2ª GUERRA MONDIALE, SEGRETI AMERICANI – 9

a cura di Cornelio Galas

Benché il dibattito sulla legge degli affitti e prestiti fosse durato più di due mesi, pieno di controversie e di clamori e distinti cittadini come il presidente dell’Università di Chicago, Robert M. Hutchins, si fossero sentiti in dovere di proclamare che con l’approvazione della legge “il popolo americano andava dritto al suicidio”, non si mossero serie obiezione al punto essenziale di tutta la questione; la necessità di concedere aiuti alla Gran Bretagna, alla Grecia, alla Cina.

Robert M. Hutchins

Robert M. Hutchins

Il dissidio maggiore verteva invece sulla disposizione che permetteva di estendere i benefici della legge “a tutti i paesi, la cui difesa fosse dal Presidente giudicata essenziale alla difesa degli Stati Uniti”.

Ciò dava al Presidente piena facoltà di decisioni; in caso di necessità egli avrebbe potuto, (come fece) aiutare anche l’Unione Sovietica. Era questo che gli isolazionisti temevano soprattutto: pure quelli che, a denti stretti, ammettevano necessario mostrarsi un po’ caritatevoli verso l’Inghilterra erano atterriti al pensiero che i contribuenti americani potessero essere costretti a pagare di tasca propria per inviare aiuti all’Armata Rossa. Aspra e decisa fu la battaglia su questo punto.

Roosevelt

Roosevelt

Gli amici più timidi avevano già consigliato a Roosevelt di scendere ad un compromesso che escludesse la Russia dal beneficio, ma egli tenne duro, perché già allora si avevano chiare avvisaglie che la Russia avrebbe potuto essere presto attaccata dalla Germania o dal Giappone o da tutti e due e avrebbe avuto disperatamente bisogno dell’aiuto americano.

I leaders governativi al Senato, primo fra tutti James Byrnes, sostennero a spada tratta la tesi del Presidente e finalmente anche al Senato, l’8 marzo, la legge fu approvata con 60 voti contro 31.

James Byrnes

James Byrnes

Fu per Roosevelt una vittoria storica. Churchill la chiamò “il terzo punto culminante” della seconda guerra mondiale (i primi due erano stati la caduta della Francia e la battaglia d’Inghilterra; il quarto fu l’attacco alla Russia ed il quinto Pearl Harbour).

Non appena l’annuncio della votazione giunse alla Casa Bianca, Hopkins si attaccò al telefono e chiamò subito i Chequers. Per la differenza d’orario tra i due continenti, Churchill si trovava a letto. Rispose un segretario, dicendo che il Primo ministro dormiva e se lo doveva svegliare. Nemmeno per sogno, disse Hopkins e aggiunse di riferirgli l’esito della votazione la mattina dopo. Quando ebbe l’annuncio, Churchill telegrafò subito a Hopkins: “la lotta è stata seria. Siano, quindi, rese grazie a Dio per la vostra notizia”.

Churchill

Churchill

Pochi giorni dopo Hopkins scrisse a Churchill:

Non ho avuto il tempo materiale di scrivervi da quando sono tornato, tante sono state le cose che me lo hanno impedito. Vi voglio ora ringraziare di tutte le cortesie usatemi da voi e dalla signora Churchill durante il mio soggiorno in Inghilterra.

Io sono di partenza con il Presidente per un breve viaggetto nel Sud. Spero che per il giorno del nostro ritorno, il decreto per gli stanziamenti sia stato già firmato. Nel frattempo, ho studiato e esaminato con Purvis, la notte scorsa, un progetto per sollecitare le vostre ordinazioni.

Ho accettato di assumere la responsabilità di promuovere l’intero programma di aiuti all’Inghilterra, per sollevarne in certo qual modo il Presidente e spero vivamente di esservi di grande aiuto.

Pare proprio che si riesca ad ottenere dalla Commissione marittima quattro milioni di tonnellate di naviglio nuovissimo e non dispero affatto di riuscire a combinare altre cose di cui ora è forse prematuro discutere. Il Presidente è ben disposto e non l’ho mai visto così deciso.

