ALBINO BADINELLI: MORTO PER SALVARE VENTI OSTAGGI

a cura di Cornelio Galas

di Tommaso Mazza *

Albino Badinelli nasce la mattina del 6 marzo 1920 ad Allegrezze, frazione del Comune di Santo Stefano d’ Aveto (Genova). Settimo degli undici figli di Vittorio Badinelli e Caterina Ginocchio, si dedica subito al lavoro in campagna, non esente dalle fatiche e dai sacrifici. Le sue giornate si spendono tra casa, campagna e chiesa, ma soprattutto alla luce di un tenero ed affettuoso confronto con le figure di mamma e papà.

Grazie alla testimonianza dei suoi genitori Albino matura da subito un forte senso di religiosità, arricchito dai valori cristiani e, quindi, umani, quali la generosità, la carità, la bontà d’ animo e lo spirito di servizio. Egli rimane sempre affezionato alle tradizioni religiose proprie della nostra montagna.

Albino Badinelli

Dotato di una discreta voce, contribuisce con il canto a dare solennità alle celebrazioni liturgiche in occasione delle festività e per, quanto possibile, ogni mattina alle messe feriali, mentre nel tempo libero si dedica, grazie alle sue doti e abilità, all’ arte e al disegno. All’ età di cinque anni inizia gli studi elementari, che lo introducono al cammino ed alla “vocazione” che, sin dalla tenera età, sente maggiormente valida per la sua vita: fare il carabiniere!

Nell’ anno 1939 entra all’ Accademia Militare di Torino. Il 1 marzo del 1940 è incorporato, quale Carabiniere Ausiliario a piedi, presso la Legione Allievi Carabinieri di Roma, con la ferma ordinanza di leva di mesi 18. Nominato Carabiniere il 10 giugno dello stesso anno, è trasferito alla Legione di Messina il 14 successivo, per poi prestare servizio nella cittadina di Scicli. Il 2 maggio 1941 è assegnato alla Legione di Napoli per il costituendo XX Battaglione Mobilitato e giunge in Balcania, territorio dichiarato in stato di guerra, il 21 settembre 1941.

In seguito viene spostato a Santa Maria del Taro (Parma) dove rimane per un lungo periodo. Nel 1944 è vittima di un attacco alla sua caserma, che resta così isolata e senza collegamenti. In mancanza di comando è invitato a tornare a casa, dove lo aspettano la madre, il padre e le quattro sorelle, che da mesi sono sulle tracce di un altro fratello disperso in Russia, per la cui ricerca si preoccupa perfino San Pio da Pietrelcina.

Arriva così l’ estate del 1944, periodo in cui la comunità avetana, unita ai numerosi sfollati presenti sul territorio, vive i suoi momenti di dolore. Sono i primi giorni di agosto, quando Albino, di ritorno dall’ abitato di La Villa, vede divampare improvvisamente una fiamma dal terreno antistante il cancello del cimitero parrocchiale. La paura di quella visione lo fa correre a casa, per domandare aiuto al padre.

Albino Badinelli

I giorni seguenti sono per tutti i più terribili e sofferti. Molti paesi – tra cui la stessa Allegrezze – vengono incendiati e numerose persone perdono la vita negli scontri che si combattono tra nazifascisti e uomini appartenenti alla resistenza. A seguito di questi avvenimenti, il Comandante della Divisione Monte Rosa annuncia che se non si presenteranno tutti i giovani “sbandati” appartenenti alla resistenza e al movimento partigiano, darà ordine di fucilare gli ostaggi e i prigionieri, nonché di incendiare il borgo di Santo Stefano d’ Aveto.

Albino, pur non facendo parte attivamente della resistenza, mosso da uno spirito di responsabilità nei confronti dei suoi amici, compaesani e parenti, che nella fede erano fratelli, si presenta spontaneamente al Comando fascista, con sede nella Casa Littoria di Santo Stefano. Egli, infatti, visto che in pochissimi si costituiscono ai fascisti, afferma con i famigliari: “Devo presentarmi prima che venga ucciso qualcuno, perché non avrei più pace. Io devo essere il primo!”.

