza effettiva dell’incapacità tedesca di consegna, cosicché senza interventi della Svizzera il risultato richiesto dagli Alleati si poteva ottenere comunque.

Negli ultimi mesi di guerra, perciò, si giunse ad altri due accordi sul traffico economico elvetico-tedesco: il primo (il protocollo finale del 28 febbraio 1945) regolava il modus vivendi dalla scadenza dell’ultimo accordo economico (15 febbraio 1945); il secondo (il cosiddetto accordo Puhl, dell’11 aprile 1945), quasi definiva la liquidazione degli obblighi tedeschi poco prima del crollo definitivo del Terzo Reich.

Mentre nell’ambito del protocollo finale le esportazioni svizzere cessavano del tutto e quelle tedesche raggiungevano circa i 10 milioni di franchi mensili, l’accordo Puhl regolò i pagamenti in forte ritardo per le esportazioni elvetiche «invisibili».

Già pochi giorni dopo la partenza della missione alleata, la Svizzera avviò nuove trattative con rappresentanti della Reichsbank. Questi erano giunti per liberare dal blocco il conto dell’istituto tedesco presso la BNS e spianare la strada a ulteriori vendite di oro: per «riempire il nostro conto presso la Banca nazionale, nel caso dovesse essersi esaurito».

Puhl, che da trattative precedenti era noto «per un atteggiamento sobrio e benevolo verso il nostro paese», decantò il fatto «che da parte tedesca non si potrebbe capire se al Reich, in seguito alle misure svizzere di blocco e al rifiuto di accettare oro, venisse impedito di venire incontro ai suoi impegni».

L’argomento non mancò di avere effetto, anche perché la BNS riteneva «che l’assenza totale di singole prestazioni, per esempio gli interessi delle moratorie o sui debiti fondiari in franchi, metterebbe certi istituti svizzeri di fronte a una situazione molto pericolosa», anche se «si può calcolare che questo stato di pericolo prima o poi subentrerà comunque». La BNS non volle quindi gettare al vento l’offerta della Reichsbank, consistente nel coprire in oro il suo fabbisogno di circa 17 milioni di franchi per il primo semestre 1945:

«La direzione generale si è dichiarata disposta a ricevere dalla Reichsbank, per consentire questo pagamento, oro attualmente depositato a Costanza per un peso di circa 3000 kg, corrispondente a un importo di circa 15 milioni di franchi svizzeri, ritenendo che entri in considerazione solo oro di vecchie riserve.»

Poco dopo la BNS rinnovò la sua richiesta al Consiglio federale perché autorizzasse questo acquisto, e nella seduta del 28 marzo il governo diede via libera all’importazione di 3100 kg di oro da Costanza. Nel quadro dell’accordo Puhl, l’ufficio di compensazione della BNS comunicò, con una lettera dell’11 aprile 1945, che «gli importi necessari per i pagamenti nell’ambito suddetto … sarebbero stati esonerati dall’obbligo di autorizzazione prescritto dal decreto del Consiglio federale del 16 febbraio 1945»; il 13 aprile la BNS ritirò dalla Reichsbank 132 lingotti, pari a 7,8 milioni di franchi, e monete d’oro da 20 marchi per altri 7,8 milioni, quindi in totale un controvalore di 15,6 milioni di franchi.

Per non violare apertamente l’accordo Currie, venne concordato che i suddetti pagamenti sarebbero stati coperti con averi in franchi della Reichsbank già presenti in Svizzera; la nuova cessione di oro, viceversa, sarebbe stata accolta come indennizzo per i bisogni di carattere diplomatico e umanitario che in origine avrebbero dovuto essere pagati con tali mezzi. La procedura quindi, come osservò perfettamente Puhl, era «solo un’altra denominazione» per un regolare acquisto di oro:

«Con questa regolamentazione si spera, almeno per alcuni mesi, di poter garantire un decorso soddisfacente del traffico tedesco-elvetico dei pagamenti. Quest’ultimo però col tempo si arenerebbe da solo, perché la Banca nazionale non è più in grado di procurare alla Reichsbank nuovi averi in franchi tramite acquisti di oro.»

