DI’ LA TUA …

Votare sperando nei sogni

di Cornelio Galas

Mettiamola così: non mi fido più. Di nessuno. Sono stufo di proclami, promesse, tavoli, confronti, dibattiti,discontinuità tipo 3,14 (con tutti i decimali seguenti all’infinito), nomi di candidati decisi nel chiuso delle sedi di partito, programmi che saranno (forse) spiegati nel dettaglio quando sarà già nota la posizione del simbolo sulla scheda elettorale. Basta, per favore. E allora? Ho letto tutto che si poteva leggere in queste ultime settimane sui giornali locali. Leggo tutti i giorni gli interventi sui social.

Non escludo alcuno da un’analisi volutamente oggettiva, a 360 gradi. Ma alla fine resto con i miei dubbi. Quelli accumulati in decenni di giornalismo, di conferenze stampa, forum e poi di formazione di governi provinciali, comunali. Di polemiche, voltagabbana, coalizione rotte, transfughi. Eppure andrò a votare, come ho sempre fatto. Perché nonostante lo sfinimento, la delusione, credo ancora nella democrazia. Non lo farò turandomi il naso. Magari, nella condizione i cui mi trovo, cercherò di scegliere il meno peggio.

Di certo non sarà un voto che arriva dal cuore e nemmeno dal cervello. Non sarà un segno sulla scheda fatto con entusiasmo, con la convinzione di far parte di un sistema che dà alle comunità la cosiddetta sovranità popolare garantita dalla costituzione. Sarà l’esercizio di un diritto-dovere. Un po’ come sperare che – affidando ad altri i tuoi sogni – ci sia di colpo il miracolo. E i sogni si avverano.

 

verso le elezioni provinciali in trentino 2018

Riassunto delle puntate precedenti

di Cornelio Galas

Allora: si parte da Ugo Rossi, governatore del Trentino uscente, vincitore, nel 2013 delle primarie con Olivi (Pd) secondo. E poi comunque asssessore nella giunta del centrosinistra autonomista. Si capisce quasi subito che un Rossi-bis, sarà difficile. Non foss’altro per una sorta di “rivincita” dei Dem, sconfitti alle politiche del 4 marzo insieme proprio agli autonomisti. E allora via alle “danze” dei tavolini. Con Upt, Civiche, terzi nomi.Nel frattempo arriva la “novitù” Ghezzi. Contro il sovranismo-populismo. Contro la Lega che rischia di vincere facile. Tavoli, tavolini, tavolate. Ci si trova alla fine a decidere: meglio la coalizione (segretario dem Muzio) o la discontinuità (Ghezzi, Leu, Verdi ecc.). No, altri tavoli. Ed entra in scena Daldoss, lista civica dei sindaci, già assessore esterno, tecnico, di Rossi. Rimescolamento delle carte: guardiamoci bene negli occhi… E poi si cambia idea. Tonini, tertium non datur, del Pd, accetta di portare avanti un certo discorso… più verso il centro che verso la sinistra ghezziana. Daldoss c’è e non c’è. Vorrebbe esserci… ma poi decide di andar via mettendo nelle peste le Civiche. Tonini accetta di portare la croce. Ma l’Upt, pur dandogli il via libera, lo lascia con tanti dubbi: “Oh, ragazzi, che famo?”. La Lega di Fugatti, forse anche per problemi di soldi, non sta facendo campagna elettorale. Gliela stanno facendo gratis gli altri…

LA SVOLTA NEL CALCIO? MA NON C’ERA GIA’ STATA?

di Cornelio Galas

Italia esclusa dai mondiali di calcio. Il ct Ventura cacciato a furor di popolo. Il presidente Tavecchio dimissionario dopo un neanche ben celato tiramolla. E adesso l’Italia nel pallone invoca una RIFORMA radicale del movimento calcistico. Ho trovato nel mio archivio questi articoli su Tavecchio. Riguardano una sua visita in Trentino quando era ancora presidente della Lega Dilettanti. E i suoi primi passi invece a capo della Federazione Giuoco Calcio. Con i primi commenti: finalmente uno che vuol veramente cambiare le cose. Lascio ai lettori la morale…

MA ALLORA LO DOVEVATE DIRA PRIMA NO….

di Cornelio Galas

La “telenovela” della Loppio-Busa avrà quanto prima un sequel (l’ennesimo) sulle principali reti Tv specializzate in questi “dai che non finisce qui”. E per assurdo sono d’accordo con l’assessore Carlo Dal Doss, questa volta. Quarant’anni passati a scrivere sul giornale “l’Adige”, da Riva del Garda, della “Loppio-Busa”. A partire dal progetto della A22 (ci mettiamo noi i soldi e facciamo la superstrada), per arrivare alle soluzioni A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, Z. Occhio: anche A1, A2, A3 und so weiter. Per non parlare dell’A1 comma b con tunnel a due canne, O della G 3 con tunnel a una canna ma con passaggio sul Sarca a sud di Linfano, ecc.

La ferrovia? Ma dai, sul serio? Sul serio alla fine l’assessore all’urbanistica del Trentino dice che adesso (novembre 2017) è meglio la ferrovia tra Loppio e Busa? Incredibile. E’ come scoprire, dopo quanti anni?, che il fumo fa male. O che bere troppo fa perdere l’equilibrio. Scherzi a parte, il vecchio “trenin” c’era. La famosa MAR c’è ormai solo nelle foto d’epoca. E nel bel libro del compianto architetto Giacomo Nones. Al quale ho attinto per tanti documentari su “Televignole”.

Ma per piacere… quando si parla di ferrovia, di “Metroland”, di alternative alla viabilità attuale che prescindono da quel progetto del quale – dicono – sono in avanzata fase le pratiche, si abbia almeno il coraggio di snocciolare cifre, di proporre qualcosa di diverso dal dire per dire. E ancora: di fare opportune, attuali, comparazioni tra soluzioni su gomma e soluzioni su via ferrata, Voi pensate, seriamente, che il “treno” (quali orari? quali i costi? quali le tratte?) risolverà il problema, ormai quasi secolare, del collegamento tra l’Alto Garda e la Vallagarina?

Lo so. Si dirà che la ferrovia è la soluzione più ecologica, Soprattutto che la “Busa” – così dice Dal Doss – rischia di diventare (Perché? Non lo è già?) una sorta di parcheggio al limite della decongestione. Probabilmente è meglio – rispetto a questi negativi presagi – la situazione attuale: lunghe code tra Riva, Torbole, Nago, Mori. Tra Arco e la “Maza”. Emissioni atmosferiche che – ma l’Appa dov’è? Cosa fa? – solo a Vignole, dove abito, probabilmente mi accorceranno la vita senza sapere chi ringraziare.

La ferrovia – chiedo – farà arrivare meno persone nell’Alto Garda? Non credo. Ah certo, forse saranno meno i veicoli (anche i camper? Anche le moto? Anche i furgoni dei climbers?) in coda tra Mori e Riva. Però mi resta sempre sulla punta della lingua una domanda: “Non è che in questi quarant’anni i vari assessori provinciali (anche all’urbanistica, come Dal Doss) ci hanno raccontato un sacco di fandonie? Sempre, guarda caso, prima delle… prossime elezioni?

L’ANOMALIA “NORMALE”

di Cornelio Galas

Chi scrive è nato in casa. Insomma quando c’erano ancora le levatrici che venivano a domicilio per assistere le partorienti. Quelli della “Busa” venuti al mondo dopo di me invece quasi tutti portano sulla carta d’identità Riva del Garda, Arco, oppure Rovereto. Perché lì c’erano i reparti di maternità al servizio della zona dell’Alto Garda e Ledro.

Con la costruzione del cosiddetto “monoblocco ospedaliero” di Arco ostetricia e ginecologia sono state concentrate invece in quel Comune dopo un lungo periodo di tiramolla. Già perché l’ospedale “nuovo” era in realtà stato costruito a Riva del Garda, vicino alla vecchia struttura. Solo che rimase “incompiuto” (con pezzi che cadevano da muri freschi di cemento) e allora fu utilizzato come sede comprensoriale, della comunità di valle, di ambulatori ecc. ecc.

Questo stringato riassunto delle puntate precedenti solo per dire che so di cosa parlo avendo seguito, per l’Adige, le vicende della sanità locale per quasi quarant’anni.
E’ per questo che mi ha particolarmente colpito l’articolo apparso lunedì 30 ottobre (quello che ho riprodotto sopra anche in versione più leggibile della scansione). Non tanto e non solo per il clamore della notizia, quanto piuttosto per la “replica” all’emergenza segnalata collega Beltrami, un cronista che ho avuto modo di apprezzare e conoscere personalmente per la sua ostinata ricerca della verità.

Ecco, laddove si risponde che “può capitare l’emergenza di un reparto saturo” che “per gli addetti ai lavori è la prassi (anche se non la quotidianità)” e ancora che “le emergenze in terapia neonatale non sono prevedibili”, beh, pur non essendo laureato in medicina ho alcune forti perplessità.

A cominciare dalla “chiusa” della replica da parte degli “addetti ai lavori”. Laddove si afferma che “si tratta di uno scambio di disponibilità fra ospedali, un’andata e ritorno, un’accoglienza bidirezionale”. E si cita il recente caso di un bimbo “ricevuto da Bolzano”. Bene. Intanto si apprende, mi si corregga se sbaglio ovviamente, che i neonati o meglio i nascituri sono, anche in Trentino, parte di un sistema di “vasi comunicanti”. Si va dove c’è posto, o meglio, dove si è liberato un posto se la destinazione naturale è “satura”.