Dopo un colloquio con il Comandante, detto “Caramella”, con il quale Albino sottolinea i suoi desideri e propositi di pace, uniti alla sua spontanea consegna, lo stesso ufficiale, senza esitare e accusandolo di essere un disertore, pronuncia con voce ferma il suo comando: “Plotone di esecuzione!”. E’ il 2 settembre del 1944, verso mezzogiorno. Albino chiede di potersi confessare: il permesso non gli viene condonato, ma ha la possibilità di confidarsi con Mons. Giuseppe Monteverde sulla via verso il luogo dell’ uccisione.

Al prete egli ricorda l’ affetto che prova per la mamma, la sua famiglia e la sua gente, domandandogli inoltre di far presente che egli stesso perdona i suoi uccisori. Il Sacerdote, allora, consegnatoli un crocifisso e impartitagli la benedizione, lo raccomanda a Maria, Vergine di Guadalupe. Arrivati dinnanzi al cimitero di Santo Stefano, Albino viene posto con le spalle al muro, pronto per essere freddato. In quel momento il giovane carabiniere, baciato con riverenza il crocifisso e guardando il Cristo che stringe forte a sé, ripete, con profonda fede e umiltà, le stesse parole di Gesù sulla croce: “Perdonali, Padre, perché non sanno quello che fanno!”.

A quel punto tre colpi di arma da fuoco, due al cuore ed uno alla testa, separano per sempre Albino dalla sua vita terrena. Su quel muro oggi sorge una lapide che dice: “Sotto il plotone di esecuzione, vittima innocente, il 2 settembre 1944, qui cadeva serenamente perdonando, il Carabiniere Badinelli Albino, figlio della vicina Allegrezze. Oh tu che passi, chinati al suo ricordo e prega per lui e per il mondo la pace”. Mons. Casimiro Todeschini, allora Arciprete di Santo Stefano, commentando questa fine cruenta, illuminata dalla luce del perdono, esclama: “Con serena e cristiana fortezza, e con le labbra rivolte al Crocifisso, affrontò il plotone di esecuzione perdonando tutti, offrendo il suo sangue per la Chiesa, per la Patria, per la Pace e la redenzione dei popoli.”

Questo suo gesto di amore supremo, con cui a 24 anni, il 2 settembre del ’44, chiuse la sua
esistenza terrena, servì a salvare da morte certa i 20 ostaggi ed il paese dalla distruzione. Da quel giorno il ricordo del sacrificio del Badinelli non si è ancora spento: a suo nome è stata intitolata una via del Comune, dove si trovano la stazione dei carabinieri e la scuola.

“In questo modo – come afferma una dichiarazione di un testimone – il Carabiniere Albino Badinelli entrò nel novero di quegli eletti che, con il loro sacrificio supremo, resero possibile il nostro riscatto.”

Agnese Badinelli racconta la storia del fratello che si offrì al plotone di esecuzione dei fascisti. E oggi spera nella sua beatificazione. La voce è un sussurro appena percettibile. Ma i ricordi no. Sono talmente nitidi che a un certo punto Agnese Badinelli guarda verso l’alto e il tempo torna a quel 2 settembre 1944, quando, dopo aver sentito gli spari, sulla strada del paese incontrò il parroco don Primo Moglia. “Gli chiedemmo cosa fosse accaduto. E lui rispose: “Albino è volato in Paradiso”. Solo allora la voce si spezza.

Agnese prende il suo fazzoletto e si asciuga le lacrime. Ha 92 anni, ed è rimasta l’ultima a poter raccontare il sacrificio di suo fratello Albino che servì a salvare da morte certa almeno venti persone e un intero paese, Santo Stefano d’Aveto, dalla distruzione. Lei, Agnese, non se n’è mai andata da questi monti nell’entroterra della provincia di Genova, dove tutto si è compiuto. Albino, settimo di undici figli, vi era nato nel 1920. “Era un ragazzo dolcissimo”, ricorda, “e fin da piccolo desiderava diventare un giorno carabiniere”.

Il sogno si realizzò il 10 giugno del 1940, proprio quando l’Italia entrò in guerra. Nei primi tempi Albino non se la passò male, almeno non come il fratello Marino che non tornò mai dalla campagna di Russia. Tutto cambiò nel 1944 quando, dopo la distruzione della caserma in provincia di Parma dove prestava servizio, fu invitato a tornare a casa in attesa di ordini. Molti suoi colleghi in quei mesi passarono tra i partigiani. Lui era un animo pacifico, ma aiutava come poteva chi invece si era nascosto tra i boschi per combattere i nazifascisti.