Questo stratagemma poteva essere tenuto in piedi, al massimo, fino all’esaurimento degli averi  della Reichsbank in franchi, pari a circa 26 milioni. Ciononostante, la soluzione concordata con Puhl «per dar fondo ai mezzi ancora disponibili» equivaleva a una manovra diversiva apertamente dichiarata, violando indubbiamente, se non la lettera, almeno lo spirito dell’accordo Currie; inoltre, costituiva un aggiramento chiaro, sancito ufficialmente, del blocco imposto sui patrimoni tedeschi.

Puhl, nella sua ultima lettera a Funk, si mostrò molto soddisfatto per l’esito delle trattative, che orgogliosamente riteneva una vittoria sugli sforzi degli Alleati in Svizzera:

«Questo successo significa che noi, per così dire, abbiamo infranto il blocco dei pagamenti auspicato dai nostri nemici, e … ci [mette] in grado … di garantire la sopravvivenza di molti contratti pubblici e privati tedesco-elvetici … Sono anche riuscito a convincere la Banca nazionale a ulteriori acquisti di oro, assicurando così l’adempimento degli obblighi del Reich verso la Svizzera come potenza protettrice dei prigionieri di guerra e degli internati, per rappresentanti della Croce Rossa e del Reich.»

L’attuazione dell’accordo Puhl, però, deluse ampiamente le speranze dei maggiori esponenti dei creditori finanziari svizzeri, perché solo 7 milioni di franchi giunsero così nel fondotrasferimenti. Alle autorità federali, perciò, venne rimproverato che la loro «posizione … gretta … non [era] affatto nell’interesse dei creditori svizzeri», e che esse non erano state «per nulla disposte» a «sfruttare le possibilità create con lo scambio epistolare dell’11 aprile 1945. … In particolare è incomprensibile che da parte ufficiale non si vogliano più riconoscere le proposte sostitutive firmate dal signor Hinz, consigliere della Reichsbank, dopo l’8 maggio 1945.»

Era «inspiegabile che oggi si scelga la posizione formalistica e si cerchi con ogni mezzo di ottenere che questi pagamenti non possano più venire effettuati». Da parte dei creditori e specialmente delle grandi banche, in effetti, si chiedeva di… risuscitare lo Stato tedesco giusto il tempo necessario perché le pretese finanziarie svizzere fossero soddisfatte! Kohli ribatté alla richiesta facendo notare che l’accordo Puhl non andava inteso come liquidazione dei circa 30 milioni di franchi della Reichsbank presenti in Svizzera (lo stesso Puhl aveva dichiarato che «gli averi della Reichsbank non sono un cervo che le autorità federali possano affettare a piacere»): l’accordo semplicemente fissava la disponibilità della Svizzera a togliere il blocco degli averi per certi pagamenti della Reichsbank.

Ben presto anche la Banca nazionale dovette osservare che l’accordo concluso con l’istituto tedesco «non funziona come dovrebbe: c’è già chi esprime dubbi sull’acquisto dell’oro, affermando che la Banca nazionale svizzera avrebbe accettato dalla Reichsbank una riserva aurea troppo grande.» Nonostante gli sforzi della BNS, il giroconto II, su cui vennero conteggiati i 15,6 milioni di franchi come pagamento per l’oro ritirato, fino a metà novembre 1946 rimase intatto.

La reazione alleata non si era fatta attendere ed era stata virulenta; il Consiglio federale, perciò, respinse fino ad allora, per considerazioni politiche, ogni richiesta di pagamento. Secondo gli Alleati, infatti, non c’era stato alcun motivo per il trasferimento di oro, neppure per gli scopi citati in campo diplomatico e umanitario: per questi ultimi la Svizzera avrebbe potuto sfruttare gli averi della Reichsbank presso la BNS (averi la cui esistenza il Dipartimento politico federale, nei contatti con gli americani, inizialmente cercò di negare).