E questo costituirebbe il sistema perfetto dell’ostetricia trentina? Quello che ha portato alla chiusura di tanti punti nascita negli ospedali considerati periferici e non potenziali “aiuti” in questo travaso d’emergenza? Altra perplessità: quanti bimbi sono arrivati finora a Trento, in elicottero, dal Veneto, dalla Lombardia, dall’Alto Adige? Sarebbe opportuno saperlo visto che a suo tempo proprio con le “tabelle”, con i numeri si è dato il via alle tanto contestate peraltro chiusure di reparti.

Ah, ma dimenticavo, pardon, che c’è l’imprevedibilità nelle nascite o meglio “le emergenze in terapia neonatale non sono prevedibili”. Ragion per cui l’elicottero prima o poi serve per portare da Arco, dalla Rendena a Trento e, ops, se lì sono “pieni” a Verona o magari (accoglienza bidirezionale no?) a Bolzano.

Infine una considerazione certamente fuori luogo ma diciamo così, sentimentale, romantica se vogliamo. Che tristezza (il decano di Arco aveva non a caso suonato le campane a morto quando chiusero il punto nascita di Arco) dà il progresso, la “razionalizzazione” del sistema sanitario trentino se ad Arco adesso si nasce (non nel senso di venire alla luce, diciamo che si è concepiti…) in una provetta di vetro e non nel modo più naturale che c’è da che mondo è mondo.

LA SOLIDARIETÀ BIFRONTE

Torno sulla questione dell’incendio di via Torchio (e sul conto presentato dal Comune di Arco) perché alcuni commenti su Facebook, ma anche l’articolo apparso oggi su “l’Adige” (che allego) mi lasciano perplesso su tante cose. La prima: nell’articolo si accenna ad accordi dei proprietari con il Comune per lo smaltimento dei rifiuti. Chiedo: accordi non rispettati? Da chi? Era compreso anche il famoso “conto”?

La seconda: Facebook i commenti al post lanciato da Lorenza Colò sono in gran parte a favore dell’operato del sindaco di Arco e quindi dell’amministrazione comunale. Le ragioni di questa sorta di distinzione tra emergenza pubblica e “danno privato”? Non sono ben chiare. Ma in sostanza si fa capire che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. E cioé – tramite assicurazione o con quei soldi raccolti con la sottoscrizione – che si arrangino. Almeno per quella storia dei rifiuti post incendio.

Perché mi sta a cuore questa storia dell’incendio di via Torchio? Non lo so francamente. O forse si tratta di deformazione professionale dopo quarant’anni di giornalismo. Che comprendono evidentemente centinaia (se non migliaia) di incendi di tutti i tipi. Fotografati. Con interviste, articoli, servizi vari. Non solo. Ma anche la mia famiglia non molti anni fa ha dovuto fare i conti con un rogo che solo per l’intervento perfetto, veloce, professionale dei vigili del fuoco di Arco non ha avuto effetti devastanti materiali. Ma ogni tanto, quando ci ripenso, sto ancora male. Così come dopo l’incendio ci sono state notevoli spese. Anche per i famosi rifiuti da smaltire.

Un’altra precisazione: non ho alcun grado di parentela, nè contatti d’affari passati e presenti (e nemmeno futuri s’intende) con chi è rimasto senza casa per quelle fiamme.
Mi sta a cuore invece – curiosità da cronista in pensione, mettiamola così – la “verità” di certe dichiarazioni d’intenti, di solidarietà. Facile sentirsi vicini a chi ha perso tutto il giorno dopo. E anche una settimana dopo. Noto però, dal tono di certi interventi, che la tendenza, passata l’emergenza (e anche la visibilità sui giornali?) è pari alla curiosità che può destare un vecchio articolo di giornale. Insomma, “passato il giorno gabbato lu santo”.

Ecco allora che in giro si sentono commenti tipo: “Dài che no ghe mancherà miga i soldi a quei lì…” oppure “A mi no i m’ha mai pagà i rifiuti” o ancora “No se sa gnanca come l’è stada…e po’ qualcos i tirerà su dala sotoscriziòm no?”. In sintesi: “chi è causa del suo mal pianga se stesso” e non rompa le scatole alla comunità, non si utilizzino i soldi “di tutti” per il danno di pochi. Per finire addirittura al commento: “La sfiga si paga”.

Di fronte a questa “solidarietà” (?!?) bifronte (“E poi non è stata colpa del terremoto, dell’alluvione…dai”) viene in mente un altro aforisma dialettale: “sant en piàza e diàol a cà” o quello che si chiedeva Gaber: “Ma perché tanta gente che va in chiesa tutte le domeniche poi nel privato è così carogna?”.
Queste le mie perplessità, per usare un eufemismo. Piuttosto di trovarmi in questa situazione lo dico subito, toccando ferro s’intende, se dovessi aver bisogno della solidarietà degli arcensi lasciate perdere. Mi arrangio. Pur di non passare per chi magari specula sulle proprie disgrazie.

FATTO TRENTA FACCIAMO ANCHE TRENTUNO…

di Cornelio Galas

Non so nemmeno io perché “mi faccio gli affari degli altri”. Ma c’è qualcosa, dentro, che mi spinge a scrivere queste righe. Perché lo so, in caso contrario – se tenessi per me, cioè, queste parole in un agnostico silenzio – mi darei senz’altro dell’egoista o quantomeno dello spettatore impotente di quello che succede nella mia comunità, cioè ad Arco.

Leggo oggi, sul giornale “l’Adige”, in cronaca appunto di Arco, l’articolo che riproduco. Laddove si scrive che il Comune presenta il conto (e già il termine è piuttosto forte) per le spese dei rifiuti derivati dall’immane rogo che ha distrutto lo scorso settembre quella casa in via Torchio. Sono andato a rileggermi gli articoli precedenti su quel disastro. Innanzitutto bisogna dare atto al sindaco Betta di essere stato tra i primi ad avviare l’iniziativa di solidarietà a favore degli sfollati: quella sottoscrizione (insieme alla Caritas) che sicuramente oltre che lodevole si spera sia anche in qualche modo di supporto a chi è rimasto privo di beni primari.

Così come va chiarito, credo, che in simili, nefaste, circostanze, a differenza di emergenze, calamità naturali come terremoti, alluvioni ad esempio, l’amministrazione comunale ha forse poteri d’intervento limitati probabilmente (non lo so, di preciso, lo presumo dalla richiesta del “conto”). E non può derogare dalla LEGGE, quindi, come afferma lo stesso sindaco. In pratica, ne deduco, con la sottoscrizione si dovranno tirar su anche i soldi da dare al Comune di Arco per quei rifiuti da smaltire.

Non so a quanto ammonti questa spesa. Pare comunque che questa sorta di “partita di giro” non sia stata accolta positivamente dagli interessati. Tanto che qualcuno ha ricordato un precedente: un Comune che ha fatto pagare l’Imu per una casa distrutta dal terremoto.
Sempre negli articoli precedenti ho trovato anche un accenno del sindaco Betta al problema rifiuti: cercheremo di usare il buon senso, diceva. Ora, proprio il buon senso dovrebbe informare, credo, adesso, proprio sulla questione rifiuti.

Non si tratta di creare un precedente (chi subisce danni per incendio è aiutato comunque dal Comune) nè di utilizzare per finalità private soldi pubblici. Semplicemente siamo di fronte, mi pare, ad una evidente assurdità. Tra l’opera volontaristica e gratuita dei vigili del fuoco, che anche in questo caso non saranno mai ringraziati abbastanza. E quello che, concretamente, può fare il Comune. Credo che sia possibile spezzare quella catena, quella “partita di giro” cui accennavo prima.

Basta studiare tecnicamente il testo di una delibera d’urgenza. Sottoporla anche al consiglio comunale, se si vuole l’imprimatur a scanso di equivoci. Tutto questo eviterebbe non solo malumori ma anche, almeno spero, una specie di “crepa” in quella solidarietà espressa a parole. Oltre che la beffa del “pago mì … coi to soldi”.

dicci-la-tuaBASTA UNA MAIL4-webmail-securityhost-e1410536953605

ALL’INDIRIZZO:

corneliomagno@live.it

A PROPOSITO DI “MODULI” ANTIFASCISTI PER LE ASSOCIAZIONI …

Mi sono preso la briga di leggere tutto quello che finora è stato scritto sui giornali e postato sui social.E francamente sono perplesso di fronte al “muro contro muro” che si va via via sempre più delineando tra associazioni e comune di Arco a proposito dell’ormai famoso “modulo antifascista da firmare”.

Credo che questa “dialettica” (un eufemismo, ovvio), possa degenerare al punto dal provocare più danni di quelli che si volevano invece evitare. Già perché quella che da una parte è considerata una sorta di “adesione ideale” scontata, quasi pleonastica contro l’apologia del fascismo, dall’altra è stata intesa finora come una sorta di screening dei valori perseguiti (o meno) dalle associazioni, quasi tutte peraltro volontaristiche, apartitiche, apolitiche.