Ho visto parecchie volte Lord Halifax ed ho contatti giornalieri con la vostra commissione d’acquisto. Date le mie nuove responsabilità, tutte le richieste Inglesi passano per le mie mani.

Lord Halifax

Lord Halifax

Morgenthau, Stimson, Knox e Hull sono saldi come torri e voi e il vostro Paese avete qui numerosi amici. Vi seguo sempre con il pensiero nella disperata lotta che conducete e che finirà senza dubbio con la piena vittoria.

Ricordatemi sempre cordialmente con la signora Churchill e a Mary. Spero di potervi mandare fra qualche giorno i dischi che mi avete chiesti e son in traccia di un foraggio di Stilton.

Il giorno dopo che Roosevelt firmò la legge affitti e prestiti, pranzai con lui, insieme ad Hopkins e a Missy LeHand, su un tavolo da gioco nello studio ovale. Come al solito, la conversazione era stata insignificante. Dopo pranzo, Hopkins salì in camera sua ed entrò Toie Bachelder per battere a macchine il discorso che il Presidente doveva pronunciare al pranzo dell’Associazione corrispondenti della Casa Bianca, il sabato seguente.

Missy LeHand con Roosevelt

Missy LeHand con Roosevelt

Egli teneva il discorso piegato in grembo e cominciò a scorrerlo, diventando improvvisamente d’umore nero e irritabile. E mi disse: “comincio ad essere stufo di tutta questa storia. Se ne sono dette troppe su questa benedetta legge degli aiuti alle Democrazie (come la si chiamava allora) e si è tentato di spaventare il popolo per confondergli le idee. Non mi è stato mai possibile rispondere per le rime, durante il dibattito; ma ora, falsità e menzogne, voglio che se le rimangino tutte in una volta sola”.

Poi cominciò a dettare, facendomi continui riferimenti ai suoi tagli e smontando ad una ad una tutte le accuse che avevano dovuto incassare dal Congresso e dalla stampa, nei mesi passati. Fu il discorso più aspro e polemico che mai gli avessi sentito fare. Non citò mai né un giornale né una persona, ma si riferì sempre a un “certo corrispondente”, “un certo senatore”, “certi oratori repubblicani”.

Henry Morgenthau

Henry Morgenthau

Dopo un’ora gli diedi la buona notte e andai a fare quattro chiacchiere con Hopkins, per riferirgli di che natura fosse il discorso che preparava il Presidente e confessargli la cattiva impressione che mi faceva. Credevo un grave errore prendere così di petto l’argomento.

E mi sembrava che, nell’ora del trionfo, il Presidente avrebbe fatto assai meglio dimostrarsi magnanimo e a riaffermare la fede nella saggezza e nel coraggio di un popolo che aveva accettato il principio rivoluzionario degli affitti e prestiti. Hopkins mi ascoltò e poi disse bruscamente: “Dobbiamo conoscere meglio le sue vere intenzioni. No pensa affatto di usare quel materiale che gli hai visto dettare. Ma vuole sfogarsi. Fin qui ha dovuto trangugiare ed ora il vaso trabocca. Dopo si sentirà meglio e dormirà saporitamente”.

Brendan Bracken con Churchill

Brendan Bracken con Churchill

Hopkins mi parlò poi in un modo che non gli conoscevo: “Tu ed io siamo per Roosevelt, perché ne conosciamo lo spirito e sappiamo che egli è un idealista, come Wilson ed ha uno stomaco di ferro per sopportare l’opposizione e vincerla per il trionfo dei suoi ideali. Oh! Talvolta vuol provare ad essere duro, cinico e maligno, gli piace prendere questo tono, specie nelle conferenze stampa.

Vuol dare ai “ragazzi” l’impressione di averne fin sopra i capelli. E può darsi che qualcuno di loro ci caschi, ingenuamente. Ma non lasciartene ingannare o non gli servirai più. Il vero Roosevelt lo si vede quando se ne esce con l’idea delle quattro libertà e non credere che siano delle semplici parole ad effetto. Egli crede nelle sue libertà! Crede che si possano attuare in pratica. Ricordiamolo se gli vogliamo essere utili. Molti purtroppo, qui in città, vorrebbero tagliarsi un Roosevelt su misura e qualche volta riescono ad influenzarlo. Siamo noi dunque, che gli dobbiamo ricordare, finché gli siamo vicini, che egli è al disopra di tutti e deve parlare così, perché è così che vuole agire. E se qualche volta ci dà sulla voce, non ti impressionare, perché no dura a lungo. Egli sa infatti, quello che vale e quello che è, anche se no lo vuole ammettere con nessuno e tanto meno con te o con me”.

