di Cornelio Galas
Era un innesto mentale. Un sogno artificiale. Colori e calori a comando. Non era di plastica la mia mano. Scivolava sulla superficie di quel masso, appiattito dai marosi, con la sicurezza, al tatto, di non incontrare asperitĂ . NĂ© schegge di tempo.
Putride alghe. Lattine arrugginite.
“Sono venuto qui per arrivare proprio in questo punto. E toccare proprio questo sasso”.
Non era passato molto tempo da quel pomeriggio arrosto. Ah, certo, era diverso Monterosso d’estate.
“Cos’hai sui piedi? Sembra catrame…”
-E anche fosse?
Un’incredibile grandinata aveva messo a dura prova la fragile copertura di un chiosco.
L’acqua misurava la propria crescita ogni minuto. L’unità di misura era il bordo di un marciapiede.
“Senti freddo?”
-Un po’…
La sacca era fradicia. Nessuno dei due aveva voglia di spostarla dal punto in cui si trovava.
Tra la zona ancora asciutta e quella esposta al diluvio io e lei avevamo lo stesso petto. Lo stesso naso. La stessa bocca.
“Andiamo a cercare un albergo?”
-No, si sta così bene qui…
Sul sasso ho ritrovato la scanalatura dove si era fermati gli occhiali da sole.
“Laggiù c’è la Francia. Più giù la Spagna, Gibilterra, poi l’oceano: ci pensi?”
-Ma in mezzo c’è il mare…