Mi diceva Mario Matteotti qualche giorno fa: “E se tra i miei collaboratori ci fosse qualcuno che, magari per scherzo come ha fatto qualcun altro della zona, ha fatto il saluto romano e baciato l’immagine del Duce?”. Sappiamo cosa è costato questo episodio al soggetto (politico) in questione. Così come ci si dimentica delle “esse” runiche apparse anni fa sulla divisa della Settaurenze Calcio.

Così come, andando molto più indietro (1975) ricordo benissimo il saluto romano rivolto ai tifosi rivani di basket, in una palestra di Riva, dall’allora Fiamma Bolzano. Per non parlare di altri analoghi episodi arcinoti accaduti in zona o in Trentino. Come si potrebbe uscire da questo cul de sac? Intanto, credo, rasserenando gli animi. Nessuno, in Comune ad Arco, guadagnerebbe da uno strisciante ostracismo da parte delle associazioni.

Il fatto poi di legare la firma del famoso modulo alla concessione del contributo non mi sembra sia espressione massima della democrazia, dell’analisi dei “programmi” di queste associazioni ai quali invece mi atterrei, per l’analisi dei famosi “valori”.

La soluzione? Secondo me basterebbe cambiare i requisiti del modulo contestato sostituendoli con questa dichiarazione da parte dei responsabili delle varie associazioni: Dichiaro che la mia associazione rispetta tutti i dettati della Costituzione Italiana”. Punto. E sappiamo che la Costituzione prevede anche la questione fascista. Punto.

Ci vorrebbe però a questo punto un’analoga dichiarazione da parte dei candidati alle varie elezioni. E direi di più: anche da parte degli eletti, non solo quella prevista dal giuramento del sindaco.Occhio che oltre ai diritti ci sono anche i doveri costituzionali …

VE MANDO (se podo) EL ME ARTICOL … DISEME SE ‘L VE  VA BEM

di Cornelio Galas

Osc’ia adés me par de no esser né fodrà nè ‘mbastì. E dopo quarant’ani passai a scriver sui giornai no l’è propri en bel star. Perché de fàto me sènto ciapà tra do fòghi. Da na banda gh’è L’Ordine dei giornalisti, che me domanda, a mì en pensióm zamài da tre ani, se vago o no a far sti corsi de formaziom. Che i serve, me par de capir, a ciapàr i ponti: bisogna arivàr a ‘n tot en de n’am. E se no te ciàpi ‘sti ponti – me par che la vaga a finir cosìta neh – no te sei pù en giornalista che pòl far el giornalista.

Ensòma no l’è che i te paga per i to articoi. Entant però, diaolporco, i te domanda i soldi per el bolìm … de l’Ordine. Per farla corta, se pago el bolìm som iscrito a l’Ordine, ma se no fago i corsi de agiornament no som giornalista, pensionà va bèm, che pòl esser pagà se ‘l scrive sui giornai, sui giornalini … Gh’è qualcós che no me convìnze.

A parte ‘l fatto che dopo quarant’ani a scriver, a far menabò, a correr de chì e de là, nel me caso a far el prim giornal col compiuter en Trentim, forsi dovrìa avergh’en anca en gòso … a parte che scrivo adès da per mi senza domandar soldi a nesùni … mah … almém disémel: “No, no volèm pù soldi da ti che no te pòi pù far el giornalista … ciàvete”.

La seconda roba l’è quela del Grillo. En sti dì chi. Ma come? Adès quel che scrive sui giornai o parla en televisiom el dovrìa esser més a um da … da na giuria popolare? Sénte zà a Carneval? E’ zà arivà el prim de april? O qualchedùni l’è stà enmanegà vért? Grillo, scusa neh, ma tràt zo copi? Tornénte al Minculpop fascista? I giornai i bòta for bale che no stà n’è en zél né en tera? Pol darsi. Ma varda che se te stravàsi gh’è ancora le legi che pòl farte pagar salà zerte putanae.

Mi per fortuna no ho mai ciapà na querela, ma conosso coleghi che – anca per monae – i è nai en méz ai casini. Robe da torse avocati, miga semper pagai dal giornale tra l’alter.
A sto punto me domando ‘n do narém a finir. Le veline envéze che putèle che bàla deventerale dal bom robe de carta dOsc’ia adés me par de no esser né fodrà nè ‘mbastì. E dopo quarant’ani passai a scriver sui giornai no l’è propri en bel star. Perché de fàto me sènto ciapà tra do fòghi.

Da na banda gh’è L’Ordine dei giornalisti, che me domanda, a mì en pensióm zamài da tre ani, se vago o no a far sti corsi de formaziom. Che i serve, me par de capir, a ciapàr i ponti: bisogna arivàr a ‘n tot en de n’am. E se no te ciàpi ‘sti ponti – me par che la vaga a finir cosìta neh – no te sei pù en giornalista che pòl far el giornalista. Ensòma no l’è che i te paga per i to articoi. Entant però, diaolporco, i te domanda i soldi per el bolìm … de l’Ordine. Per farla corta, se pago el bolìm som iscrito a l’Ordine, ma se no fago i corsi de agiornament no som giornalista, pensionà va bèm, che pòl esser pagà se ‘l scrive sui giornai, sui giornalini … Gh’è qualcós che no me convìnze.

A parte ‘l fatto che dopo quarant’ani a scriver, a far menabò, a correr de chì e de là, nel me caso a far el prim giornal col compiuter en Trentim, forsi dovrìa avergh’en anca en gòso … a parte che scrivo adès da per mi senza domandar soldi a nesùni … mah … almém disémel: “No, no volèm pù soldi da ti che no te pòi pù far el giornalista … ciàvete”.
La seconda roba l’è quela del Grillo. En sti dì chi. Ma come? Adès quel che scrive sui giornai o parla en televisiom el dovrìa esser més a um da … da na giuria popolare? Sénte zà a Carneval? E’ zà arivà el prim de april? O qualchedùni l’è stà enmanegà vért? Grillo, scusa neh, ma tràt zo copi? Tornénte al Minculpop fascista? I giornai i bòta for bale che no stà n’è en zél né en tera? Pol darsi.

Ma varda che se te stravàsi gh’è ancora le legi che pòl farte pagar salà zerte putanae. Mi per fortuna no ho mai ciapà na querela, ma conosso coleghi che – anca per monae – i è nai en méz ai casini. Robe da torse avocati, miga semper pagai dal giornale tra l’alter.
A sto punto me domando ‘n do narém a finir. Le veline envéze che putèle che bàla deventerale dal bom robe de carta da copiar per no finir davanti a ‘n tribunal? Se podrà scriver sol bem dei zinque stele? Momento: meti che tòga la tessera del moviment del Grilo, meti che scriva na roba che no va e i me querela, meti che me ariva na carta dal Tribunal …oh, som endagà, ma miga podrè butarme fòra (così l’ha dit Grilo) dala vòssa compagnia neh … a copiar per no finir davanti a ‘n tribunal?

Se podrà scriver sol bem dei zinque stele? Momento: meti che tòga la tessera del moviment del Grilo, meti che scriva na roba che no va e i me querela, meti che me ariva na carta dal Tribunal …oh, som endagà, ma miga podrè butarme fòra (così l’ha dit Grilo) dala vòssa compagnia neh …

A PROPOSITO DI STABILIZZAZIONE

  di Ennio Zucchellini

Il problema di dotare le popolazioni dei Paesi del Terzo mondo di quelle tecnologie che ne permettano la sopravvivenza è sempre stato il richiamo inascoltato di  Andreotti: <Se le popolazioni dei  Paesi del Terzo mondo non disporranno di quei mezzi che permettano loro di sopravvivere ce li troveremo tutti qui!> soleva ripetere. E’ quello che è accaduto. Le primavere arabe, le guerre in Medio oriente e il terrorismo islamista hanno ingigantito il problema dando origine a migrazioni di massa.

Ciò che sta succedendo negli Stati Uniti con la candidatura di Trump non credo lasci speranze per quello che si augura   Maurizio Panizza e, pure se vince la Clinton, che personalmente mi auguro, sarà difficile stemperare il clima xenofobo che ha preso forma non solo negli Usa ma anche nel  Vecchio continente.

Il periodo che viviamo non è dei migliori per quanto auspicato nella lettera a Obama ma comunque se non  vorremo essere colonizzati a nostra volta dovremo renderci conto del nuovo assetto sociale che sta venendo a crearsi in Occidente e in Europa in special modo.

Già si parla di società meticcia e questo senz’altro è un passo  avanti per  la socializzazione nella globalizzazione intendendo con questo che le varie etnie che arricchiscono  la popolazione mondiale ed europea in particolare saranno garanzia per il dialogo conseguente e cioè globale. Non potrà accadere, ad esempio,  che gli africani divenuti cittadini europei o statunitensi nutrano ostilità  invece che amicizia per il continente di origine e così per tutti gli altri.

Certo che qualora l’immigrazione non si fermi, e gli immigrati raggiungano una percentuale significativa, a rischio  colonizzazione saranno   gli autoctoni e cioè noi, come richiama anche Maurizio Panizza.

Per questa ragione anche chi è propenso a chiudere le frontiere – che è un’esercitazione sisifica  – e che non vuole saperne di profughi sul suo territorio dovrà volente o nolente  porsi il problema che richiamava in continuità Andreotti e cioè portare quelle tecnologie che permettano alle popolazioni cosiddette del Terzo mondo di poter vivere nei luoghi di origine.