Roosevelt

Roosevelt

Non penso che il Presidente abbia fatto altri cenni, dopo quella sera, a quanto aveva dettato allora. L’ultimo giorno di preparazione del discorso, cenammo nella sala del Gabinetto, facendoci servire il pranzo su un vassoio – carne di bue tritata con uova sode ed un budino di cioccolata – ed Hopkins suggerì al Presidente di fare almeno un accenno a Churchill per rispondere ai molti e riguardosi di quegli nei suoi discorsi. Roosevelt dettò: “In questa sua crisi storica, la Gran Bretagna ha avuto la fortuna di trovare un brillante leader in Churchill”. Poi rifletté un attimo e corresse: “Dite anzi, un brillante e grande leader in Churchill”.

Pronunciando il discorso nell’ultima stesura, Roosevelt parlò con voce insolitamente emozionata. E riuscì commovente, perché era profondamente commosso. Cominciò con il fare l’elogio più sentito dei corrispondenti della Casa Bianca, ospiti suoi, per la grande collaborazione prestatagli in tanti anni. Parlò degli errori del passato e disse: “Acqua passata. No perdiamo il tempo a rivedere la bucce, per lanciare nuove accuse o schivare vecchie colpe. Noi popolo americano, stimo scrivendo oggi una nuova pagina di storia”.

CHURCHILL

CHURCHILL

Rivolgendosi al popolo britannico, fece al più esplicita promessa di concedere tutto quanto gli era stato chiesto: “Il popolo britannico e i suoi alleati greci hanno bisogno di navi. La avranno dall’America. Hanno bisogno di aeroplani. L’America li manderà. Di viveri. E l’America darà loro viveri. Hanno bisogno di carri armati, di cannoni, di munizioni, di rifornimenti di vario genere. Avranno dall’America carri armati e cannoni, munizioni e rifornimenti d’ogni genere”. (Nel caso della Grecia, però, i nazisti giunsero prima dei rifornimenti americani).

Roosevelt nomino Hopkins suo “consigliere ed assistente” per gli affitti e prestiti, pur dandogli mai il titolo ufficiale di amministratore, benché ne avesse la funzioni. E fu la prima carica ufficiale di governo che egli ricoprì da quando aveva dato le dimissioni da segretario al Commercio, sette mesi prima.

Churchill

Churchill

Durante tutto quel tempo, non era stato che un cittadino privato senza titoli e senza stipendio, tranne le spese di trasferta per il viaggio in Inghilterra. Annunciandone il ritorno, Roosevelt asserì che il compito di Hopkins sarebbe stato quello di un “ragioniere”: registrare le varie transazioni, curare il bilancio, ma no disporre in alcun modo dell’ammontare e dell’assegnazione dei fondi. Le stesse cose le aveva dette, presso a poco, anche quando aveva affidato a Hopkins l’amministrazione della W.P.A., ma questa volta quelle disposizioni furono ancora meno osservate di allora.

La nomina riportò Hopkins alla luce, traendolo dall’ombra in cui era rimasto avvolto sino allora, come un misterioso confidente e attribuendogli poteri vastissimi, né fece di fatto un Vice-Presidente.

I nove miliardi di dollari spesi fino allora per i soccorsi, apparivano un’inezia in confronto al bilancio previsto per il nuovo programma rivoluzionario. Il Congresso come primo stanziamento, aveva votato sette miliardi, ma all’epoca della resa del Giappone, la cifra era già salita ad oltre sessanta.