Da parte elvetica, come già visto, c’era l’intenzione di usare quei 26 milioni di franchi per estinguere debiti tedeschi contratti con creditori svizzeri. Si può costatare, riassumendo, che il Consiglio federale e la BNS si fecero impressionare poco, nella questione degli acquisti di oro dalla Reichsbank e del commercio con la Germania, dal continuo aumento delle pressioni alleate sulla Svizzera a partire dalla conferenza di Bretton Woods (estate 1944).

Essi si mostrarono sì disposti ad adattare la loro politica alla mutata situazione economica, ma non a riconsiderare radicalmente la linea seguita sin dall’inizio della guerra e ancorata all’argomento della neutralità.

La posizione della Svizzera doveva continuare a orientarsi sul principio della fedeltà contrattuale: «limitare o interrompere arbitrariamente» su pressioni esterne i rapporti economici con qualsiasi partner, «finché lo stesso sia disposto alla consegna e capace di consegna», era ritenuto inconciliabile con quel principio. Anche se la situazione l’avrebbe permesso senz’altro, la Svizzera preferì quindi rispettare fino all’ultimo giorno di guerra gli impegni contratti con la Germania, divenuti ampiamente teorici; fino ad allora, «nonostante forti dubbi», le autorità elvetiche attribuirono alla Germania «capacità contrattuale».

A questa posizione vennero costrette in primo luogo dagli ambienti economici che avevano un solido interesse al proseguimento dei rapporti commerciali, sia per il rimpatrio degli averi svizzeri sia in vista del riordinamento della situazione durante il dopoguerra. Come si vide nelle trattative economiche col Reich, l’argomento della neutralità risultò molto opportuno al tornaconto economico, consentendo di respingere le richieste di sanzioni e di rinunciare a esaurire del tutto il margine di manovra negoziale:

«Nel traffico con la sola Germania, durante la guerra, è risultato un surplus d’importazioni per 500 milioni di franchi. Fu miope, pertanto, quel continuo chiedere l’interruzione dei rapporti economici con la Germania in quanto gravavano sulla normalizzazione del rapporto con gli Alleati.»

Non si era soddisfatti che potesse finalmente cessare il rapporto contrattuale vincolante con la Germania, bensì si deplorava il fatto che non c’era più una base solida per un nuovo accordo economico, perché ciò «gettava ombre profonde sull’economia svizzera».

Una chiara rottura economica e politica col regime nazista non venne compiuta. Invece di aderire alla posizione alleata, decisiva per il futuro, ci si attenne al criterio determinante, rivolto al passato, dei «guadagni disponibili»: negli ultimi mesi di guerra l’importante era soprattutto, con l’aiuto delle persone di fiducia tedesche, «‘evacuare’ il più in fretta possibile» ciò che ancora si poteva.

Che nelle trattative con la Germania fossero senz’altro possibili toni più bruschi e che le posizioni giuridiche non fossero sempre inamovibili, quando una regolamentazione per la Svizzera non aveva più senso sul piano economico, lo dimostra l’atteggiamento elvetico sulla questione del transito di carbone all’inizio del 1945:

«Cavillosità giuridiche o no, per il nostro paese è semplicemente intollerabile che i treni di carbone tedeschi attraversino giorno e notte il San Gottardo mentre le nostre officine del gas, la nostra industria, le nostre case non ricevono più carbone.»

Particolare caratteristico, un simile linguaggio divenne possibile solo quando sulla Svizzera gravò la minaccia di uno svantaggio materiale. Né le trattative precedenti né gli acquisti di oro dalla Reichsbank erano mai stati definiti «per il nostro paese semplicemente intollerabili».

E ben presto, vista la situazione della Germania, il Dipartimento politico federale avrebbe considerato la questione come pura questione di lana caprina: «Tout le débat, en somme, se ramène à une question d’interprétation. D’ailleurs, vu l’évolution récente de la situation en Allemagne, la question n’a plus guère qu’une portée académique.»

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