ALTO ADIGE, “ELDORADO” DI CRIMINALI NAZISTI – 2

a cura di Cornelio Galas

Seconda e ultima puntata sulla presenza, nell’immediato dopoguerra, in Alto Adige, dei criminali nazisti. Nei prossimi giorni cercheremo di affrontare un altro argomento per certi versi “dimenticato”, vale a dire le “archiviazioni” dei procedimenti penali nei confronti dei responsabili di tanti eccidi, di tante stragi in Italia. Allego anche alcuni video.

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Ripartiamo oggi da Merano, che divenne, fra il 1945 e il 1947, un punto d’incontro per gli ebrei che volevano emigrare in Israele: vi pernottavano per qualche giorno prima di essere portati, di solito in macchina e nottetempo, a Bolzano o a Milano.

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L’allora presidente della comunità ebraica di Merano ricorda che in media, fra il febbraio 1946 e la primavera del 1947, arrivavano a Merano fra i 250 e i 400 profughi ebrei alla settimana. Negli anni fra il 1945 e il 1948 furono più di 200.000 gli ebrei, in maggioranza polacchi e rumeni, che fuggirono, spesso avventurosamente in Palestina, passando per l’Austria e l’Italia.

Fin dal 1944/45 aveva visto la luce, in Polonia orientale e Lituania, la “Bricha”, un’organizzazione di assistenza per profughi ebrei il cui nome significa letteralmente “fuga”. La Bricha mise in piedi un sistema ramificato di assistenza ai fuggitivi ebrei che dall’Europa orientale conduceva fino all’Italia.

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Nella primavera del 1945, per esempio, la Bricha di Innsbruck e il suo distaccamento di Merano riuscirono piuttosto agevolmente a far figurare i profughi ebrei come reduci, prigionieri di guerra e lavoratori coatti italiani e a trasferirli in Italia con uniformi e documenti falsi .

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Anche alcuni fra i più famigerati criminali di guerra nazisti, persone responsabili del crimine di genocidio, scelsero la via di fuga italiana. Basti pensare ad Adolf Eichmann, il burocrate per eccellenza dello sterminio, responsabile dell’assassinio di milioni di persone. Fu lui ad occuparsi della “logistica” del progetto di “eliminazione dell’ebraismo dall’Europa”.

Eichmann durante il processo a Gerusalemme. (United States Holocaust Memorial Museum, Library and Archives, Washington D.C.)

Eichmann durante il processo a Gerusalemme (United States Holocaust
Memorial Museum, Library and Archives, Washington D.C.)

Alla fine della guerra lasciò la moglie e i suoi tre figli nella località austriaca di Altaussee e fece perdere le sue tracce. Visse in Germania sotto falso nome e con documenti falsi fino alla primavera del 1950, quando ritenne di aver messo da parte abbastanza denaro per poter organizzare la fuga in Sudamerica. Optò per la via abituale, conosciuta da tempo negli ambienti delle SS, che dalla Germania portava a Genova attraverso l’Alto Adige.

Adolf Eichmann

Adolf Eichmann

Nel maggio 1950 entrò in contatto con dei complici sudtirolesi. “In tenuta da montagna, sulla testa un cappello tirolese con pennacchio di pelo di camoscio”, come avrebbe raccontato anni dopo, Eichmann riuscÌ dapprima a raggiungere il confine austriaco. A Kufstein, come altrove, c’erano ad aspettarlo un alloggio e altri contatti, organizzati in precedenza dai suoi complici.

Tanto in Austria che in Alto Adige gli “spalloni” erano, per ragioni di interesse economico, parte attiva del sistema fondato sulla “complicità nella fuga”, anche se talora agivano per motivi ideologici o per pietà. Generalmente non sapevano granché della vera identità dei fuggiaschi. L’unica certezza era che si trattava di membri delle SS o di funzionari del partito nazista che dovevano, o volevano, lasciare l’Europa.

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Il sistema fondato sulle complicità e su itinerari consolidati diede ottimi risultati in centinaia di casi. “Il meccanismo degli aiuti filava liscio come l’olio”, notò in seguito Eichmann, che riuscì senza troppe difficoltà a raggiungere Innsbruck in taxi.

In questa importante tappa intermedia sulla direttrice del Brennero provò a “nascondersi” presso un ex camerata delle SS che però lo accolse freddamente: “Vedi di togliere il disturbo”. Riuscì infine a trovare degli spalloni che lo portarono sul versante italiano del Brennero, dove trovò ad attenderlo il parroco di Vipiteno.

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Eichmann descrive così quel generoso uomo di Chiesa:

“(Questo prete) aiutava da anni ogni genere di profugo. Qualche volta erano degli ebrei e, questa volta … Eichmann! Ricevetti pieno di riconoscenza la mia valigia dalle mani di questo sacerdote in bicicletta circa 1,5 chilometri oltre il confine italiano. Lo stesso mi invitò a festeggiare il successo dell’operazione con l’abituale bicchierino di vino. Questa volta fu un rosso altoatesino! Il prete mi fece incontrare un tassista che mi portò a casa sua. Lì mi tolsi i miei abiti tradizionali tirolesi e indossai qualcosa di meno vistoso”.

Il parroco in questione era Johann Corradini, amico del vicario generale di Bressanone Alois Pompanin, un uomo di Chiesa che non aveva preclusioni nei confronti dei nazisti. Corradini e il padre francescano Franz Pobitzer di Bolzano non solo aiutarono Eichmann ma procurarono anche a Priebke una nuova identità e nuovi documenti.

Johann Corradini

Johann Corradini

Un tassista sudtirolese nascose Eichmann per un paio di giorni a casa sua a Vipiteno. Tappa successiva del viaggio fu il convento francescano di Pobitzer a Bolzano. Josef Mengele, il medico del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, si avvalse a sua volta di spalloni locali durante la sua fuga verso l’Italia.