John W. Taber

John W. Taber

Il rappresentatane John W. Taber, temibile capo della minoranza e poi presidente della commissione della Camera per gli stanziamenti, tuonò al Congresso che la nomina di Hopkins era “il più grave colpo che Roosevelt potesse vibrare alla difesa nazionale”. Disse infatti che come amministratore della W.P.A., Hopkins aveva dato prova di essere “il più incompetente fra tutti gli incompetenti prodotti da questa amministrazione”.

La posizione di Hopkins era più che mai delicata e difficile, poiché le sue mansioni lo portavano spesso a scavalcare l’autorità degli altri e a sovrapporsi all’attività di tutti a Washington. Gli “affitti e prestiti”non si limitavano infatti, alle armi, ma si interessavano anche di trasporti per mare, di veicoli, viveri, combustibili, attrezzature industriali e di altri importanti servizi, non esclusi molti degli affari diplomatici correnti. Hopkins ebbe presto la nomea di “ministro personale degli Esteri di Roosevelt”.

Harry Lloyd Hopkins

Harry Lloyd Hopkins

Era ovvio che gli affitti e prestiti dovessero diventare l’elemento accentratore di tutte le relazioni fra gli Stati Uniti e le nazioni alleate combattenti o anche neutrali, in modo che più di una Missione estera preferiva o cercava di trattare le proprie questioni direttamente con Hopkins, scavalcando il Dipartimento di Stato. Ne nacque una situazione di fatto che, ed è ben comprensibile, non fece certo piacere a Cordell Hull, situazione accentuata ancora dalla successiva nomina di W. Averell Harriman ad “amministratore” degli affitti e prestiti a Londra, con il grado di ministro.

Cordell Hull

Cordell Hull

Harriman trovò alloggio con la sua Missione all’Ambasciata in Grosvenor Square, ma ne rimase completamente indipendente. Egli trattava direttamente con Hopkins attraverso i servizi di comunicazione della Marina e non per le solite vie del Dipartimento di Stato, creando così una situazione che, per quanto Harriman e Winant fossero ottimi amici e non si lasciassero influenzare da questioni di procedura o da gelosie di mestiere, divenne estremamente imbarazzante per entrambi. Perché, se Winant aveva un grado superiore e godeva di una dignità e di un prestigio maggiori, nonché della stima e dell’ammirazione di tutto il popolo britannico, i maggiori contatti con Downing Street e con la Casa Bianca li aveva invece Harriman.

Harriman

Harriman

Churchill di solito lasciava al Foreign Office il compito di tenere le relazioni con gli ambasciatori, ma gli affitti e prestiti erano troppo decisivi per le sorti della guerra per essere lasciti ad altri e preferiva trattarli di persona come ministro della Difesa.

Era poi evidente che Harriman era l’uomo di Hopkins e costituiva quindi un facile e diretto tramite di comunicazione. S’instaurò allora una corrispondenza senza precedenti fra i due capi di governo: una corrispondenza privata e quindi non registrata, ma non per questo meno ufficiale, tramite la persona di Hopkins della cui discrezione e del cui giudizio si fidavano completamente.

In effetti, quando Churchill voleva sondare il pensiero del Presidente su qualsiasi fatto o argomento, lo poteva fare con tutta sicurezza, inviando a Hopkins un cablogramma in questi termini: “Se lo stimate opportuno, vorrei che chiedeste al nostro grande amico qual’è la sua opinione in proposito … “.

Roosevelt

Roosevelt

Hopkins, consultato Roosevelt, decideva per il no e rispondeva che non gli sembrava il momento adatto per parlarne al Presidente. O, se per il si: “Si crede qui che possiate dar seguito alla vostra proposta, ecc. …”. Visto che perlopiù ogni messaggio di questa strana corrispondenza toccava argomenti di carattere militare, le autorità preposta alla sicurezza pretesero che essa si effettuasse per le vie militari e non per il Dipartimento di Stato, i cui cifrari erano ritenuti troppo poco sicuri.

Più di una volta anche Winant e non il solo Harriman se ne valsero per comunicare con Hopkins. Il Dipartimento di Stato si vide una volta di più scavalcato e a Hull non bastava, per placare l’orgoglio offeso, ricevere di tanto in tanto da Hopkins una copia dei cablogrammi ricevuti, con la scritta “per conoscenza”.