Non si può sottrarsi a questo obbligo perché unico e perciò imperativo per la stabilizzazione delle popolazioni del pianeta. E affinché accada è necessario riconoscere ai nuovi arrivati quei diritti che sono innegabili in una società civile e fra questi il diritto al culto,  con quello che comporta in primis, esigendo nel contempo il rispetto delle leggi e della <Carta  dei diritti fondamentali dell’Uomo> condizioni indispensabili per la condivisione di una civiltà comune in presenza di culture diverse.

L’arma (se così si può chiamare)  migliore che abbiamo per ottemperare a questa impellenza, e cioè fermare l’immigrazione, sono appunto gli immigrati integrati nella nostra società.

I laureati, gli ingegneri, i medici eccetera che ritornando nei Paesi di origine diverranno il volano di trasmissione  che permetterà, con l’aiuto della tecnologia e attraverso la scolarizzazione,  di fermare l’esodo stabilizzando la popolazione.  Non possono che essere  loro perché se fossimo di nuovo noi  sarebbe ancora colonizzazione. Alle grandi potenze spetta la ricerca di condizioni di stabilità attraverso lo spegnimento di tutti i focolai di guerra. Ennio Zucchellini – Zhennio@alice.it

DEAR MR. PRESIDENT OBAMA

presidente-usa-obama

di Maurizio Panizza

Come sappiamo, il mandato presidenziale di Barack Obama sta per concludersi e con esso rimane molto incerto il futuro americano e mondiale dopo un’epoca storica che, fra l’altro, ha visto eletto negli Usa il primo presidente nero.

Tre anni fa scrissi a Obama la lettera che le allego. Ovviamente non ebbi nessuna risposta, però i temi che allora proponevo in tempi non ancora così drammatici come quelli di oggi, rileggendo adesso quello scritto mi paiono sempre più attuali. “Piano Marshall per l’Africa”, lo chiamai, e – cosa di queste ultime settimane – leggo con soddisfazione che pure la Presidente Boldrini ha ora accennato con urgenza a qualcosa del genere.

Rimango della mia idea che,  al di là di un risarcimento americano doveroso seppur tardivo, quel continente ha oggigiorno la necessità di avere la massima attenzione da parte di tutto il mondo , per crescere e svilupparsi. Cosa che, in altre parole, nei prossimi decenni significherà la salvezza della vecchia Europa, semplicemente perché se non saremo in grado di incentivare un processo di stabilizzazione e di progresso nei Paesi africani, sarà l’Africa che verrà da noi.

Rovereto, 15 febbraio 2013

President Usa Mr. Barack Obama

White House, 1600 Pennsylvania Ave

Washington, DC. 20500 – Usa

e p.c. Mr. David Thorne

Ambasciatore Usa

Via Vittorio Veneto, 121

00187 Roma

Caro Presidente Obama,

sono un cittadino italiano, uno dei tanti che in questi giorni ha potuto vedere il film del regista americano Steven Spielberg, “Lincoln”, che affronta il doloroso tema della schiavitù e della sua abolizione nel 1865, in Usa. Un film che mi ha colpito particolarmente, un film esemplare e importante sotto molti punti di vista, non solo cinematografico, ma anche storico, morale e politico.

Ammirevole soprattutto per la visione politica raccontata che mette insieme idealismo e realpolitik, evidenziando due elementi fondamentali: da una parte la statura morale del presidente Lincoln, dall’altra la capacità di guardare al di là delle personali convenienze, assieme al coraggio di saper usare metodi anche impropri pur di raggiungere obiettivi elevati di indubbia natura superiore.

L’impresa di Spielberg, tentata e superata, è stata quella, insomma, di rendere intima e interiore una questione di giustizia e di politica universale, di dare voce ad un’invocazione al recupero della centralità della politica, della sua pratica, anche dei suoi “buoni” compromessi. Per questo motivo, vedendo il film, non ho potuto non pensare come la storia e le esperienze del passato parlino ancora al presente e al futuro. Eppure, dopo tanti anni e tanto progresso, nemmeno oggi, caro Presidente, possiamo purtroppo dirci liberi da forme di schiavitù che in un mondo globalizzato sono ormai a noi molto vicine.

La questione irrisolta dei diritti fondamentali di vita, di dignità umana, di libertà, di democrazia e di pace, in certe nazioni è tuttora presente, mentre nei nostri Paesi, Usa e Italia, la crisi economico-finanziaria riporta all’attenzione dell’opinione pubblica preoccupanti segnali per il futuro per quanto attiene il diritto al lavoro, allo studio, alla casa, all’unione familiare, alla stessa felicità, condizione quest’ultima a cui dovrebbe tendere qualsiasi azione collettiva.

L’oggi, evidentemente, reclama una nuova cultura e una nuova politica se è vero che un modello economico di eterna crescita e consumo è sostanzialmente fallito e che uno dei suoi “misuratori”, il Pil – il Prodotto Interno Lordo (in inglese Gross Domestic Product o Gdp) – così come è stato inteso finora non rende affatto felici. Diceva Robert Kennedy nel 1968: “E’ chiaro che da troppo tempo abbiamo sacrificato al Pil le qualità personali e i valori della comunità. Il Pil non tiene conto della salute dei nostri bambini, della qualità della loro educazione o della felicità dei loro giochi, non misura l’integrità, il coraggio, la saggezza o la conoscenza, la compassione: non tiene conto di quello che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.

Per questi motivi, Presidente Obama, Le chiedo cortesemente due cose: la prima, che come Abraham Lincoln Lei sappia mettere in campo tutti i poteri eccezionali di cui dispone il Presidente degli Stati Uniti d’America, per fissare al primo posto dell’agenda politica sempre e comunque i beni primari dei cittadini e non tanto – per essere franco – gli interessi delle Borse, delle Banche, delle Finanziarie, delle Multinazionali, degli Eserciti. Lei sa bene quanto sia importante l’esempio degli Usa

nel mondo e di conseguenza il Suo personale impegno e risultato. La seconda, invece, riporta al tema iniziale di questa mia comunicazione, e cioè alla schiavitù negli Usa legalizzata dalla Costituzione del 1787, che vide per più di un secolo il sequestro dai Paesi africani e il mantenimento in schiavitù di una quantità enorme di esseri umani fino a raggiungere i 4 milioni nel 1860: un crimine contro l’umanità, non completamente diverso – ammettiamolo – dall’eccidio nazista della Shoah.

Di risarcimenti nei confronti dei neri d’America se n’è parlato molto sin dal 1865 in poi, ma purtroppo quello che è certo fino ad oggi è che l’unico vero indennizzo è stato quello dato all’epoca dallo Stato ai proprietari terrieri in cambio della liberazione dei “propri” schiavi.

Dunque, se è pur vero che il 18 luglio 2009 il Senato degli Stati Uniti d’America ha approvato all’unanimità una risoluzione in cui “riconosce la fondamentale ingiustizia, crudeltà, brutalità e disumanità dello schiavismo e delle leggi Jim Crow (quelle della segregazione razziale) e si scusa con gli afroamericani a nome del popolo degli Stati Uniti per gli sbagli commessi nei loro confronti e nei confronti dei loro antenati”, è anche verosimile che in tal senso difficilmente si potrà rendere operativo un risarcimento diretto in denaro per tutti i neri d’America.

Ciò premesso, mi permetto di proporre a Lei, Signor Presidente, una forma diversa di risarcimento, fattibile e altrettanto efficace dal punto di vista del riconoscimento della dignità umana: aiutare materialmente l’Africa, il continente di antica origine di molti Suoi concittadini, il continente oggigiorno più povero e arretrato della Terra. Aiutarlo, però, non attraverso investimenti o imprese aventi come scopo, ancora una volta, quello di fare profitti solo per se stessi, né tanto meno attraverso organizzazioni non governative lasciate alla buona volontà o al caso.

In questa situazione, infatti, solo un intervento diretto e ufficiale degli Stati Uniti d’America – una specie di “Piano Marshall” per l’Africa – potrebbe essere di contrasto al neo-colonialismo e al sistematico saccheggio dei beni comuni che qui sta accadendo da alcuni anni ad opera di molti Paesi stranieri. Un impoverimento per queste popolazioni, una privazione di libertà annunciata che solo un intervento concreto e disinteressato – come quello di Lincoln ai tempi della schiavitù – potrebbe arrestare.

In questo caso ridare dignità equivarrebbe a riparare, seppur parzialmente e con un notevole ritardo, l’immane tragedia del continente africano causata da una malvagità umana impossibile da perdonare ma possibile da non ripetere. Ci pensi, Presidente, e rifletta anche sul fatto che se non saremo in grado di risolvere situazioni esplosive come questa e come altre in giro per il mondo, l’umanità intera sarà presto in pericolo.

Tanto avevo il desiderio di dirLe, con estrema modestia e sincerità. Buon lavoro Presidente Obama!

Maurizio Panizza

Maurizio Panizza

Maurizio Panizza

Giornalista

SCELTE DI LIBERTA’/2

di Ennio Zucchellini

Il problema è così ampio che è difficile concentrarlo in poche righe. Personalmente faccio mio il pensiero di Corrado Augias che, ospite della trasmissione di Lilli Gruber,  affermò che la sua prima preoccupazione, in presenza di realtà integraliste, era di perdere quella  libertà  cui tanto teneva e che in Occidente ci siamo costruiti in decenni di lotte, e perciò è in questa logica che dobbiamo interloquire con le altre culture: non indietreggiando sulla nostra libertà.

