APRIAMO UN “TAVOLO”…

 

di Cornelio Galas

La parola più frequente in questa campagna elettorale per le “provinciali” del Trentino? Autonomia? Sì, d’accordo, è vincere facile però. Economia? Vabbè, ci può stare. Programmi? Siamo nella bassa classifica. Coalizione? Ecco, ci siamo quasi. No, il termine che è stato più speso, finora, prima della presentazione ufficiale delle liste, in realtà è “tavolo”.

C’è un problema di rapporti tra Pd e Upt? Si “apre” (come? E’ uno di quei tavoli che puoi allungare o restringere a piacimento a seconda del numero dei commensali?) un tavolo. Non si è ancora capito se i Civici stanno più di qua che di là? Apriamo (vedi modalità già descritte) un tavolo. E attorno al tavolo risolviamo i problemi. Magari per aprirne subito dopo un altro, con altri, se a quel tavolo non si è risolto il problema.

Verrebbe da chiedersi, visto come stanno andando (meglio, come sono andate?) le consultazioni sul desco trentino, perché certi tavoli sono stati, ebbene si, ribaltati, con tutto quello che c’era sopra. Ma la domanda principale è un’altra: c’erano forse troppi tavoli aperti rispetto alle sedie disponibili? Interrogativo che, a cascata, ne propone un altro: chi era seduto a quei tavoli rappresentava veramente “tutta” la base del suo partito, del suo movimento, della sua lista?

E ancora: chi decide cosa? L’oligarchia partitica o comunque una rappresentanza d’elite? Lo so. La cosiddetta democrazia diretta è ormai un brevetto depositato a Ginevra dalla Casaleggio e associati e quindi il copyright è in mano ai Cinquestelle. Le primarie il Pd trentino – dopo la vittoria di Ugo Rossi (Patt) su Olivi nel 2013 – non le riconosce più come metodo migliore per arrivare al dunque. Le assemblee degli iscritti? Sono giudicate come “antichi assemblearismi sessantottini”. I congressi anticipati? “Prima pensiamo a chi, poi pensiamo a cosa”. Ogni tanto, a rimettere in carreggiata, ci pensano le segreterie nazionali: “Oh, ragazzi, non facciamo cazzate neh”.

Poi comunque si ritorna ai “tavoli”. Con quei pochi che contano per tutti. Che dovrebbero poi proporre (imporre?) liste, alleanze, candidati, programmi. Già, i programmi. Negli anni ottanta il capolista della Dc, anche nelle comunali di Sfruz, era il candidato sindaco unico. Il programma veniva dopo. Solo se la Dc non aveva una giunta monocolore.  Ora i tempi  e le leggi elettorali sono cambiati. Occorre prima pensare ad avere una maggioranza di coalizione. Ed in funzione di quella, dopo, magari accettare un “compromesso” sui programmi.

In sostanza si fa prima quello che una volta si faceva (semmai) dopo. Resta, ai margini di questi meccanismi, l’elettore. Al quale arriverà, nella cabina (gabina, diceva Bossi) elettorale un elenco di nomi e simboli. E una matita per la famosa crocetta. Ma non li ha scelti lui quei candidati. Non ha potuto dire la sua sui programmi se non negli inevitabili sondaggi o negli exit poll. Lui non c’era ai “tavoli” che contavano, Tutta colpa delle sedie. Poche per far sedere tutti quanti gli interessati.

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