“Vicino casa nostra c’era una casa dove si rifugiavano i partigiani”, ricorda Agnese. “Tutti lo sapevano, anche Albino. Una sera ne vidi uno a cavallo. Gli dissi: “Albino, vieni a vedere!” “Vai subito a casa!”, mi ordinò lui”. Perchè la guerra non era uno spettacolo per ragazzine. Nell’estate del 1944 i partigiani uccidono cinque fascisti. Per rappresaglia, il comandante della divisione nazifascista Monterosa Caramella, chiamato così per la forma del vetro che aveva al posto di un occhio, fece diffondere un ultimatum terribile: se i partigiani non si fossero consegnati subito, avrebbe fatto fucilare tutti i civili, tra i quali c’erano anche donne e bambini, detenuti nella Casa Littoria.

Il paese di Allegrezze durante la seconda guerra moondiale

In più avrebbe dato ordine di incendiare Santo Stefano, come già era stato fatto con alcuni paesi vicini. Di fronte a questa prospettiva, Albino prende la sua decisione: “Prima che uccidano qualcuno, mi presento io. Altrimenti non avrei pace”, ci disse. Noi eravamo tutti terrorizzati, ma pensavamo che al massimo l’avrebbero portato in Germania. E invece quando Caramella lo vide si mise a urlare: “Tu sei un carabiniere! Il tuo dovere è catturare i disertori!”.

Albino provò a obiettare che lui voleva solo la pace, ma Caramella urlò ancora più forte: “Altro che pace! Il plotone di esecuzione ti aspetta!”. A questo punto, il carabiniere chiede almeno di potersi confessare. Ma anche questo desiderio gli viene negato. L’unica concessione è potersi confidare con Mons. Giuseppe Monteverde durante il percorso verso il cimitero, luogo scelto per l’esecuzione.

Il sacerdote gli consegna un crocifisso che Albino tiene stretto. Viene posto con le spalle al muro, ma tre soldati si rifiutano di sparare. Gli altri invece rispettano l’ordine e Albino cade a terra con il crocifisso tra le mani. “Mons. Monteverde ci raccontò poi che le sue ultime parole furono le stesse usate da Gesù sulla croce: “Perdona loro perchè non sanno quello che fanno”. Aveva solo 24 anni”.

Il suo corpo viene lasciato lì a terra perchè serva da monito. “Un altro nostro fratello, Domenico, era tra i prigionieri nella Casa Littoria. Caramella andò da lui e gli rise in faccia: “Vedi cosa succede a chi non obbedisce?”. Per l’orrore, gli diventarono tutti i capelli bianchi”. Scesa la sera, i familiari vanno con il parroco per benedire il corpo di Albino e seppellirlo. “Alcuni soldati ci videro, ma ebbero pietà di noi. “Andate via! Se qualcun altro vi vede, vi ammazzano tutti!” ci urlarono”.

Albino aveva anche una fidanzata che si chiamava come lui, Albina. Quando la guerra è finita, si è sposata ma non l’ha mai dimenticato, tanto che, quando qualche anno fa è morta, ha voluto essere seppellita con le lettere che Albino le aveva scritto.

Fonte: Eugenio Arcidiacono, Famiglia Cristiana n.° 36, 3 settembre 2017

Tommaso Mazza

* Tommaso Mazza è nato a Lavagna (Genova) il 31 gennaio 1996 e attualmente vive a Chiavari. Si è diplomato in Scienze Umane nel luglio 2015 e dedica la sua vita al servizio religioso, sociale ed educativo. Da sempre è attento alle problematiche contemporanee delle nuove generazioni.Nel tempo libero ha scritto “Volti personaggi e mestieri della Liguria di ieri e di oggi” (2009), “Educare è cosa di cuore” (2013), “Prevenire è meglio che curare” (2015) e “L’Amore più grande” (2015). Inoltre pubblica articoli di informazione religiosa ed educativa su numerose testate locali e nazionali.

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