Harry Lloyd Hopkins con Roosevelt

Harry Lloyd Hopkins con Roosevelt

Era una situazione anormale e pur essenziale, quella in cui venne a trovarsi allora il Governo degli Stati Uniti. Il dizionario Webster, alla voce “Matrimonio di fatto” (common-law marriage) dà questa definizione: “Un accordo tra uomo e donna, per entrare in relazione matrimoniale senza cerimonie ecclesiastiche o civili, comprovabile mediante scritti, dichiarazioni o condotta delle parti. In molte giurisdizioni no è riconosciuto”.

La definizione si applica benissimo all’alleanza fra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dopo l’approvazione degli affitti e prestiti. Non era certo riconosciuta in talune “giurisdizioni” come il Congresso e se gli isolazionisti avessero potuto immaginare quale ne era la portata, avrebbero sollevato certo un pandemonio per mettere in stato d’accusa Roosevelt. Ma era “effettiva” ed ebbe un’importanza incalcolabile nel progressivo svolgersi degli avvenimenti che dovevano preparare a poco a poco l’entrata in guerra degli Stati Uniti.

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Fin dalla primavera del 1941, sei mesi prima del loro intervento effettivo, gli Stati Uniti avevano già dato impulso e sviluppo ai seguenti punti:

1) Inizio di scambi di informazioni scientifiche, ivi comprese le ricerche atomiche e il radar, con la missione di Sir Henry Tirard a Washington nel settembre del 1940, sotto l’alta approvazione di Roosevelt. Hopkins stesso, durante il suo viaggio a Londra, aveva promosso una più stretta collaborazione e scambi più efficaci in questo campo e dopo il suo ritorno, era andato a Londra il presidente dell’Università di Harvard, James B. Conant, in rappresentanza del consiglio delle ricerche di Vannevar Bush.

Vannevar Bush

Vannevar Bush

2) Nuova organizzazione in un unico organismo del servizio militare di informazioni, massimamente per merito del generale Marshall e del Sottocapo di Stato Maggiore generale George V. Strong (la Marina fece per molto tempo opposizione alla fusione dei servizi, anche con l’Esercito statunitense).

3) Istituzione, per ordine di Roosevelt e nonostante le proteste del Dipartimento di Stato, di una intesa ed effettiva collaborazione tra l’F.B.I. e J. Edgar Hoover e i servizi di controspionaggio britannico diretti da William Stephenson, un tranquillo Canadese. Scopo di tale collaborazione era di scoprire e sventare le attività spionistiche e di sabotaggio condotte nell’emisfero occidentale dagli agenti della Germania, dell’Italia e del Giappone anche della Francia di Vichy, della Spagna franchista e, prima che Hitler attaccasse all’est, dell’Unione Sovietica.

J. Edgar Hoover

J. Edgar Hoover

Tale collaborazione ottenne risultati di valore eccezionale, compreso anche quello di sventare un tentativo di “putsch” nazista nella Bolivia, nel cuore dell’America del Sud e a Panama. Hoover ricevette in seguito una decorazione dal Governo inglese e Stephenson una dal Governo americano per imprese che in quel tempo era difficile rendere note.

4) Invio regolare in Inghilterra di specialisti civili e militari americani, soprattutto tecnici, per studiare i metodi britannici ed istruire gli Inglesi in quelli americani; per collaudare gli aeroplani americani e le altre armi e accertarne l’efficacia in combattimento (l’armamento delle Fortezze volanti B-17, fu, per esempio, notevolmente rafforzato dopo l’esperienza dei primi scontri con la Luftwaffe nel 1941).

Un "B 17"

Un “B 17”

5) potenziamento della flotta atlantica statunitense, con navi nuove e altre trasferite dal Pacifico, allo scopo di difendere le comunicazioni dell’Atlantico occidentale e sollevare di parte dei suoi compiti la Marina britannica.

6) Nuovi piani per l’occupazione da parte delle truppe americane della Groenlandia, dell’Islanda, delle Azzorre e della Martinica ( Altri piani operativi erano allo studio, ma questi erano i più urgenti e nei primi due casi, anzi, si giunse ad applicarli).