Nel gennaio 1945 abbandonò Auschwitz per sfuggire all’avanzata dell’Armata Rossa. Da una scheda segnaletica risulta che fosse ricercato: “dr. loseph Mengele, Hauptsturmfuhrer delle SS e medico del campo di concentramento di Auschwitz dal giugno 1940 al gennaio 1945, reo di genocidio e altri crimini”.

Dr Joseph Mengele -1942

Dr Joseph Mengele -1942

Nell’autunno del 1948 decise di lasciare la Germania per emigrare in Argentina. Nella sua scelta pesava sicuramente la speranza di ricongiungersi a una serie di vecchi camerati, anch’ essi rei di genocidio. Il venerdì santo del 1949 partì dunque da Innsbruck e si diresse verso Steinach, l’ultima cittadina austriaca prima del confine sul Brennero.

La domenica di Pasqua gli spalloni tirolesi, muovendo da Vinaders, lo portarono al di là delle montagne; una volta raggiunto il versante italiano della catena montuosa, prese alloggio in un albergo di Vipiteno e attese di entrare in possesso di nuovi documenti di identità. In fuga con una nuova identità Il problema principale per coloro che intendevano emigrare era, oltre a superare il confine illegalmente, quello di entrare in possesso di documenti di viaggio validi.

Josef Mengele

Josef Mengele

Alla fine della guerra centinaia di migliaia di profughi, deportati, lavoratori coatti, detenuti e prigionieri di guerra erano rimasti senza documenti. Anche nel caso in cui una persona fosse riuscita a raggirare tutti i controlli precedenti, per ottenere un visto d’ingresso in uno dei Paesi dell’America Latina doveva comunque possedere un documento di identità che risultasse valido almeno ad un esame superficiale.

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In Germania e in Austria il rilascio di documenti di viaggio da parte delle autorità di controllo degli alleati era subordinato ad accertamenti politici e al superamento di molteplici ostacoli burocratici. I criminali nazisti volevano ovviamente sottrarsi a queste procedure e per aggirarle esisteva una serie di alternative: i profughi apolidi, per esempio quelli provenienti dai territori tedeschi nell’Est come i Sudeti o la Prussia orientale, potevano richiedere e ottenere documenti di viaggio rilasciati dalla Croce Rossa internazionale.

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Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) cominciò a rilasciare documenti di viaggio nel febbraio 1945. Fra i Paesi che riconoscevano la validità di tali permessi di viaggio c’erano il Brasile, l’Argentina, il Paraguay, la Bolivia e il Canada. I documenti della Croce Rossa (25.000 esemplari furono consegnati entro la metà del 1947 e 70.000 entro la fine del 1948) dovevano “essere rilasciati a tutte le persone che a causa della guerra avevano dovuto lasciare il proprio Paese contro la propria volontà e non potevano procurarsi un passaporto”.

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Le persone prive di passaporto, dalla nazionalità incerta o apolidi avevano diritto a un documento d’identità della Croce Rossa internazionale. Tale documento costituiva il presupposto per lasciare l’Italia e dirigersi verso il Sudamerica. Questi passaporti venivano generalmente richiesti direttamente alle rappresentanze della Croce Rossa di Roma o di Genova.

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Per capire perché i documenti rilasciati dalla Croce Rossa fossero tanto ambiti è sufficiente leggere ciò che si trova scritto su ciascuno di essi: “Questo documento è stato rilasciato alla persona che ne ha fatto domanda, la quale ha dichiarato di non possedere né un documento normale né uno temporaneo e di non essere nelle condizioni di procurarselo in altri modi”.

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Il documento si limitava ad attestare quanto segue: “Il sottoscritto delegato del Comitato internazionale della Croce Rossa dichiara di rilasciare questo documento per permettere al suo titolare di giustificare la propria presenza nell’attuale luogo di soggiorno e per facilitarne il ritorno immediato o futuro nella patria d’origine oppure l’emigrazione verso la destinazione scelta. Il richiedente conferma quanto indicato nel documento”.

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Era dunque possibile, per il richiedente, fornire le generalità che voleva, vere o false che fossero. A detta dell’agente americano Vincent La Vista, ad aver beneficiato maggiormente di tale prassi era stato un numeroso gruppo di nazisti tedeschi giunti in Italia unicamente allo scopo di ottenere falsi documenti di identità e altrettanto falsi visti d’ingresso per Paesi oltreoceano; quindi salpavano dai porti di Genova e Barcellona alla volta del Sudamerica.

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 Madame Dupuis, una collaboratrice di lunga data del CICR, dichiarò che in quegli anni la delegazione romana della Croce Rossa internazionale rilasciava 500 titoli di viaggio al giorno. I controlli non potevano quindi che essere superficiali. L’ex ufficiale delle SS Priebke presentò domanda per un titolo di viaggio della Croce Rossa nella sede romana del CICR il 26 luglio 1948. Dichiarò di chiamarsi Otto Pape, di provenire da Riga e di essere un Volksdeutsche (ovvero un tedesco di “nazionalità” e non di “cittadinanza”) cacciato dalle regioni baltiche; tanto bastava per essere dichiarato apolide e avere diritto a un titolo di viaggio della Croce Rossa.

Erich Priebke

Erich Priebke

Durante i preparativi della sua fuga, durati settimane, Priebke soggiornò a Bolzano, in via Leonardo da Vinci. L’ex ufficiale delle SS raccontò di essere stato aiutato a procurarsi i documenti per il viaggio da un prete: “Sono stato aiutato da un frate francescano a Bolzano e dal Vaticano nella persona del vescovo austriaco Alois Hudal”.