E in quest’ottica  non vedo   il burkini come discorso  a parte ma come  parte del discorso. La donna che indossa il burkini lo fa nella libertà di farlo?  Potrebbe essere non vero e probabilmente  (come Galli della Loggia sul <Corriere>) non lo è perché  questo comportamento è indotto dall’educazione-dottrina alla sottomissione  che le ragazze ricevono già da bambine. Il burkini, il velo, il modo di vestire sono  parte dello stesso discorso. Non è la religione che lo impone perché nel variegato mondo musulmano molte credenti vestono come noi e mettono il bikini tanto per chiarire.

Rimane  però che la libertà femminile nei Paesi islamici in genere molte volte e talmente limitata che continuare a definirla  tale è una forzatura in special modo là dove le bambine sono costrette a sposare in età giovanissima l’uomo che il padre ha scelto per loro. Perciò non si tratta di togliere o limitare la libertà altrui ma, come dicevo sopra,   difendere la  cultura e la libertà acquisite.

Come? In primis con la scuola. La scuola è l’ambiente più importante per crescere i bambini e per la loro integrazione nella società  che, a  differenza dei  genitori, devono sentire  propria. Inoltre  per permettere che questo avvenga non si può prescindere da uno dei punti cardine che è il riconoscimento della religione a prescindere.

Non è possibile che i musulmani siano costretti a pregare in box, garage o locali analoghi – dove gli imam sono liberi di predicare senza nessun controllo –  che nulla hanno a che spartire con la sobrietà dovuta ai luoghi di preghiera.

A Milano e Torino, negli anni dell’esodo dal Sud, furono costruiti i cosiddetti <quartieri-dormitorio> per ospitare i nuovi venuti senza pensare a dotarli di quelle  strutture  – parrocchie con relativi oratori e altri luoghi di aggregazione –  che ne permettessero l’integrazione e  così furono  confinati nell’emarginazione sociale che divenne la linfa per la nascita della criminalità.

Dell’esperienza passata ne dobbiamo fare tesoro per non commettere gli stessi errori. Guai emarginare per non creare interi quartieri cittadini prigionieri della  criminalità e, nel nostro caso, dei vari integralismi. Bruxelles docet.

Non si può, come si è fatto finora e come qualcuno vorrebbe continuare a fare, opporsi alla costruzione delle moschee ricorrendo a quell’orribile equazione che siccome nel mondo musulmano non ci sono chiese e i cristiani sono perseguitati  anche noi, per ritorsione, non vogliamo moschee sul nostro territorio. Il muro contro muro non porta da nessuna parte ed essendo la questione religiosa pregnante rimane passo obbligato.

Le moschee, con imam italiani istruiti in scuole italiane e rispettosi della costituzione che accettano di rispettare le leggi  della Repubblica e che diffondono il loro credo  in conformità di queste,  in sintonia con le nostre chiese,  con finanziamenti controllati  sono idealmente la <stretta di mano> necessaria per la convivenza.

Non è pensabile che famiglie con i loro bambini, come succede ora, non possano adempiere al loro culto in ambienti ed edifici che non siano eleganti e sobri come si addice a quelle realtà nelle quali i fedeli si rivolgono a Dio  e, nel caso, allo stesso Dio dei cristiani e degli ebrei: il Dio di Abramo.

L’abbigliamento e certo  retaggio culturale, per concludere,  si sconfiggono solo con la partecipazione e la condivisione dei  valori. Questo,  ne sono più  che convinto, è uno dei primi passi verso  la convivenza  nella società che verrà: quella multiculturale.

SCELTE DI LIBERTA’

Il “burkini”, ovvero la libertà di scegliere. La polemica di questi giorni sul permettere alle donne islamiche di indossare in pubblico il costume integrale.

di Maurizio Panizza

“Burkini”? Personalmente non vedo come possa essere un problema se, in un bel giorno d’estate, donne islamiche decidono di fare il bagno completamente vestite: libere di farlo se è una loro scelta. Il problema, semmai, sono a mio avviso le molte dichiarazioni, più o meno autorevoli, sentite in proposito nelle scorse settimane.

Una di queste: La linea sottile che divide «obbligo» e «scelta» non può essere stabilita da noi italiani che vogliamo ergerci a giudici senza capire che in questo modo togliamo la libertà altrui.”

Orbene, così di primo acchito il ragionamento parrebbe non fare una grinza. Se non che, a voler assumere in assoluto tale principio ci capita di imbatterci in ben altre questioni, molto più gravi e importanti. Facciamo qualche esempio.

Recentemente il fondatore dell’Unione comunità islamiche d’Italia, tale Hamza Roberto Piccardo, ha chiesto pubblicamente che venga riconosciuta la legittimità della poligamia anche in Italia. Sappiamo perfettamente che ciò è in contrasto con la nostra legislazione, ma perché – potremmo chiederci allo stesso modo – negare questo diritto in un Paese laico e democratico come il nostro, se ciò deriva da una libera scelta?

Rimanendo sempre in tema, un altro esempio: quello dei matrimoni combinati fra uomini e bambine che oggi pare tornato d’attualità al seguito dei movimenti migratori. Retaggio irrilevante di antiche usanze? Scelte marginali? Non sembra, essendo il fenomeno molto diffuso anche in Europa.

Si pensi che è di questi giorni  la decisione della Corte costituzionale della Turchia di legalizzare gli atti sessuali con “soggetti consenzienti” fino ai 12 di età. Pare – anche se non è stato ammesso esplicitamente – che ciò sia dovuto alla possibilità di abbassare ulteriormente l’età dei matrimoni combinati fra adulti e minori. Scelte di uno Stato, osserviamo, che come ben si sa è in attesa di essere ammesso ad entrare nella Comunità Europea.

Spostando gli occhi ancora più in là, mai sentito parlare di “infibulazione”? Ovvio che sì, ma cosa può c’entrare in questa riflessione una questione così scottante e dolorosa? C’entra perché, anche in questo caso, sullo sfondo ci sono delle scelte, discutibili, ma pur sempre “scelte”.

Molto spesso, infatti, tali mutilazioni sono decisioni consapevoli che le donne prendono per se stesse e per le proprie figlie. Decisioni, appunto, che estremizzando il principio, sono scelte di libertà. Infatti, qualcuno, pur non condividendo, potrà sempre dire che non c’è da meravigliarsi perché è la loro cultura, è il prodotto della loro tradizione.

Di fronte a queste (e ad altre situazioni), potremmo allora chiederci se vale ancora l’inopportunità – come diceva qualcuno – di ergerci a giudici di scelte altrui rischiando in tal modo di limitare a qualcuno la propria libertà personale. Problema complesso, è vero, ma non risolvibile di certo né attraverso incondizionate e acritiche visioni multi-culturaliste, né – all’opposto – con una criminalizzazione generalizzata di intere popolazioni.

Comunque, se è pur vero che l’Italia dispone di un impianto legislativo adeguato a combattere simili azioni, è anche vero che solo istruzione e cultura  sono in grado di ridimensionare con il tempo usanze che per noi sono da considerarsi “barbare”, ma che invece per chi le pratica sono scelte dettate da proprie tradizioni secolari condivise.

Per cui se vogliamo che queste scelte discutibili di “libertà” vengano sempre più circoscritte, è giusto sapere che la responsabilità di alimentare o meno visioni del genere appartiene a tutti noi.

Perché se un domani, per cause diverse, ci si dovesse trovare ad esempio di fronte ad ingenti strati di popolazione straniera concentrata in sobborghi urbani, poco integrata, senza lavoro e priva di mezzi di sussistenza, è evidente che tali problemi verrebbero a galla e amplificati quantomeno come strumenti di affermazione e di riconoscimento culturale proprio per porre volutamente dei “distinguo” fra etnie diverse. L’esatto opposto di quell’integrazione di cui oggi si parla tanto.

Problemi, dunque, viene da pensare, talmente gravi e complessi che al confronto la questione del cosiddetto “burkini” pare assumere oggi il valore di un’insignificante sciocchezza.

Maurizio Panizza

Maurizio Panizza

Maurizio Panizza

©Cronista della Storia

maurizio@panizza.tn

Tra doi che bèga el terz el gòde

bretautun

di Cornelio Galas (23 agosto 2016)

Osc’ia, no m’è mai piasù quei casini che va a pèzi e tòchi sui giornai. Come Biutiful en televisiom, per capirne. Che ancòi um el dìs na roba, domàm n’alter el ghe risponde, e po’ la tiretèla “madòna te me stómeghi” la và envanti fim quando i se stufa tuti de stàrghe drìo. Però sicóme su sta benedéta “Lopio-Busa” podrìa dal bòm scriver en libro de quei gròssi, laséme valà dir la mia, per l’ultima volta ‘l giuro.

