CENSURAMNESIA

di Cornelio Galas

censura s. f. [dal lat. censura «ufficio di censore; giudizio, esame»]. – 1. Grado e dignità di censore (nella Roma antica), e tempo che durava la carica. 2. a. Esame, da parte dell’autorità pubblica (c. politica) o dell’autorità ecclesiastica (c. ecclesiastica), degli scritti o giornali da stamparsi, dei manifesti o avvisi da affiggere in pubblico, delle opere teatrali o pellicole da rappresentare e sim., che ha lo scopo di permetterne o vietarne la pubblicazione, l’affissione, la rappresentazione, ecc., secondo che rispondano o no alle leggi o ad altre prescrizioni. Con sign. concr., l’ufficio stesso che è addetto all’esame. b. Controllo che in periodo di guerra (e, in qualche nazione o in determinate contingenze, anche in tempo di pace) l’autorità politica e militare esercita sulla corrispondenza proveniente dall’estero o da zone militari, o ivi diretta, e anche sulla corrispondenza fra privati in genere, per impedire lo spionaggio o la diffusione di notizie militari o depressive del morale delle truppe e della popolazione civile, quando non sia addirittura rivolto (come avviene in paesi a regime totalitario) a reprimere la libera espressione e circolazione delle idee. 3. a. Biasimo, riprensione severa della condotta o delle azioni altrui, o delle opere dell’ingegno: incorrere nelle c. dei malevoli; non temo le vostre censure. b. Nel diritto canonico, c. teologica o dottrinale, giudizio con cui la Chiesa qualifica una dottrina come eretica o comunque erronea nella fede; c. ecclesiastica, pena canonica (scomunica, interdetto, sospensione) con la quale un «suddito della Chiesa», cioè un battezzato, pervicace nel delitto, viene privato dei beni spirituali (i sacramenti, la messa, la sepoltura ecclesiastica, l’esercizio degli ordini sacri). c. Nel rapporto di pubblico impiego, dichiarazione di biasimo scritta e motivata, come provvedimento disciplinare inflitto all’impiegato dal capo dell’ufficio per lievi trasgressioni. d. C. parlamentare, sanzione disciplinare inflitta, su proposta del presidente, al deputato o al senatore che abbia turbato l’ordine della seduta (comporta l’interdizione di entrare nell’aula per un determinato periodo di tempo). 4. In psicanalisi, c. psichica, la funzione selettiva del Super-io che agisce sopprimendo o deformando elementi inaccettabili dell’inconscio, per impedire a questi di affiorare alla soglia della coscienza; tale censura si può attuare anche nei sogni (c. onirica), facendo sì che i contenuti manifesti del sogno appaiano incompleti, trasferiti o tradotti sotto forma simbolica.

E sono qui. Con quello che penso. Con quello che mi vien da dire, da scrivere, da buttar fuori. Ma proprio quando il labiale è pronto per definire l’espirazione e quindi parlare, proprio quando le mie dita sono sopra i tasti del computer, c’è qualcosa che mi ferma. Incertezza lessicale? Problemi a rinvenire un predicato verbale tra soggetto e oggetto? Consecutio temporum vittima di amnesie liceali? No, è proprio nel mio di dentro che si è inceppato qualcosa. Vorrei dire, esprimere, quasi espettorare. Vorrei mettere nero su bianco, magari anche in grassetto quello che mi sembra più importante. Eppure c’è qualcosa di più della sindrome da pagina (o schermo) bianca, (bianco), davanti ai miei occhi. Ho improvvisamente paura del giudizio altrui. Non del politicamente corretto (sono sempre stato scorretto su questo, fuori dal coro come s’usa dire), non della cosiddetta cancel culture (che vuol dire? Basta una gomma per cancellare chi siamo stati, chi siamo, chi saremo fino a prova contraria?) e nemmeno importa (a me) di entrare in una sorta di area privilegiata. Che sia politica, o movimento filosofico post moderno o “contro” di rimpallo.

Sono qui. Come sono stato, come ero fino a pochi mesi fa, come vorrei continuare ad essere. Libero di pensare. Ebbene sì, anarchico. Se non vivi come pensi, pensi a come vivi. Questo, sempre aspettando non solo Godot ma almeno qualcuno che mi spieghi (e bene) perché non potrei dire pane al pane e vino al vino. O magari (per gentile concessione, obtorto collo) usare neologismi inglesi per evitare scontri con modi di dire assimilati negli anni, depotenziati col tempo rispetto ai significati originari, peggiorati più dalla polvere mediatica che da quella da sparo (inesistente?) di cannoni popolari.

Ah, come vorrei che scorreggia fosse uguale al dantesco “che del cul fece trombetta”. E come Monna Lisa avesse nel prenome una “n” veneta in meno. Ma arriverà l’intelligenza artificiale, probabilmente, a ratificare le nuove norme. E a renderle praticabili con qualcosa di più concreto delle cosiddette norme d’attuazione. Il robot ti risponderà a tono. Non ti manderà a cagare ma dirà: “

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