Fra gli aiuti ricevuti vanno annoverati un alloggio sicuro presso una sede religiosa, la consegna di un documento d’identità falso e i contatti con altri religiosi complici dell’operazione nelle città di Genova e Roma. La domanda presentata il 26 luglio 1948 per ottenere un documento di viaggio della Croce Rossa, che gli consentisse l’espatrio in Argentina, fu coronata da successo.

Alois Hudal

Alois Hudal

Di tutta la vicenda si era offerto di farsi carico un frate francescano a Bolzano: “Padre Pobitzer ci rassicurò sul fatto che si sarebbe adoperato per cercare di farci ottenere il passaporto presso la sede romana della Croce Rossa internazionale”. “Noi aspettavamo con trepidazione l’arrivo del permesso d’immigrazione dall’Argentina.

Quando finalmente arrivò, il cognome che vi trovammo era Pape invece di Priebke e il luogo di nascita Riga. Era stata questa un’iniziativa [ … ] che ci lasciò disorientati [ … ]. Consultammo padre Pobitzer che ci consigliò di lasciare le cose come stavamo. A parte la perdita di tempo che la rettifica dei nomi avrebbe comportato e sempre posto che fosse ancora possibile ottenerla, lasciare le cose così come stavano, secondo il padre, aveva oltretutto alcuni aspetti positivi. Non dovevo infatti dimenticare che per gli inglesi ero ancora un prigioniero di guerra evaso”.

 Erich Priebke presente sui registri parrocchiali di Vipiteno (BZ) dell'allora parroco Johan Corradini, dove fu stato ribattezzato col nome di Otto Pape

Erich Priebke presente sui registri parrocchiali di Vipiteno (BZ) dell’allora parroco Johan Corradini, dove fu stato ribattezzato col nome di Otto Pape

Per i criminali di guerra sudtirolesi la fuga non comportava grossi problemi. Gli abitanti della regione erano considerati alla stregua di Volksdeutsche apolidi e avevano pertanto diritto a un documento di viaggio della Croce Rossa. La fine del conflitto nel 1945 non rappresentò una netta cesura per questa terra.

Nei primi mesi del dopoguerra il futuro della regione rimase incerto, come pure la questione della nazionalità dei suoi abitanti, soprattutto di coloro che avevano optato per l’emigrazione nel Reich. Le categorie usate per classificare la popolazione spaziavano da Reichsdeutsche (tedeschi del Reich per cittadinanza) a italiani passando per “displaced persons” (DPS), austriaci, apolidi o, semplicemente, “sudtirolesi”.

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Al termine di una serie di negoziati lo Stato italiano continuò a considerare cittadini italiani a tutti gli effetti gli abitanti dell’ Alto Adige che, pur avendo optato a suo tempo per la Germania, non erano di fatto emigrati e non erano stati quindi naturalizzati tedeschi. Più complessa era invece la situazione degli optanti naturalizzati tedeschi.

Agli occhi degli alleati costoro non erano da considerarsi cittadini tedeschi, mentre il governo italiano li riteneva tali. Tuttavia, su pressione degli alleati, essi non incorsero in particolari difficoltà. Coloro che ·si erano trasferiti in Austria venivano inquadrati secondo criteri del tutto diversi a seconda della potenza occupante e l’atteggiamento degli alleati nei loro confronti mutava costantemente.

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Per il governo austriaco essi non erano né cittadini austriaci né cittadini tedeschi. Pur non condividendo una posizione così netta, gli alleati considerarono i sudtirolesi talora “displaced persons” ossia apolidi, talora italiani. Altrettanto poco omogeneo era il trattamento riservato a coloro che si erano trasferiti in Germania.

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Un documento dell’organizzazione di assistenza ai sudtirolesi in Germania riassumeva il problema con queste parole: “Nessuno sa che cosa precisamente siano queste persone. Per quanto attiene alla sfera del diritto statuale, la concezione che ne hanno gli uffici governativi tedeschi, i membri dell’alto commissariato per i rifugiati e le autorità alleate diverge radicalmente”.

Nel settembre 1946 si stabilì che l’Alto Adige sarebbe rimasto all’Italia ma la questione della cittadinanza dei suoi abitanti non si risolse fino al 1948: lo status della stragrande maggioranza degli altoatesini di lingua tedesca che avevano optato a suo tempo per la Germania rimase quello di “displaced persons”, ossia di stranieri apolidi, e fu solo nel 1948 che costoro poterono riacquisire la cittadinanza italiana.

Eichmann, il boia nazista chiese la grazia a Gerusalemme

Eichmann, il boia nazista chiese la grazia a Gerusalemme

Ciò consentì alla minoranza di lingua tedesca della regione di non andare incontro dopo il 1945 al destino riservato ai profughi. Più dell’80 per cento della popolazione di lingua tedesca dell’ Alto Adige – a tanto ammontava la percentuale degli ex optanti per la Germania – fu dunque inquadrata in un primo tempo nella categoria dei Volksdeutsche apolidi.

Questa moltitudine di persone aveva diritto a un documento di viaggio della Croce Rossa internazionale. Una circostanza che avrebbe acquistato un’importanza capitale per i nazisti in fuga da ogni parte d’Europa. Dal momento che l’Alto Adige rappresentava comunque una tappa sulla via di fuga, perché non approfittarne per procurarsi qui i documenti falsi necessari?

Josef Schwammberger

Josef Schwammberger

Il comandante in capo del campo di lavoro forzato di Przemysl in Polonia, l’Oberscharfiihrer delle SS , riuscì a fuggire in Sudamerica come Volksdeutscher dell’Alto Adige. Dal momento che era effettivamente nato a Bressanone, anche se i suoi si erano trasferiti a Innsbruck quando era ancora un bambino, riuscì a sfruttare questa circostanza per i suoi fini.