Da quel che ho let sui giornai e nel dàmela-tòmela sui giornài en sti ultimi dì, vegnirìa fòra – questo el dìs struca struca l’asesór Gilmozi – che sem envanti co le carte e se tàca via a laoràr co le ruspe entro st’am. E che l’è ora de … finiamola ensoma de lamentarse se no se sa quel che se dìs. Su Fesbuch, l’Ezio Viglietti, n’esperto de treni, consiglier de la comunità de Val, en tecnico che sà el fato suo, el scrive:

“Il progetto preliminare sottoposto a consultazione preliminare –  già conclusa-  è stato spacchettato in cinque Unità Funzionali:

UF1 ampliamento via S.Isidoro

UF2 e UF3 galleria e viabilità imbocchi

UF4 ampliamento Via Sabbioni, Via Aldo Moro

UF5 bonifica discarica Maza

L’unico progetto depositato presso il servizio valutazione ambientale e’ UF1. Esso come UF4 e UF5 dovrà essere sottoposto alla procedura di assoggettabilità a procedura di VIA; cioè si dovrà decidere se dovrà essere sottoposta a VIA. In tal caso il gioco dell’oca ricomincia e si dovranno rispettare i tempi della procedura di VIA ( 60 gg per produrre osservazioni).

Mentre le UF 2 e 3 dovranno essere obbligatoriamente sottoposte a procedura di VIA. Fatte queste precisazioni ritengo veramente azzardato dichiarare che entro l’anno i progetti saranno cantierabili”.

El Flavio Biondo, quel che ha envià via la discussiom (no l’alter dì, prima ancora che se nés a votar nel 2013 i politizi dela Provincia) el se ciàpa anca del malmostós oltre che del disinformà. Entant anca ieri, anca domìnica, anca sàbo passà, anca stamatina (a parte che i s’è méssi a netàr i guard rèil propri vers mezdì … sula circonvalaziom de Arco) l’è dura nàr da chì a Roveredo en mèn de tre quarti d’ora (per no dir de pù).

Oh, gh’è anca quei che dìs che pù larghe e comode fèm ste stràe, pù machine, moto e batarìa varia ariverà zo en Busa: ‘n dó i metente tùti? Se narà – i dìs ancora – come le frecie (che no te parerà gnanca vera) tra Mori e Nàch. Tra Nach e Lùfam. Po’ se tornerà a nar a pass de om, come i lumàzi tra Riva e Arco o sula San Giorgio, dove ariverà anca tuti i camion.

Altri ancora i dìs che l’idea del treno – qualchedum gavrà pur dit qualcos a quei de la Rai per dar quela notizia no? – la risolverà tut. Lasàndo le machine en d’en gran parchegiom tra Mori e Roveredo per dir. Dovrìa esser però pù che en treno na metropolitana che va e vèi ogni vinti minuti. E chi me vèi en ment quela volta che – machina rota – avevo ciapà la coriera per nar da Vignole a Roveredo. Se me fussa envià a pè sù per la Maza sarìa arivà prima, me digo …

Sarà, ma gò l’impressiom, pu che devento vecio, sbavós e ‘ntréch, de no capir pu gnent de sto benedeto progièto che tanti i dìs – encazài – de spetàr da passa trent’ani. Qualchedum, secondo mi, e no sol dei politizi, el dovrìa forsi ricordarse che su sta Lopio-Busa (come su l’ospedal, le fére, le scòle alte, arcoporti, e bàle varie) l’è propri da trent’ani che no riussìm a méterne d’acordi en sta Busa.

Ensòma, se i nonesi e i solandri i ha ciapà de pù forse l’è perché quando gh’è da ciapàr … i ciàpa e i tase. Che ‘entant i vegna – i dirà così – sti soldi en méz ai pomeri. E che i altri i se ciàva. Te pòi enmaginar i volerìa anca en teatro, en cinema, en palazzèt de lo sport … da ani e ani, oltra a la stràa. E anca su quei progièti i sèita a far come cagn e gat.

S.Pietro

SanPietro1950

… rammarico e delusione….questi sono i sentimenti  prevalenti che ondeggiano ubriachi in un anima stordita … misure, altezze, larghezze, falde … metri cubi … cemento in un area sensibile del nostro amato centro storico di Arco!

S.Pietro, un gioiellino entro il quale è scorsa parte della storia del nostro vissuto arcense, finito! Non ci sarà più! Quanto prima le ruspe mangia soldi accenderanno i motori e tutto scomparirà, in una grigia nuvola di polvere.

… e poi d’incanto sorgeranno, così per miracolo, tre nuovi condomini di cinque piani, non vi preoccupate, saranno alti solo 16/17 metri…sovrasteranno tutto il costruito intorno, il verde? Non vi preoccupate sarete serviti da un edera pendula che si svilupperà dall’alto verso il basso? Sopra una rete metallica a coprire balconi e facciate!

C’erano sì le indicazioni, nel piano regolatore, di arretrare, c’era il riferimento alla città di cura, c’erano alberature e un edificio immerso nel verde. Tutto disatteso ed al cittadino non resterà altro che la forza di mugugnare, perché solo questo ci resta!

Ma, nel limite del possibile faremo sentire quel mugugno, preciso e conciso, su particolari ufficiali ben definiti che verranno posti in evidenza ad Enti ed uffici preposti.

Grazie al cielo siamo in democrazia, certamente, ed è logico, vi sarà fra la gente chi se ne compiacerà, chi proprio non  farà caso a tutte le autorizzazioni a procedere ad edificare che vengono sparse a pioggia sulla nostra martoriata Busa, ne hanno pienamente diritto, gli uni di esser compiaciuti, gli altri di essere … menefreghisti, ma nessuno ci tolga il diritto di essere critici e contrari a tutti quei….mulini a vento che macinando la nostra terra la trasformano in danaroso cemento!

Ma c’è una commissione per il paesaggio che si senta di fare il proprio dovere o siamo tutti abbruttiti?

Ora chiediamo a tutte le amministrazioni se sanno, e il popolo lo sa, che in questi ultimi tempi le varie Società immobiliari si stanno accaparrando porzioni enormi di pregiato terreno agricolo fuori  dai perimetri dagli attuali retini edificabili, vi sarà un motivo, o credete che le suddette Società si vogliano trasformare in novelli produttori…de pomi e Teròldech!

Certo, questa è l’economia che gira attorno al cemento…fermatevi cari Amministratori della Busa, solo un momento, per prendere visione di quelle belle gigantografie di “nonno” Francesco Emanuelli poste lungo il percorso del Carnevale di Arco, ove si raffigura l’ampio respiro di Valsarca … d’un tempo che fu … così recitava una poesia di Beppino Zoppirolli: “…. o bèla Val de vigne e olivi, tuta splendor de colori vivi …” ora grazie a voi e a chi vi ha preceduto, solo cemento, cemento, cemento! Anonime costruzioni dove c’erano eleganti pezzi di storia.

Lo sappiamo che per S. Pietro possiamo far poco, ma quel poco, documenti alla mano, lo faremo e con convinzione perché … i bòi no i è fòr tuti da la stala!

Per difendere quella Arco che piace ai cittadini ma piace anche agli amministratori mostrare sui calendari, siamo dovuti diventare cittadini attivi….l’abbiamo fatto con “l’ Argentina”; con quella specie di condominio sorto alle “Coline” sotto il “Colodri”; con L’Hotel Arco in Variante 14; con quanto di più increscioso accaduto e accade sulla Rilke Promenade … ci saremo per la variante 15 in attesa della 16 … 17 ecc. almeno per denunciare … e far sonàr le campane a morto.

Nel suo intimo sentire, il nostro poeta Beppino Zoppirolli, cantava la sua gioia arcense ricca di fruscii di vento fra gli olivi, di azzurri e dondolanti arcobaleni argentati, di memorie castellane…ora solo un grido da quell’anima sensibile e dalla nostra gola strozzata: “Vergogna! Vergogna! Vergogna!”

Per il Comitato per la Salvaguardia dell’Olivaia

Gilberto Galvagni

 Arco, 3 febbraio 2016.

Foto de ‘na volta e … de domam? (archivio Televignole)

SIAMO TUTTI AUTONOMI, OGNUNO PER CONTO PROPRIO

di Cornelio Galas

Da tempo non scrivo, nel Web, di politica. Forse per una sorta di opportuna disintossicazione dopo decenni di articoli sul giornale. Le recenti vicende trentine, peraltro proprio dei partiti che dovrebbero – come coalizione di maggioranza o casualmente lì dopo le elezioni ?  – pensare più ai problemi della provincia piuttosto che alle lore beghe interne, mi stanno veramente disgustando.

Cosa succede nel Patt (Partito autonomista trentino tirolese) dopo il cosiddetto caso Pedergnana (eletto presidente e poi costretto a dimettersi per la pubblicazione di foto che lo ritraggono mentre bacia la foto del duce e fa il saluto romano)?Cosa succede nel Pd – dopo che, per la segreteria, sono venute meno le candidature di Olivi (quello che “perso le primarie con Ugo Rossi”) e dei … giovani?

Cosa succede nell’Upt (Unione … sì, proprio “Unione” per il Trentino), dopo il divorzio tra Mellarini e Dellai? Mi pare che in tutti questi partiti sia in atto – e non spacciamolo, per carità, per l’inevitabile “scontro generazionale” – una sorta di resa dei conti. Laddove – faccio solo un esempio – troviamo ancora l’ex assessora del Pd Borgono Re pronta a ritrovare dignità nel partito dopo la (frettolosa?) esautorazione.