7) Riparazione, in cantieri americani, delle navi inglesi danneggiate.

8) Addestramento di piloti ed equipaggi della R.A.F. negli Stati Uniti.

9) Attuazione dei primi contatti fra gli Stati Maggiori dell’Inghilterra e dell’America, per gettare le basi di una strategia comune, nel caso che gli Stati Uniti entrassero in guerra.

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I colloqui erano cominciati, su basi puramente informative, a metà agosto 1940, quando Marshall e Stark inviarono a Londra una loro missione, con alla testa l’ammiraglio Ghormley, il generale Delos Emmons per l’Aeronautica e il generale Strong per l’Esercito.

I tre giunsero in tempo per assistere, in prima fila, alla battagli dell’Inghilterra ed al Blitz. Avevano l’incarico di raccogliere il maggior numero di informazioni sulle forze e i piani dell’Inghilterra o meglio ancora, della Germania, per evitare nei limiti del possibile, come ebbe a riferire Samuel Elliot Morrison, i disastrosi errori commessi nell’inverno e nella primavera precedente dal Re del Belgio, che si era rifiutato, per scrupolo eccessivo di neutralità, di iniziare conversazioni con le autorità inglesi e francesi, sui piani di una eventuale invasione tedesca nel Belgio.

Nel bel mezzo di questi colloqui londinesi, il 27 settembre, giunse l’annuncio dell’avvenuta firma del Patto tripartito a Berlino; il Giappone riconosceva alla Germania e all’Italia il diritto di creare il “nuovo ordine” in Europa, mentre queste gli riconoscevano l’egual diritto di organizzare in oriente “la forza di prosperità più grande d’Asia d’Asia”.

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Il patto era una sfida così evidente agli Stati Uniti, che molti consiglieri ed amici – fra i qual figurava anche Hull – esortavano Roosevelt a dare un carattere più ufficiale e costruttivo ai colloqui degli Stati maggiori. Ma si era in tempo di elezioni e già si accusava il Presidente di manovre per coinvolgere il Paese in mene e in trattati segreti. In simile frangente, Roosevelt non volle concedere maggiori poteri alla missione Ghormley-Emmons-Strong. Non aveva nessuna intenzione almeno per allora, di discutere i piani di possibili operazioni.

Churchill e Roosevelt

Churchill e Roosevelt

Era infatti troppo occupato a smentire tutte le voci che venivano diffuse e secondo le quali i “nostri nostri ragazzi stavano già per imbarcarsi”. A metà novembre, Stark preparò un memorandum per il segretario Knox, per stabilire che il nostro scopo principale era la difesa dell’Emisfero occidentale, “impedendo la distruzione dell’Impero britannico, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero”.

Egli credeva che in ultima analisi l’America “avrebbe dovuto mandare forti contingenti dell’esercito e dell’aviazione in Europa o in Africa o in entrambi i continenti, per partecipare con tutto il proprio peso a una offensiva terrestre”.

Il pensiero di Stark non si scostava punto da quello di Marshall, distinguendosi da questo dalla mentalità prevalente fra gli uomini di Marina, orientati piuttosto verso il Pacifico. In un altro promemoria, l’ammiraglio Harry E. Yarnell scrisse:

Harry E. Yarnell

Harry E. Yarnell

Per raggiungere un’adeguata difesa nazionale si considerano fondamentali i seguenti punti:

a) una marina e un’aviazione pari a quelle di ogni nazione o coalizione che possano minacciare la nostra sicurezza.

b) Un esercito in grado di presidiare le basi esterne e di fornire contingenti dotati d’estrema mobilità e perfettamente equipaggiati, di circa 600 mila uomini addestrati nei moderni sistemi di guerra. In nessuna guerra si dovrà mandare all’estero un esercito di milioni di uomini.

Marina ed aviazione devono essere sufficienti per poter portare una guerra offensiva in acque nemiche. La nostra frontiera si trova sulle coste del nemico.

Ho sottolineato le due frasi, perché esprimevano un’opinione alla quale credo aderisse anche Roosevelt in quel tempo ed in certo qual modo anche Churchill. Infatti pensavano entrambi d’incrementare piuttosto l’impiego di sempre più vaste forze navali, con l’aiuto e l’appoggio di crescenti forze aeree, che non l’impiego di masse terrestri, per portare la guerra oltre la “frontiera” della costa nemica.