La sua domanda per l’ambito titolo di viaggio della Croce Rossa fu recapitata a Roma il 13 novembre 1948. Per quanto riguarda i dati anagrafici, non dovette inventare (quasi) niente poiché originario di Bressanone. Come professione indicò “meccanico specializzato” e, naturalmente, non mancò di segnalare la sua appartenenza alla confessione cattolica.

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Josef Schwammberger

Per certificare la propria identità presentò un passaporto tedesco del 1938. Schwammberger era stato rassicurato circa il buon esito della sua domanda e la Pontificia Commissione di Assistenza confermò sia i dati dichiarati, sia la sua volontà di emigrare in Sudamerica. Dopo un iter rapidissimo il criminale poté ritirare personalmente il titolo di viaggio della Croce Rossa.

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Karl Nicolussi-Leck

Il bolzanino Karl Nicolussi-Leck, ex ufficiale delle SS, fece ritorno in Alto Adige dopo essere stato rilasciato dal campo di prigionia di Glasenbach e si diede subito da fare per assistere i suoi camerati in fuga. In seguito si procurò a sua volta un titolo di viaggio della Croce Rossa internazionale in quanto “optante apolide” e raggiunse l’Argentina insieme alla sua famiglia.

Ciò che risultava facile per le SS sudtirolesi sarebbe ben presto diventato possibile anche per i criminali nazisti provenienti dall’intero ex Terzo Reich: la via di fuga che conduceva in Italia attraverso il Brennero passava necessariamente per l’Alto Adige e i camerati germanici e austriaci potevano farsi passare per profughi Volksdeutsche, per esempio originari dell’Alto Adige.

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Karl Nicolussi-Leck

Cosa c’era di più semplice che definirsi di fatto sudtirolesi e sfruttare in tal modo questa opportunità? Bastava poter esibire la carta d’identità di un comune dell’Alto Adige. Più di un nazista o criminale di guerra assunse in quel periodo l’identità di un Volksdeutscher originario dell’Alto Adige perché poteva così giustificare il suo status di apolide.

In Alto Adige a occuparsi dei camerati germanici fu un informale ma efficace sistema di aiuti messo in piedi da ex membri delle SS e ufficiali della Wehrmacht  venivano portati illegalmente al di là del “confine verde” e, una volta giunti in Alto Adige, sistemati in rifugi sicuri. Ai fuggiaschi venivano fomiti anche nuovi documenti, poiché non era difficile procurarsi carte d’identità falsificate dai comuni.

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Karl Nicolussi-Leck

Con un pezzo di carta attestante nuove generalità e nuovo luogo di nascita, i nazisti in fuga potevano richiedere un documento di viaggio della Croce Rossa a Genova o a Roma. L’America latina era a portata di mano. Erano dunque gli uffici dell’anagrafe italiani, in particolare quelli dell’Alto Adige, a rilasciare alle SS falsi documenti d’identità.

Esistevano inoltre numerose bande di falsari, dedite alla contraffazione in grande stile di lire italiane, di carte d’identità e di ogni sorta di documento. Fu in Alto Adige ad esempio che il colonnello delle SS Eugen Dollmann, interprete di Hitler nei suoi incontri con Mussolini, si procurò una nuova identità, cambiando il proprio nome in Eugen Amonn, nato a Bolzano.

Eugen Dollmann

Eugen Dollmann

Dollmann, originario di Regensburg, aveva aderito al partito nazista nel 1934 e dal 1935 venne posto a capo dell’ufficio stampa della NSDAP a Roma, in cui lavorò anche come traduttore. Nel 1937 entrò nelle SS, venne promosso al grado di Standartenfohrer e, nello Stato maggiore di Himmler, mantenne rapporti molto stretti con il generale delle SS Karl Wolff. Nella sua funzione di ufficiale di collegamento con il governo Mussolini e con il Vaticano, Dollmann era a parte di informazioni molte riservate.

HImmler (a sinistra) e Eugen Dollmann

HImmler (a sinistra) e Eugen Dollmann

Quello di Adolf Eichmann è a tutt’ oggi il caso più noto di criminale di guerra fuggito grazie alla protezione della Croce Rossa. Il burocrate del genocidio presentò domanda per un documento di viaggio della Croce Rossa a Genova il primo giugno 1950. Per certificare la propria identità esibì una carta d’identità rilasciata dal comune di Termeno, nei pressi di Bolzano, il 2 giugno 1948.

Quel documento aveva fatto di lui Richard (Riccardo) Klement, nato a Bolzano nel 1913, figlio di una certa Anna Klement. Il luogo di nascita era stato scelto non senza una certa furbizia, visto che Eichmann in passato si era occupato della questione dei Volksdeutschen e conosceva bene l’Alto Adige. Così Eichmann divenne un Volksdeutscher apolide dell’Alto Adige, avente diritto, in virtù del suo status, a un titolo di viaggio della Croce Rossa che gli permise di raggiungere il Sudamerica.

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Sulla domanda da lui presentata per ottenere un “passaporto” della Croce Rossa figura la seguente dicitura: “Nazionalità d’origine: Alto Adige, attualmente: apolide”. Lo stesso medico di Auschwitz, Josef Mengele, riuscì con l’aiuto di una rete di complici altoatesini a passare indisturbato alcuni anni sotto il nome di Helmut Gregor, nato a Termeno il 6 agosto 1911, di professione meccanico e, proprio come Eichmann, a fare domanda per un documento della Croce Rossa.