Laddove c’è Gilmozzi (sempre nel Pd) – e non mi pare un uomo “nuovo” – sulla rampa di lancio per la segreteria. Laddove il Patt non sa ancora come raccapezzarsi dopo il casino post congresso. Laddove, ancora, Mellarini (che ha modificato lo statuto per questo) dovrà dimostrare di essere il “dopo Dellai”.

Si dirà: questa è la politica 2.0, anche in Trentino, bellezza. Beh, non ci sto. Intanto vi do due link: sui programmi di sviluppo, approvati, da questa coalizione per il 2018. Non sta a me verificare se e, in caso contrario perché, questi “desiderata” restano desiderati. Ma forse sarebbe il caso di pensare più a questi. Anche in quei congressi dove tanti tengono i pugni in tasca e i coltelli nascosti dietro la schiena. O no?

PROMESSE 1

PROMESSE 2

LA FRANCY 

di Enrico Tavernini

L’era tut el dì che sbisegavo con en me amico per aiutarlo a svoidar la cantina da tute le baterie che’l gavèva dentro. Po’ pensavo de eser sol mi en casinista, ma ‘cramento … anca lu el pol dir la sua!

Tut colpa de quel me “se te serve ‘na man…” che anca masa spes digo.

Ieri infatti … trak! El falòpa el l’ha dit e alora ancoi ho laorà tut el dì e som arivà strac a casa, trovando i misteri che volevo far e che i restava da far, perchè per na banalissima legge de fisica (ciamada “el principio del can da l’ua” e che la recita “en corpo pocià ‘ntel slambrot, el resta uguale se no tel rimeti a posto”) le robe non le se fa da sole, ma ghe vol sempre qualcuni che ‘l le fa.

L’è alora che me som ripromesso che doman avria fat tut, senza aiutar nesuni.

Ciapà en migol de fià, som nà en t’el cesso a farme na doccia, vist che ghevo ados en po’ de chili en pù, tra polver e sporc.

Vago ‘ntel let per polsarme meio e ciapo el compiuter e l’empizo, anca perchè da smorzà, i dis che se pol far ben poch.

Me colego al me acaunt de posta, per vedèr chi è che m’ha scrit e trovo sempre tante nove meil en arivo. Sbisegando en pel, per veder de canzelar quele che i ghe ciama spam (che l’è en modo rafinà e da gentelmen per ciamar la posta indesiderata. Quela cioè che ne rompe i ovi), me trovo na meil con oggetto “dolce francy ti ha contattato”

Me vei da dir “dolce francy”? Ma chi elo? Alor vardo el mittente, ma l’è en nome che no conoso.

Verzo la meil e scopro che ‘sta chi la m’avria contatà en t’en sito che non so gnanca mi ‘sa l’è.

Clico per lezer ‘sa la m’ha scrit, perchè lezo sol l’inizio del messaggio che la m’avria scrit.

Se daverze na pagina che me dis de clicar per lezer. Clicco, ma gnent …

Cramento … bisogna registrarse.

Me vei da rider, ma me digo “dai che ne fem ‘sta risada” e me registro, sicur che tanto l’è come tanti altri siti del pit, fat per i poli.

Finì de registrarme, riclico per lezer ‘sto presunto messaggio, anca perchè penso che po’ ‘sta Francy la podria anca offenderse o restarghe mal, se no ‘l lezo.

Zio canederlo … ades me se verze n’altra finestra che me dis che per lezer devo pagar.

Ma come … de solit i te fa lezer e po’ i te dis che te g’hai da pagar per risponder.

Che i se sia fati ancor pù furbi?

Morale dela favola, non se leze gnent, se non l’inizio.

Poreta ‘sta dolce francy: la se meterà a pianzer, vist che non ho podù lezer el so messagio scrit al me profilo che no gavevo.

Volevo giust farghe i complimenti per eserghe riusida. Me digo che gnanca coperfild el saria ‘sta bom de farlo. Ma la Francy si. Ela la gh’era envegnua a farlo. L’eva trovà el fluido magico per farlo.

Forse la voleva sol dirme che non bisogna mai rubar rabarbaro en barba a ‘n barbaro. Ma no podrò mai saverlo e me dispias. Soratùt per la Francy.

Start … arresta sistema … Si …

Se smorza el compiuter e mi me meto a paiom, girandome da l’altra banda, zercando de dormir e pensando ala Francy che de sicur la pianzerà e la se sentirà offesa perchè no ho let el so messagio.

QUANDO I BUS I TE TAIA LA STRAA …

Questa l’è la lettera che ho mandà a trentino trasporti. Secondo ti onte fat bem? ‘cramento … gli autisti di mezzi pesanti dovrebbero essere maggiormente attenti e prudenti.

Buongiorno,

mi scuso per il disturbo recatoVi, ma volevo segnalarvi un episodio sgradevole, in principio avevo deciso di soprassedere,  ma poi ho preferito comunque segnalarvelo.

Vengo al dunque.

Ogni tanto salgo a Trento dalla mia compagna ed approfitto per andare a prendere e portare i nostri figli a scuola.

In data 13/03/2015 mi accingo ad uscire da via degli Olmi ed imbocco la rotonda. Da Trento centro, stava provenendo il bus e noncurante della rotonda, si immetteva, tagliandomi la strada senza rallentare, se non dopo essere entrato e per mandarmi a quel paese.

Una scena simile mi è capitata oggi in altra locazione. Sono conscio di avere molti difetti (essendo un essere umano) come tutti, ma sulla strada sono anche troppo pignolo. Ho 44 anni e guido dall’età di 18 e non ho mai preso una multa per guida spericolata, velocità od infrazioni varie. Solo una per non aver controllato che il biglietto del parcheggio fosse ben visibile, ma c’era.

Vi chiedo gentilmente di dare maggiore sensibilità a chi guida un mezzo con varie persone a bordo, per evitare sinistri sciocchi come questo. Le rotonde hanno (come in questo caso) un apposito cartello che ha un perché e la precedenza non la dà il possesso di un mezzo di dimensioni maggiori rispetto agli altri.

Per correttezza ho segnalato a voi, invece di segnalare ai giornali. Spero di non dovervi ricorrere e non dover chiamare le forze dell’ordine o altro. Colgo l’occasione per porgerVi i miei saluti, scusandomi nuovamente per il disturbo.