Le ragioni di Churchill erano chiare: infatti la Gran Bretagna non poteva sperare per terra di affrontare a parità di forze la Germania e doveva fare assegnamento soprattutto: a) sulla superiorità navale, b) su una potenza aerea almeno pari, c) su una maggiore resistenza morale e su una e più pronta e acuta chiaroveggenza.

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Meno chiaro il pensiero di Roosevelt: ma egli, pur rappresentando una nazione che poteva superare di gran lunga la Germania, sia come potenziale umano sia come risorse industriali, era ancora dominato da una mentalità strettamente marinara e la sua visuale non andava oltre la costa nemica, supponendo che a tutte le esigenze logistiche, dalle basi metropolitane sino alla costa nemica occupata, potessero sopperire le forze da sbarco della Marina.

Passò del gran tempo prima che egli aderisse alla concezione dell’Esercito, che partiva dalla testa di ponte, mantenuta con l’ausilio delle forze di mare e considerava la possibilità di avanzare nell’interno del territorio nemico per cento o per mille chilometri, fino alla conquista di tutti gli obiettivi principali (Berlino o Tokyo) e al raggiungimento della vittoria totale.

Le vere conversazioni fra gli Stati maggiori americano e britannico cominciarono a Washington alla fine di gennaio 1941. Rappresentavano l’America gli ammiragli Ghormley e Richmond Kelly Turner, i capitani A. G. Kirk, C. M. Cooke e De Witt Ramsey, per la Marina; i generali S. D. Embick, Sherman Miles e L. T. Gerov e il colonnello J. T. McNarney, per l’Esercito.

Richmond Kelly Turner

Richmond Kelly Turner

Da parte Inglese erano presenti gli ammiragli R. M. Bellairs e V. H. Danckwerts, il generale E. L. Morris e il commodoro dell’Aria J. C. Slessor. In principio di seduta vennero letti messaggi di saluto da Marshall e Stark, che impegnavano i partecipanti a mantenere il più assoluto riserbo sulle discussioni della conferenza, perché ogni pubblicità poteva servire agli oppositori degli affitti e prestiti e provocare conseguenze che “potevano essere disastrose”.

I membri della delegazione britannica vestivano abiti civili ed avevano il titolo ufficiale di “Consiglieri tecnici della Commissione d’acquisto britannica”. Sembrava una cosa pressoché impossibile mantenere il più assoluto silenzio sulla conferenza e tenerla nascosta agli occhi della stampa, che erano acutissimi, o ai numerosi agenti dell’Asse, che erano sempre lieti di fornire informazioni segrete, attraverso l’America del Sud, al D.N.B. a Berlino o alla Domei a Tokyo, da dove venivano diffuse in tutto il mondo; tuttavia non si ebbero serie indiscrezioni.

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I colloqui durarono fino al 29 marzo e ne sortì un piano, noto sotto la sigla di A.B.C.-1, che fissava in grandi linee la strategia di guerra. Esso si fondava essenzialmente sul presupposto che in caso di una guerra anglo-americana contro la Germania e il Giappone, tutte le forze si dovessero concentrare prima contro la Germania, restando sulla difensiva restando sulla difensiva contro il Giappone fino alla disfatta della Germania. (Erano precisamente le conclusioni cui erano pervenuti Marshall e Stark nei mesi precedenti). Le prime misure da prendersi contro la Germania erano:

1) Il blocco.

2) Una sempre più intensa e continua attività di bombardamento aereo.

3) Un’attività propaganda per una rivolta. (Non si prevedeva ancora nessuna operazione terrestre).

Si prevedeva invece, una maggiore e più intensa frequenza di contatti fra le missioni angloamericane, per lo scambio di informazioni e il coordinamento di piani. Pertanto la missione dello Stato maggiore generale inglese, stabilitasi a Washington, servì a preparare il terreno a quell’organismo dei capi di Stato maggiore uniti, che doveva essere costituito un mese dopo Pearl Harbour.