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I suoi complici gli procurarono un regolare documento d’identità rilasciato da un comune altoatesino negli anni dell’occupazione tedesca fra il 1943 e la fine della guerra. E così, anche lui assunse una nuova identità. Il medico di Auschwitz presentò perfino un certificato di residenza nel comune di Termeno da cui risultava aver abitato in Italia dal 1944, a Termeno, in via Montello 22. Mengele non assunse l’identità di una persona realmente esistita ma inventò un nome completamente fittizio.

Foto segnaletica del 1956 raffigurante Mengele

Foto segnaletica del 1956 raffigurante Mengele

Nel registro battesimale della parrocchia di Termeno non figura nessun Helmut Gregor nato nell’agosto del 1911. Dopo aver assunto la sua nuova identità, l”‘angelo della morte di Auschwitz” poté lasciare l’Italia per l’Argentina. Il 16 maggio 1949 si recò a Genova, dove presso la locale rappresentanza della Croce Rossa fece domanda per un titolo di viaggio. Il suo status di Volksdeutscher originario dell’Italia non gli consentiva infatti di richiedere i documenti necessari al viaggio oltreoceano direttamente alle autorità italiane o a quelle tedesche.

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Sul modulo di richiesta indicò come “italiana” la propria cittadinanza originaria e come “tedesca, in conseguenza dell’opzione” quella attuale. La carta d’identità del comune di Termeno costituiva una pezza d’appoggio per avvalorare la sua vicenda di apolide. Ottenuto il documento della Croce Rossa, Mengele salpò da Genova alla volta dell’ Argentina. Eichmann, Mengele e molti altri ricevettero dunque documenti d’identità rilasciati dal comune di Termeno e divennero così cittadini sudtirolesi.

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Ma perché proprio Termeno? La cittadina che sorge a sud di Bolzano era dal 1933 la roccaforte conosciuta del Volkischer Kampfring Sildtirol, un’ organizzazione simpatizzante del nazionalsocialismo. La maggior parte dei sindaci sudtirolesi scelti dal regime nazista rimase al proprio posto fino all’estate del 1945 ed ebbe il tempo sufficiente per organizzarsi, per affrontare il periodo del dopoguerra.

Tutto questo fu reso possibile anche dal fatto che in Sudtirolo non ci fu quasi nessun processo di defascistizzazione o denazificazione dei funzionari comunali. Lo storico altoatesino Christoph von Hartungen ritiene che un impiegato dell’ufficio anagrafe di Termeno simpatizzante delle SS abbia rilasciato e firmato le carte d’identità di Mengele e dei suoi amici.

Il passaporto di Mengele

Il passaporto di Mengele

Fra gli eventuali responsabili possono figurare diversi impiegati o ex funzionari del comune. Si pensi ad esempio a Karl Rabanser che era stato segretario comunale di Termeno negli anni venti, trasferito poi negli anni trenta dalle autorità fasciste a Lavarone, dove nel 1939 si diede da fare per convincere la popolazione di madrelingua tedesca di Luserna a emigrare nel Reich.

Successivamente lavorò a Bolzano presso l’Ufficio generale germanico per l’immigrazione e il rimpatrio (Amtliche Deutsche Ein- und Riickwandererstelle) e nel 1940 fu inviato alla scuola di formazione (Ordensburg) di Krossensee per seguire un corso di addestramento per creare la futura élite nazista sudtirolese. Nel giudizio espresso su di lui nei documenti nazisti si legge: “Intelligenza vivace, adatto come direttore d’ufficio o uomo di fiducia della NSV – Organizzazione per la previdenza sociale nazionalsocialista”.

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Ha forse agito nell’interesse del nazionalsocialismo, favorendo Eichmann e soci? Finora non abbiamo una risposta definitiva. Sta di fatto che fra gli ex impiegati e funzionari del comune di Termeno le camicie brune erano ben rappresentate. Ulteriori indizi sul ruolo particolare di Termeno si potrebbero trarre dall’esame delle richieste di documenti d’identità presentate al comune.

Secondo quanto dichiarato dalle autorità, gli archivi conservano traccia di quasi tutte le richieste di documenti d’identità a partire dal 1927. Con qualche eccezione tuttavia: quelle relative al 1948 risultano assenti. Insieme alle prove documentali sembra essere stato cancellato anche questo oscuro episodio della storia dell’Alto Adige.

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Salta all’occhio in particolare la fuga di una cerchia di persone che già negli anni del bando del partito nazista in Austria si conoscevano bene tra loro e avevano contatti con l’Alto Adige. Si trattava di un gruppo di alti ufficiali delle SS originari del Tirolo e dell’ Alto Adige. Tutti facevano parte dello “zoccolo duro” del movimento nazista e continuarono a rimanere uniti anche dopo la fine della guerra: “I suddetti sono certamente membri delle SS, funzionari dell’ex partito nazista o persone che hanno preso parte ai pogrom contro gli ebrei”, si legge in un rapporto della polizia di Innsbruck con riferimento alla presenza di “nazionalsocialisti in fuga in Alto Adige”.

I nazisti del Tirolo del Nord e del Sudtirolo spianarono la strada alle ex SS germaniche in fuga prima verso l’Italia e quindi verso l’Argentina. Secondo i dati delle autorità argentine preposte all’immigrazione, il primo del gruppo tirolese a raggiungere l’Argentina fu Franz Rubatscher che nell’ottobre 1947 entrò nel Paese dopo aver fatto tappa in Uruguay.