ENRICO TAVERNINI

Prada risponde a Mosaner

sulla Miralago

Il filosofo tedesco Schopenhauer nel suo libro postumo “L’arte di ottenere ragione”, elenca 38 modi e metodi per fare bella figura in un dibattito, attraverso la retorica e le fallacie, a prescindere dalla verità o falsità di quanto si sostiene. Uno dei modi è quello di squalificare l’opponente, deviando il fuoco dell’attenzione ed utilizzando illazioni e mezze verità.
Il candidato sindaco per il M5S Flavio Prada pensa di non entrare in questo gioco. Pensa di non voler mai squalificare l’attuale sindaco Mosaner, anche perché ritiene che Mosaner sia un campione, imbattibile in termini di retorica e fallacie logiche.
Uno degli argomenti del Sindaco utilizzato per gettare discredito sul candidato 5 stelle, è quello della poca conoscenza riguardo ai problemi della città, in particolar modo all’iter Miralago. Sono affermazioni insostenibili, visto che Mosaner non ha strumenti di misurazione della conoscenza del candidato Prada. Certo è che tante azioni dell’attuale amministrazione risultano di fatto sconosciute a gran parte della popolazione e Prada non è altro che un semplice cittadino di Riva del Garda che, negli ultimi anni, subisce le scelte imposte dall’alto senza aver un canale effettivo di espressione di volontà. Quello che arriva ai semplici cittadini sono perlopiù notizie di decisioni prese ed irreversibili.
In ogni caso, Prada si trova d’accordo su un punto e sottolinea che è di fondamentale importanza fare una retrospettiva storica degli ultimi 15 anni per capire dove le ultime amministrazioni ci hanno portato. Questo può aiutarci a capire, per deduzione logica, dove ci potrebbe condurre un’altra amministrazione Mosaner. Negli ultimi 15 anni sono stati costruiti migliaia di metri cubici di nuove costruzioni, una colata di cemento infinita; è stato costruito il parcheggio “Monte horror” (Monte Oro); la piazza delle terme romane; l’ecomostro della Cartiera del Garda; opere inutili e sprechi. Come se non bastasse, la corte dei conti segnala i bilanci in rosso delle partecipate; la desertificazione culturale dilaga; aumenta il disagio sociale; i giovani non hanno più ispirazione o motivazione e chi più ne ha più ne metta.
Tornando alla Miralago: l’irritabile sindaco uscente si attacca sugli specchi cercando di nascondere il gigantesco flop di quella che lui chiama partecipazione. 30 contributi su 50000 abitanti della Busa sono indubbiamente un po’ pochini anche alla luce delle varie possibilità di accesso. È evidente che il problema è un altro e cioè la scarsità di contenuti dell’iniziativa e l’esclusione di qualsiasi reale possibilità di intervento per i comuni cittadini. Il sindaco uscente appioppa ad altri presunte brutte figure senza rendersi conto che l’unica enorme brutta figura è proprio la sua e quella di tutte le precedenti amministrazioni di centro sinistra. Sulla Miralago il loro unico risultato è uno zero assoluto ed i risultati si vedono chiaramente nello stato di abbandono del parco. Per aumentare la fruibilità del compendio basterebbe installare dei semplici ponticelli sul Varone per accedere dal parco dell’Ora mentre ad est basterebbe aprire un paio di ingressi all’altezza del parcheggio del campo sportivo.
Inoltre, Prada considera la cosiddetta “consultazione” un’operazione inutile in quanto è possibile votare solo alcune frasi generiche e quasi prive di utilità pratica. La procedura è poi “teleguidata” perché gli argomenti sono rigidi e prefissati ed il cittadino non può proporre nuove idee e soluzioni alternative strutturate, né può esprimere la sua volontà con un voto chiaro. Per Prada è necessario non fare confusione tra “partecipazione” e “consultazione”. Con la partecipazione i cittadini hanno un ruolo attivo sia nel proporre ma anche e soprattutto nel decidere. Con la semplice consultazione i cittadini sono solo ascoltati ma alla fine le decisioni vengono prese da altri. Magari al chiuso dei salotti buoni. Il M5S chiede la partecipazione della cittadinanza in tutte le decisioni importanti e che le scelte sul destino della Miralago vengano prese con i cittadini durante tutto il percorso decisionale e non solo alla fine mettendo la popolazione di fronte al fatto compiuto.
Mosaner ha proprio ragione quando dice “il Comune non ha gestito nulla” infatti le scelte sono state delegate a entità esterne che hanno fatto quello che volevano come ad esempio nel concorso di idee della Lido con il risultato che il bando era in più punti in evidente contraddizione con la delibera del consiglio comunale. E su questo punto specifico l’irritabile Mosaner non ha dato risposta ai cittadini. Dovrebbe forse pensare un po’ di più alla Lido che evidentemente fa quello che gli pare anche se è una controllata del Comune. Chi controlla l’operato di questa società che ha pure un bilancio in perdita? Saranno sempre i cittadini a pagare questi debiti?
Mosaner si mostra preoccupato perché secondo lui la partecipazione è di “difficilissima realizzazione”. In realtà la partecipazione è un problema solo per chi non è abituato a praticarla tanto è vero che è adottata in tutti gli stati più avanzati, liberi e democratici. L’Italia è l’unico paese industrializzato dell’Europa a non adottare il referendum propositivo come forma di consultazione. Il M5S chiede sempre ai propri iscritti di esprimersi on-line sulle decisioni più importanti. Non ci risulta che il Pd o qualsiasi altro partito faccia altrettanto.
Comunque sia, al di là di ogni tentativo di deviare l’attenzione del dibattito sulla Fascia Lago, il candidato Prada fa due domande a Mosaner: esistono elementi oggettivi per misurare che la maggioranza della popolazione di Riva è consapevole di quanto si pretenda costruire nella Fascia Lago? Questa maggioranza di popolazione è favorevole alla distruzione del verde a discapito di nuove costruzioni?
Come ultima nota, Prada ricorda che lui è un portavoce di un gruppo che non segue la logica del dibattito politico attuale. Proponiamo, appunto, un cambiamento culturale nel fare politica e nel percepire la realtà che ci circonda. In questo contesto, i nostri tempi di risposta non sono affatto dimostrazione di inefficienza. La nostra logica non è quella della retorica vuota, della fretta o del confronto sterile. Parliamo di temi e di idee, di proposte e di progetti e per fare questo non serve la fretta, tutt’altro. Inoltre, non abbiamo un ufficio stampa né tantomeno siamo politici di professione che hanno sempre la risposta pronta a tutto ma nessuna soluzione reale ai problemi veri.

Flavio Prada
Candidato sindaco M5S Riva del Garda 2015

Trasmesso alla stampa il 09 marzo 2015

 

MoVimento 5 Stelle: Miralago, scelgano i cittadini

In questi giorni è stato presentato un nuovo progetto riguardo il Compendio Miralago. Il neo Candidato Sindaco del MoVimento 5 Stelle, Flavio Prada, ritendendo la questione di fondamentale importanza esprire una serie di considerazioni.

Innanzitutto sottolinea la mancata attenzione rivolta ai cittadini che invece sono i diretti interessati al destino dello stesso compendio. Con la delibera del Consiglio Comunale nr. 192/2013 è stata approvata, all’unanimità, una mozione che prevedeva espressamente la demolizione dell’ex Colonia e degli altri edifici fatiscenti. Tra l’altro era prevista l’apertura del parco alla cittadinanza e la presentazione di un progetto di valorizzazione ambientale “senza puntare su investimenti immobiliari redditizi e quindi necessariamente onerosi”.
Successivamente, nonostante il parere contrario del comune, la società Lido di Riva del Garda SRL, partecipata del Comune, ha presentato un costoso concorso d’idee. Il bando predisposto risultava in contrasto con quanto stabilito con la suddetta delibera comunale determinando, quindi, uno spreco di denaro pubblico ed un possibile danno erariale.

Il M5S ha partecipato al concorso d’idee presentando una proposta economicamente sostenibile allo scopo di evidenziare il contrasto tra il bando e la delibera, rispettandocomunque i principi fondamentali quali la valorizzazione ambientale del parco, la tutela del paesaggio e la salvaguardia dell’ultimo polmone verde di Riva del Garda.

Prada ritiene che questa sia una questione che va oltre l’aspetto tecnico, in quanto si deve recuperare il senso politico delle scelte dell’amministrazione. Chiede, quindi, che venga promossa una consultazione pubblica in cui i cittadini possano presentare, discutere e votare proposte di valorizzazione del Compendio Miralago.

Come previsto dal Programma Elettorale del M5S, al termine della consultazione verrà fatta una sintesi delle proposte e quindi le migliori saranno sottoposte a giudizio dei cittadini attraverso referendum consultivo che sarà istituito con apposita modifica dello Statuto Comunale. Maggiori informazioni verranno fornite sulla pagina Facebook “Alto Garda e Ledro 5 Stelle”.

Flavio Prada
Candidato Sindaco M5S per Riva del Garda

Trasmesso alla stampa il 21 febbraio 2015

DON GUETTI E L’IMPEGNO POLITICO

Giornale “Trentino” – 25 gennaio 2015

Riprendo un interessante contributo di Luciano Imperadori apparso in prima pagina, dal titolo Cooperazione, un legame a filo doppio”.

Nel condividere lo spirito con il quale lo studioso ricorda il pensiero autonomista di don Lorenzo Guetti, non posso, tuttavia, non rimanere stupito per una sua affermazione, quando parla di Guetti, come di un politico molto attivo. Imperadori, infatti, in premessa al suo articolo, afferma testualmente a riguardo di don Guetti: “Nella sua attività politica, sia alla Dieta di Innsbruck, sia al Parlamento di Vienna, dove era deputato, condusse un’instancabile lotta per l’Autonomia del Trentino”.

Orbene, non volendo togliere nulla a quello che è sempre stato considerato il “padre” del movimento cooperativo del Tirolo di parte italiana, da modesto cultore di quel periodo mi permetto di dissentire da quanto sostiene Imperadori. Lo faccio attingendo ad un altrettanto autorevole studioso della Cooperazione trentina, qual è Marcello Farina, citando alcuni passi di un suo pregevole volume che delinea la figura e l’impegno di don Guetti, intitolato: “E per un uomo la terra”.

A riguardo delle elezioni alla Dieta di Innsbruck (il consiglio Regionale del Tirolo), Farina,  a pag. 178, scrive: “La mancata partecipazione al mandato dietale (del 1891, n.d.r.) di numerosi deputati trentini provocò nuove elezioni il 22 settembre 1892 e poi ancora il 10 luglio 1893, il 4 novembre 1885, il 9 novembre 1896 e ancora il 5 novembre 1897. Guetti, sempre rieletto non andò mai alla Dieta di Innsbruck, e con lui gli altri deputati astensionisti.”

In merito, invece, al presunto impegno di Guetti al Parlamento di Vienna (secondo Imperadori), scrive ancora Marcello Farina a pag. 64: (…) “E si può qui ricordare che l’unico intervento che don Guetti fece al parlamento di Vienna nel giugno del 1897, come deputato eletto per la quinta curia, riguardò proprio la bachicoltura e la conseguente industria serica.”

Aggiungo, infine, un’altra considerazione di Farina, utile ad inquadrare la questione. A pag. 180 lo studioso osserva: “La tensione politica in qualche modo era diventata meno “urgente” (rispetto all’impegno cooperativo, n.d.r.), anche perché l’astensionismo di cui don Guetti era uno dei massimi esponenti, portava con sé anche un effetto secondario non trascurabile: quello di smorzare l’entusiasmo e la partecipazione della gente alle elezioni, le cui scadenze anche negli anni successivi furono segnate dalla stanchezza e dall’assenteismo.”

Alla luce di ciò, è evidente che l’azione di don Lorenzo Guetti in favore dell’Autonomia trentina fu, per scelta, ben diversa rispetto a quella di coloro che nei medesimi anni decisero di non rifugiarsi in uno sterile Aventino, ma di continuare dalle aule parlamentari un impegno per l’Autonomia trentina in parte già acquisita, in parte ancora da conquistare.

Dopo pochi anni dalla morte prematura di Guetti, avvenuta nel 1898, sarebbe comunque arrivata la Prima Guerra Mondiale a spazzare via qualsiasi cosa, a stravolgere ogni impegno e ogni speranza.

 Maurizio Panizza – Volano

Lascia un commento