Questi colloqui fornirono pertanto, con i loro scambi di informazioni e di notizie, il terreno migliore per la preparazione strategica degli Stati Uniti e di qualsiasi altro Stato non-aggressore, prima della loro entrata in guerra. Si diede cioè, maggiore impulso ed attenzioni a tutti i piani per l’organizzazione e l’addestramento dell’Esercito e della Marina, per la produzione e soprattutto per l’amministrazione degli affitti e prestiti. Hopkins poté così stabilire organicamente un programma di aiuti che servisse veramente allo scopo, dando la precedenza ai materiali e ai prodotti di più stretta urgenza e mantenendosi in stretto contatto con Robert Patterson e James Forrestal, come rappresentanti dei Dipartimenti della Guerra e della Marina, con gli uffici della produzione e con la commissione per la Marina.

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Se rimase ancora molta confusione perché non tutti naturalmente, potevano comprendere su cosa si fondasse la preferenza a questo o a quel prodotto, si riuscì ad evitare, almeno in alto loco, l’incomprensione e la discordia. La “alleanza di fatto” non impegnava gli Stati Uniti a nessun accordo segreto né violava la Costituzione, ma la sola esistenza di piani comuni anglo-americani era tale da dover essere religiosamente custodita e tenuta segreta.

Lord Beaverbrook

Lord Beaverbrook

È un’ironia pensare che se questi piani fossero caduti in mano tedesca o giapponese avrebbero prodotto un danno minore che se fossero caduti nelle mani del Congresso o della Stampa: la preparazione americana ne avrebbe sofferto come di un colpo mortale e si sarebbe vista rovinata, come fu sul punto di esserlo quando la Camera dei Rappresentanti discusse l’ampliamento del Selective Service.

Lo storico americano Charles L. Beard, a quel tempo uno dei più validi esponenti della politica isolazionistica, mosse severe critiche alle trattative di Roosevelt con l’Inghilterra, prima di Pearl Harbour (“accordi impegnativi” le chiamò) e più tardi con l’Unione Sovietica a Yalta. “Se questi precedenti – disse – dovessero essere accettati e costituire norma per la condotta futura della politica estera americana, possiamo dire allora che la Costituzione può essere resa nulla dal Presidente, dagli ufficiali, dai funzionari tutti che hanno prestato giuramento e hanno l’obbligo morale di tenervi fede”.

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Ma Roosevelt non ignorò il fatto che le sue azioni potessero costituire in “capo d’accusa”. Aveva prestato tre volte giuramento in qualità di Presidente e ne sapeva a memoria le clausole: era perfettamente consapevole d’essere tenuto non solo ad “osservare”, ma a “difendere” la Costituzione degli Stati Uniti.

Stava al suo giudizio e a quello dei collaboratori che egli aveva il potere di nominare, conoscere e fissare dove cominciasse e finisse tale difesa. Ad altri capi dell’Esecutivo era stata concessa in passato la stessa indipendenza e responsabilità – compreso Abramo Lincoln nel 1861 – e la stessa sarà devoluta in avvenire ad ogni altro, se la Costituzione non verrà emendata per limitare gli attuali doveri e poteri del Presidente.

Robert E. Sherwood

Robert E. Sherwood

Roosevelt prima di Pearl Harbour, non stabilì nessun “accordo impegnativo”, se non nei limiti cui era autorizzato dalla legge affitti e prestiti, né stipulò alcun trattato segreto con l’Inghilterra  con altre nazioni, soggetto a ratifica o conferma da parte del Senato. I piani stipulati dalla conferenza degli Stati maggiori no erano impegnativi.

Potevano essere alterati o annullati in ogni momento, “secondo lo sviluppo degli avvenimenti” ed è un dato di fatto che gli Inglesi si aspettavano che Roosevelt e i capi dello Stato maggiore americano li denunciassero, quando gli straordinari avvenimenti della guerra nel Pacifico, cambiarono totalmente il quadro della situazione mondiale.

Si potrà discutere della bontà o meno delle decisioni di Roosevelt: ma questa è tutta un’altra questione, che gli storici dovranno ponderare con calma a suo tempo.

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