Richiesta di un documento di viaggio per Franz Rubatscher. (Archivio Comitato internazionale della Croce Rossa, Ginevra)

Richiesta di un documento di viaggio per Franz Rubatscher. (Archivio Comitato internazionale della Croce Rossa, Ginevra)

In seguito l’Hauptsturmfohrer delle SS potrebbe essersi messo a disposizione come persona di riferimento in loco. È quanto emerge ad esempio nel caso dell’Hauptsturmfzihrer delle SS Fridolin Guth che al suo ingresso nel Paese, nell’ottobre 1948, indicò come contatto “Franz Rubatscher – Hotel San Carlos de Bariloche”. Rubatscher assurse a figura chiave nell’assistenza ai fuggiaschi e le sue attività, più o meno segrete, meritano qualche approfondimento.

Venne assunto prima dalla polizia municipale di Innsbruck nel 1930 e, in seguito, mise le sue competenze a disposizione della NSDAP. Rubatscher, originario di Innsbruck, ebbe un ruolo significativo nell’ambito del tentato putsch nazista in Tirolo del 1934. Avendo aderito al partito nazista ed essendo entrato nelle SS già nel giugno 1932, venne in seguito riconosciuto come “vecchio combattente” del partito.

 Bariloche, Argentina – 1936 Un gruppo di simpatizzanti nazisti

Bariloche, Argentina – 1936
Un gruppo di simpatizzanti nazisti

Durante la guerra servì in un battaglione di polizia a Cracovia e nel 1944 fu promosso comandante del Corpo di Sicurezza Trentino (CST) con cui combatté contro i partigiani italiani. Nel maggio 1945 venne arrestato a Innsbruck dagli americani ma l’anno dopo venne rilasciato dal campo di prigionia di Darmstadt. Da lì si trasferì in Alto Adige dove aveva parecchie conoscenze risalenti all’epoca della guerra.

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La direzione della polizia federale di Innsbruck sapeva perfettamente dove si trovava. In un rapporto del 1947 si legge: “Rubatscher è stato rinchiuso il 18 maggio 1945 per conto del CIC nella prigione della polizia [di Innsbruck] dalla quale è stato poi trasferito il 21 maggio 1945 in un campo in Germania. Secondo quanto si è potuto accertare, il 29 novembre 1946 Rubatscher è stato rilasciato dal campo di Darmstadt. È arrivato a Innsbruck il primo o il due dicembre, ha trascorso una notte presso la sua famiglia in Gaswerkstrasse 4 e l’indomani ha attraversato il confine dirigendosi in Alto Adige. Lì dovrebbe essersi stabilito dai suoi parenti [ … ]”.

L’ltalia rappresentò solo una tappa intermedia, in cui fermarsi qualche mese per organizzare il viaggio oltreoceano. A tal fine era fondamentale entrare in possesso di documenti d’identità validi e, soprattutto, di un titolo di viaggio della Croce Rossa.

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Presentò quindi la relativa domanda nel giugno 1947, dichiarandosi apolide e indicando come professione quella di tecnico e costruttore. Come indirizzo italiano segnalò: “Bolzano, via Molini 12, presso il dr. Pircher”. Le sue generalità vennero confermate dalla Croce Rossa di Roma e dalla Pontificia Commissione di Assistenza profughi. Rubatscher viaggiava con sua moglie e i due figli.

Nel giugno 1947 il titolo di viaggio venne spedito dal CICR di Roma a Verona, dove egli doveva ritirarlo essendo “residente a Bolzano” e “impossibilitato a recarsi a Roma”, come si legge in una comunicazione scritta della Croce Rossa italiana.

Da questo momento non ci furono più ostacoli e tutto procedette rapidamente. Nell’ottobre 1947 Rubatscher giunse finalmente in Argentina e si stabilì a Bariloche, una località sciistica sulle Ande, a 1.800 chilometri da Buenos Aires. Questo rifugio dorato divenne ben presto la seconda patria di molti fuggiaschi nazisti.

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La “concentrazione di camicie brune” in questa località, il cui paesaggio ricordava quello alpino, era molto elevata. Oltre a Priebke, la cui macelleria Wiener Delikatessen fu eletta a punto di incontro preferito, vivevano qui una sfilza di alti ufficiali delle SS di origine austriaca e germanica. Fra loro anche Friedrich (Fritz) Lantschner, ex direttore d’ufficio del Gau Tirol, che era fuggito in Argentina nel 1948 passando per l’Alto Adige e che qui aveva aperto un’impresa di costruzioni.

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Wiesentthal

Originario di Innsbruck, era stato una figura di primo piano nell’ambito del tentato colpo di Stato del 1934 contro il governo di Dollfuss. In seguito al fallimento dello stesso, fuggì in Germania dove di lì a poco si trovò a lavorare nell’Ufficio del Reich per le politiche agricole. In Austria era ricercato perché sospettato di omicidio. Dopo l’Anschluss del marzo 1938 ritornò al seguito dell’esercito tedesco e assunse temporaneamente la direzione della Camera dell’agricoltura tirolese.

Gustav "Guzzi" Lantschner

Gustav “Guzzi” Lantschner

Fino alla fine della guerra diresse la Ripartizione “Agricoltura, economia e lavoro” dell’amministrazione del Gau Tirol-Vorarlberg e per breve tempo fu addirittura braccio destro del Gauleiter del Tirolo. Durante la “Notte dei cristalli” del 1938, come anche in seguito, Lantschner si macchiò dell’ignobile operazione di requisizione dei beni degli ebrei. Friedrich Lantschner raggiunse l’Argentina insieme a Gustav “Guzzi” Lantschner, all’epoca famoso asso dello sci e cineasta.

Gustav "Guzzi" Lantschner

Gustav “Guzzi” Lantschner

Guzzi era stato negli anni trenta una delle stelle dello sci, campione del mondo di discesa libera nel 1932. Vinse in totale tre medaglie d’oro olimpiche e tre titoli mondiali. I suoi successi nello sci gli aprirono la strada del cinema; interpretò infatti diversi ruoli avventurosi ambientati in montagna. Girò film con Leni Riefenstahl e, insieme a Luis Trenker, fu un vero divo dell’epoca.

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Leni Riefenstahl

Lantschner recitò persino nel grande successo del 1931 Der weisse Rausch (Ebbrezza bianca) di cui condivise la regia con Leni Riefenstahl, mandando in estasi il pubblico con le sue doti acrobatiche. Guzzi decise di espatriare oltreoceano dopo la guerra. Il 25 maggio 1948 presentò domanda a Roma per un titolo di viaggio della Croce Rossa con il suo vero nome, “Gustav Lantschner”, nato il 12 agosto 1910 a Innsbruck, Tirolo.

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Luis Trenker

Compilò la voce cittadinanza scrivendo ”Austria-Ungheria” per quella d’origine e “apolide” per quella attuale. Naturalmente dichiarò di essere di fede cattolica e alla voce professione scrisse “proiezionista cinematografico”. Lantschner, che non aveva chiaramente problemi economici, nel corso del suo viaggio soggiornò in grandi alberghi e non ebbe bisogno di farsi ospitare nei conventi. Durante la sua permanenza in Alto Adige fu ospite del famoso Hotel Figl in piazza del Grano a Bolzano e, a Roma, dell’elegante Hotel Universo.

Gustav Lantschner

Gustav Lantschner

Durante la sua permanenza in Italia Gustav Lantschner venne aiutato soprattutto da Hudal, come conferma la lettera di ringraziamento da lui inviata al vescovo. Grazie ai buoni uffici di quest’ultimo, nel dicembre 1947 si era procurato il visto d’ingresso in Argentina. Lantschner, che aveva già vissuto a Bariloche nel periodo fra le due guerre, vi si trasferì raggiungendo parenti che già risiedevano nella località andina. “Dopo la seconda guerra mondiale si portò dietro anche altri amici” come disse nel 1976, con toni un po’ enigmatici, il demologo di Innsbruck Karl Ilg.

Gustav Lantschner

Gustav Lantschner

In Argentina Lantschner riprese a fare cinema; si trattava in prevalenza di film sullo sci, ambientati nella zona di Bariloche. Le pellicole, in cui recitavano principalmente persone bionde dai tratti nordici, assomigliavano ai film di montagna di Trenker e della Riefenstahl. Friedrich Lantschner sostenne finanziariamente le riprese di Guzzi. Anche Rubatscher, amico intimo di Friedrich Lantschner, era un esperto sciatore; questo gli garantì ottimi guadagni come maestro di sci nella località di Bariloche.

Gustav Lantschner

Tessera di Gustav Lantschner del 1948. (Archivio Comitato internazionale della Croce Rossa, Ginevra)

Friedrich Lantschner era, accanto a Rubatscher, la figura dominante dei fuggiaschi tirolesi. Il sudtirolese Cornelius Dellai era a sua volta un buon conoscente di Guzzi. Era originario di una famiglia di albergatori e non sorprende dunque che venne incaricato dal governo argentino di gestire un complesso alberghiero a Bariloche. Negli anni precedenti allo scoppio della guerra, Cornelius Dellai aveva gestito una malga in Alto Adige ed era stato proprietario dell’albergo Dellai.

Nazisti a Bariloche

Nazisti a Bariloche

Dal 1943 fu a capo di una unità di polizia locale che, fra le altre cose, aveva l’incarico di rintracciare i piloti alleati e i disertori. Il comandante Dellai “era ovviamente di provata fede nazista. Subito dopo la fine della guerra vennero fatti ripetuti controlli e perquisizioni da parte della polizia italiana nel suo albergo, fino a che la famiglia decise che la misura era colma. Nel 1948 Dellai vendette il suo piccolo albergo di montagna a Hans Steger e si trasferì a Bariloche”.

La stazione di Bariloche

La stazione di Bariloche

Durante la traversata viaggiò in compagnia di Priebke, come ricorda l’ex ufficiale delle SS nelle sue memorie: “Il mio vicino di cuccetta era Cornelius Dellai, un albergatore dell’Alto Adige che da lì in avanti divenne un buon amico della nostra famiglia. Cornelius aveva costruito un albergo dalle sue parti, sull’Alpe di Siusi. Lo avevano tirato su lui, la moglie e le tre figlie con le loro stesse mani ed avevano intenzione di fare altrettanto in Argentina. Era un sudtirolese di madre lingua tedesca che si era arruolato nella Wehrmacht invece che nell’esercito italiano e ora continuava a ripetere nel suo dialetto che dei Welschen (italiani) non voleva più saperne”.

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Dellai gestì alberghi per conto di Peron mentre suo genero prese in affitto un hotel a Bariloche e lo chiamò Gardena. Dopo il suo espatrio Dellai continuò a mantenere contatti con la terra natia. Lui e la sua famiglia rimasero per anni in corrispondenza con Paula Wiesinger che risiedeva in Alto Adige. La Wiesinger era stata una famosa sciatrice nel periodo fra le due guerre e conosceva a sua volta sia Trenker sia Riefenstahl.

Insieme a suo marito, Hans Steger, gestì fino a tarda età l’Hotel Steger-Dellai a Siusi, in provincia di Bolzano. Nel 1961 il tribunale di Innsbruck emise un nuovo ordine di cattura per Friedrich (Fritz) Lantschner. La presenza di Lantschner in Sudamerica “a San Carlos di Bariloche, Rio Negro/Argentina” era nota anche alla magistratura. Dato che questi secondo il tribunale aveva già acquisito la cittadinanza argentina, sembrava che una richiesta di estradizione fosse destinata ad avere esito negativo poiché l’Argentina rifiutava di estradare i propri cittadini.

San Carlos de Bariloche

San Carlos de Bariloche

Nel business dello sci a Bariloche ebbe un ruolo anche un altro amico di Lantschner, Hans Aichinger, che arrivò in Argentina nel 1948 passando per l’Italia. Aichinger, figlio di albergatori di Innsbruck, aveva aderito sia al partito nazista, sia alle SS fin dal 1932. Insieme a Lantschner fece parte dello “zoccolo duro” delle SS in Tirolo. Alla fine della guerra preferì ovviamente la fuga al processo penale.

Riuscì a fuggire nel 1945, poco prima di essere arrestato, e a trasferirsi in Argentina, dove lavorò come maestro di sci a Bariloche. Nel 1959 si costituì alle autorità austriache e nel 1961 il procedimento a suo carico venne archiviato. I nazisti tirolesi furono per molti versi i primi a scegliere l’Italia come via di fuga e a spianare la strada ai camerati di altre regioni austriache e tedesche.

Hans Aichinger

Hans Aichinger

Al gruppo dei tirolesi di Bariloche si aggiunse anche l’ex SS Dominik Moroder. Nel 1951 la Corte di Assise di Lucca lo condannò in contumacia all”ergastolo, commutato in 30 anni di reclusione; ma Moroder era già da tempo “latitante a mandato di cattura” come si legge negli atti processuali. È probabile che il gardenese fosse arrivato in Argentina attraverso la classica via di fuga del porto di Genova. Prima di imbarcarsi però dovette nascondersi in Alto Adige.

Bariloche

Bariloche

Un testimone lo ricorda così: “Era un ragazzo carino, di bella presenza, altrimenti sua moglie Annele non lo avrebbe voluto, ma poi venne la politica e lui si compromise pesantemente. A guerra finita dovette nascondersi continuamente per sfuggire prima ai partigiani e poi ai carabinieri. Aveva trovato un nascondiglio a Ortisei in val Gardena, poi, dopo essersi fatto crescere la barba, si rifugiò a Bolzano presso i frati cappuccini e da lì, non sentendosi al sicuro, riparò a Padova, sempre dai cappuccini … e poi Dominik Moroder fuggì a Bariloche, in Argentina”.

Sua moglie lo raggiunse nella località argentina con i due figli. Annele eseguiva sculture in legno, Dominik dirigeva un’impresa di costruzioni. Pare che Dominik nel 1955 fosse tornato per un breve lasso di tempo in val Gardena per regolare delle questioni di eredità. Moroder perse la vita in un incidente di lavoro in Argentina.

Sua moglie e i figli rimasero in Sudamerica, dove si erano rifatti una vita. A Bariloche la figlia è diventata un’imprenditrice di successo nel settore della produzione di cioccolato. Alcuni anni fa è morto a Buenos Aires Karl Tribus, nato il 7 aprile 1914 a Lana, nei pressi di Merano e diventato cittadino tedesco nel 1939. Nel settembre 1943 partecipò molto probabilmente all’arresto degli ebrei di Merano.

Lana, nei pressi di Merano

Lana, nei pressi di Merano

Dall’autunno 1943, Tribus torturò presso il comando delle SS di Belluno partigiani e disertori. Nel capoluogo del Cadore lo ricordano ancora oggi come un “nazista crudele”, distintosi particolarmente nella lotta ai partigiani. Finita la guerra, l’ex Oberscharfiihrer delle SS fuggì con l’aiuto di un padre francescano di Bolzano seguendo la ben nota rotta argentina. In un primo momento però si nascose in val d’Ultimo, si fece crescere una lunga barba e assunse una nuova identità.

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Questa valle dell’Alto Adige, che durante la guerra aveva dato rifugio ai disertori del regime nazista, alla fine delle ostilità diede invece asilo a non pochi criminali di guerra nazisti. Nel 1948 Tribus fuggì in Argentina salpando da Genova. Lì trovò un impiego in una cartiera ma, a giudicare dal tono delle lettere spedite alla famiglia in Alto Adige, non era soddisfatto della sua nuova vita.

La nostalgia lo tormentava e l’incontro con i vecchi camerati sudtirolesi non bastava ad alleviarla. A Buenos Aires si sposò con Anita Wagner di Graz che l’aveva seguito nella sua fuga e che, in un telegramma del settembre 1957, diede comunicazione al comune di Lana dell’ avvenuto decesso del marito Karl. Con la fine della Guerra fredda, però, la giustizia riprese il suo corso anche nei confronti di Tribus. La morte annunciata, infatti, era fittizia.

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Nel 1996 la procura militare di Verona lo cercava ancora per crimini di guerra commessi nell’area di Belluno. I giudici italiani chiesero aiuto alla magistratura tedesca per scoprire le esatte generalità e il luogo di residenza dell’uomo. Nel 2004 il caso Tribus era ancora pendente presso la procura di Ludwigsburg. Non furono poche le ex SS fuggite che dopo qualche tempo fecero ritorno in patria. Nicolussi-Leck tornò in Europa alla fine degli anni cinquanta al pari di Guzzi Lantschner e Franz Rubatscher.

Priebke

Priebke

Quest’ultimo è morto in età avanzata in Tirolo, Guzzi Lantschner condusse una vita attiva da pensionato. Nicolussi-Leck, diventato un noto collezionista d’arte, è spirato nell’estate 2008 a Bolzano. Nel necrologio dedicatogli dalla rivista sudtirolese Der Schlern non viene fatta menzione alcuna al suo passato di propagandista nazista, di ufficiale delle Waffen-SS e di complice nella fuga di nazisti, come neppure delle “serate tirolesi” in Argentina.

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